Alto un metro
e mezzo, armato di qualche pietra scheggiata e con un cervello di
800 centimetri cubici, partì un milione e mezzo di anni fa
dalle savane africane, per andare ad occupare l'Europa ancora disabitata.
Questo conquistatore, l'Homo erectus, è il nostro antenato
di settantamila generazioni fa.
Era comparso in Africa centomila anni prima di iniziare la sua rapida
marcia verso il nostro continente, dove arrivò passando dal
Medio Oriente, e probabilmente attraverso un "ponte" di
terra emersa che congiungeva la costa africana alla Sicilia e all'Italia.
Le tappe del suo cammino sono segnate da ciottoli scheggiati, da ossa
di animali, da resti di accampamenti e -più tardi - da utensili
di pietra più perfezionati, da frammenti di ossa umane, da
denti, da pavimenti di capanne e da chiazze di terra annerita che
indicano la grande scoperta del nostro antenato: il fuoco.
Ma quando compare il fuoco è passato ormai un milione di anni
dal primo arrivo dell'uomo in Europa: un tempo che la mente fa fatica
a circoscrivere. Solo con l'aiuto dei paleoantropologi il lunghissimo
spazio della preistoria assume una consistenza comprensibile, ancorandosi
ai resti dispersi nel continente. In questi ultimi decenni, il lavoro
dei ricercatori è riuscito infatti a dare corpo alle cifre
e i risultati delle loro indagini hanno conosciuto una fortunata divulgazione.
La storia dell'uomo europeo ha una lunga premessa sulle rive dei laghi
dell'Africa orientale, dove circa sei milioni di anni fa comparvero
gli Australopiteci, ominidi dall'andatura bipede non più alti
di un metro e venti centimetri e con un cervello di 450 centimetri
cubici. Questi vivevano in piccoli gruppi, nutrendosi prevalentemente
di vegetali.
Intorno a due milioni e mezzo di anni fa, mentre un forte cambiamento
climatico provocava l'inaridimento di intere regioni, compare sulla
scena un nuovo ominide, forse discendente dagli stessi Australopiteci,
chiamato Homo habilis per la sua capacità di fabbricare strumenti
di pietra. L'aspetto dell'Habilis non è molto diverso da quello
dei suoi predecessori australopitecini, ma il suo cervello raggiunge
i 600/700 centimetri cubici e la presenza di manufatti di pietra dimostra
che all'aumentato volume cerebrale corrispose anche la capacità
di intravedere in un ciottolo di pietra la forma finita dell'utensile
che voleva produrre. Un progresso tecnico, questo, di straordinaria
portata.
I primi utensili sono strumenti rozzi, appena distinguibili da pietre
scheggiate dal caso, ma che nessun animale, eccetto l'uomo, poteva
immaginare e produrre trasmettendone la conoscenza da una generazione
all'altra. E' l'inizio della nostra storia culturale.
L'Homo habilis, armato con la sua pietra scheggiata, conquista rapidamente
l'Africa; non conosce il fuoco, ma già organizza lo spazio
dove vive, caccia grandi animali, come elefanti, ippopotami, antilopi,
modificando in questo modo la sua dieta da prevalentemente vegetariana
in onnivora. La cooperazione del gruppo, lo sviluppo del linguaggio,
il nuovo apporto di proteine animali preparano un altro grande balzo
della nostra storia evolutiva. Il fatto nuovo accade intorno a 1,6
milioni di anni fa, quando accanto all'Habilis (che si estinguerà
trecentomila anni più tardi) fa la sua comparsa il nuovo essere:
l'Homo erectus.

Il nome può trarre in inganno, visto che anche l'Habilis camminava
perfettamente eretto; e in effetti le autentiche caratteristiche distintive
dell'uomo nuovo non consistono nell'andatura, ma nella sua maggiore
statura (metri 1,40-1,60), e soprattutto nella sua capacità
cranica che ormai raggiunge e supera gli 800 centimetri cubici (quella
dell'uomo moderno è di circa 1.500 centimetri cubici).
Sulle origini dell'Erectus i vari autori hanno opinioni discordi,
e non è ancora possibile stabilire se sia il discendente dell'Habilis
o se derivi da un ramo indipendente dei più antichi Australopiteci.
E' certo però che l'Erectus si distingue subito per la sua
eccezionale vitalità, tanto che alcuni studiosi lo ritengono
responsabile dell'estinzione del suo antenato (o cugino) Habilis.
In poco più di centomila anni, l'Erectus occupa gran parte
del continente e passa in Europa e in Asia. Questa diaspora è
uno dei grandi interrogativi che impegnano i ricercatori. Perché
si spostò dall'Africa? Quali esigenze lo portarono ad esplorare
altri continenti? Nelle località preistoriche africane di quell'epoca
non c'è alcun segno di drammatici mutamenti climatici, di pressioni
ambientali, né tantomeno di esplosioni demografiche che giustifichino
un esodo verso nuovi territori. Il fenomeno rimane inspiegabile; anche
se fin troppo avvincente, resta solo l'ipotesi di una curiosità
innata verso l'ignoto.
Per millenni, a piccoli gruppi (forse di venti-quaranta individui),
questi uomini si affacciano sulle sponde del Mediterraneo, ne seguono
le coste, risalgono verso nord attraverso Israele e la Siria, dove
la corrente umana si divide. Una parte prende le vie dell'Asia, l'altra
si incammina verso l'altopiano anatolico, l'area balcanica, l'Europa
centrale, per poi disperdersi nelle zone più temperate della
Grecia, dell'Italia, della Francia, della penisola iberica.
L'Homo erectus non controlla ancora il fuoco, ma organizza i suoi
accampamenti sistemando pietre di pavimentazione che lo riparano dal
suolo, trasporta negli accampamenti grandi ossa di animali da utilizzare
come materiale da costruzione, scheggia pietre con una tecnica sempre
più complessa che lo porta a realizzare utensili a forma di
mandorla (amigdale) che denotano uno spiccato senso della simmetria
e dell'estetica.
Siamo intorno a 700 mila anni fa. E' una fase climatica più
calda e l'Erectus si spinge nelle terre liberate dai ghiacci: occupa
così le isole britanniche, il Belgio, la Germania, la Cecoslovacchia.
In Italia è già presente da tempo e le testimonianze
della sua attività sono ormai numerose.
La più impressionante è dovuta al caso. Risale a pochi
anni addietro. Ed è a Isernia, dove una superstrada in costruzione
entrò letteralmente in mezzo a un abitato datato intorno a
736 mila anni fa. E' un accampamento gigantesco, che gli scavi condotti
da Carlo Peretto e Benedetto Sala hanno messo in luce: si è
rivelata una sorprendente "pavimentazione", costituita da
migliaia di manufatti di pietra e di ossa di grandi animali (bisonti,
elefanti, orsi, ippopotami), che si estende per diverse centinaia
di metri quadrati.
Proprio per la grande massa di informazioni che ha fornito, lo scavo
di Isernia, una specie di istantanea di 8.000 secoli fa, ha finito
per porre più interrogativi delle risposte certe date. Uno
fra i numerosissimi quesiti è se questi uomini conoscessero
già il fuoco. Alcune macchie di terreno rossastro lo farebbero
supporre, ma l'indizio è troppo labile, e oltre tutto contrasta
con altri rinvenimenti certi, ma di epoca molto più tarda.
E' infatti solo verso i 400 mila anni fa che fanno la loro comparsa
(in Francia e in Ungheria) i primi focolari sui pavimenti delle capanne.
Una di queste, anzi i suoi resti, è stata rinvenuta a Terra
Amata, sulla Costa Azzurra, col piccolo focolare e un muretto di pietre
che proteggeva le fiamme dal vento. E' una testimonianza finalmente
esplicita, anche per i non addetti ai lavori: una testimonianza completamente
umana.
E non è difficile immaginare la vita che si svolgeva attorno
a questo piccolo fuoco: un'impronta di un piede sul terreno aumenta
la suggestione.
Forse non è un caso che insieme con la comparsa dei focolari
e con la loro diffusione in tutti gli abitati preistorici, verso i
350-300 mila anni fa, si cominciano a notare differenziazioni culturali
regionali nella produzione dei manufatti. Il focolare, con la sua
forza aggregante, lega le comunità, favorisce lo scambio di
esperienze, determina la nascita di una tradizione comune. Oltre a
profonde modificazioni nelle abitudini alimentari (con conseguenti
riflessi sulla struttura fisica), il fuoco può aver determinato
una profonda trasformazione psichica e, insieme, il rapido sviluppo
delle strutture sociali.
Tra i 150 e i 300 mila anni fa, gli abitanti si perfezionano ulteriormente.
La scheggiatura della pietra raggiunge livelli di grande specializzazione.
La struttura cranica di questi nostri antenati ha ormai caratteristiche
del tutto particolari che li distinguono dai simili sparsi negli altri
continenti; sta per comparire un altro tipo umano: l'uomo di Neanderthal,
che aprirà la strada all'uomo moderno, del tutto identico a
noi. L'avventura umana lascia la preistoria ed entra nella storia.
Dunque, riassumendo: le teorie finora accettate comunemente sostengono
che il Sapiens nacque nel continente africano intorno a 200 mila anni
fa, e che soltanto negli ultimi 40 mila anni produsse opere d'arte.
Ma la vicenda umana non smette di riserbarci sorprese. E l'ultima
è tale da capovolgere, o mettere in discussione, tutte le certezze
che avevamo.
E' questa: migliaia di piccole incisioni circolari, la cui esecuzione
è fatta risalire a circa 70 mila anni fa, sono state scoperte
in una località a 450 chilometri a sud-ovest di Darwin, nel
Northen Territory, in Australia. Individuate su una parete arenaria
alta quaranta metri e su altre rocce circostanti, forse sono le manifestazioni
artistiche più antiche del mondo.
Ma insieme a questa scoperta, in sé rivoluzionaria, c'è
un'altra ancora più sorprendente: negli strati più profondi
degli scavi effettuati in prossimità delle rocce incise sono
stati ritrovati utensili in legno, ocra rossa (usata per dipingere)
e granelli di amido (un sottoprodotto della preparazione del cibo)
che testimoniano come la presenza dell'uomo in Australia sia da collegare
almeno 50 mila anni prima di quanto fosse stato ipotizzato. L'esame
basato sulla termoluminescenza infatti ha rivelato una data compresa
tra i 116 e i 70 mila anni. Il sito archeologico, scoperto nel 1992,
si chiama Jinmium. Le incisioni circolari sono note col nome di "coppelle":
sono 3.500, di diametro variabile tra i 12,8 e i 51,7 millimetri.
La loro realizzazione viene fatta risalire a circa 75 mila anni fa,
ma si è convinti che si tratta di un'attività artistica
e rituale più antica, perché sono state trovate tracce
di ocra in strati databili tra i 75 e i 116 mila anni fa. Sino a pochissimo
tempo addietro, la più antica documentazione sull'uso dell'ocra
(che per le culture arcaiche di tutto il mondo aveva un significato
puramente rituale) era quella scoperta in uno strato del sito di Kakadu,
sempre in Australia settentrionale, databile intorno a 60 mila anni
fa.
La nascita dell'arte, comunque, è ben più antica dei
40-35 mila anni comunemente indicati. E poiché da sempre si
è ritenuto che uomini "completamente moderni" fossero
arrivati in Australia solo 60 mila anni fa, i ricercatori si trovano
ora di fronte a un dato non facilmente spiegabile, cioè che
queste "coppelle" siano state realizzate dal moderno Homo
sapiens o da suoi consimili arcaici in un'epoca considerata finora
"impossibile". A quell'epoca il livello del mare era molto
più basso di quello attuale e il Borneo e le isole contigue
formavano un territorio unico, noto come "Sunda". Un territorio
analogo, noto come Sahul o Grande Australia, includeva ciò
che oggi sono la Nuova Guinea, l'Australia e la Tasmania. La vicinanza
di questi due grandi blocchi continentali probabilmente ha reso agevole
il passaggio dall'uno all'altro.
Le nuove scoperte suggeriscono due ipotesi. La prima: il Sapiens è
giunto in Australia quasi subito dopo la sua comparsa in Africa. La
seconda: gli uomini preistorici erano navigatori più abili
di quanto abbiamo finora supposto. Secondo i sostenitori della tesi
"fuori-Africa" (secondo cui il Sapiens si sviluppò
in Africa e poi si avventurò nel mondo), Jinmium è da
attribuire al Sapiens e, se le date sono esatte, siamo di fronte alla
prima manifestazione artistica dell'uomo moderno. Secondo i sostenitori
della tesi multiregionale (il Sapiens si sarebbe sviluppato indipendentemente
in varie parti del pianeta), se da una parte non è pensabile
che il Sapiens abbia viaggiato tanto lontano in così breve
tempo, dall'altro è probabile che Jinmium sia opera dell'uomo
pre-moderno; e a sostegno di questa tesi affermano che dall'esame
dei fossili risulta che il Sapiens arcaico era presente in Indonesia
almeno 100 mila anni fa; che 135 mila anni fa il livello del mare
era molto basso e che durante l'ultima era glaciale ci sono stati
periodi di altrettanto bassa marea; che quindi doveva essere agevole
passare dall'Asia sud-orientale alla Grande Australia. In ogni caso,
un viaggio del genere richiedeva tecniche di navigazione sofisticate,
perché alcuni tratti erano pericolosi e profondi e la distanza
fra alcune isole era di decine di miglia.
Interviene una terza tesi, in nome della quale molti considerano l'arte
come una caratteristica pratica rituale che predata la comparsa dell'uomo
moderno in Africa. I fautori di questa "terza via" sostengono
che noi abbiamo documentato l'uso rituale dell'ocra rossa nei siti
archeologici europei (periodo Acheuleano) 250 mila anni fa e che inoltre
abbiamo trovato "coppelle" incise su una lastra del periodo
neanderthaliano (45 mila anni fa, a La Ferassie, in Francia).
Dunque: se siamo sicuri che gli autori delle incisioni di Jinmium
non erano neanderthaliani (che vissero solo in Europa e parte dell'Asia),
il fatto che popolazioni antiche così diverse avessero un'unica
tradizione culturale suggerisce che le origini di tali pratiche rituali
siano da rintracciare in un passato ancora più lontano, in
un antenato comune. Portando come esempio una figurina femminile incisa
300 mila anni fa nel sito acheuleano di Berekhaft Ram, nel Golan israeliano,
i sostenitori della terza tesi si dicono convinti che i nostri antenati
più antichi erano capaci di simili espressioni artistiche e
manifestazioni rituali.
Qualunque tesi si abbracci, su qualunque ipotesi si lavori, insomma,
più intrigante che mai, il mistero sui nostri progenitori continua.
In Italia i villaggi preistorici più belli del mondo
Non è forse
un caso che la penisola italiana presenti tante testimonianze di preistoria.
Grazie a fortunate - e anche recenti - scoperte, ma soprattutto grazie
all'impegno delle più prestigiose istituzioni scientifiche
italiane, i primi abitanti d'Europa affiorano alla conoscenza con
contorni di anno in anno più dettagliati e con molteplicità
di dati in buona parte derivati da località, per l'appunto,
del nostro Paese.
Se l'insediamento preistorico scoperto a Isernia rappresenta, per
la sua gigantesca e affascinante evidenza, il monumento certo più
spettacolare, a livello planetario, di una testimonianza del passato
dell'uomo, lontana oltre 700 mila anni, questo stesso giacimento diventerebbe
incomprensibile senza il background di acquisizioni provenienti dai
risultati di ricerche estese a tutta la penisola. Sporadiche e frammentarie
per le primissime fasi di questo popolamento, queste testimonianze
diffuse dalla Calabria al Lazio, alla Basilicata, all'Umbria, per
citare soltanto alcune delle regioni più studiate, documentano
una infiltrazione già capillare in epoca molto arcaica.
La grande diaspora dal continente africano ha dunque raggiunto la
nostra penisola, probabilmente seguendo più itinerari, nella
stessa epoca in cui, all'incirca intorno a un milione di anni fa,
l'intero continente europeo entra per la prima volta a costituire
uno scenario importante per la storia dell'uomo.
Questi primissimi abitanti d'Italia, dei quali oltre a una discreta
conoscenza relativa a quella parte di livello tecnologico tramandata
dallo strumentario litico, ben poco ci è noto su basi archeologiche,
dovevano tuttavia già caratterizzarsi per una certa complessità
del modo di vita. L'evidenza di Isernia, infatti, in un campo-base
dalla organizzazione così articolata in epoca di poco più
recente, è suscettibile di esser considerata anche in un'ottica
retrospettiva ed estendibile, almeno in parte, ai più remoti
gruppi umani. Due importanti considerazioni devono esser tenute presenti:
questi uomini hanno alle loro spalle un'evoluzione di oltre due milioni
di anni, maturata in gran parte nelle savane africane; e il loro bagaglio
culturale non può che lontanamente essere configurato sulla
base di quanto casualmente è riuscito a pervenire fino a noi.
La grande epopea dell'Homo erectus non è in fondo che una prova
e una conseguenza dell'alto grado di adattabilità acquisita
dalla specie umana nel suo divenire, fino all'arrivo in Europa.
La documentazione, a partire da circa mezzo milione di anni fa, diventa
più nitida. I grandi bacini lacustri, le valli fluviali, le
coste, sono ormai popolate talvolta con particolare intensità,
come ad esempio Venosa. In un ambiente sottoposto a mutamenti anche
sostanziali, in seguito agli episodi climatici che scandiscono il
Quaternario, questi gruppi umani sembrano talora differenziarsi in
"facies" regionali e locali, caratterizzate da convergenze
profonde nella produzione strumentale, che appare soggetta a veri
e propri impulsi stilistici, come nel caso della facies acheuleana
di Torre in Pietra, o nel caso dei pressoché coevi giacimenti
di Cetano, Pontecorvo, Aquino, Latemagni, e via di seguito, nel Lazio
meridionale; o infine nel caso dei siti acheuleani di Marina di Camerota
in Campania e di Rosaneto in Calabria. I primi resti umani (Fontana
Ranuccio, presso Anagni, nel Lazio; Visogliano, a nord di Trieste)
fanno la loro comparsa nei giacimenti preistorici italiani. A Castel
di Guido, poco a nord di Roma, tali resti, di recente scoperta, anche
se frammentari, sono molto numerosi e abbastanza vari. Alla Grotta
del Principe, in Liguria, uno dei rari ossi iliaci umani noti in Europa
in questa epoca è emerso dai depositi rissiani consolidati
in breccia e sfuggiti alle prime esplorazioni di questa imponente
cavità.
Verso la fine del penultimo glaciale, all'incirca intorno ai 200 mila
anni fa, le acquisizioni tecnologiche nel taglio della pietra mostrano
una netta accelerazione. I resti umani (Casal de' Pazzi, Sedia del
Diavolo, e in modo particolare Saccopastore) documentano un'altrettanto
netta modificazione morfologica del tipo umano che fino allora aveva
popolato l'Europa e la nostra penisola. I due crani di quest'ultima
località, come del resto anche pochi strumenti trovati nello
stesso livello, databile intorno ai 100 mila anni fa, hanno già
caratteri che preannunciano l'umanità del Paleolitico medio
e quella a noi anche concettualmente più vicina dell'Homo sapiens
sapiens.
Lungi dal concludersi senza esiti, l'avventura di Homo erectus, le
sue realizzazioni tecnologiche e il suo modo di vita rappresentano,
in quella continuità senza cesure che costituisce l'essenza
della storia dell'Uomo, la premessa essenziale per la successiva evoluzione
culturale della nostra specie.
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