Non siamo i primi
ad essere tormentati dal dilemma "economia e politica".
Nel momento in cui la Rivoluzione francese stava per svolgere il suo
tragico epilogo e il popolo tumultuava perché non aveva niente
da mangiare, un irato Robespierre si rivolse così alla Convenzione:
"Come sarebbe? Hanno la Repubblica e gridano per avere pane?
Solo i tiranni danno pane ai loro sudditi. Ciò che la Costituzione
deve al popolo francese è la libertà, cementata da leggi
umane. Quel che la Repubblica assicura ai cittadini è il godimento
dei sacrosanti diritti umani e l'esercizio di tutte le virtù
sociali". Per fortuna Gorbaciov non è un Robespierre,
e quest'ultimo non viene certo ricordato dalla storia in quanto assertore
della libertà e di leggi umane, eppure il punto di vista del
Presidente dell'Urss non è molto diverso: "Come sarebbe?
Hanno libertà di parola e vere elezioni, e protestano perché
gli scaffali dei negozi sono vuoti?". E' vero che l'uomo non
vive di solo pane, ma neppure di sola glasnost e perestrojka, e neppure
di sola democrazia.
Quando si tratta di pane, o di scaffali vuoti, le rivoluzioni non
sono di grande aiuto. In realtà la Rivoluzione arrestò,
invece di accelerare, "il processo di modernizzazione".
Ci vollero trent'anni perché il commercio francese tornasse
ai livelli pre-rivoluzionari. Per di più, non si può
certo dire che la Rivoluzione fece avanzare la causa della democrazia.
Anzi, finì in uno Stato militare.
E' necessario ritornare al dramma della rivoluzione. Il concetto di
"transizione", quale lo usiamo oggi, non è un sinonimo
di "rivoluzione", ma è, al contrario, il tentativo
di realizzare le speranze della rivoluzione senza pagarne il prezzo.
Ecco perché Timothy Garton Ash, il brillante studioso del mutamento
dell'Europa orientale, parla di refolution, che è una combinazione
di riforma e rivoluzione.
L'enunciazione è importante, ma a maggior ragione lo è
la sostanza.
Per "transizione" si intende la trasformazione controllata
di Stati non liberali in Stati liberali. Le transizioni vengono avviate
dall'alto. Possono costituire una risposta a una pressione popolare
più o meno articolata, ma è il governo a farsene carico.
Se la transizione procede, è probabile che questi governi subiscano
cambiamenti profondi. Si può essere tentati di chiamare "rivoluzionari"
gli effetti della transizione; tuttavia, non viene mai del tutto spezzato
il filo della continuità. In Inghilterra, nel 1688, ci fu una
transizione; in Francia, nel 1789 (o forse si potrebbe dire nel 1792),
ci fu una rivoluzione.
La transizione, pertanto, è un ordine impossibile. Forse eccede
le capacità umane. I processi di transizione sono senza dubbio
precari. E' facile che sfuggano di mano, specialmente nelle fasi iniziali.
Possono liberare delle forze che non tengono affatto conto dei loro
obiettivi, mentre il potere stabilito, attuale o in via di superamento,
aspetta solo di gettare a mare i protagonisti della transizione.
In realtà, le rivoluzioni sono uno dei modi in cui la transizione
sfugge di mano. I primi rivoluzionari del 1790 si sarebbero accontentati
di ottenere dal "cittadino-re" Luigi XVI il giuramento di
"difendere e conservare la libertà costituzionale".
I giacobini, la ghigliottina, la dittatura militare furono in ugual
misura fallimenti della transizione e parte di un piano scellerato.
Era inevitabile che la transizione fallisse? La necessità storica
non esiste. Dobbiamo partire dal presupposto che la transizione graduale
e non violenta è possibile.
Ma come? Oggi sappiamo che Marx sbagliava nel ritenere che ci fosse
un rapporto di necessità tra sviluppi economico e politico.
Ci sono periodi nei quali un gruppo, una classe, è interessato
a tutti e due i tipi di sviluppi, ma si tratta di eccezioni alla regola.
La borghesia del XVIII secolo costituì in questo senso un'eccezione,
ed è importante ricordare che non riuscì a raggiungere
il suo duplice obiettivo nello stesso tempo e nello stesso periodo.
La rivoluzione industriale avvenne in Gran Bretagna e quella politica
in Francia. Anche oggi ci sono coloro, compreso il Presidente dell'Urss,
Gorbaciov, che le vogliono entrambe. Perché non dovrebbero
riuscire? Come possono riuscire nel loro tentativo di abbandonare
un autoritarismo che ha fallito sotto tutti i punti di vista?
Una risposta allo Stato illiberale, si tratti di socialismo realizzato
o di dittatura di altro colore, è la democrazia. Il significato
del termine è spesso poco chiaro. Che cosa avevano esattamente
in mente gli studenti di Pekino e Shangai? Che cosa vuole l'opposizione
di Santiago del Cile? Che cosa si aspetta l'opposizione a Varsavia?
Tutti questi gruppi chiedono che il popolo possa dire la sua, possibilmente
attraverso elezioni.
Chiedono alternative al Governo in carica. Chiedono libertà
di parola e di associazione. Chiedono di finirla con le regole arbitrarie,
con la minaccia di detenzione senza processi, con la tortura. Insomma,
"democrazia" comprende un insieme di regole giuridiche e
di diritti politici, normalmente associati alle Costituzioni delle
nazioni libere. Mentre coloro che domandano la democrazia negli Stati
autoritari spesso affermano che non stanno cercando di imitare nei
rispettivi Paesi gli Stati Uniti o la Gran Bretagna, in realtà
sono proprio questi i modelli che guidano la loro immaginazione.
