Al di qua del Tronto
tumultuoso, cambia il colore del cielo e della terra, si parlano altre
lingue, si vivono altre storie: qui è il confine tra l'Italia
europea e l'Italia mediterranea; tra due illuminismi, il più
antico dei quali - quello meridionale - ha lasciato in ereditá,
come amara scienza della vita, uno scetticismo lucido e progressivo,
che, pur subendo di proposito la storia, si fa matrice di cultura europea
e planetaria.

Montuoso, impervio,
l'Abruzzo ha le vette più elevate del sistema appenninico. Oltre
la metà del territorio ha un'altitudine media superiore ai 500
metri; il resto è costituito da rilievi collinari. Ha fiumi per
confini: il Tronto lo divide dalle Marche, il Sangro e il Trigno coincidono
col confine molisano; creste appenniniche segnano la divisione col Lazio
e con la Campania. Le grandi strade sono tracciate su alcuni tra i maggiori
"passi'" interni: Forca Caruso, Passo del Diavolo, Piano delle
Cinquemiglia, Traforo del Gran Sasso. Il Parco nazionale abruzzese si
estende per circa cinquecento chilometri quadrati nell'Alta Valle del
Sangro: vi si preservano una vegetazione e una fauna che un tempo erano
caratteristiche dell'intera Italia centro-meridionale. Sopravvivono,
fra l'altro, gli ultimi esemplari di orso italiano (Orso Marsicano).
Come una frontiera
Aldo Bello
All'interno poche
strade (i tratturi) difficili, impervie, avevano tracciato dai tempi
più remoti, e fino a pochi anni la, un tortuoso cammino tra i
monti, dentro le valli improvvise e profonde sui ventosi altipiani.
Raggiungere il borgo arroccato su una cresta rocciosa, o l'abbazia perduta
tra i picchi sopra le nuvole, circondata da solitudine e silenzio, era
un'impresa disperata. Perciò, per millenni, l'integrazione di
questo popolo nel comune moto di civiltà fu un processo più
lungo che altrove, e la cultura locale ebbe matrici fortemente originali,
autoctone, non facilmente corruttibili. Al riparo dall'urto immediato
dei grandi e piccoli avvenimenti storici, quasi sempre accolti con diffidenza.
o subiti come conseguenza di mutamenti politici e militari che coinvolgevano
questa terra suo malgrado, si è formato l'Abruzzo contemporaneo;
e gli Abruzzi sono rimasti stretti in una coni 1 unità di destino
assai singolare, caratterizzata da una tenace fedeltà ad ataviche
forme economiche e sociali, anche oltre ogni pratica utilità.
Il che sarebbe inesplicabile se non si tenesse conto che il fattore
costante dell'esistenza degli abruzzesi è stato, appunto, il
più primitivo e stabile degli elementi; la natura.
E' una crosta rugosa e compatta: quasi un'unica montagna di calcari
cristallini, biancastri, grigi con grandiosi anfiteatri spogli sopra
le altitudini medie meridionali, e con gradinate erbose, fra le quali
si alternano selve di faggi, di querce, di frassini. Verdi sono gli
altipiani, di struttura alpina; deserte le vallate, nelle quali si sono
ammassati secolari depositi alluvionali, ghiaiosi, come nelle gole del
Tronto, del Vomano, del Tirino, del Sagittario, del Sangro. Solo le
valli ricche d'acqua sono fertili.
A seguire il corso dei fiumi, si scopre che solo con un accanito lavorio
millenario essi hanno potuto aprirsi un varco verso il mare, incidendo
nei massicci montagnosi abissi angusti e dedalei. Nessuno stupore, dunque,
se - alla stessa maniera - nella guerriglia continua contro montagne,
frane, alluvioni. terremoti, siccità, serpi, si siano anche formate
tanta parte dello spirito abruzzese, (con i suoi terrori, i suoi miti,
le sue leggende, le sue superstizioni), e tanta parte del suo carattere
paziente, sobrio, diffidente e "roccioso".
La Maiella è il secondo gran massiccio della regione. I contrafforti,
le grotte, gli sprofondi. i valichi, sono - però - i più
carichi di memorie. Negli stessi luoghi in cui un tempo vissero innumerevoli
eremiti, in epoche più recenti trovarono rifugio centinaia, migliaia
di briganti e fuorilegge. Personaggi diversi, protagonisti di avvenimenti
disparati; attratti dall'utopia religiosa, o spinti dalla necessità
di sottrarsi ai rigori della legge. Qui visse Pietro da Morrone: una
figura-limite, un archetipo, quest'uomo che dagli alti eremi mosse verso
Roma per diventare capo della Cristianità, col nome di Celestino
V; e che poi rinunciò alla tiara, sdegnato per gli intrighi curiali,
illudendosi di poter fare ritorno fra le sue gole e le sue caverne;
papa Caetani, Bonifacio VIII, suo consigliere e successore, lo fece
rinchiudere, invece, in residenza coatta nel castello di Fumone, dove
morì.
La montagna, dunque, ha salvato e perduto l'Abruzzo; gli ha modellato
storia e geografia, economia e temperamento. Tanto è che essa
ha realizzato il paradosso di una regione che, pur situata nell'Italia
centrale, di fatto appartiene al Mezzogiorno. Questa terra ricevette
il nome d'Abruzzo, intorno al 1170, dopo l'annessione al Regno di Sicilia.
E, in seguito, salvo brevi periodi, ebbe la stessa sorte politica del
Sud, di volta in volta governata dai Normanni di Capua, dai Normanni
di Puglia, dai Normanni di Sicilia, dagli Svevi, dagli Aragonesi, dai
Castigliani, e, infine, dalla dinastia dei Borboni, designata dalla
corte di Madrid a reggere l'intero Reame.
Dopo la montagna, l'altro male oscuro dell'Abruzzo è stato l'emigrazione.
Quella degli ultimi anni è stata la terza decimazione. La prima
fu conseguenza dei terremoti e delle pestilenze del XVII secolo; la
seconda si ebbe nei primi anni del nostro secolo, in seguito alle epidemie
che distrussero i vigneti delle uniche zone fertili, quelle collinari:
biblica fuga di intere comunità, che cancellò per sempre
innumerevoli paesi e villaggi.
Nella cornice severa delle montagne e nelle terribili condizioni di
esistenza determinate dall'orografia, il profilo spirituale di questa
terra fu plasmato dal Cristianesimo. La prima forma di civiltà
emanò dalle grandi abbazie benedettine; e figlia della benedettina
fu la civiltà francescana; l'una e l'altra perfezionatrici
di culti, miti e usanze pagane preesistenti, con un peso specifico notevole
anche nello sviluppo civile. Fu l'organizzazione religiosa quella che
trasformò molti paesi in borghi, e questi in città; che
sviluppò agricoltura e pastorizia; che raccolse documenti dispersi
e incoraggiò la crescita di una pregevole letteratura umanistica.
Il Gran Sasso fu montagna regale. L'ha violata un inutile e costoso
traforo. Sopra, grandi nevai, dopo che i faggi cedono agli abeti, e
questi agli arbusti torvi. Quando l'ultima vegetazione scompare, la
montagna si la azzurra con riflessi viola. Dall'altra parte si incomincia
a scendere, terrazza dopo terrazza, verso la costa adriatica, e verso
il mondo delle ciminiere e delle serre artificiali.
Alle spalle del Gran Sasso è il Sirente, un dorso goffo. Dietro
ancora, è il Fucino, che: ricorda una sfida, forse un'epopea.
"O io prosciugo il Fucino, o il Fucino prosciuga me". Fu il
Fucino a perdere. Uno spirito colto e anticipatore. Alessandro di Torlonia,
ignorò forse di aver realizzato, a metà del secolo XIX,
la prima grande riforma abruzzese, il giorno in cui le acque dell'antico
"lago di Celano", che superava per estensione il Trasimeno,
furono costrette e suicidarsi sottoterra, rinascendo al di là
di quella fabbrica di fiumastri che sono le insellature dell'Appennino,
accanto alle sorgenti di un fiume laziale, il Liri. Gli abruzzesi ebbero
così la loro conca più vasta, due volte maggiore di quella
di Sulmona, quattro volte quella dell'Aquila. Un villaggio fino allora
poco noto, Avezzano, che smagriva con la pesca s'impinguò con
la semina del mais, importato dalla più piatta e puritana terra
statunitense, il Nebraska.
La seconda scommessa fu fatta un secolo dopo; al centro dell'alveo coronato
da una verde chiostra di monti, puntano verso il cielo gli specchi astronomici
e le antenne di ascolto planetario. Qui è Telespazio; la catena
delle bianche concave occhiaie dei ripetitori che dialogano in silenzio
con i satelliti alti nel cosmo. Al miracolo della tenacia del principe
di Torlonia ha fatto seguito l'altro miracolo, quello della tecnologia,
dell'elaborazione elettronica, del calcolo infinitesimale. Qui si è
già nel futuro.
Il passato, quello più che remoto, lo si difende col filo spinato
e con i guardiacaccia. A sud, dentro la Marsica, cuore del Parco Nazionale;
e oltre Alfedena e oltre Opi, dalla Camosciara a Monte Amaro, a Monte
Irto, al Vallone delle Palanche, a Val di Rose, a Monte Marsicano. Scampati
al bracconaggio e alle speculazioni edilizie, qui sopravvivono camosci
e capre selvatiche, caprioli e cervi, uccelli migratori e stanziali,
e gli ultimi orsi italiani, i rarissimi marsicani.
Grappoli di monti e ciuffi di selve e tappeti di macchioni formano un
bene culturale territoriale che è di per sé opera d'arte.
L'assedia il cemento armato, e la difesa di questa natura prepotente
e sovrana è un diuturno scontro di codici e leggi. Bisogna scendere
molto a sud, fino in Puglia, per trovare un'altra foresta, quella Umbra.
E occorre andare ancora più lontano, nel calabro Aspromonte,
per incontrare l'unica foresta vergine europea. la difendono la montagna
più infida del nostro emisfero, l'omertà e le lupare della
'ndrangheta, la micidiale mafia locale.
Barrea è il cuore dell'Abruzzo incastonato fra le acque di un
lago. Intorno, paesi come mucchi di pietre grige. Da paese a paese,
rocce e lembi di terra coltivati a fatica. Scanno, Campo Imperatore,
Ovindoli, Roccadimezzo, Roccaraso, Pescasseroli, sono nomi entrati nella
costellazione dei soggiorni invernali. L'Aquila ostenta l'orgoglio di
antiche tradizioni: severa e tradizionale nell'impianto urbano, e pur
ricca d'architettura civile e religiosa. La illumina il più suggestivo
monumento abruzzese, Santa Maria di Collemaggio, trecentesco, costruito
secondo lo schema tipico delle chiese abruzzesi a coronamento ornamentale.
Città orgogliosa, dicevo: al punto che gli spagnoli dominatori
vi costruirono un munitissimo castello: non per difenderla, ma, come
ricorda una lastra di marmo, per intimidirla.
Antica Interamnia, Teramo rivela un versante così diverso dall'altro
che sovrasta l'altopiano d'Aquila, da parere un'altra montagna: più
articolata e varia, boscosa, ricca di acque.
Cresciuta intorno alla sua splendida cattedrale, del XII secolo, si
raggiunge scavalcando le brune foreste di Pietracamela; città
di raccolta misura, è dominata da un osservatorio astronomico
di lama internazionale, quello di Collurania, dal quale si scruta il
cielo da oltre settant'anni.
Quieta è la valle del Pescara; da qui a sud è la terra
descritta da D'Annunzio e Michetti, da Silone e Flaiano. Tra le lontane
catene montuose e il mare oltre Lanciano, un'unica ondulata distesa
di colli folti di ulivi e di vigne. Sparsi, antichi borghi, ricchi di
storia, gelosi custodi di preziose opere d'arte.
In pochi anni, Pescara, città epicurea e arruffona, ha visto
triplicarsi il numero degli abitanti, che in buona parte vivono delle
industrie del nucleo e del porto e dell'industria - assai più
redditizia - del turismo. Ha spazzato il passato a suon di capitali,
e si è votata ai traffici e alle ciminiere, ha corso temerariamente
il piacere del rischio, ha sfruttato abilmente la posizione di saldatura
tra Nord e Sud.
L'ossatura industriale parti ai primi del '900 con l'impianto delle
officine metalmeccaniche e della fonderia di ghisa, che furono per questa
città, fatte le debite proporzioni, quel che è stata la
Fiat per Torino. Poi vennero le industrie chimiche e quelle del cemento.
Dal porto pescarese partono per tutto il Mediterraneo prodotti alimentari
e farmaceutici, tessiti, macchine olearie e per la lavorazione del legno,
compensati, scarpe, vini. La borsa merci del lunedì ha quotazioni
che costituiscono indici ufficiali a carattere nazionale.
Alla sua ombra vive Chieti, che inventò le macchine per la confezione
delle camicie. Poco più ad oriente è subito il mare; da
Martinsicuro a Giulianova, a Roseto, a Francavilla, a Ortona, una lunga
fettuccia di sabbie bianche, con le spalle protette da pini laricii,
preannunciano il sapore e il colore del Sud. Perché porta d'ingresso
verso la povertà meridionale è l'Abruzzo: dal fiume che,
come una frontiera, lo separa dalle prime terre marchigiane, dal Tronto
tumultuoso. Al di qua, cambiano cielo e terra, si parlano altre lingue,
si vivono altre storie. Si entra in una diversa dimensione, culturale
e civile. Il Tronto è la linea di displuvio tra l'Italia europea
e l'Italia mediterranea; tra due illuminismi, il più antico dei
quali - quello meridionale - diede in eredità, come amara scienza
della vita, uno scetticismo lucido e progressivo, che, pur subendo di
proposito la storia, si la matrice di cultura europea e planetaria.
Letteratura d'Abruzzo
Ada Provenzano
La vitalità
culturale e letteraria di questa regione risale all'età romana
e precristiana (con Sallustio e Ovidio), e si proietta nella tradizione
colta di origine classica (con Marcello Prudente, Vezio Marcello, e
altri). Tradizione presenta anche nel Medioevo, quando la vita ecclesiastica
e conventuale fu influenzata dalla vicina civiltà di Montecassino:
fra Duecento e Trecento, un movimento di letteratura religiosa in latino
accompagnò il diffondersi delle laude e delle laude drammatiche.
Alto esponente della più severa cultura religiosa fu Tommaso
da Celano, diretto discepolo di San Francesco e suo più veritiero
biografo. Al francescanesimo si ispirò, più tardi, l'opera
di San Giovanni da Capestrano e di Giacomo della Marca, "colonne
della nuova riforma". Fu, questo, uno dei periodi più originali
della letteratura abruzzese, il tempo dominato dalle laude, dal teatro
religioso, dalla poesia epico-cronachistica, e insieme da un preumanesimo
che risenti dei rapporti che intercorrevano fra Abruzzo e Toscana, fra
Abruzzo e Umbria. Appartengono a quest'epoca autori notevoli, da Buccio
di Ranallo ad Antonio di Buccio, a Nicola Ciminello, a Marco Barbato,
amico del Petrarca, a Serafino dei Ciminelli (gli ultimi due, pur abruzzesi
d'origine, furono lirici cortigiani in altre città e regioni).
Ormai Napoli attraeva le forze più vive dell'intellettualità
meridionale, anche se vi erano, in Italia, altri poli di richiamo. Emigrarono
fuori regione, in questa fase, Giovanni Battista Valentini, detto il
Cantalicio, grammatico e scrittore latino; il filosofo averroista Nicoletto
Vernia; Marcantonio Epicuro, poeta latino e scrittore di tragicommedie.
Fra Umanesimo, Rinascimento e Barocco non mancò una continuità
di vita culturale e letteraria: basti ricordare lo Studio Generale e
l'attività tipografica dell'Aquila; la creazione di Accademie,
come quella dei Velati promossa da Cesare Rivera, o il fervore di storici
locali, come Cesare Campano e Bernardino Cirillo. Solo alla fine del
sec. XVII e nel XVIII arcadico-razionalista si aprì un periodo
più originale. Risalgono a questi giorni Antonio Ludovico Antinori,
collaboratore dei Muratori per le antichità abruzzesi; Petronilla
Paolini Massimi; e i poeti dialettali, (L. Mattei, R. Parente, ecc.).
Età dei lumi e delle riforme: età dell'abruzzese Ferdinando
Galiani, spregiudicato polemista, scrittore di eccezionale lucidità
ed efficacia; ed età di Melchiorre Delfico, giurista ed economista,
di Francesco Filippo Pepe e di Giuseppe Alferi Osorio; di scrittori
che innestano nelle loro opere forti echi popolari (Mascetta di Colledimacine,
Tito di Blasio, Giannina Melilli, e quel Gabriele Rossetti, la cui attività
patriottica e poetica si appoggiò a un'ardente posizione neoghibellina).
Ma il contributo alla letteratura italiana fra Risorgimento e Unità
è massimo con D'Annunzio e Croce. Fra idealismo, positivismo,
neoidealismo, verismo, decadentismo, e nuove istanze realistiche, ci
fu una vasta zona fertile e creativa nella quale intellettuali e scrittori
abruzzesi furono in prima fila. Bertrando Spaventa sistemò I'idealismo
hegeliano entro una tradizione di pensiero italiano rinascimentale e
particolarmente meridionale, laico e libero; suo fratello, Silvio, espresse
più concretamente le istanze educative e politiche in una lotta
per un'educazione laica e uno Stato illuminato conservatore, non privo
di aperture sociali; a questa posizione si accostò il filosofo
e scienziato Angelo Camillo de Meis. La corrente narrativa ebbe anch'essa
uno sviluppo considerevole (G. Mezzanotte, D. Ciampoli, Edoardo Scarfoglio),
che sfociò nell'opera del "principe" del decadentismo
italiano, il pescarese Gabriele D'Annunzio; e in quella, assai minore,
ma forse più aderente alle matrici regionali, di F. Romani, A.
Borgognoni, ed altri; per raggiungere, infine, il momento di Benedetto
Croce, promotore di un idealismo e di una metodologia che sostanzialmente
ispirarono la cultura italiana per lunghi decenni. Il gusto dannunziano
lasciò tracce evidenti in un certo filone dell'attività
letteraria abruzzese, come nei drammaturghi e poeti E. Moschino, R.
Pantini, G. Urbani; anche se il dannunzianesimo fu in buona parte superato
ad opera di scrittori originali, (A. De Nino, G. Finamore, V. De Bartholomeis,
C. De Titta, A. Luciani, M. della Porta, L. Anelli, U. Postiglione,
V. Clemente, O. Giannangeli, N. Moscardelli, M. Leij), e con iniziative
a carattere nazionale (si pensi all'impresa editoriale dell'editore
Carabba, di Lanciano); e infine, grazie alla presenza di storici, come
Gioacchino Volpe; di finissimi studiosi di filologia romanza, come Cesare
de Lollis; di saggisti, come G. Titta Rosa; e, poi, di narratori (Laudomia
Bonanni, Mario Pomilio, Ignazio Silone, Ennio Flaiano, Eraldo Miscia),
di poeti (G. Sgattoni, G. Rosato, S. Catalano).
Storia d'Abruzzo
Pino Orefice
I più antichi
resti preistorici, rinvenuti soprattutto nella Valle della Vibrata e
sulla Maiella, sono costituiti da reperti litici del paleolitico inferiore
e superiore. Ritrovate anche testimonianze del neolitico, del bronzo
e necropoli riferibili all'età del ferro.
Agli inizi della storia della penisola italica, l'Abruzzo era abitato
da varie tribù di origine diversa: Vestini, Marsi, Marrucini,
Peligni, Frentani, e via dicendo. Venuti in urto con i Romani, e vinti
definitivamente, nel 304 a. C., dopo sanguinose guerre entrarono in
alleanza con loro, per dare poi origine (soprattutto i Marsi) alla guerra
sociale, nel corso della quale il centro più importante, Corfinio,
fu capitale di un improvvisato Stato federale. Ottenuta la cittadinanza,
la foro sorte si confuse con quella dell'Italia romana: l'Abruzzo fece
dapprima parte della quarta regione augustea (Sabina Samnium), e, molto
più tardi, della Provincia Valeria. La regione fu presto evangelizzata
e vi fiorì un monachesimo probabilmente autoctono (V sec.). I
Longobardi, dopo averla devastata, la aggregarono al Ducato di Spoleto
(572), mentre l'antico Sannio (corrispondente all'area che più
tardi prenderà il nome di Molise) fece parte del ducato di Benevento.
Quando il ducato spoletano fu conquistato dai Franchi, l'Abruzzo ebbe
una nuova organizzazione in contee e con la regione interna centrale
venne formato il Comitato Autonomo della Marsia o della Marsica (843),
con sede a Celano. Infeudato nel XII secolo dal papa Adriano IV al sovrano
normanno Guglielmo I, l'Abruzzo entrò a far parte del Regno di
Sicilia, passando quindi alla casa di Svevia. Federico Il ne fece una
sola provincia (giustizierato), con capoluogo a Sulmona, e fondò
l'Aquila, destinata a primeggiare sugli altri centri regionali. Nelle
lotte tra Federico II e la Chiesa (XIII sec.), l'Abruzzo ebbe una parte
importante, e qui, presso Tagliacozzo, nella Marsica, (1268), si concluse
anche l'estremo e sfortunato tentativo di Corradino di Svevia contro
Carlo d'Angiò.
Sotto gli Angioini la regione fu annessa come provincia al Regno di
Napoli. Passò poi agli Aragonesi, in un seguito di lotte turbinose
(assedio dell'Aquila da parte di Fortebraccio di Montone). Alla calata
di Carlo VIII e nelle successive guerre tra Francesi e Spagnoli, l'Abruzzo
si schierò apertamente con i Francesi, ma dovette alla fine sottomettersi
alla dominazione spagnola, che durò dal XVI al XVIII secolo.
Agli inizi del 1700, l'Aquila fu devastata da un terremoto, e per breve
tempo, durante le lotte fra Austria e Spagna per la successione spagnola,
la regione fu occupata dalle armate viennesi. Passò poi, nel
1734, ai Borboni, che la tennero, tranne la breve parentesi napoleonica,
fino al 1860. Va sottolineata la resistenza opposta nel periodo 1798-1799
dall'Abruzzo alle truppe francesi di Championnet, e la vera e propria
guerriglia che ne seguì, allorché venne proclamata la
Repubblica Partenopea. Dopo l'unità italiana, l'intero Abruzzo
fu uno dei focolai del brigantaggio politico, stroncato solo dopo una
lunga e durissima campagna, culminata nell'assedio e negli eccidi di
Civitella. Come regione, fu unito al Molise fino al 1963.
PROFILI DELLE
REGIONI DEL MEZZOGIORNO
7. - Abruzzo
Guglielmo Tagliacarne
Generalità
Come dobbiamo chiamare
questa regione: Abruzzi o Abruzzo? Come dobbiamo collocarla: nell'Italia
centrale o nell'Italia meridionale?
Nella Costituzione questa regione è riportata al plurale; ma
nella legge con la quale viene creata la regione, è usato il
singolare. I geografi sono incerti. Il Milone intitola il capitolo dedicato
a questa regione impiegando il plurale, ma avverte in una nota che "di
mio gusto preferirei il singolare, che mi pare starebbe anche ad indicare
l'unità della regione".
L'Istituto centrale di statistica in tutte le sue pubblicazioni insiste
a parlare di Abruzzi e molti enti seguono l'esempio. Noi non abbiamo
alcun dubbio che la regione vada chiamata Abruzzo al singolare, come
è stabilito dalla legge regionale. La questione tuttavia non
è del tutto risolta.
La seconda questione. riguarda la collocazione. A cagione della sua
latitudine geografica, si vorrebbe da qualche studioso, come ricorda
lo stesso Milone, considerare la regione abruzzese parte dell'Italia
centrale, come il Lazio che l'affianca, anziché del Mezzogiorno.
Ben lo si potrebbe anche perché la regione si stende in realtà
lungo l'Appennino centrale. Diversa è la situazione del Molise,
ma ora che il Molise è staccato dall'Abruzzo, è molto
dubbio che la nostra regione debba essere compresa nell'Italia meridionale.
Si consideri che l'Abruzzo, anche dal punto di vista economico, gravita
principalmente verso il Lazio, mentre il Molise gravita sulla Campania.
Ad ogni modo non vogliamo perdere tempo in questioni formali. Noi usiamo
il nome al singolare e collochiamo la regione nell'Italia meridionale
come viene fatto generalmente.
Il professor Benedetto Barberi, già direttore generale dell'Istituto
centrale di statistica, e abruzzese di nascita, di carattere e di sentimento
riconosce nella regione quattro grandi aree corrispondenti molto all'ingrosso
ai quattro settori di un piano cartesiano individuato da un sistema
di coordinate oblique N-SE e SW-E, le prime appoggiate alla dorsale
appenninica e le seconde individuate dalla congiungente il bacino del
Fucino alle Valli Peligna-Pescara.
L'asse che scende obliquamente da Nord verso Sud si appoggia alle catene
della Laga e del Gran Sasso, lasciando ad Est il massiccio della Maiella.
Il quadrante NW è per intero occupato dall'Acrocoro aquilano
che si estende dal bacino di Campotosto all'Alto Aterno ed all'Altopiano
detto delle Rocche, i primi due con le spalle appoggiate alla catena
della Laga e del Gran Sasso ed il terzo a quella del Velino-Sirente.
Il quadrante SW si identifica con il bacino del Fucino.
Il Barberi ricorda che lungo i secoli i collegamenti tra queste varie
parti del grande plesso abruzzese furono rappresentati da tratturi scendenti
dall'altopiano aquilano - il tetto dell'Abruzzo - lungo i fianchi dei
fiumi verso i pascoli del Tavoliere della Puglia e della campagna romana.
Questo, secondo il Barberi, spiegherebbe la formazione di distinte comunità
socio-economiche e l'uso del nome della regione al plurale.
Ci si trova di fronte ad un ambiente geofisico frastagliatissimo che
si riflette in condizioni socio-economiche e di modi di vita assai differenziati.
Problemi e usi antichi hanno raffrenato sinora uno sviluppo di tutta
la regione: sviluppo che ora si sta aprendo con concezioni moderne e
promettenti, ma purtroppo lente.
Reddito
L'Abruzzo è
una regione povera, anche dopo che da esso si è distaccato il
Molise. Quest'ultimo è veramente di una povertà estrema
e si accompagna, per livello economico, alla Basilicata e alla Calabria:
queste sono le tre sorelle più povere dell'Italia. L'Abruzzo,
avendo "perduta" la parte più povera è salito
di un gradino.
Il reddito per abitante (anno 1975) è stato calcolato per l'Abruzzo
in L. 1.484.000, che corrisponde all'incirca allo stesso livello della
Sardegna (lite 1.493.000). Nel Mezzogiorno queste due legioni, Abruzzo
e Sardegna, occupano i primi posti, ma si trovano tuttavia nel "girone"
dei poveri, come si riscontra per tutta l'ampia area al sud di Roma.
L'agricoltura occupa ancora una parte importante nell'economia abruzzese:
il reddito prodotto da questo settore costituisce il 16 per cento del
reddito complessivo della regione, contro una quota del 9 per cento
per il complesso nazionale e il 16 per cento, nella media del Mezzogiorno.
La quota del reddito spettante all'attività industriale è
in Abruzzo del 27 per cento, pari alla media del Mezzogiorno, contro
il 37 per cento per il totale dell'Italia.
L'Abruzzo non
può fare da sè
La produzione dell'Abruzzo
non è sufficiente a coprire il fabbisogno della regione per consumi
ed investimenti. Infatti il prodotto della regione è stato nel
1975 di 1.798 miliardi di lire, mentre i consumi sono stati 1.742 miliardi
(di cui 1.407 miliardi per le famiglie e 335 per i servizi collettivi)
e gli investimenti sono ammontati a 459 miliardi di lire. Pertanto gli
impieghi (consumi e investimenti) sono saliti a 2.201 miliardi di lire:
questa somma supera di 403 miliardi quella della quantità del
prodotto: essa corrisponde (come saldo) al valore delle importazioni
da altre regioni italiane e dall'estero.
Una regione che
si spopola
L'Abruzzo è
una regione che tende a spopolarsi per effetto dell'emigrazione: dal
1951 al 1971, cioè fra gli ultimi due censimenti della popolazione,
la regione è scesa da 1.277.207 abitanti a 1.166.694 abitanti
con una perdita di 110.513 unità. Questo risultato deriva da
un aumento di 197.555 unità come differenza fra il numero dei
nati e quello dei morti e da una diminuzione di 308.068 che costituisce
la perdita per emigrazione.
E' da notare che delle quattro province abruzzesi solo quella di Pescara
ha avuto negli ultimi venti anni un aumento di popolazione, mentre le
altre si sono demograficamente impoverite. L'Aquila ha sofferto la diminuzione
più rilevante. E' quindi confermato il diverso comportamento
delle due "capitali" dell'Abruzzo: una segna un declino, l'altra
un'espansione.
Le collettività abruzzesi che vivono all'estero sono numerose:
le più importanti si trovano in Europa, in America e in Australia.
Per altre collettività, pure cospicue (come quella negli Stati
Uniti) mancano i dati.
Gli abruzzesi all'estero mantengono un forte spirito che li unisce,
come ne fanno fede le varie associazioni e i giornali di ispirazione
abruzzese.
Il "paniere"
di una famiglia povera
La spesa mensile
per famiglia è risultata di lire 347.746, contro 367.426 lire
nella media nazionale.
Questi dati confermano che il livello di consumi e dì spese dell'Abruzzo
è sensibilmente inferiore alla media nazionale. Si ha la riprova
di una regione povera, ma non di molto al di sotto della media italiana.
Allo stesso risultato si perviene considerando un gruppo di spese e
di consumi per abitante: è un gruppo che comprende articoli non
alimentari che riflettono le condizioni di vita in generale.
Una caratteristica che rispecchia le ondizioni economiche della popolazione
abruzzese si ricava dai dati sulle quantità e qualità
del bilancio alimentare delle famiglie. Per l'Abruzzo si nota una quota
più elevata della media nazionale per il pane e la pasta e il
pollame (consumo dei contadini) e una forte contrazione per il consumo
della carne bovina.
Agricoltura
Le principali produzioni
dell'agricoltura dell'Abruzzo sono (quantità vendibile, anno
1975):
Industria
Nel settore delle
industrie manifatturiere sono state censite alla data del censimento
(25 ottobre 1971) 12.934 aziende con 61.284 addetti. Le cifre più
importanti riguardano i seguenti rami:
Sono anche numerose
le industrie delle costruzioni rappresentate da 2.959 aziende e 22.934
addetti.
Negli ultimi anni si sono sviluppate nume. rose aziende industriali,
specialmente di media e piccola dimensione. Una sintesi di tale sviluppo
viene confermata dall'incremento del consumo di energia elettrica che
nel 1976 ha avuto in Abruzzo un aumento del 45,3 per cento contro un
aumento del 10,6 per cento nella media di tutta Italia.
Carenza di case
nuove
Anche l'Abruzzo,
come tutto il resto dell'Italia lamenta un'acuta crisi dell'attività
delle costruzioni, specialmente dell'edilizia abitativa. Nel 1976 sono
state ultimate 2.636 abitazioni, contro 8.500 matrimoni. Questo grave
squilibrio fra le due cifre è un chiaro indice della carenza
di abitazioni, che purtroppo dura da molti anni e si aggrava sempre
più. Le case non si costruiscono per varie cause: 1) l'elevato
costo di costruzione, 2) la difficoltà dei necessari finanziamenti,
3) la politica demagogica che trova un appoggio nella formula dell'equo
canone.
Un'attività notevole della regione è costituita dal turismo
attratto dalle bellezze naturali e dal clima favorevole e salubre. Le
giornate di frequenza dei clienti negli alberghi e negli esercizi alberghieri
sono state nei primi dieci mesi del 1976, 14.729, pari a circa il 6
per cento del totale nazionale. Si ricordi che la popolazione abruzzese
è soltanto il 2,2 per cento del totale dell'Italia: la differenza
delle due percentuali è molto ampia e conferma l'importanza del
turismo in Abruzzo.
Infine non si può ignorare una forma di attività che ha
antiche e gloriose origini nell'Abruzzo: l'artigianato, che è
fra i più sviluppati e i più rinomati anche rispetto alle
altre regioni italiane. Le magnifiche ceramiche, i lavori in pelle,
le vetrate artistiche, le cristallerie e una originale e fantasiosa
creazione nella moda femminile costituiscono un prezioso patrimonio
per la nostra regione.
Commercio estero
Sebbene la regione
non sia economicamente fra le più importanti, essa ha un commercio
estero non trascurabile. Disponiamo delle cifre rese note dall'Unioncamere
e Ufficio Italiano Cambi per i primi sei mesi del 1976, dalle quali
risultano i valori valutari riguardanti le operazioni di importazioni
e di esportazioni avvenute direttamente nella regione.
Come si vede le
esportazioni sono notevolmente superiori alle importazioni; quindi la
bilancia commerciale (secondo i movimenti valutari) è nettamente
positiva. Però fra il 1975 e il 1976 le importazioni sono aumentate
molto meno che le esportazioni.
Le merci più importanti esportate dall'Abruzzo riguardano legumi
e ortaggi, frutta, oggetti di vestiario e abbigliamento (calzature),
oggetti di pelle e di cuoio; vetrerie (specialmente verso la Francia
e la Germania occidentale); macchine, maglierie (specialmente da Teramo),
ceramiche (celebri per il loro valore artistico).
Scarsa delinquenza
Piace chiudere questa
breve nota sull'Abruzzo con una segnalazione che fa onore a questa nobilissima
regione. L'Abruzzo presenta un indice di criminalità di 40,6,
fatta uguale a cento la media nazionale. Si tratta di un indice calcolato
in modo ponderato per tener conto della gravità dei delitti,
fornitoci dal Consiglio Superiore della Magistratura (anno 1974).
Pure la delinquenza minorile è fortemente al di sotto di quella
della media nazionale. Detto indice è257,3 in Abruzzo contro
443,6 in Italia.
Anche gli ultimissimi dati sulla statistica dei delitti denunciati nel
1976 segnano una diminuzione, in contrasto con la situazione di tutta
Italia che presenta un forte aumento. La diminuzione riguarda tanto
i delitti in totale, quanto quelli contro la persona e quelli contro
il patrimonio.
Se per tutta l'Italia si confermasse il livello di criminalità
di questa regione, il numero dei delitti in Italia scenderebbe a meno
della metà di quello attuale.
Evviva l'Abruzzo!
|