Rimane da
spiegare perché
le Veneri siano in genere più svestite che vestite,
sebbene le donne dellepoca
vivessero in un clima più rigido dellattuale.
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Losservazione è molto intrigante, ed è stata
formulata di recente: «Vestiti fatti per mostrare quello che
non coprono». È quel che viene in mente guardando le
Dee-madri, le Veneri preistoriche, le statuette del Paleolitico
che raffigurano donne dalle forme spesso sovrabbondanti, quasi sempre
generosamente scoperte. Così scoperte da far pensare che
in quei tempi lontani gli abiti non esistessero affatto. Ma non
è proprio così: i vestiti cerano! Erano fatti
di tessuti fini come il nostro lino, oppure di morbide pellicce,
ed erano di taglio diverso, secondo le aree geografiche.
E pare accertato che i più antichi risalgano almeno a trentamila
anni fa.

Questo è ciò che ci dicono gli archeologi, anche
se dai loro scavi vestiti così non sono emersi perché,
essendo costituiti di materiali facilmente deperibili, sono stati
del tutto dissolti dal tempo. Ma riportando alla luce i siti degli
accampamenti preistorici di Dolni Vestonice, nella Repubblica Ceca,
gli studiosi hanno recuperato migliaia di piccoli grumi dargilla
secca o cotta dal calore dei focolari, che riportano impronte di
tessuti venuti casualmente a contatto con largilla fresca
che ne ha conservato limmagine impressa, filo per filo, nodo
per nodo, piega per piega.
Fatta questa scoperta, gli archeologi americani hanno ripreso in
esame le decine di statuette di Veneri, realizzate fra i 15 mila
e i 27 mila anni fa, verificando che spesso indossavano abiti di
fibre intrecciate e berretti che sembrano fatti alluncinetto,
oltre ad eleganti tute di pelliccia, con cappuccio, simili a quelle
usate dagli eschimesi fino a un paio di secoli fa. Questi particolari
erano evidenti già a prima vista, ma finora nessuno aveva
avuto lardire di riconoscerli per quel che erano. Era opinione
comune, infatti, che la tessitura fosse stata inventata almeno 20
mila anni dopo dagli agricoltori del Neolitico.
Le statuette dimostrano che gonne di stoffa finemente tessuta, portate
molto basse sui fianchi, erano già di gran moda 23 mila anni
fa. La ricerca è tuttora in corso, ma gli autori avevano
fatto il punto dei loro studi in una pubblicazione scientifica dellottobre
2000, nella quale sottolineavano che mentre la più antica
testimonianza indiretta dellesistenza dei tessuti (le impronte
sullargilla) sfiora i 31 mila anni, la più vecchia
prova diretta ha 18 mila anni ed è rappresentata da un minuscolo
frammento di tessuto rinvenuto inglobato in un sottile strato di
carbonato in uno scavo preistorico francese, mentre la più
antica cordicella intrecciata arrivata fino a noi ha 19 mila anni.
Uno degli studiosi statunitensi, James M. Adovasio, ritiene che
la tessitura abbia avuto origine 40 mila anni fa, se non prima.
Appurata lesistenza di stoffe già nel Paleolitico,
rimane da spiegare perché le Veneri siano in genere più
svestite che vestite, sebbene le donne dellepoca vivessero
in un clima più rigido dellattuale. In passato, alcuni
studiosi avevano ipotizzato che le popolazioni delletà
della pietra non avessero abiti e affrontassero il freddo a corpo
nudo, come hanno fatto fino a un paio di secoli fa le donne delle
tribù della Terra del Fuoco, che si tuffavano nelle gelide
acque delloceano a caccia di molluschi.

Ora questa ipotesi è esplicitamente bocciata dalla scoperta
di tessuti risalenti allepoca paleolitica e questo rende ancora
più enigmatici i corpi seminudi delle Veneri. È possibile,
comunque, che i succinti abiti visibili sulle statuette fossero
indumenti cerimoniali e non i vestiti di tutti i giorni,
che difficilmente venivano raffigurati in opere di carattere simbolico
o rituale. Probabilmente, affermano ancora gli studiosi, abiti e
copricapi raffigurati erano simboli di status, indossati più
per dimostrare labilità di chi li aveva confezionati
e li indossava, che per coprire il corpo o per ripararlo dalle intemperie.
Ma la loro stessa esistenza dimostra che le donne erano in grado
di realizzare tessuti e vestiti.
Insomma, queste nostre antichissime antenate erano in grado di evidenziare
il loro fascino in vari modi. Facciamo alcuni esempi. A Kostienki,
in Russia, sono venute alla luce statuette di Veneri (23-21 mila
anni fa) caratterizzate da alte cinture e bretelle-reggiseno, che
sembrano fatte di cordicelle intrecciate; il resto del corpo è
nudo; i capelli sembrano raccolti in reticelle. La più celebre
delle Veneri preistoriche francesi, quella di Lespugue, (23 mila
anni fa), indossa una lunga gonna a frangia, che copre soltanto
la parte posteriore del corpo e lascia scoperti i glutei: gonne
simili vengono ancora oggi indossate dalle donne Zulu e della Papua-Nuova
Guinea.
In Siberia, (Venere di Malta, 15 mila anni fa), gli archeologi hanno
rinvenuto piccole figure davorio di mammut vestite con tute
provviste di cappuccio, come quelle utilizzate dagli eschimesi.
In epoca più recente, come si vede su un ciottolo di 9 mila
anni fa scoperto in Olanda, è stata incisa limmagine
di una donna che indossa un piccolo tanga con motivi
geometrici e frange laterali: abbigliamento senza dubbio sexy, anticipatore
di tempi lunghissimi nel futuro dellevoluzione femminile.
Si pensi, in proposito, allacconciatura della celeberrima
Venere di Willendorf, in Germania, che è sempre stata ritenuta
una pettinatura a ricciolini, mentre in realtà, vista dallalto,
la statuetta mostra chiaramente di avere in testa una cuffia simile
a quelle dei giovani giamaicani.
Come cucivano? Una delle testimonianze dirette dellesistenza
degli abiti è data dai numerosissimi aghi preistorici scoperti
dagli archeologi, come quelli di osso, con cruna, ritrovati in Ucraina:
erano generalmente realizzati con ossi di piede di cavallo.
Qualcuno forse un giorno ci spiegherà che cosa è accaduto,
nel corso dei millenni, visto che la figura della donna (Dea-madre,
Venere, comunque Entità Femminile in grado di garantire la
progenie che ha popolato il mondo) ha di volta in volta perso la
rilevanza sacrale e si è ritrovata in tuttaltra condizione,
e in una rappresentazione del tutto negativa, come se avesse registrato
una sorta di ridimensionamento radicale nel contesto della società
di tutti i tempi.
Qualcuno ci dirà perché la donna è entrata
in una sfera di giudizi negativi, e quando questo è accaduto,
se dopo unepoca di matriarcato oppure no, se per il sopravvento
delluomo agricoltore, dunque stanziale (il cacciatore
aveva minori possibilità di esercitare una patriarcalità,
dovendo muoversi sul territorio, lontano dalla grotta o dalla capanna
in cui dominava la donna), se per altri e finora non conosciuti
motivi. Sta di fatto che alle rappresentazioni in pietra, in osso,
in terracotta, o su pitture e incisioni, di una donna quasi esclusiva
immagine di età remote, si è sostituita una parabola
discendente, concettuale intanto, poi sempre più esplicita
e marginalizzante. A partire dallalba della storia.
In principio, infatti, fu già la Bibbia. Il Genesi spiega
tutto in materia: quando il Signore plasmò la donna con la
costola che aveva tolto alluomo, Adamo sentenziò: «Essa
è carne della mia carne e osso delle mie ossa. La si chiamerà
donna, perché alluomo è stata tolta».
È il maschio a dare il nome alla femmina, una sua emanazione
anche dal punto di vista linguistico: in ebraico, ishsha,
donna, deriva da ish, uomo. Pochi
versetti più avanti, a proposito di Eva, recita ancora il
Genesi: «Verso tuo marito varrà il tuo istinto, ma
egli ti dominerà». Lapidario. Lidea del predominio
maschile è già consolidata. Quella della femmina come
perversione e causa della caduta delluomo sarà
solo una (inevitabile) conseguenza.
Poi fu Aristotele. «La femmina è femmina per una certa
assenza di qualità. Dobbiamo considerare il carattere delle
donne come naturalmente difettoso e manchevole». Così,
il principio della donna come essere inferiore ha trovato
la sua auctoritas. Unistintiva e irrazionale discriminazione,
sulla scorta degli insegnamenti del filosofo greco, è destinata
a trasformarsi ben presto in una verità indiscutibile.
Ancora tra IV e V secolo è SantAgostino ad affermare
due princìpi etico-religiosi destinati a pesare come macigni,
fino a poco tempo fa, sui comportamenti sessuali dellintero
Occidente. Uno: il peccato originale è lasciato in retaggio
allumanità attraverso latto sessuale. Due: a
trasmetterlo di generazione in generazione è la concupiscenza.
La carne di Eva è il veicolo di diabolica seduzione. Non
solo: suscita paura e genera vergogna. Oddone, abate di Cluny, ammoniva
i suoi monaci: «La bellezza del corpo sta solo nella pelle.
In realtà, se gli uomini potessero vedere ciò che
sta sotto la pelle, la vista delle donne darebbe loro la nausea.
Mentre non sopportiamo di toccare uno sputo o un escremento con
la punta delle dita, come possiamo abbracciare questo sacco di escrementi?».
La misoginia medioevale e rinascimentale vivrà di uninfinita
e ripetuta elaborazione delle sentenze dei Padri della Chiesa. Saranno
lIlluminismo e la Rivoluzione francese a riscattare (temporaneamente)
1altra metà del cielo: egalité
significava anche una nuova uguaglianza tra uomo e donna, nei diritti,
nella proprietà, nella successione dei beni. Ma ad arginare
la minacciosa emancipazione femminile scenderà
ben presto in campo unagguerrita schiera di intellettuali.
Prima filosofi e romanzieri: si consiglia qualche pagina di Jules
Michelet (la chiusura della donna tra le pareti domestiche non è
una segregazione, ma la protezione di una sottospecie in pericolo),
o dellinvolontario misogino August Comte; ma anche,
più tardi, dei nostri Filippo Tommaso Marinetti o Gabriele
DAnnunzio, tanto per citare alcuni. Poi sarà la volta
dei criminologi, degli psicanalisti e dei sessuologi.
A partire dalla fine dellOttocento, con le tremende pagine
antiuxorie di Cesare Lombroso, di Sigmund Freud e di Otto Weininger,
la pretesa superiorità culturale delluniverso maschile
su quello femminile si appoggia ormai su solide basi (pseudo) scientifiche.
Fu Charles Darwin, del resto, a sentenziare che la donna si è
arrestata ad uno stadio primitivo di sviluppo.
Insomma, una lunga storia che non piacerà alle signore, anche
se forse si divertiranno di nascosto ad ascoltarla. La racconta,
in un saggio molto documentato, un compassato accademico che insegna
Storia della Critica allUniversità di Firenze. Si chiama
Paolo Orvieto, e il suo scandaloso studio ha per titolo
Misoginie. Linferiorità della donna nel pensiero moderno.
Nella folta appendice, unantologia di pagine scelte. Brani
di Honoré de Balzac (qualcuno ha mai letto la sua Fisiologia
dei matrimoni?), di Émile Zola (a volte è bene riprendere
in mano limmortale Nanà), di Leopold von Sacher-Masoch
(qui si consiglia Venere in pelliccia), di Arthur Schopenhauer,
il più misogino tra i misogini (si veda il suo Sulle donne),
del dottor Sigmund Freud (illuminanti le note Alcune conseguenze
psichiche della differenza anatomica tra i sessi), di Paul Julius
Möbius (si legga il suo Linferiorità mentale della
donna). E di altri.
Il nucleo centrale di questo libro, in realtà, è la
misoginia otto e novecentesca (il primo testo antologizzato è
di Balzac, del 1829, e lultimo è Lamante di Lady
Chatterley di David H. Lawrence, dellanno 1928). Ma nei tredici
capitoli iniziali Orvieto ripercorre gli aspetti più curiosi
e deleteri di una cultura millenaria. Tratteggia, ad
esempio, le due figure antitetiche che hanno dominato
limmaginario femminile delluomo. Da una parte larchetipo
Eva: la donna diabolica, la femme fatale, la Grande
Meretrice, la vamp, lidolo di perversità,
la strega, si chiami essa Circe, maga Alcina, Medusa, Semiramide,
Cleopatra o Madame Bovary. Dallaltra, larchetipo Madonna:
la Vergine, langelo del focolare, la Grande Madre,
si chiami essa Penelope, Beatrice, Cenerentola, Villetta o Lucia
Mondella.
Però si sottolinea anche lo scivolone di un progressista
sopra ogni sospetto, come Pierre-Joseph Proudhon (chi ha detto che
la misoginia è solo reazionaria e di destra?):
fu il celebre economista a scrivere che la produzione è scissa
dalla riproduzione, e che la prima spetta alluomo, mentre
la seconda spetta alla donna, sorta di anello mancante
tra il maschio e lanimale, dotata dellunico requisito
della bellezza, una piccola ricompensa alle sue facoltà cerebrali
bloccate al livello intellettivo di un bambino: il riferimento
è a La pornocrazia o le donne dei tempi moderni. E non del
tutto diversamente la pensava il Leopardi dello Zibaldone.
Orvieto dà anche voce alle protofemministe (Mary Wollstonecraft
e Harriet Taylor), e concede un capitolo alle riletture
di Virginia Woolf e di Simone de Beauvoir. Ma sono gocce di moderazione
nel mare magno di una misoginia secolare. Dagli antichi latini ai
moderni scienziati. Fu Tertulliano, nel De cultu feminarum, ad esempio,
a condannare il rito muliebre del maquillage, accogliendo dallapocrifo
Libro di Enoc la leggenda degli angeli che vollero trasformarsi
in demoni per possedere le belle femmine della terra. Svanito il
raptus libidinoso, e compresa la loro follia, serafini e cherubini
si vendicarono delle donne rendendole schiave del trucco, causa
a sua volta della loro perdizione in quanto illecita alterazione
della fisionomia assegnata da Dio.
E fu lantropologo darwiniano Paolo Mantegazza, nella Fisiologia
del piacere del 1854, a scrivere che la donna ha, sì, un
cuore più grande, ma per sopperire al «cervello più
piccino»: filogeneticamente la femmina non è che un
concatenato sistema di finzioni e di artifici, disposta ad abiurare
se stessa pur di conquistare il maschio.
Citazioni a mo di antologia. Darwin: «Luomo è
più coraggioso, più bellicoso, e più energico
della donna, e ha maggiore genio creativo. E il suo cervello è
senza dubbio più grande». Proudhon: «Luomo
e la donna non procedono allunisono. La differenza dei sessi
innalza tra loro una barriera non diversa da quella che la differenza
della razza pone tra gli animali». Schopenhauer: «Quando
le leggi accordarono alle donne gli stessi diritti che agli uomini,
avrebbero dovuto munirle anche di unintelligenza maschile».
Freud: «Il fatto che la donna mostri minor senso di giustizia
delluomo e che troppo spesso si lasci guidare nelle sue decisioni
da sentimenti di tenerezza o di ostilità, trova amplissimo
fondamento nelle modificazioni subite dalla donna nella formazione
del suo Super-io». Lombroso: «Dimostrare come la menzogna
sia abituale e quasi fisiologica nella donna sarebbe superfluo.
Una prova è il costume quasi generale dei popoli di non accettare
la testimonianza della donna». Balzac: «La donna durante
la notte non si sente a suo agio se non è distesa su cuscini
morbidissimi, durante il giorno su divani di crine, perché
la posizione orizzontale è quella che assume più volentieri».
In ultimo, per quanto possa essere banalmente consolatorio per mogli,
madri, figlie e sorelle, citiamo Aristofane: «Non cè
al mondo nulla di peggio delle donne impudiche, tranne forse le
donne». Per poi aggiungere, però: «Non si può
vivere con questa peste. Né senza».
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