Chi ripercorra le vicende dellItalia potrà
convenire che, nella selva
di canzoni e di canzonette,
si ritrova chiaro
e robusto il filo di due secoli di storia nazionale.
|
|
La domanda nasce spontanea: non è singolare che un popolo
come quello italiano, sempre reputato di cantanti e di canzonettisti,
abbia avuto tanta facilità e, nello stesso tempo, tanta difficoltà
nei suoi canti politici? Pensiamo allinno nazionale. La vecchia
Marcia reale era (absit iniuria...) un po buffa. LInno
di Mameli è già preferibile, carico comè
di nobili affetti e di generosa passione; però, musicalmente,
non regge al confronto con inni grandi e solenni come, non diciamo
quello tedesco, (sul piano musicale, il più bello di tutti),
ma con quelli inglese, americano, russo, e persino con quelli di
alcuni piccoli Paesi. Il nostro inno è vicino, piuttosto,
al genere di quello francese, altrettanto carico di affetti e di
passione, ma certo La Marsigliese è più trascinante
e più coinvolgente, più epica e più grandiosa.
Durante il ventennio fascista, si accoppiava Giovinezza, giovinezza
alla Marcia reale: ma si trattava di un saltare dalla padella nella
brace, perché linno fascista era nato male, con tratti
goliardici non proprio apprezzabili, e tanto meno poteva avere la
dignità di canto nazionale. Qualcuno vagheggiò pure
di adottare come inno italiano lInno a Roma, musicato con
alcuni passaggi felici e suggestivi da un musicista del calibro
di Puccini, ma questa idea non passò mai. I versi di quellInno,
infatti, sono stati ritenuti insopportabili, non tanto per motivi
ideologici, quanto per la qualità stessa di alcuni passaggi:
e vi è compresa, fra laltro, una più che approssimata
(e anche inelegante) traduzione della terza strofa del Carmen spaeculare
di Orazio: immensa e genuina gemma poetica di un testo commissionato
per una cerimonia ufficiale.

Molto meglio era pensare, come pure si pensò, alla Leggenda
del Piave, oppure allInno a Garibaldi, entrambi molto popolari,
la prima dopo la Grande Guerra, il secondo nel Risorgimento e anche
dopo. Ma a questo livello lInno di Mameli non scapita affatto.
Se poi si pensa che qualcuno voleva adottare come inno nazionale
O sole mio, linno prescelto è meglio che
ce lo teniamo ancora più caro, e dobbiamo esser lieti che
una bella canzone non sia stata straziata in un uso sconveniente.
Se, invece, si passa dallufficialità al livello della
vita corrente e spontanea, i canti politici, militari, sociali degli
italiani rivelano una vena ricchissima, con invenzioni verbali e
musicali a volte molto felici, anche se la nota della contabilità
tende (almeno così ci sembra) sempre a prevalere su altre
qualità musicali, e anche se i versi sono quasi sempre quello
che sono.
Chi ripercorra la storia dItalia, nel Risorgimento e nei decenni
che seguirono, sulla falsariga di quei canti, se ne può facilmente
convincere. E potrà anche convenire che, nella selva di canzoni
e di canzonette esplorate, si ritrova chiaro e robusto il filo di
due secoli di storia nazionale.
Infatti, vi è di tutto e di più: aspirazioni nazionali,
protesta e lotte sociali, emigrazione e povertà, spinte di
movimenti e di partiti politici, esaltazioni e tristezze di soldati,
vagheggiamenti e trionfalismi nazionalistici e imperialistici o
perfino razzistici, illusioni coloniali, guerra e pace, legami internazionalistici
(con adozioni e traduzioni di testi europei, come lInternazionale).
Vale a dire, Risorgimento, libertà e democrazia, giustizia
sociale, anarchismo e socialismo o comunismo, fascismo e antifascismo
e Resistenza, tradizionalismi e contestazioni in un imprevedibile
ma logico succedersi di miti e di valori, secondo ritmi e vicende
della nostra storia nazionale.
E non solo. Si aggiungano le mode della vita sociale e livelli di
vita e di cultura popolare che si penserebbero lontani dalla politica,
fino alla World Music, con il suo rilancio di suoni e di poetiche
musicali di ogni provenienza. Per non parlare poi di attribuzioni
di parte, per cui, ad esempio, la sinistra esibisce spesso Guccini
o De Gregori, mentre è stato frequentemente considerato un
cantautore di destra Lucio Battisti.

E tutto questo in un intreccio, che non sorprende, di popolarismi
più o meno ingenui e spontanei, e di colti e raffinati pezzi
dautore. Anche con casi imprevedibili, come quello del Canto
dei Lavoratori, composto da Amintore Galli, un musicista insegnante
di conservatorio, moderato e antisocialista, per una società
bocciofila, e che invece venne a rappresentare, con i versi di Filippo
Turati, luniverso degli affetti domestici del socialismo italiano.
In ultima analisi, una biografia dellItalia, su uno dei sentieri
di più immediato riconoscimento della sua identità,
per cui da Addio, mia bella, addio a La bella
Gigogin a Bella ciao, (di mezzo cè
sempre una bella, come si vede), il canto politico ha
avuto proiezioni e valenze di ben più largo uso e significato.
|