Gli esempi di scultura
di mano bizantina sono così rari nella Terra d'Otranto, che più
d'ogni altra s'imbevve (e più di ogni altra a lungo) della lingua,
della religione, della cultura, della pittura di Bisanzio, che si può
presentare come un momento veramente eccezionale quel bassorilievo,
che rappresenta l'Annunciazione della Vergine, incastonato sulla porta
della chiesa di Santa Maria della Strada, a Taurisano.
Sotto una duplice arcata si scorge l'angelo in piedi, che rivolge la
parola alla Vergine Maria, seduta. In lingua greca sono scritti il saluto
dell'angelo e la risposta della Vergine. Questo bassorilievo è
scolpito nell'architrave retto dall'unica porta d'ingresso della facciata.
Ha scritto monsignor Giuseppe Ruotolo, nel suo libro su Ugento, Leuca
e Alessano, che " la pittura che esisteva nella lunetta su questo
architrave è scomparsa ".
Descritta per la prima volta da Cosimo De Giorgi, la porta della chiesa
di Santa Maria della Strada è formata da una larga fascia ad
arcinvolto intagliato a fiorami, ed è ricoperta da un piccolo
frontone, che poggia da un lato sopra il dorso di un leone, e dall'altro
su quello di un toro, l'uno e l'altro collocati sui capitelli di due
colonne che fiancheggiano la parte arcuata. Su questo frontone, che
è alquanto sporgente sul piano della facciata, si vede la finestra
circolare (" occhio "), anch'essa decorata con foglie di acanto
e protetta da un cordone " rilevato e intagliato " nella sola
metà superiore. Il coronamento della facciata, riferisce monsignor
Ruotolo, " è un fastigio semplicissimo, monocuspidale, decorato
da un fregio archeggiato tanto ordinario nello stile romanico, che si
ripete poi nelle pareti laterali dell'edificio ".
Parliamo di mosaici, assai rari in Puglia, e splendidi quelli, miracolosamente
conservati, nella penisola salentina. Molto noti i mosaici di Santa
Maria della Croce di Casaranello. Questi pannelli musivi sopravvivono,
tuttora integri, sulla testata dell'attuale chiesa, vale a dire nella
volta a botte (emblematica di molta storia dell'architettura di Terra
d'Otranto) che copre il tratto retrostante all'altare maggiore. E i
due bracci sono ricchi dello stesso ornamento. Ma è la cupola,
secondo tutti gli studiosi che hanno avuto modo di vederla o di scriverne,
è la cupola soprattutto che, con i cerchi tracciati ad immagine
dei cieli, ci riporta motivi che si ritrovano in altre località
dell'Oriente e dell'Occidente.
Secondo Adriano Prandi, la ragione dell'interesse di questi mosaici
è costituita non solo dal loro pregio strettamente pittorico,
ma anche dal fatto che essi consentono di desumere, per la loro mutua
disposizione, la forma primitiva del monumento architettonico. La chiesa,
infatti, all'epoca della sua fondazione, che ovviamente coincide con
quella della decorazione musiva (quinto secolo), era a croce greca.
Distrutto nel secolo XIII il braccio anteriore, si sostituì con
una navata lunga quanto l'attuale: ciò che conferì al
monumento architettonico la forma tipicamente medioevale di chiesa a
croce latina. Poco più tardi, furono aggiunte le navatelle laterali.
L'originario edificio cruciforme, qualora lo si connetta con quello
che viene definito il " battistero " di Canosa, ci testimonia
la diffusione del gusto per gli edifici centrali, tipici del periodo
protobizantino, esaltato nella grande chiesa, anch'essa di Canosa, dedicata
a San Leucio.
Il repertorio della decorazione musiva, prosegue Prandi, fa fede in
modo irrefutabile come nel quinto secolo in Puglia fosse presente e
operante la cultura figurativa che si potrebbe definire "mediterranea
": nella quale, al repertorio tipicamente ellenistico (nei bracci
della croce di Casaranello ai tipici meandri a trecce dei repertori
antichi si uniscono riquadri con rappresentazioni di genere:
animali, frutti, eccetera), si affiancano temi prettamente cristiani,
quali le allegoriche rappresentazioni della cupola. In tal modo, sostiene
Prandi, la chiesa del quinto secolo di Casaranello si connette ai monumenti
africani e dell'Asia Minore tipicamente ellenistici, come a edifici
di periodo più tardo del versante adriatico (soprattutto ad Acquileia),
e, ancora, ai battisteri liguri e lombardi, e inoltre ad altri monumenti
architettonici della Francia mediterranea.
Il principio fondamentale può essere questo: si sa bene che il
termine "romanico " è né più né
meno che un'approssimazione, com'è del resto per tutti i termini
a vasto raggio di significato. Tuttavia, è molto difficile trovare
una parola adatta per quell'arte che con i Normanni, o per lo meno nel
corso della dominazione normanna fu diffusa in tutta la regione pugliese
da artisti locali, sorti come per incanto: artisti locali, che incisero
il loro nome sulle opere in antitesi chiarissima e improvvisa con il
passato. Questa vera e propria ribellione fu un fatto nuovo, e profondamente
innovatore. E non solo nell'arte, ma in tutta la cultura e la civiltà
regionale. E' stato scritto che " se alla parola ' umanesimo '
si potesse togliere il richiamo storico che comporta, se, cioè,
si potesse ridurre a significare soltanto e fuori da ogni cronologia
l'affermazione della validità dell'individuo, libero dall'anonimato,
e perciò coerente alla propria dignità di uomo, si dovrebbe
riconoscere in questo glorioso tardo Medio Evo un vero e proprio umanesimo
pugliese ". Al nord della regione, l'arte romanica fiorì
liberissima. Nella Terra d'Otranto, invece, fu condizionata dalla cultura
di tradizione bizantina. Ma appunto per questo gli storici dell'arte
ritengono che i monumenti romanici della penisola salentina saranno
quelli che più degli altri daranno la misura della polemica,
che caratterizza tanto singolarmente nella regione la storia artistica
dell'ultimo Medio Evo.
Prendiamo, ad esempio, due edifici di Otranto. L'abbazia di Casole,
che è fuori città, era un centro di cultura tanto vivace
quanto celebre. Un " Typicon "venuto alla luce qualche decennio
fa nella Biblioteca Nazionale di Torino (al capo opposto della penisola
italiana) ci dà la misura della vita di quella comunità
religiosa, dell'alta cultura e della severa disciplina che presiedevano
all'attività dello " scriptorium ". Proprio in tale
ambiente, dominato tanto in profondità dal mondo bizantino, i
Normanni, con l'appoggio del Pontefice, tentarono di eradicare i riti
diversi da quelli di Roma. A documentare questo obiettivo, basti ricordare
che Boemondo donò alla città di Otranto il duomo, e lo
volle in forme schiettamente romane: tre navate lunghe, separate da
colonne -stupende colonne di spoglio - gran presbiterio e grandi absidi,
cripta a colonnine multiple, non dissimile da tanti esempi pugliesi,
e finanche non italiani. Sicché, in complesso, la fabbrica sacra
si presenta davvero simile alle chiese romane e occidentali: "
felice incontro, dunque, dell'alleanza tra Normanni e Chiesa di Roma
". Un'alleanza tutt'altro che disinteressata, ovviamente.

Pregio sovrano del duomo otrantino, il pavimento musivo, miracolosamente
intatto e quasi tutto ritrovato sotto tarda suppellettile. Un colossale
albero snoda i suoi rami, partendo dall'ingresso e giungendo al presbiterio.
"Tra i rami sono figurate scene del Vecchio Testamento e altri
motivi evidentemente di repertorio, fra cui campeggia un Alessandro
Magno (Alexander Rex) ascendente al cielo, Due elefanti che sembrano
sostenere l'immenso albero e gli animali mostruosi che sono disseminati
in tutto il campo musivo, vi lasciano riconoscere l'opera di maestranze
francesi, eredi di quelle che, in origine, avevano appreso l'arte della
" broderie de Bayeux ", chiarissima matrice del gusto figurativo
e della tecnica pittorica d'Oltralpe ". Ebbene, questo capolavoro
non testimonia solamente la " gloriosa immigrazione " di maestranze
normanne: il grande mosaico , ultimato nel 1165, fu dono di un Gionata
idruntino, e realizzato da un prete Pantaleone, il quale volle in tal
modo e in un certo senso dimostrare l'efficienza, appunto, bizantina
anche in pieno clima normanno. Un'iscrizione tramanda che i donatori
offrirono questo, pavimento musivo "regnante domino (...) Willelmo
(Guglielmo I) rege magnifico ". Esecutrice dell'opera fu - sembra
fuor di dubbio - una corporazione di mosaicisti discesa dalla Normandia,
che sfoggiò oltre alle o scene " bibliche di prammatica,
il suo tipico repertorio: tra i più alti rami dell'albero, così
come fra le propaggini di altri due alberi, questi correnti su per le
navate laterali, ci sono i tondi che raffigurano mesi e mestieri; ma
improvvisamente compare re Artù a cavallo, con corona e scettro,
e con tanto di nome e qualifica: Rex Arturus. E' stato rilevato che
" semmai si potesse, per assurdo, negare l'avvento di tale itinerante
corporazione, basti pensare che alcuni motivi, per esempio l'Alexander
Rex, sono rappresentati - identici e per iconografia e per stile - sul
pavimento del duomo di Trani, per non ricordare Santa Maria a Mare delle
Tremiti e il Duomo di Taranto.

Non c'è dubbio,
insomma, su tale organizzata " calata " d'arte normanna in
tutta la Puglia: ed è ovvio che qui non si vuole parlare del
resto dell'Italia meridionale ".
Fu, dunque, sotto una diffusa influenza normanna che sorsero in tutta
la regione i più grandiosi e i più tipici: le cattedrali,
e anche i castelli. Ma è necessario mettere in evidenza che come
l'arte bizantina, diffondendosi per l'intera regione, era divenuta tipica
e inconfondibile arte pugliese, così le grandi cattedrali e i
maestosi manieri, :se riecheggiarono con una certa fedeltà noti
monumenti ed edifici francesi, assunsero tuttavia tali aspetti da trasformarsi,
come si usa ormai dire, in " cattedrali e castelli di Puglia ".
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