Come desiderava,
Isabella è riuscita a
sopravvivere: nella maschera che da lei prende il nome, e che la
grande
famiglia del teatro riporta alla luce sulle tavole
del palcoscenico.
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La commedia allimprovviso, più conosciuta con la definizione
di commedia dellarte, fu uno straordinario fenomeno culturale
e di costume che dallItalia si diffuse in Europa e modificò
il modo di recitare, il ruolo sociale degli attori, la stessa struttura
dei canovacci e dei testi che costituiscono la tradizione del teatro
europeo. Come esempio, si pensi soltanto allinfluenza determinante
che ebbero vari teatranti italiani famosi già allora,
come Biancolelli, Cicognini o Fiorilli, o sconosciuti di cui ci
resta solo qualche citazione nel tramutare il greve personaggio
del nobile prepotente e libertino, già presente nella tradizione
scenica, in quella figura audace e quasi metafisica che è
il Don Giovanni di Molière e poi di Mozart. Compagnie teatrali
e singoli attori attivi nella penisola, scrittori che avvertivano
la debolezza della commedia erudita del tempo, famiglie nobili che
si facevano promotrici di spazi teatrali aperti al pubblico: dallincontro
di questi elementi nacque una fecondissima contaminazione fra lenergia
vitale del teatro di strada da una parte, e la finezza di elaborazione
dei letterati di professione e di attori via via sempre più
eruditi.
Una figura del tutto particolare, in questo contesto, è quella
della padovana Isabella Andreini. Notevole, innanzitutto, la sua
eredità nella tradizione teatrale: il personaggio della donna
amorosa, determinata nel perseguire i suoi scopi anche contro le
macchinazioni di chi li vuole ostacolare solitamente il suo
stesso vecchio e arcigno padre, oppure un qualche pretendente di
analoga meschinità questo personaggio, dunque, interpretato
dalle più giovani e dotate attrici delle compagnie allimprovviso.
Dopo di lei e da lei prese il nome di Isabella. E a
giudicare da quello che fece nella sua esistenza, pur così
breve, e dalla perfetta consapevolezza delle intenzioni che emergono
dai suoi scritti, determinata Isabella lo fu davvero. Nacque a Padova
nel 1562, da genitori originari del Veneziano. La famiglia non era
benestante, ma Isabella ricevette unottima educazione, e fame
di cultura le rimase addosso per tutta la vita.
In quellepoca, lambiente culturale padovano era vivace
anche per le donne. Gaspara Stampa scriveva le sue Rime, Elena Cornaro
Piscopia si laureava in filosofia e medicina, prima, in Italia,
a raggiungere simile risultato. Ugualmente vitale era la situazione
delle compagnie teatrali: il primo esempio conosciuto di un gruppo
di attori che si riuniscono professionalmente con un regolamento
e un riconoscimento legale è del 1545, quando a Padova la
Compagnia di Ser Maphio del Re stese un contratto alla presenza
di un notaio per la costituzione di una fraternal compagnia
di comici. Della compagnia come appare dal contratto stesso
e come usava in tutta Europa non faceva parte nessuna donna.
Di lì a poco, tuttavia, le cose sarebbero cambiate.

Nel 1578 Isabella Andreini entrò a far parte della compagnia
teatrale dei Gelosi: aveva solo sedici anni, ma era già sposata
con Francesco de Cerrachi, e due anni prima gli aveva dato
un figlio. Francesco aveva trentanni: soldato nellarmata
navale veneziana, poi prigioniero dei turchi per otto anni, al ritorno
in patria aveva scelto la via del teatro, ma per non disonorare
il proprio nome con un mestiere tanto spesso mal visto lo aveva
cambiato in quello di Andreini. Questo timore della cattiva reputazione,
e la preoccupazione di distinguere la professione di attrice da
quella di meretrice, saranno una costante della compagnia dei Gelosi,
e soprattutto di Isabella. Nei suoi scritti, spesso viene ribadita
la differenza tra i ruoli da lei interpretati in scena e quello
di moglie fedele e di madre amorosa vissuto nella realtà.
Non è dato sapere se da parte sua prevalesse lo sforzo di
opporsi alle riserve di tipo morale che da sempre le autorità
religiose avevano nei confronti del teatro e che non di rado
finivano per ostacolare concretamente la messa in scena dei lavori
oppure la volontà di farsi riconoscere come unintellettuale
e una scrittrice di talento al di là della presenza scenica
e della bellezza fisica che, stando ai racconti coevi, la natura
le aveva regalato generosamente. Di fatto, nei suoi lavori i due
temi compaiono con la stessa frequenza, come se per lei la serenità
dellamore coniugale fosse una salvaguardia dalle insidie del
mondo, e permettesse allintelletto di espandersi in tutte
le sue potenzialità. Ed è quasi commovente ascoltare
lencomio del valore della cultura nelle parole di una donna
che, per lepoca in cui è vissuta e per le sue vicende
personali (dopo il primo figlio, concepito in unetà
che per noi oggi è assurda, ne vennero altri sei, e un ultimo
che le fu fatale), deve aver superato non poche fatiche per affermare
il suo diritto alla conoscenza. «
Essendo per avventura
questo desiderio di sapere nato in me più ardente che in
moltaltre donne delletà nostra, le quali come
che scuoprano in virtù degli studi molte, e molte esser divenute
celebri, e immortali, nondimeno vogliono solamente attendere (e
ciò sia detto con pace di quelle, che a più
alti, e a più gloriosi pensieri hano la mente rivolta)
allago, alla conocchia, e allarcolaio
hò
voluto à tutta la mia possanza alimentarlo; e benché
nel mio nascimento la Fortuna mi sia stata avara di quelle comodità,
che si convenivano per ciò fare, e benché sempre sia
stata lontanissima da ogni quiete
tuttavia perché il
viver mio non si potesse chiamare un continuo dormire
a pena
sapea leggere (per dir così) che io al meglio che seppi,
mi diedi a comporre la mia Mirtilla favola boschereccia, che se
ne uscì per le porte della stampa
».
Per Isabella recitare è un modo per sfuggire a un destino
angusto, ma soprattutto per ottenere una gloria perenne, dato che
«intenzion mia dunque fu di schermirmi quanto più i
potevo dalla morte». In ogni caso, non è il suo unico
talento. Isabella suona e canta con molta abilità, riferiscono
le cronache. E, soprattutto, scrive: la Mirtilla, appunto, per il
teatro; le Rime; 31 dialoghi drammatici e le Lettere, postumi. Il
suo valore come scrittrice le apre le porte dellAccademia
letteraria degli Intenti; le sue qualità musicali, vocali
e sceniche le procurano una fama sempre più vasta come attrice.
Interpreta personaggi femminili, ma anche il pastore Aminta nella
omonima favola del Tasso. Con La Pazzia dIsabella
spettacolo tenutosi a Firenze nel 1589 in occasione delle
nozze tra Ferdinando de Medici e Cristina di Lorena
crea il suo cavallo di battaglia. Sullesile trama di un contrasto
amoroso Isabella sinnamora di un giovanotto sgradito
a suo padre, decide di fuggire con lui, in seguito a molti equivoci
i due non riescono ad incontrarsi, Isabella impazzisce, farnetica,
e solo una provvidenziale bevanda magica, alla fine, la fa rinsavire
la Andreini costruisce un pezzo di bravura che mette in luce
tutte le sue abilità interpretative.
«
Come pazza se nandava scorrendo per la Cittade
parlando hora in Spagnolo, hora in Greco, hora in Italiano, e molti
altri linguaggi, ma tutti fuor di proposito: e fra le altre cose
si mise a parlar Francese, e a cantar certe canzonette pure alla
Francese, che diedero tanto diletto alla Sereniss. Sposa
Si
mise poi ad imitare li linguaggi di tutti li suoi Comici, come del
Pantalone, del Gratiano, del Zanni, del Pedrolino, del Francatrippe,
del Burattino, del Capitan Cardone, e della Franceschina
».
(G. Pavoni, Diario, descritto da Giuseppe Pavoni delle feste celebrate
nelle solenissime Nozze delli Serenissimi Sposi, il Sig. Don Ferdinando
Medici e la Sig. Donna Christina di Loreno Gran Duchi di Toscana,
Bologna, 1589).
La commedia dellarte si fondava sulla standardizzazione dei
personaggi, derivati, a loro volta, dai caratteri comici di antica
tradizione. Ogni attore ne impersonava stabilmente uno, assimilandone
frasi, gesti, espressioni, quasi fosse una seconda natura. Durante
le rappresentazioni, basate generalmente su un intreccio delle più
immediate pulsioni umane fame, avidità, desiderio,
paura e così via e spesso orientate dallestro
di chi era in scena, o dalle reazioni del pubblico, ciascun attore
traeva, a seconda della necessità, gesti e battute dal serbatoio
del proprio personaggio abituale. Tanto più impressionante,
quindi, devessere apparsa lesibizione di Isabella, capace
di passare non solo da una lingua ad unaltra il gramelot,
del resto, faceva parte del bagaglio normale dellattore
ma anche da una tipizzazione ad unaltra. Negli anni seguenti
Isabella è attiva presso le più importanti corti della
penisola, con varie compagnie o, sempre più spesso, con quella
dei Gelosi. Infine, probabilmente nei primi mesi del 1603, il viaggio
a Parigi su invito della corte reale. Le rappresentazioni si tengono
nel teatro del Petit Bourbon, restaurato apposta per i Gelosi, e
il successo che la compagnia e in particolare Isabella riscuotono
è davvero notevole, come anche il riscontro economico che
ne deriva. La permanenza in Francia dura più o meno un anno.
Durante il viaggio di ritorno in Italia, tuttavia, le cose precipitano:
a Lione, nel giugno 1604, «per una sconciatura», come
riportano le cronache del tempo, ossia per laborto del suo
ottavo figlio, Isabella muore. Tutta la città partecipa alle
esequie dellattrice, e probabilmente su commissione degli
stessi sovrani viene coniata una medaglia commemorativa con la sua
immagine. Poco dopo il marito Francesco scioglie la compagnia dei
Gelosi, dedicandosi da quel momento alla cura editoriale degli scritti
della moglie, e a perpetuarne leccezionale fama ottenuta in
vita. Dei figli di Isabella solo uno, Giovan Battista, seguirà
le sue orme e diventerà a sua volta capocomico e drammaturgo.
A quarantadue anni Isabella se ne va con una morte tutta al femminile,
proprio lei che con tanta caparbietà e intelligenza aveva
cercato di allargare i limiti di un destino predeterminato dallappartenenza
al suo sesso. Tuttavia, come desiderava, è riuscita a sopravvivere:
nella maschera appassionata e decisa a conquistare, forse
più che lamoroso di turno, il mondo e le sue meraviglie
che da lei prende il nome, e che la grande famiglia del teatro,
generazione dopo generazione, riporta alla luce sulle tavole del
palcoscenico.
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