Due avvenimenti
dei nostri giorni, ciascuno straordinario nel suo genere ed entrambi
non ancora conclusi, richiamano l'attenzione del pubblico sulle eccezionali
potenzialità dell'archeologia subacquea. Da un lato i bronzi
di Riace, che dopo il successo di Firenze e di Roma continuano ad attrarre
una folla di visitatori nella sede definitiva di Reggio Calabria, sono
l'esempio di quello che può realizzare l'intraprendenza di un
sommozzatore dilettante. Dall'altro lato le statue di Dionisio e di
Antonia Minore, riemerse dal mare di Baia e tali da individuare un palazzo
imperiale sommerso da cui certo verranno altre scoperte, esemplificano
l'impegno di una Soprintendenza che porta le ricerche subacquee al livello
scientifico di quelle terrestri.
Statue greche di bronzo in Calabria, statue romane di marmo in Campania:
c'è dunque un vero museo sommerso nel nostro mare, come ce n'é
uno sepolto nel nostro suolo. Anche questo museo, come l'altro, è
grandioso e ricchissimo, perchè quasi ogni località costiera
italiana (e abbiamo circa novemila chilometri di coste!) possiede un
giacimento archeologico sottomarino: relitti di navi naufragate per
le tempeste o il sovraccarico, edifici sommersi per l'avanzare delle
acque, opere d'arte che appartennero sia alle navi sia agli edifici.
Ma se il patrimonio é nascosto nel mare, siamo in grado di conoscerlo
e fino a che punto? In realtà, raccogliendo tutti gli indizi,
é possibile tentare per sommi capi la mappa dell'Italia sommersa.
Procedendo da nord a sud, la Liguria vanta un indiscusso primato perché
vi ha svolto la sua opera pionieristica Nino Lamboglia,
scomparso tragicamente per un incidente che sembra la vendetta del mare,
a cui strappò tanti segreti: il Centro Sperimentale di Archeologia
Sottomarina, da lui creato ad Albenga, ha proceduto al recupero sistematico
di una grande nave da carico romana, contenente oltre diecimila anfore
da vino (alcune ancora con i tappi di sughero). Mentre il recupero di
Albenga continua, altri relitti di navi romane si segnalano per le ricerche
future a Ventimiglia, all'isola Gallinara, a Pegli e a Portovenere,
mentre Diano Marina ha appena rivelato una nave del primo secolo d.C.,
con grandi vasi al posto delle anfore.
Quanto alle Venezie, occorre preliminarmente osservare che l'Adriatico
è, nel complesso (e con eccezioni specie al Sud), meno ricco
di resti sommersi del Tirreno, perché i fondali sabbiosi sono
poco adatti a rivelare i giacimenti. In ogni caso, a Trieste c'è
un relitto di nave romana fuori del porto, mentre a Pomposa (poco a
nord di Comacchio) un'imbarcazione a fondo piatto é interrata
nell'area lagunare. Più ricca é l'Emilia-Romagna: al largo
di Porto Corsini (Ravenna) il recupero di vari busti marmorei ha fatto
pensare ai resti di un naufragio antico, ma poi i restauri sui busti
hanno dimostrato che il naufragio é posteriore; a Cervia navi
romane riappaiono nel fango del deposito paludoso, donde il caso singolare
di un relitto marino scavato sotto la terra. Nell' Italia Centrale,
la Toscana ha dato e può dare risultati ricchissimi. Il mare
di Livorno ha restituito vari busti di bronzo. A Populonia sono segnalate
strutture sommerse, cui si é aggiunta la scoperta di palificazioni
lignee interpretate come elementi del porto etrusco. L'isola d'Elba
é letteralmente circondata da relitti di ogni epoca. A Punta
Ala c'é una nave romana con anfore di olio spagnolo. A Cosa,
presso Ansedonia, gli scavi americani sulla terraferma vengono integrati
con il rilevamento di impianti portuali sommersi. L'Argentario ha numerosi
resti di installazioni per la piscicoltura, tra cui in specie quello
di Santa Liberata (Orbetello). A Giannutri c'é un porticciolo
con una quantità di relitti, tra i quali il più noto é
quello di Punta Scaletta.
Non meno ricche di ritrovamenti e di prospettive sono le coste laziali.
Resti portuali romani sono accertati a Civitavecchia, a Santa Severa
e ad Anzio, mentre peschiere sommerse, che appartennero a vi e lussuose,
si trovano a Ladispoli, Astura, Gaeta, Formia, Ponza e Ventottene. Santa
Severa e Anzio hanno anche relitti di navi; e altrettanto si dica per
Ladispoli, dove sono localizzati un relitto con colonne marmoree e un
altro (sembra) con statue. Opere d'arte che testimoniano una civiltà
raffinata vengono dal Circeo (fra l'altro, un candelabro e un cavallo
di bronzo), mentre numerosi relitti, spesso oggetto di saccheggio da
parte dei subacquei dilettanti, si trovano a Tarquinia e nelle altre
località su ricordate.
La costa adriatica delle Marche é stata protagonista di un "giallo"
archeologico: la scoperta nel mare di Fano di una splendida statua bronzea
attribuita a Lisippo, che dopo varie vicissitudini é giunta nel
Museo americano di Pau Getty. A parte il giudizio sui traffici clandestini,
una domanda sorge spontanea: perché non sono state fatte ancora
ricerche sistematiche nel luogo del ritrovamento, al fine di individuare
la verosimile presenza della nave sulla quale si trovava la statua?
Sempre nelle Marche, Ancona presenta relitti romani all'imboccatura
del porto.
In Campania, la foce del Garigliano é una miniera di oggetti
votivi, purtroppo esposti al saccheggio sistematico dei clandestini:
si tratta di statuine di terracotta, oggetti d'oro e altro materiale
che i fedeli depositavano presso i santuari della regione. Scendendo
verso sud, edifici romani sommersi si trovano a Mondragone, mentre una
delle aree subacquee più ricche d'Italia si concentra nel Golfo
di Napoli. Lo scavo sistematico della città sommersa di Baia,
già menzionato. all'inizio, emerge tra tutti: vi presta la sua
opera il migliore specialista di archeologia subacquea della nuova generazione,
Piero Alfredo Gianfrotta, che da poco ha pubblicato con Patrice Pomey
il libro più importante che esista sulla "Archeologia subacquea",
per i tipi di Mondadori. Edifici sommersi sono pure a Pozzuoli, Ischia,
Ogliastro e a Punta Licosa, mentre relitti di varie epoche sono apparsi
a Sorrento, a Minori e un pò dovunque.
Nel breve tratto della Basilicata che s'incunea tra Campania e Calabria,
il recente recupero di ancore di piombo a Maratea promette favorevoli
sviluppi alla ricerca. Scendendo verso sud, relitti romani di varie
epoche a Palmi prefigurano nuovi possibili ritrovamenti. Ricchissimo
di scoperte é lo Stretto, dove sono naufragate navi di tutte
le epoche: in particolare, a Porticello é stata individuata una
nave greca del cui carico facevano parte alcune sculture di bronzo,
tra cui la cosiddetta testa di filosofo oggi a Reggio Calabria. Quanto
all'ormai celebre Riace, sono finalmente iniziate le ricerche sistematiche
nel tratto di mare dal quale provengono i bronzi, che dovrebbero essere
i relitti di un naufragio. Nell'area di Crotone, Punta Scifo ha restituito
un carico di marmi grezzi e lavorati, mentre da Capo Cimiti viene un
carico di colonne, nonché un ceppo d'ancora con il nome dell'atleta
Faillio.

In Puglia, un carico di anfore é stato individuato l'estate scorsa
alle Tremiti. Un insediamento romano sommerso si trova nel mare dinnanzi
a Porto Canali, presso Margherita di Savoia. Anche Egnazia, a seguito
di recenti indagini, rivela strutture portuali sott'acqua. Resti romani
si trovano in abbondanza a Brindisi, dove é in atto un'opera
organica di recupero e di sistemazione in un museo, e inoltre a Torre
Santa Sabina e a Porto Badisco. Sul versante ionico, Taranto esemplifica
la ricchezza delle prospettive con un relitto di nave greca, mentre
nelle vicinanze navi romane cariche di sarcofaghi e colonne di marmo
sono state localizzate a Porto Cesareo, Torre Sgarrata (Pulsano) e San
Pietro in Bevagna. Per una maggiore conoscenza dell'archeologia sommersa
nel Salento, soprattutto nella parte ionica, rimandiamo alla lettura
del volume "Salento, scrigno d'acque", di Raffaele Congedo.
Ricchissime di segreti sono le nostre isole. In Sicilia, un vero archivio
di navi naufragate é Lipari, dove la Secca di Capistello ha visto
la tragica fine di due ricercatori tedeschi, a riprova del pericoli
tuttora incombenti sulle indagini sottomarine. A Filicudi, relitti di
navi romane sono stati appena localizzati. A Siracusa, oltre a numerosissimi
relitti di ogni tempo, é stato individuato un cimitero ebraico
sommerso, con numerose iscrizioni. Carichi di marmo tornano alla luce
a Marzamemi, all'Isola delle Correnti, a Camarina, a Capo Granitola.
Nell'angolo occidentale, l'ormai celebre nave fenicia di Marsala é
affiancata da relitti di varie epoche a Pantelleria e a Favignana, mentre
le testimonianze romane prevalgono a Terrasini, a Palermo e a Ustica.
In Sardegna, il mare di Spargi copre una nave romana ricchissima di
testimonianze e purtroppo assai saccheggiata. Relitti di navi sono a
Capotesta, Arbatax, Capo Ferrato, Villasimius e Sant'Antioco, mentre
resti urbani sommersi, di cui abbiamo appena iniziato l'esplorazione,
sono a Nora e Tharros. Si aggiunga da ultimo che il museo sommerso non
si trova solo nel mare, ma anche nei laghi e nei fiumi.
Quanto ai laghi, oltre al caso celebre di Nemi, c'é una serie
di giacimenti preistorici: Viverone, Trasimeno, Mezzano, Bolsena, Bracciano.
Quanto ai fiumi, il Po, e in specie il Tevere, hanno continue rivelazioni.
Ma é tempo di concludere quest'argomento. Una tecnologia raffinatissima
consente ormai di superare in gran parte le tradizionali difficoltà
poste dal mare, scavando nell'acqua come sulla terra, o quasi; e le
scoperte sono spesso ancora più preziose, perché i fondali
proteggono bene i giacimenti attraverso i secoli. Occorre dunque affrettarsi
nel formare gli specialisti, nell'aggregarli in nuclei alle Soprintendenze,
nel trasferire insomma sul piano della scienza - com'é stato
scritto - l'affascinante avventura dell'archeologia subacquea.
E passiamo ad un altro argomento che ci sta a cuore. Dentro ci sono
ancora le ossa dei sepolti: una ventina di scheletri. E', con tutta
probabilità, il primo caso di un dolmen ritrovato con il contenuto.
funebre. Tutt'intorno, altri dolmen di dimensioni più ridotte.
Per gli archeologi, i dolmen di Saint Martin-de-Corléans, alla
periferia occidentale di Aosta, sono stati un'autentica sorpresa. Infatti,
questa prima e più elementare forma di architettura inventata
dall'uomo (grandi lastroni verticali, infissi nel terreno come montanti,
uno o più lastroni appoggiati sui montanti a formare il tetto)
non era mai comparso in alcun territorio preistorico dell'Italia Settentrionale
e neppure Centrale. Nel nostro Paese, il dolmen o é pugliese
o é sardo e basta. "Ma tutta questa zona è una sorpresa",
dice Franco Mezzena della Soprintendenza alle Antichità della
Valle d'Aosta il quale, insieme con la moglie, Rosanna Mollo, ha scoperto
il giacimento di Saint Martin. "Da qui sono uscite e continuano
a uscire testimonianze fondamentali per l'intera scienza preistorica
italiana".
Sono saltate fuori: stele antropomorfe, ossia grandi lastre (di due
tre metri di altezza) sagomate a figura d'uomo e incise con rudimentali
sembianze umane, armi, decorazioni geometriche, eccetera; un'ampia traccia
di aratura di consacrazione del luogo, forse il primo segno dell'uso
dell'aratro in Italia, rimasta prodigiosamente intatta sul terreno;
ventuno buche rotonde in cui erano stati infissi dei pali, probabilmente
del totem, alle base dei quali erano stati deposti, come sacrifici di
fondazione, dei crani di ariete; alcuni menhir, o pietrefitte grezze;
tombe di diversi tipi; e via dicendo.
Il tutto, a una profondità di quattro sei metri e su un'area
di poco più di un ettaro, destinata alla costruzione di alcuni
condomini e salvata dall'immediato intervento della Regione, che l'ha
acquistata proprio per tutelarne l'altissimo valore culturale.
Ma quando ha avuto inizio la vicenda preistorica di Saint Martin-de-Corléans,
e chi ne furono i protagonisti? Chi furono, cioé, i fondatori
di quest'area di culto e di sepoltura collocata proprio nel cuore della
catena alpina?
Le datazioni con il Carbonio 14 ottenute da alcuni grandi frammenti
di legno carbonizzato dei pali trovati nelle buche indicano un periodo
dai primi secoli del terzo millennio a.C. a circa il 2000, sempre a.C.
Dunque, quel periodo che va dalla fine del Neolitico all'inizio dell'Età
del Bronzo, chiamato Eneolitico e caratterizzato dalla metallurgia del
rame e di altri metalli facilmente fusibili, come l'oro e l'argento.
Quanto all'identità dei protagonisti, c'é solo un'idea,
che è ovviamente da verificare o da perfezionare. L'idea é
che si trattasse di agricoltori di origine anatolica, o comunque asiatica,
possessori di nuove tecniche di coltivazione ed emigrati in Italia dove,
nel Mezzogiorno, avevano costituito delle teste di ponte da cui risalire
la Penisola.
Il materiale di verifica di questa ipotesi, rinvenuto ad Aosta, é
piuttosto abbondante: frammenti di ceramica a scanalature, uguale a
quella trovata negli scavi preistorici di Lipari e di Porto Badisco,
oltre che della costa calabrese: teste di ponte, appunto, di genti anatoliche;
pietre da fionda in arenaria arrotondata come usavano nell'Egeo anatolico
e in alcune aree della Sicilia neolitica; una stele antropomorfa pressoché
identica a un'altra rinvenuta nei primi strati della città di
Troia.
Poi, le singolari coincidenze rituali e mitologiche: i sacrifici di
fondazione, pratica eminentemente orientale, l'aratura (secondo studi
anche recenti, l'aratro sarebbe nato in regioni anatoliche) e la semina
di consacrazione, che si aggancerebbero ai più antichi miti greci,
tra i quali quello degli Argonauti.
Chiunque fossero i preistorici eneolitici di Aosta, é innegabile
che si trattava di genti di non comune intraprendenza. Partendo dal
loro insediamento, forse un villaggio sui mille abitanti che sorgeva
vicino alla zona di culto, dovettero scoprire ben presto i prossimi
passi alpini del Piccolo e del Gran San Bernardo, verso la Francia e
verso la Svizzera. Al di là del Gran San Bernardo, nel territorio
elvetico di Sion, i preistorici aostani hanno lasciato il segno indiscutibile
della loro cultura con una serie di stele antropomorfe in tutto simili
a quelle trovate ad Aosta: stesso viso schematizzato, stessi avambracci
che formano un angolo retto col braccio, stesse armi (pugnale, arco,
raramente l'ascia), stesso giubbotto decorato con motivi geometrici,
quadrati o triangoli, e, in soli due casi, uno ad Aosta e uno a Sion,
stesso grande pendaglio a doppia spirale all'altezza dello stomaco dei
due personaggi effigiati che, secondo un'ipotesi attendibile, dovevano
essere dei capi, o comunque delle figure eminenti.
I preistorici di Aosta scomparvero con l'avvento dell'Età del
Bronzo. Portatori nel mondo alpino occidentale del movimento culturale
delle stele, che aveva seminato questi monumenti in tutta Europa, dalla
Spagna alla Bulgaria, dalla Romania alla Grecia, al Caucaso, alla Provenza,
alla Corsica, lasciarono il luogo di culto e di sepoltura di Saint Martin-de-Corléans
ad altre civiltà, in una continuità storica eccezionale
di quattro-cinquemila anni.
Come e perché siano scomparsi nessuno può ancora dire
con sicurezza. Quel che di certo rimane, sono queste tombe e queste
stele (che ricordano vicende archeologiche di casa, in Puglia) rimaste
tali e quali nello stesso posto nel quale i preistorici le hanno lasciate.
Un caso raro nella ricerca preistorica.
|