Il Governo italiano
aveva dato, dopo Brema, una piena adesione di principio al progetto
di creare una zona di stabilità monetaria in Europa. Si era,
tuttavia, consapevoli delle difficoltà che si sarebbero incontrate
nella definizione tecnica di un sistema in grado di assicurare il funzionamento
di accordi di cambio di qualche severità tra economie ancora
assai diversificate sotto il profilo monetario, senza richiedere alle
economie più forti un grado di inflazione e alle più deboli
un grado di compressione della domanda, non coerenti con il sistema
di obiettivi che ciascun Paese ,si pone in termini di stabilità
e di sviluppo. Le incertezze e le contraddizioni dell'Allegato tecnico
al comunicato di Brema hanno comportato un affastellamento di problemi
che non è stato possibile risolvere prima del vertice di Bruxelles,
nonostante il ritmo incalzante della trattativa internazionale a livello
di Comitato dei Governatori, Comitato Monetario, Comitato di Politica
Economica e Consiglio Economia e Finanze.
Nei riguardi della realizzazione dei vari punti concordati a Brema,
la posizione quale si presentava dopo l'Ecofin del 20 novembre era all'incirca
la seguente: la condizione di realizzare un sistema altrettanto stretto
quanto il serpente sembrava avviata a realizzarsi articolando il nuovo
sistema su tre elementi: la sussistenza del serpente; la creazione di
una fascia allargata nella quale avrebbero potuto inserirsi i Paesi
con moneta fluttuante; l'utilizzo di un indicatore di divergenza basato
sulla definizione di un paniere di monete comunitarie da usare come
numerario del sistema.
L'assegnazione di un valore operativo alla divergenza comportava l'obbligo
per il Paese divergente di intervenire in acquisto (o in vendita) sul
mercato dei cambi, e la definizione di qualche agevolazione per i debitori
involontari, a carico dei quali si sarebbero formati questi accumuli
di valute. All'Ecofin l'opinione di maggioranza aveva definito quest'obbligo
di intervento come una regola, o una forte presunzione soggetta ad eccezioni
da giustificare da parte del Paese divergente verso l'alto; la questione
del trattamento dei crediti sorgenti a carico del debitore involontario
era stata rimessa ai capi di Stato e di Governo.
Su entrambi questi punti il Consiglio Europeo non ha realizzato progressi
per la resistenza dei Paesi a moneta forte: alla formula della "
eccezionalità " essendosi sostituita quella delle "
speciali circostanze " e la definizione del trattamento del debitore
involontario essendo stata rinviata di sei mesi.
Anche l'attuazione concreta di una coordinazione delle politiche di
cambio nei confronti di terzi Paesi, specialmente importante in vista
della crisi del dollaro e dell'ampiezza potenziale dei movimenti di
fondi tra l'arca del dollaro e l'Europa, è rimasta ferma agli
enunciati di Brema, senza che abbiano trovato definizione e conseguenti
linee operative.
Per quanto riguarda le misure economiche parallele, le richieste italiane
- chiaramente delineate nei lavori preparatori del vertice si imperniavano
sulla necessità che ai Paesi meno prosperi andasse un aiuto sostanziale
(come riconosciuto a Brema) della Comunità per poter superare,
integrando le necessarie politiche economiche interne, le difficoltà
che essi avrebbero incontrato per l'adesione allo Sme. Lo spirito di
queste richieste era quello di inserire nella politica comunitaria,
in analogia con quanto avviene a livello nazionale, l'obiettivo di redistribuzione
delle risorse quale nuovo elemento nella gestione del Bilancio comunitario;
principio attualmente assente come è dimostrato dal fatto che
la presente gestione ha sotto questo profilo effetti sostanzialmente
perversi.
Anche nel campo delle misure parallele sembra dunque potersi rilevare
nelle conclusioni di Bruxelles un certo arretramento rispetto a Brema.
La pausa di riflessione chiesta dal governo italiano prima dell'adesione
è sorta quindi dall'esigenza di valutare attentamente i vari
elementi dell'accordo emersi a Bruxelles e dall'opportunità di
ottenere alcune garanzie ed assicurazioni dai nostri partners.
Inflazione e sviluppo non sono complementari; soltanto nel caso in cui
un'inflazione da costi sia combattuta con il solo strumento monetario,
senza il concorso di adeguate politiche fiscali e dei redditi, si può
avere nel breve periodo un effetto di rallentamento dello sviluppo.
L'obiettivo fondamentale del programma triennale del governo italiano
consiste nello sciogliere quei nodi che impediscono la ripresa di un
processo stabile - e quindi non inflazionistico - di accumulazione e
di sviluppo.
Ma appunto l'esistenza di fattori interni di rigidità (essenzialmente
nei riguardi del costo del lavoro e del disavanzo corrente del settore
pubblico) richiede quegli elementi di gradualità e flessibilità
nel processo di irrigidimento dei cambi, per cui ci siamo battuti in
sede di definizione dello Sme e che crediamo di avere in larga misura
acquisiti, anche se speriamo di dovercene valere solo raramente e in
modo ordinato.
Pur essendo convinti del fatto che la chiusura del ventaglio dei tassi
d'inflazione dovrà essere fatta verso il basso, riteniamo che
la durevolezza del nuovo sistema monetario europeo dipenderà
in larga misura (da una effettiva simmetria di obbligazioni fra forti
e deboli. Per questo abbiamo sollecitato nelle trattative una rigorosa
definizione degli obblighi del Paese divergente e un trattamento particolare
dei debitori involontari, il mantenimento ai fini del calcolo della
divergenza della lira sterlina nel paniere, la definizione di una strategia
nei confronti del dollaro.
Ove il movimento di riflusso dal dollaro connesso all'intensificarsi
del processo di diversificazione dei portafogli in valuta delle autorità
e dei privati dovesse continuare, la domanda di valute-riserva alternative
tenderebbe presumibilmente a concentrarsi sulle monete europee più
forti. Queste, a loro volta, in assenza di una politica concertata,
a livello europeo verso il dollaro e di una effettiva simmetria nell'accettazione
delle conseguenze degli interventi, trascinerebbero verso l'alto il
paniere " Ecu " ad una velocità che potrebbe rivelarsi
difficilmente sostenibile per le meno forti.

Proprio la necessità di evitare che il problema del dollaro possa
accentuarsi e rappresentare un elemento disgregatore per lo Sme richiede
di accelerare il processo di reale convergenza monetaria in Europa.
E' molto importante a questo riguardo avere ottenuto dai nostri associati
l'impegno a considerare i primi mesi di attuazione dello Sme come un
periodo di sperimentazione, che metterà capo ad una revisione
delle regole operative. Ed è importante che il Presidente del
Consiglio italiano abbia avuto le assicurazioni di cui ha dato comunicazione
al Parlamento il 12 dicembre, nel senso che il nostro Paese non sarà
chiamato a subìre un sensibile apprezzamento del cambio medio
effettivo della lira, soprattutto ove ciò derivasse da spostamenti
di fondi verso i poli di maggior forza monetaria in Europa, dovuti a
movimenti speculativi contro monete terze.
Come dimostra la recente controversia franco-tedesca sui montanti compensativi,
un problema che si porrà in occasione dei riallineamenti delle
parità di cambio sarà quello di decidere in quale misura
comparativa i mutamenti dei cambi dovranno realizzarsi per via di svalutazioni
e per via di rivalutazioni (in termini di Ecu). La rivalutazione di
una moneta comporta infatti la riduzione dei prezzi agricoli regolamentati,
politicamente assai difficile, nel Paese che rivaluta, o la creazione
di un montante Compensativo. I Paesi a moneta forte insisteranno che
i riallineamenti delle parità si facciano per via di svalutazione
delle monete deboli. L'esistenza di un mercato agricolo regolamentato
aggiunge quindi difficoltà alla vita dello Sme.
Ho recentemente affermato che nel Sistema monetario europeo la lira
entra assai ben difesa. L'avanzo della bilancia dei pagamenti è
larghissimo, le riserve valutarie elevate, il credito internazionale
dell'Italia ristabilito e l'offerta di prestiti insistente.
Alla fine del 1975, la Banca Centrale aveva debiti verso l'estero per
6,3 miliardi di dollari, mentre le valute convertibili di cui disponeva
erano ridotte a 1,2 miliardi. Il 1978 si è chiuso con un debito
inferiore ai 3 miliardi di dollari e con valute convertibili superiori
ai 10 miliardi (salite ancora a circa 11 a fine febbraio 1979). L'indebitamento
netto a breve termine delle banche italiane sull'estero, pari a 0,7
miliardi di dollari alla fine del 1975, dopo essere salito fino ad una
punta di 6,5 miliardi al luglio 1977, ha preso a scendere, attestandosi,
a fine gennaio, a circa 5,9 miliardi. Ma a rafforzare la posizione valutaria
del Paese non è stata solo la capacità di attrarre movimenti
di capitale verso l'Italia della quale hanno dato prova le Banche italiane;
è stato soprattutto il miglioramento delle partite correnti della
bilancia dei pagamenti. Le imprese italiane, e particolarmente quelle
di medie e piccole dimensioni, hanno mostrato una forza di penetrazione
sui mercati internazionali che ricorda gli anni migliori del nostro
sviluppo economico. Vi sono anche segni di una accresciuta attitudine
ad economizzare le scorte di materie prime per certi livelli di produzione.
Il 1978 è stato. sotto questo profilo, un anno particolarmente
favorevole per il cooperare di diversi fattori: margini di competitività
ancora buoni, assenza di importanti rinnovi contrattuali e dunque di
troppo forti spinte dal lato dei costi, livello basso della domanda
interna, ragioni di scambio favorevoli nei rapporti con i fornitori
di materie prime., Per il 1979 si deve prevedere, e in un certo senso
sperare, una configurazione in parte diversa. La crescita della domanda
interna dovrebbe essere più forte, e così quella delle
importazioni, soprattutto se tra le componenti della domanda interna
gli investimenti rappresenteranno il fattore più espansivo. Tanto
più necessario sarà allora il mantenimento di una dinamica
dei costi interni coerente con la necessità di un flusso adeguato
di esportazioni.
Le previsioni del programma triennale recentemente presentato dal Governo
sono basate sull'ipotesi che, nonostante il prossimo rinnovo di gran
parte idei contratti di lavoro, resti invariato nell'industria il costo
del lavoro per ora lavorata in termini reali. Anche in questa ipotesi,
per la cui realizzazione occorrerà da parte di tutti forte consapevolezza
delle compatibilità economiche e finanziarie, si prevede che
il saldo attivo della bilancia dei pagamenti del 1979 si riduca a poco
più della metà di quella del 1978.Negli anni successivi,
se la crescita del prodotto interno lordo si manterrà su un tasso
del 4 per cento circa e se si realizzerà un aumento della quota
degli investimenti nella domanda interna, l'avanzo esterno tenderà
gradualmente ad annullarsi.
Negli ultimi tempi il rialzo dei tassi d'interesse sui mercati internazionali
ha pressoché interamente annullato il differenziale esistente
con i tassi interni. Nell'aprile 1978 il rendimento nominale dei Buoni
Ordinari del Tesoro semestrali superava di 4,6 punti il tasso a sei
mesi sul mercato dell'eurodollaro. Nel corso dell'ultima settimana di
febbraio del 1979 questa differenza era di appena 0,6 punti. E' vero
anche che il tasso d'inflazione negli Stati Uniti è oggi assai
più prossimo a quello italiano che allo inizio del 1978, ma ciò
non è sufficiente a compensare del tutto il mutamento delle posizioni
relative. Ne risulta attenuata, per i capitali in cerca di investimento
sul mercato internazionale, la spinta a dirigersi verso l'Italia. D'altra
parte anche nelle ultime settimane l'afflusso di valuta nel nostro Paese
è stato abbondante, né va trascurato il pericolo di ostacolare,
proprio nel momento in cui si sta rafforzando, una ripresa produttiva
che consente alle imprese guadagni di produttività ed è
pertanto benefica sul fronte stesso dell'inflazione. La politica dei
tassi dovrà trovare un comportamento soddisfacente tra queste
esigenze in parte contrastanti.
L'urgenza di affrontare i nodi della situazione italiana non è
nata con l'adesione allo Sme: essa è stata avvertita in misura
crescente fin dalla seconda metà del 1976. Alcune azioni compiute
hanno permesso un notevole miglioramento della situazione monetaria
negli ultimi due anni. Il miglioramento rimarrà precario finché
non verranno superati in modo più duraturo gli ostacoli che in
questi anni hanno impedito una crescita stabile. Il primo di questi
ostacoli si localizza nella finanza pubblica ed è rappresentato
dal livello elevato del disavanzo e da una composizione della spesa
nella quale troppo bassa è la quota degli investimenti pubblici.
Il secondo è rappresentato da una dinamica del costo del lavoro
che dal 1973 ad oggi ha ecceduto largamente (soprattutto in termini
nominali) quella propria in altri Paesi industriali ed ha impedito una
creazione di posti di lavoro sufficienti.
Negli ultimi sei mesi l'azione del Governo si è indirizzata a
questi obiettivi sia con la presentazione, a fine agosto, del documento
Pandolfi, sia con la legge finanziaria sul 1979, sia, più recentemente,
con la presentazione del programma triennale. In quest'ultimo vengono
indicate le condizioni e le politiche necessarie per affrontare i nodi
della situazione italiana: da un lato, un'espansione degli investimenti
pubblici che sia accompagnata da una diminuzione del rapporto tra disavanzo
corrente della Pubblica Amministrazione e prodotto interno lordo; dall'altra,
una sosta nella crescita dei salari reali, in un contesto non inflazionistico.
Questi sono i due momenti complementari di una strategia di crescita
stabile. La partecipazione allo Sme è coerente con questa strategia.
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