Roxelana forse
era una schiava ucraina, forse una siriana comprata al mercato di
Damasco, forse unitaliana
catturata da una nave bucaniera.
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Ad un certo punto, come nel resto delle coste europee bagnate dal
Mediterraneo, si decise di correre ai ripari. E i rimedi adottati
consistettero sostanzialmente nella militarizzazione soprattutto
delle fasce tirreniche, ioniche e adriatiche dellItalia meridionale,
con la costruzione delle torri di vedetta e di primo impatto con
le orde saracene che, sopraggiungendo allimprovviso, erano
specializzate nel saccheggio e nella cattura di uomini, donne e
bambini, da vendere poi sui mercati della carne umana del Vicino
Oriente e dellAfrica del Nord, fino in Marocco e in Algeria.
Certo, fu una storia di reciproche violenze, perché sullaltro
fronte neanche gli scorridori europei furono da meno quanto ad attacchi
alle città costiere del Maghreb e del Mashrek, cioè
dei due bacini, occidentale e orientale, del Mare Nostrum.
Ma la frequenza degli assalti e degli abbordaggi ai danni di città
e di navigli di Stati del Vecchio Continente (ma non solo) diffuse
il terrore ben più profondamente che nelle terre della parte
avversa. Mamma li turchi! fu allora grido di allarme
e di paura, e in seguito metafora della disperazione di intere comunità:
tantè che ebbero origine per queste ragioni i doppioni
di paesi, con le marine abbandonate e con i trasferimenti in aree
montane o altocollinari, più facilmente difendibili.

Naturalmente, i numeri del dare e dellavere, cioè
dei neri resi schiavi dai bianchi e dei bianchi finiti schiavi nelle
terre dei neri, sono squilibrati, a svantaggio delle popolazioni
africane che subirono a lungo gli oltraggi della cattura, dei trasferimenti
in terre sconosciute, della vendita e della definitiva privazione
della libertà.
Ma la storia, ripetiamo, non fu a senso unico, perché si
sviluppò nelle due direzioni: ci furono padroni di pelle
scura di schiavi di pelle chiara. Forse è il caso di ricordare,
in questo contesto, la storia dei Giannizzeri, gli eccellenti soldati
al servizio dellImpero Ottomano, nel primo esercito regolare
della storia moderna: si trattava di bambini di origine cristiana,
generalmente rapiti e trasferiti a Costantinopoli, resi musulmani
ed educati allarte della guerra dai generali dei Sultani (o
dai generali tedeschi assoldati a questo fine dai Sultani della
Sublime Porta).
Ed è anche il caso di ricordare Robinson Crusoe, il quale
subì due comuni calamità tra quelle che trecento anni
fa capitavano agli uomini di mare britannici: una prima volta venne
catturato dai trafficanti di schiavi di Barberia, ma fortunatamente
riuscì a fuggire da quella vita di «schiavo disgraziato»
in Marocco. In seguito naufragò su unisola deserta
e divenne egli stesso padrone del suo schiavo nero Venerdì
(Man Friday). Come ricorda Giles Milton nel suo libro «White
Gold (Oro bianco). La straordinaria storia di Thomas Pellew e il
milione di schiavi europei del Nord Africa», recentemente
pubblicato a Londra, censimenti storici da parte di avvocati alla
ricerca di compensi per danni hanno calcolato che dodici milioni
di schiavi neri percorsero il passaggio intermedio dallAfrica
allAmerica Latina e al Nord America, fino al giorno in cui
labolizione della schiavitù votata in Gran Bretagna
nel 1834 non venne messa in atto con un blocco operato usando il
venticinque per cento della Royal Navy. Un numero simile venne esportato
da mercanti di schiavi arabi dalla costa orientale africana verso
lArabia. Milioni furono trasferiti attraverso il deserto del
Sahara in direzione dellAfrica settentrionale, dove divennero
uninesauribile fonte di soldati schiavi. Daltro canto,
nordafricani musulmani prigionieri erano ai remi delle galee europee
cristiane nel Mediterraneo, divenuto progressivamente una barriera
tra la Croce e la Mezzaluna, nello stesso momento in cui cessò
di essere il centro del mondo classico.
Anche la stessa Africa, però, importava, e dal
1500 fino al 1816 oltre un milione di europei furono resi schiavi.
Miguel de Cervantes, ad esempio, al ritorno da Lepanto, venne catturato,
fu schiavo ad Algeri per cinque anni e avrebbe raccontato le sue
atroci peripezie nel Don Chisciotte. Soprattutto per via del fatto
che corsari europei traditori fornivano agli schiavisti di Marocco,
dAlgeria e di Tunisia le novità della tecnologia marittima,
come le vele moderne al posto delle galee che permisero loro di
salpare verso lOceano Atlantico. In interi villaggi costieri
in Cornovaglia, in Irlanda, in Islanda, e addirittura nellAmerica
settentrionale, sia le attività e il commercio marittimo
sia gli abitanti, uomini, donne e bambini, divennero sempre più
a rischio.

Perfino il Governatore della Carolina nel New England fu catturato
e reso schiavo nel 1684. La prima guerra combattuta dagli Stati
Uniti appena divenuti indipendenti con i loro nuovi Marine Corps
risale al rifiuto di usare lappeasement in tributi
e doni in armi che gli Stati europei erano soliti concedere. Essi,
invece, nel 1803 lanciarono uninvasione per porre fine agli
assalti e ai saccheggi dei pirati alle loro navi. Sfortunatamente
la Philadelphia, a trentasei cannoni, allepoca
la più grande nave da battaglia degli Stati Uniti, si arenò
nel porto di Tripoli mentre inseguiva la sua preda, e i 130 membri
dellequipaggio furono presi e resi schiavi. Unaudace
incursione stile commando, però, distrusse la nave catturata,
Tripoli venne bloccata e un mezzo anfibio sbarcato a Derna persuase
il Bey di Tunisi a firmare un Trattato nel 1805. Il che pose fine
sia ai tributi sia agli attacchi da parte degli schiavisti alle
navi statunitensi, anche se ci vollero ancora sessantamila dollari
di riscatto per liberare i membri dellequipaggio della Philadelphia
divenuti schiavi.
Ciò spronò gli europei inclini alla pacificazione
ad emulare gli americani. Allora i giorni della schiavitù
divennero contati. Nel 1816 sir Edward Pellew guidò una flotta
britannica per metter fine al commercio degli schiavi nellAfrica
settentrionale, cosa che era parte del nuovo ordine mondiale stabilito
dal Congresso di Vienna. Al Bey di Algeri venne inviato un ultimatum,
che egli dileggiò. Ne seguì una sanguinosa battaglia,
che durò un giorno intero. La vittoria britannica assicurò
la liberazione di tremila schiavi europei e la rinuncia al commercio
di esseri umani in Algeria, in Tunisia, in Tripolitania e in Marocco.
E questo finalmente realizzò la rivendicazione contenuta
in quello che è il vero inno nazionale britannico, Rule
Britannia: «Rule Britannia, Britannia rules the waves
/ Britons never never will be slaves».
Lammiraglio Pellew era un discendente collaterale delleroe
di White Gold. Lundicenne Thomas Pellew era al suo primo viaggio
sullimbarcazione di suo zio, di ritorno dalla consegna di
un cargo di sardine della Cornovaglia a Genova, quando nel 1715
venne catturato dai corsari del marocchino Sallé. La nave
e lintero equipaggio furono trasferiti alla corte del Sultano
Moulay Ismail, nella città imperiale di Meknes. Il capitano
e numerosi altri marinai furono letteralmente ammazzati di lavoro
alla costruzione del gran palazzo di Moulay, la cui ambizione era
di far apparire Versailles come una semplice villetta di periferia.
Thomas, invece, fu istruito per il lavoro alla Corte, dopo essere
stato dietro bastonatura delle piante dei piedi convertito allIslam
a 16 anni, previa pubblica circoncisione; gli fu anche fatta sposare
una schiava spagnola, scelta per lui dal Sultano che si deliziava
di questi suoi «programmi di allevamento».
In seguito, venne nominato Guardiano dellHarem Imperiale,
che era composto da ben quattromila concubine, molte delle quali
di origini europee. Moulay manteneva la sua supremazia facendo ricorso
al terrore, che includeva la tortura e limprovvisa
o prolungata morte. Si divertiva a montare a cavallo e, con
lo stesso agile movimento, a decapitare lo stalliere. Thomas fu
costretto ad assistere a Governatori segati per lungo a metà,
a capriccio e quotidianamente, e addirittura ad esecuzione sommarie
ordinate di ora in ora.
Riuscì comunque a sopravvivere, fino a diventare un comandante
dellesercito di schiavi neri nelle guerre contro le insurrezioni
nelle Montagne dellAtlante, e a prender parte alla spedizione
transahariana del 1731-32 con trentamila uomini e sessantamila cammelli
fino al fiume Senegal, da cui si fece ritorno con una moltitudine
di schiavi africani e persino francesi! Ci avrebbe messo ventitré
anni prima di riuscire a fuggire e a far ritorno in Inghilterra,
al suo terzo tentativo. Ma i genitori non vollero riconoscere questo
moro di ritorno.
Thomas Pelew rivela tutta lintraprendenza di Robinson Crusoe
nellevadere dal mondo tenebroso della schiavitù come
nel divenire colonizzatore della propria isola deserta. Nelle pagine
del suo diario, poi pubblicato, però, non ci racconta se
lumile garzone di cabina elevato a cortigiano e a generale
pur rimanendo schiavo subì il medesimo destino
toccato al Gulliver di Jonathan Swift al suo ritorno a Bristol dallisola
strana ma culturalmente superiore di Houyhnhnm. Chissà se
anche Pellew, al modo di Gulliver, non riusciva più a sopportare
la volgarità, le cattive maniere e la puzza di alcuni dei
suoi compatrioti
Comunque, proprio il fatto che Giles Morton
non renda White Gold unovvia parabola della nostra
condizione attuale incoraggia ancor di più a ricercarvi non
difficili parallelismi.
Uno dei quali potrebbe riguardare la posizione della donna nella
società dellepoca della schiavitù e in quella
contemporanea. Per avere conclamate notizie storiche, basta spostarsi
di latitudine, e gettare uno sguardo allinterno del Serraglio,
nei giorni gloriosi dellImpero Ottomano, quando il regalo
di una donna bellissima, (europea, magari dagli occhi celesti o
dai capelli biondi o rossi), catturata in un villaggio costiero
o su un veliero in navigazione era ritenuta unattenzione della
massima sensibilità.

Vicende di questo genere si verificarono soprattutto a Costantinopoli,
nellharem del Sultano guardato a vista da eunuchi guidati
da un Capo Nero (generalmente, un nubiano) che rappresentava il
non-sesso tra i mondi maschile e femminile, e che dunque influiva
sulluno o sullaltro a seconda delle convenienze, dei
margini di potere e del tipo di alleanze che poteva instaurare.
Era accaduto dopo la cacciata dei musulmani dalla Spagna. Da allora,
i Sultani (bambini o psichicamente tarati) non avevano più
guidato gli eserciti in battaglia. Avevano preferito ritirarsi fra
le più confortevoli pareti dellharem. Trascurando gli
affari pubblici, avevano smarrito anche la capacità di governare.
Per queste ragioni, in modi diversi, le Sultane, pur dal loro reclusorio
che le isolava dal mondo esterno, avevano esercitato uninfluenza
crescente nelle nomine dei Primi Ministri e dei dignitari di Corte,
facendo affidamento sul tornaconto personale, più che dei
meriti altrui, ed esercitando la pratica della corruzione.
Non cera stato Impero che non avesse sperimentato lascendente
segreto o esplicito di qualche donna leggendaria, da Cleopatra alla
Pompadour e allImperatrice Vedova della Cina, Jungshu. Ma
nessun Paese più della Turchia aveva ascritto un potere femminile
così assoluto. Dalla loro fastosa prigione le donne schiave
preferite dal Sultano avevano piegato al proprio volere la Cancelleria
di Stato, e grazie alla complicità del Capo Nero degli eunuchi
avevano blandito vassalli, stretto intese con Cancellerie europee,
tessuto intrighi, annientato nemici.
Era stato durante il regno di Solimano, quando lImpero era
al culmine della potenza, che una schiava favorita, Roxelana, aveva
fatto trasferire lharem dal Vecchio Palazzo a Topkapi, avvicinandolo
al cuore del potere. Il Vecchio Palazzo subito dopo sarebbe diventato
Eski Serai, il lugubre Palazzo delle Indesiderate o Casa delle Lacrime,
destinato ad accogliere in segregazione perpetua gli harem dei Sultani
defunti.
Roxelana forse era una schiava ucraina, forse una siriana comprata
al mercato di Damasco, forse ancora unitaliana catturata da
una nave bucaniera; ma senza dubbio una straordinaria stratega e
un autentico genio della politica. Aveva iniziato la scalata al
potere signoreggiando lharem, diventando la favorita di Solimano,
che la chiamava Hurrem, Colei che Ride, e che ai suoi capelli fulvi
dedicava splendide poesie, mentre il popolo la definiva Jadi, la
Strega che aveva espugnato il cuore di un potente del mondo.
La nascita di un figlio maschio laveva poi elevata al rango
di donna più potente nella gerarchia dellharem, poiché
era diventata Sultana Validé, vale a dire madre del futuro
Sultano. Ma di fatto, aveva primeggiato dal giorno in cui si era
fatta sposare da Solimano: il matrimonio non aveva avuto precedenti
nella storia della dinastia ottomana.
Tenera col marito, con il quale corrispondeva in versi, fu spietata
con chiunque intralciasse il suo potere. Fece strangolare nel sonno
Ibrahim, consigliere e fido compagno darmi di Solimano, che
contrastava lingerenza dellharem negli affari di Stato;
ordì una congiura contro il figlio di primo letto del Sultano,
inducendo questi ad ucciderlo e a portarne il rimorso per tutta
la vita; esiliò ulema e alti funzionari, estromise dignitari,
emarginò cortigiani. Quando morì, dopo trentadue anni
di dominio incontrastato, il Regno delle Donne Schiave, che proprio
lei aveva inaugurato, proseguì senza soluzione di continuità.
Le subentrò la veneziana Baffa, che prese il nome di Safiyyè.
Era stata fatta prigioniera da pirati turchi mentre si recava a
Corfù, dove il padre, della nobile famiglia dei Baffo, era
governatore. Venduta allharem di Murad III, per spirito di
rivalsa decise di procurare speciali vantaggi commerciali alla Serenissima
e riuscì a dissuadere il sovrano dallattaccare con
la sua flotta i vascelli della marineria lagunare anche quando questi
assalivano le navi ottomane. Il balivo veneto e lambasciatore
di Caterina de Medici comunicavano con lei tramite Kira, unebrea
che, fingendosi merciaia, portava al Serraglio gioielli, tessuti,
profumi e messaggi. In seguito, sedotta dai doni della regina Elisabetta,
Baffa prese a cuore gli interessi dellInghilterra. Tenne con
la stessa sovrana una corrispondenza personale, circostanza che
per la legge di Topkapi equivaleva allalto tradimento. Uno
dei suoi figli fu sultano col nome di Mehmed III. Era al massimo
del fulgore, quando morì misteriosamente strangolata.
Venne il tempo della greca Kösem, che imperò per mezzo
secolo, preferita da Ahmed I, protettrice dei successori Mustafà
I e Osman II, padre e figlio, il primo impazzito, il secondo vittima
di una congiura di palazzo, e dispotica dominatrice di Murad IV
e in seguito di Ibrahim I, luno ucciso dagli stravizi, laltro
divorato dalla lussuria e dalla demenza.
Kösem tramò, fece uccidere, confinò Principi
in prigioni dorate e harem nella Casa delle Lacrime. Adoperò
ogni astuzia, consumò ogni delitto in nome del potere. Fino
al giorno in cui lesasperato corpo dei Giannizzeri si ribellò.
La Sultana-Schiava fu inseguita, scovata in un ripostiglio, denudata
e torturata. «Secondo la Legge», sentenziò il
Capo Nero degli eunuchi, facendola scaraventare sulle rocce dagli
spalti di Topkapi: «la donna è un gradino più
in basso delluomo».
Salì al trono Mehemed IV. Aveva solo sette anni. Sua madre,
Tuhran, la nemica silenziosa e ostinata di Kösem, assunse di
fatto il controllo dellImpero. Era una donna riservata e prudente,
amata dalla corte e dallharem, rispettata dai Giannizzeri.
Morì poco più di otto anni dopo, chiudendo lepoca
delle Sultane-Schiave. Al marito pazzo e sterile, Ibrahim, aveva
dato chissà in virtù di quale miracolo ben sei figli.
Sultane, dunque regine, ma nel recinto invalicabile ed esclusivo
dellharem. Una potenza fine a se stessa, che comunque non
riguardò mai analoghe vicende di schiave oltre i confini
della Turchia, né storie di donne catturate e giunte nei
Paesi europei e occidentali in genere. Qui, cristianizzate volenti
o nolenti, finirono per trasformare i propri nomi e cognomi, appunto,
europeizzandoli, e dunque fu loro comune destino il dissolversi
nel magma delle genti e delle storie continentali.
Tracce di nomi arabi, turchi, saraceni sono visibili ancora oggi
in quelli italianizzati, ad esempio; mentre dalla metà del
secolo XIX è andata scemando la paura degli sbarchi per rapina,
per stupro, per cattività. Altri sbarchi oggi sono registrati
dalle cronache, e sono le punte di iceberg di popolazioni spinte
allavventura sul mare dalla fame, dalle malattie, dalle guerre.
Otranto non corre più il pericolo del saccheggio e del dominio.
Limmagine più clamorosa che riguarda la città
dei Martiri è quella di alcuni anni fa, del giorno in cui
una nave da incubo, stracarica di uomini dalle stive alla coperta,
ai pennoni, si presentò alle prime luci dellalba al
cospetto del porto otrantino, reclamando il diritto al pane, al
lavoro, alla vita. Erano albanesi. E gli albanesi, insieme con altre
piccole etnie della dirimpettaia costa adriatica, in tante terre
del Sud dItalia, dal tempo di Scanderbeg sono chiamati anche
Schiavoni. Un ricorso storico, ma non del tutto alla
rovescia. Eclissatisi i Bey, svanite le navi da corsa, è
rimasto, e non proprio in filigrana, lorrore del commercio
di carne umana, malamente celato dietro gli esilii volontari degli
emigranti in cerca di fortuna. È la resa degli antichi saraceni.
Ma è anche la nostra più drammatica sconfitta.
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