Terra di violenti
contrasti, di fortissima identitá, isola di isole ricche e povere,
frutto di culture, dominazioni, esperienze diverse e complementari,
grande nel bene e nel male, madre di geniali scrittori e di sanguinari
mafiosi, baricentro di un lago mediterraneo abbandonato dalla storia,
divisa fra due poli, uno europeo e uno afro-asiatico, resta un mondo
a sé, splendida matrice di poesia. campo di ricerca della sociologia,
della storia del costume, della cronaca, dell'inquietudine, della rabbia,
del dolore del profondo Sud.

Maggiore isola del Mediterraneo, ha uno sviluppo costiero di 1.039 Km.
E' terra relativamente giovane, oggetto di svariate e grandiose vicende
geologiche. Rilievi interni emergenti da pianure. Massimo vulcano europeo,
l'Etna. Poverissima di laghi, l'isola ha pochi fiumi a regime costante,
e abbonda di torrenti e fiumare. Scarse le acque interne; indiscriminate
le bonifiche delle paludi, soprattutto costiere, tradizionale tappa
degli uccelli da passo, migranti verso l'Europa. Clima e flora tipici
dell'area mediterranea.
Il 20 per cento dell'isola è pianeggiante, il 50 per cento collinare.
I tre mari che la bagnano sono ricchi di pesci, e la pesca rappresenta
una delle attività economiche e di spicco,, soprattutto nella
fascia costiera sud-occidentale e intorno allo Stretto di Messina.
Sicilitude
Aldo Bello
Un giorno una sonda
piantata nel cuore dell'isola perforò una vena più gonfia
delle altre, e dai meandri del sottosuolo zampillò il primo petrolio
italiano. Mancando i quattrini, si ricorse ai debiti: si affittò
una Liberty quasi in disarmo, la si spedì nel Texas, si acquistò
una raffineria vecchia di mezzo secolo, si smontò pezzo per pezzo,
la si portò in Sicilia, si rimontò, si stabilirono i contatti
elettrici, si premette un bottone, si attese un tempo più breve
di un attimo e più lungo di un'eternità: gli ingranaggi
scricchiolarono sinistramente, dapprima, poi trovarono un accordo, si
misero al passo, accelerarono. In quel preciso momento la Sicilia apriva
una breccia nel muro del suo medioevo, ed entrava nel futuro. Non tutta
intera, solo una piccola parte: ma in qualche modo, e da qualche punto,
si doveva pure incominciare. Erano secoli che quest'isola aspettava
il momento buono. Il suo primo futuro lo aveva predisposto uno svevo
immigrato, il secondo Federico. tiranno liberale del ramo Hohenstaufen,
nella cui corte palermitana nacquero lingua e letteratura italiana.
Poi fu la decadenza, e furono la povertà e l' isolamento, le
fulminee invasioni e le sanguinose rapine. Chiuse a riccio, la Sicilia
inventò allora l'arma dell'autodifesa: un fucile a canne mozze,
che esplodeva solo cartucce con quattordici pallettoni da sedici millimetri
ciascuno. Intorno a questa cartuccia-simbolo, (la lupara), si raccolse
l'onorata società. Quando l'onore decadde, e la società
si trasformò in cosca, la mafia cambiò faccia, passando
dal mutuo soccorso al delitto.
Le grandi terre della mafia sono le stesse in cui, dal 1868 ad oggi,
si sono verificati i più tremendi terremoti. Sono le aree della
Sicilia occidentale, e hanno itinerari precisi: Mazzarino, Agrigento,
Raffadali, Mussomeli, Menfi, Corleone. Castelvetrano, Partanna, Marsala.
Trapani, Castellammare, Alcamo, Palermo, Termini Imerese, Montelepre,
Misilmeri, Enna, Partinico, Monreale. Il cuore della Sicilia mafiosa
è Corleone. Il cuore dell'organizzazione è Palermo. Un
pugno di banditi tiene in scacco l'isola, ed è l'asse portante
di una catena di montaggio che va dalle colture di droga nel medio ed
estremo Oriente all'apparato "produttivo" della prostituzione,
del taglieggiamento, del gioco d'azzardo, del contrabbando, negli Stati
Uniti, per un giro annuo di alcune decine di miliardi di dollari. Un
pugno di banditi: con un capo dei capi, rispettato quanto temuto. Anche
da morto. Sulla tomba di don Calò Vizzini, pezzo da novanta per
oltre mezzo secolo, una lapide nel cimitero di Villalba dice: "Comm.
Calogero Vizzini / precorse ed attuò la riforma agraria / sollevò
le sorti di tutte le ingiustizie / fu difensore del diritto dei deboli
/ raggiungendo altezze mai toccate". E costui fu imputato, in vita,
quale mandante di omicidio, e di una lunga serie di delitti, dalla rapina
all'abigeato, dalla truffa aggravata all'estorsione, dalla corruzione
di pubblici funzionari alla bancarotta fraudolenta. Fu un magistrato
a tesserne l'elogio funebre in un commosso articolo.
La mafia tradizionale, quella dei feudi, l'organizzazione che si incentrava
sui gabellotti e sui campieri, sopravvive assai ridotta solo in alcuni
centri minori dell'interno. Il colpo mortale lo ebbe nel 1950, con la
legge di riforma agraria che limitò in Sicilia il diritto di
proprietà terriera a duecento ettari, e con un'altra legge, che
proibì la subconcessione delle affittanze. Da allora, altre cose
sono accadute: l'arresto di numerosi mafiosi, il domicilio coatto di
altre centinaia di sospetti, la sorveglianza dei conniventi. Ma si può
parlare di fine della mafia? Virgilio Titone, dell'università
di Palermo scrive: "La mafia come vera organizzazione non esiste.
Essa è un'espressione dell'anima siciliana. E' una mentalità
( ... )". Nella sua "Storia della mafia e del costume",
Titone espone la teoria dell'intrastoria: "Tutta la vita che un
popolo ha vissuto dai tempi più remoti non si è cancellata.
Vive ancora e contribuisce al determinarsi dell'azione nel presente.
Siamo quelli che vogliamo essere, ma anche quello che furono i nostri
avi". La causa comune del fenomeno, conclude, è l'inerzia
morale di un popolo. Dunque: abbattuta, o quasi, quella che era un'organizzazione
con leggi particolari e con riti primordiali, ma che esercitava un potere
effettivo, resta un modo di essere e di agire. L'intrastoria, (vale
a dire. le stratificazioni inconsapevoli che determinano un modo di
pensare), non si liquida comminando qualche anno di confino, né
nello spazio di una o due generazioni. Occorre tener conto dell'evoluzione
del fenomeno: oggi resta qualcosa della mafia tradizionale; ma c'è
anche la giovane mafia, che si è spostata nella città,
o che è addirittura emigrata, in Italia e oltreoceano; che ha
aperto nuovi "mercati", sconosciuti mezzo secolo fa (prostituzione
organizzata, tabacco. droga), e ha travalicato anche i confini della
politica, scalando per tempo i gradini della media e dell'alta burocrazia.
La mafia ha adeguato i propri metodi ai tempi. Infatti, scrive Michele
Pantaleone, "dallo sfruttamento dell'agricoltura e della pastorizia
si è passati agli appalti, agli uffici dell'Ente Regione, al
contrabbando internazionale, alla conquista del mercato delle grandi
città, alla conquista, infine, del potere politico". Ma
come mai i "vecchi" sono sopravvissuti? Perché in Sicilia
famiglia e amico sono una religione. Dice Titone: "Da qui nasce
la negazione dello Stato. Così si esprime la delinquenza".
Che si aggiorna: accostando al fucile a carne mozze il mitra a tiro
rapido.
Dunque, tutta la Sicilia va alla deriva? Sarebbe ingeneroso affermarlo.
Scandali e corruzioni; economia squilibrata; mondo politico instabile:
la Sicilia dei poveri fa, sgomenta, il conto delle occasioni mancate,
delle omertà, delle frane che hanno cancellato mezza Agrigento,
delle speculazioni che hanno deturpato l'inimitabile barocco di Noto
e cancellato la vista del mare a Palermo; dei fantasmi di avveniristiche
città rurali in cui non circolano né gli uomini né
il benessere; delle città industriali in cui la vita è
rimasta la stessa di decine di anni fa; dei paesi arroccati in cima
ai colli, svigoriti dalle massicce emigrazioni. Di questa Sicilia dolente
si parla solo per i delitti clamorosi. Ma c'è un'altra Sicilia.
Ci sono delle isole nell'isola. Quelle che sono l'altra faccia di questo
Pianeta triangolare.
Siracusa, anzi "le Siracuse", vanno guardate dall'alto del
castello Eurialo, la fortezza più poderosa dell'antichità,
costruita in sei anni, dal 402 al 397, da Dionigi il Vecchio, l'astuto
tiranno che dominava su quei centri (Epipoli, Neapoli, Tiche, Acradina,
Ortigia) che poi hanno dato un nome alla città, e che allora
avevano sconfitto Atene, scuola del mondo, e non temevano Cartagine,
terrore di Roma. Il concetto della pluralità di Siracusa riecheggia
ai nostri tempi. A nord si prolunga lo sperone di Augusta, con il settore
di rada noto come porto megarese. Al tempo di Dionigi si chiamava Xifonia,
e i siracusani l'avevano rasa al suolo. Ora è il vero porto siracusano,
l'unico ad avere pontili metallici, senza moli. L'altra Siracusa è
a sud, è più importante di tutte, è quella che
ha miracolato la città-madre: è Priolo, la più
grossa concentrazione industriale dell'isola.
Operosa, fervida, realistica, Catania è una città travolgente,
unica in Occidente per la voracità aggressiva del successo. in
commercio n nell'imbroglio, dotata di erompenti energie, instancabile
nella corsa a creare. a costruire, a inventarsi ogni giorno attività
nuove, a investire in imprese sempre più imponenti per dimensioni
e reddito. Alcuni dicono che Catania è la Milano del Sud. Il
raffronto è restrittivo. Catania è quel che è San
Paolo per il Brasile, anche per il disordine edilizio e la trasandatezza
di certi suoi quartieri. I suoi mezzi grattacieli camminano prodigiosamente,
divorando la montagna più bella del mondo.
Ragusa passeggia sul petrolio, dorme sul petrolio, ma non mangia col
petrolio. Ne sente l'acre odore proveniente dai pennelli di fuoco delle
ciminiere petrolchimiche. L'oro nero scorre sotto i piedi dei ragusani,
convogliato nei pipelines, i grossi serpenti che si snodano da qui alla
zona industriale siracusana. Lungo questi serpenti non fugge solo il
petrolio, ma anche la grande speranza sorta allorché nel sottosuolo
furono scoperte le prime falde. I ragusani si sono così rifugiati
nell'agricoltura. Un fatto non comune: qui non si ha ricordo del latifondo.
I contadini sono coltivatori diretti in virtù di una distribuzione
delle terre attuata nel Sei e Settecento.
Città nobile, Palermo, per arte e cultura. Ma l'aristocrazia
dell'antica capitale è da tempo una potenza finita. I nuovi ricchi
sono gli appaltatori. La borghesia, dal canto suo, cela il bubbone della
burocrazia. L'industria non è grama. Tranne che per la chimica,
questa città è in testa in ogni settore.
Dalle alture precipiti di Caltagirone, l'orizzonte verso Gela si infittisce
di ciminiere, comignoli, tubi verticali, serpentine, sfere d'acciaio,
e il cielo ha già sapore d'Africa: il panorama è avveniristico,
la tecnologia ha raggiunto vertici alti. Il complesso petrolchimico
è un prodigio di tecnica in un mondo che per troppi secoli ha
conservato un'immobilità medioevale.
Fiorente è Messina, colta e civile. Qui il corno isolano si protende
nel mare dei pescispada verso il continente, su uno Stretto che atterrì
generazioni di ulissidi. All'interno, Enna è un'oasi nel deserto
delle pietre accartocciate dal sole, Caltanissetta è, la città
più verticale d'Italia. Poi si scende verso Mazara, primo porto
peschereccio della penisola. Dalla lontana Pantelleria il vento porta
il profumo dello zibibbo. Le altre isole sono a nord, si specchiano
in un mare che è un pò anche calabrese: le Eolie, equidistanti
da Capo Vaticano e Capo d'Orlando.
Un'altra isola, quella culturale, che dalla Scuola Siciliana al Meli,
al Verga e al Capuana fu una lunga nilizia intellettuale e civile, e
da Quasimodo a Pirandello, da Brancati a Tomasi di Lampedusa, a Vittorini,
a Sciascia, ha dato al nostro Paese un'impronta originale, ha tratto
dal porto delle nebbie della letteratura provinciale e strapaesana,
orientandolo su rotte europee e planetarie.
Sicilitude, dunque: Sicilianità. Sicilia grande nel bene e nel
male, da sempre, con le inquietudini, gli slanci, le improvvise cadute,
le rabbiose risalite. Sicilitude: amore per una terra che si ha nella
pelle.
Letteratura di
Sicilia
Ada Provenzano
E' in Sicilia che,
tra il quarto e il settimo decennio del secolo XIII, si elaborarono
i primi esemplari autorevoli di una letteratura colta: istituti, forme,
metri, temi e per molta parte lo stesso materiale linguistico, che poi
emigreranno in Toscana. Merito di Federico di Svevia e del figlio Manfredi,
ma anche della favorevole posizione geografica, del peso e della qualità
di una lunga tradizione culturale (cresciuta con bizantini, arabi, normanni),
e poi di una politica liberale e tollerante che vide, se non fusi, certamente
giustapposti gli apporti di diverse civiltà, tutte di alto livello.
La Scuola Siciliana fu dunque una specie di "Tavola rotonda",
e all'ombra della Cancelleria sveva si elaborarono i modelli più
originali e nobili e preziosi di uno stile che avrebbe dominato a lungo
nella nascente letteratura nazionale. Lo stesso Federico II, il figlio
Enzo, e poi Pier delle Vigne, Jacopo da Lentini Giacomino Pugliese,
Giodo e Odo delle Colonne, Percivalle Doria, Rinaldo d'Aquino, Cielo
d'Alcamo, e tutta una schiera di rimatori e letterati, provenienti da
diverse parti d'Italia, trovò presso la Curia sveva un clima
e un terreno fertilissimi. La fine degli Hohenstaufen segnò anche
il tramonto di questa tradizione. Ci fu poi un lungo periodo di quasi-silenzio,
anche se gli scambi intellettuali con il continente non si interruppero
mai del tutto e le voci, pur modeste, della cuitura siciliana, mostrano
quanto essa fosse aperta agli influssi delle nuove idee e delle nuove
forme d'arte. Così, nel Trecento fiorirono codici e parafrasi
di laude, sonetti giocosi e gnomici, e una cospicua storiografia (con
Bartolomeo da Neocastro, Niccolò Speciale, Angelo di Capua, Giovanni
Campolo, Simone da Lentini, Niccolò Casucchi), mentre nel Quattrocento
filologia e letteratura umanistica trovarono nell'isola numerosi e importanti
cultori, che estesero la loro operosità anche fuori dell'Isola.
In questo secolo, e in tutto il Cinquecento, si registrarono vari riflessi
del gusto petrarchesco; il Seicento ebbe esempi numerosi e non trascurabili
di marinismo, (Scipione Errico, Giuseppe Artale e il Perrucci); nel
Settecento succedette il momento arcadico: tutta una letteratura minore,
ripeto, che rimase sempre ai 'margini delle grandi correnti di sviluppo
della cultura nazionale e, in nessun momento si inserì con opere
di primo piano. Maggior fortuna ebbe la poesia popolare e in vernacolo.
Già nel Cinquecento, con coscienza chiara e risoluta, Antonio
Veneziano da Monreale fondò una tradizione di letteratura schiettamente
dialettale. Sulla sua scia operarono numerosi rimatori, (Galeani, Sanclemente,
Maura), che si prolungarono per tutto il Settecento (Gambino, Vitali,
Gangi, Scimonelli), e nell'Ottocento, (con il Tempio, e soprattutto
con Giovanni Meli, di Palermo). Gli estremi rappresentanti della letteratura
accademica e colta saranno, nel XIX secolo, lo storiografo Emiliani-Giudici,
i poeti Mario Rapisardi e G. A. Costanzo. Solo con Verga, dopo le prime,
dispersive esperienze, riemerse la memoria di una realtà radicata
in un paesaggio desolato, popolata di cose e figure intatte ed elementari,
calata in un linguaggio vergine e senza tempo, in un patrimonio ricchissimo
di riti e costumi e proverbi e melopee, popolari. Così la Sicilia
trovò veramente il suo poeta, riecheggiato, nel verismo, da Luigi
Capuana, dal napoletano di nascita ma siciliano di adozione Federico
de Roberto, da Nino Martoglio, da Vincenzo Di Giovanni. Per opera di
questi scrittori, l'Italia ebbe dall'isola tutto lo stimolo di una letteratura
nuova, più moderna, nazionale e al tempo stesso europea.
Da questo momento in poi, la cultura siciliana, pur senza rinunciare
alla tradizione di poesia dialettale, che anzi si aggiorna e si affina
(Francesco Guglielmino, Vann'Antò), si inserisce con una continuità
mai verificata nel passato nel quadro della vita e della letteratura
italiana. Luigi Pirandello accoglie i temi di una sensibilità
modernissima e attinge a risonanza mondiale; Salvatore Quasimodo, G.
A. Borgese, Luigi Russo, Elio Vittorini, Vitaliano Brancati, Leonardo
Sciascia, Tomasi di Lampedusa, creano matrici narrative, poetiche e
critiche di assoluta originalità. Giovanni Gentile, filosofo
e organizzatore della cultura, esercitò un potente influsso sugli
svolgimenti della cultura italiana in senso antipositivistico, e fu
dapprima parallelo, poi antitetico a Croce. E poi una schiera di contemporanei,
da Longo a Marrone, a Villaroel, a Bartolo Cattafi, a Stefano Landi
(figlio di Pirandello, Landi è pseudonimo), al Nicastro, al Fiorentino,
al Guarnaccia, al Gori, al De Maria, al Comes, che si confondono nell'alveo
della comune cuitura nazionale, senza rinnegare il vivente patrimonio
di un'esperienza siciliana maturata per secoli in una dura solitudine
e in uno scontroso silenzio, in una costante inquietudine e in un macerante
amore-odio per tutto ciò che è dentro e fuori Sicilia.
Storia di Sicilia
Pino Orefice
La Sicilia entra
nella storia con la colonizzazione greca: Nasso è fondata dai
Calcidesi, Siracusa dai Corinzi; Nasso fondò Catania;, Cuma fondò
Zancle (Messina). Poco dopo sorsero Selinunte e Agrigento. Nel VI secolo
i Fenici fondarono Panormo (Palermo) e Solunto. Nacquero così
le "poleis", che non ebbero monarchie: il potere fu tenuto
da aristocrazie fondiarie, con le quali gareggiarono più tardi
le plutocrazie industriali e commerciali. Intorno al 500 a. C. emersero,
tutti siciliani, i "tiranni", conservatori geniali e bellicosi,
che tuttavia tennero in gran conto la cultura (Stesicoro, Epicarmo,
Sofrone, Gorgia, Empedocle). Con la prima guerra punica, l'isola passò
ai Romani. Con l'ordinamento dioclezianeo-costantiniano venne a far
parte dell'Italia. Verso la metà del V secolo d.C. i Vandali,
stabilitisi in Africa, si impadronirono della Sicilia. Odoacre ne ottenne
la restituzione, e Teodorico ne conservò il possesso. Poi passò
nelle mani di Belisario. L'isola rimase per tre secoli sotto i Bizantini.
Goti e Longobardi non vi misero mai piede. I Musulmani, che avevano
flotte potentissime, diedero il via alle incursioni nel VII secolo,
poi conquistarono l'isola e la tennero per secoli, finché dovettero
cederla ai Normanni. Dagli Altavilla, la Sicilia passò agli Svevi,
poi agli Angioini che usarono un pugno così ferreo, da provocare
sanguinose rivolte (come quella dei Vespri, del 3 marzo 1282). Nuova
guerra, questa volta tra Francia e Spagna: la Sicilia passò agli
Aragonesi, poi agli Aragonesi-Castigliani. Unita al Regno di Napoli,
fu in seguito sede di un viceré. La politica di rapina degli
spagnoli fu tale, da suscitare violentissime rivolte, domate nel sangue.
Con la pace di Utrecht (1713), il regno di Sicilia fu assegnato a Vittorio
Amedeo II di Savoia; poi l'isola fu data all'Austria, che la uni a Napoli,
finché fu riconquistata dalla nuova dinastia borbonica di Spagna.
Nacque così il Regno delle due Sicilie. Gli anni centrali della
Restaurazione videro sul trono Federico I, Francesco I, e soprattutto
Ferdinando II. Rivolte e moti (in anticipo su analoghi movimenti nei
restanti Stati della penisola) non si contarono. Ci fu una breve parentesi
sabauda, poi la riconquista borbonica. La coscienza siciliana era però
sempre più indirizzata verso l'unità nazionale: da qui,
una serie di rivolte, una guerriglia quasi costante, che fu il terreno
fertile nel quale crebbe la Carboneria. E da qui, le premesse per la
conquista garibaldina, molto più rapida di quel che si poteva
pensare. Tuttavia, aristocrazia e borghesia isolane non pensavano a
un'annessione vera e propria. Quando questa si verificò, e soprattutto
quando i ceti popolari ebbero a soffrire ancor più che nel passato,
nacque e si diffuse il brigantaggio, fenomeno sociale di ribellione
al nuovo dominio. Dal 1866 al 1894 le condizioni della Sicilia peggiorarono,
sicché la coscienza popolare maturò nelle forme organizzative
dei Fasci dei lavoratori, poi sciolti con la forza e distrutti con i
tribunali militari istituiti da Crispi. Stessa povertà si ebbe
nel periodo giolittiano, quando il protezionismo industriale gettò
nella fame e nella disperazione I'intero Mezzogiorno, e alimentarono
quella "Questione meridionale" che resta il fiore all'occhiello
della cultura politica italiana di una lunga età. Dopo il periodo
fascista, finito il secondo conflitto mondiale, l'isola fu la prima
regione italiana a ottenere l'autonomia, addirittura in anticipo sul
varo della Costituzione: il decreto legislativo, del 15 maggio del 1946,
concedeva alla Sicilia l'autonomia amministrativa. Nell'aprile del 1947
veniva eletto il primo Parlamento siciliano. L'isola entrava nella storia
contemporanea.
PROFILI DELLE
REGIONI DEL MEZZOGIORNO
Sicilia
Guglielmo Tagliacarne
L'isola grande con
grandi Comuni.
A guardarla su una carta geografica, pare si culli nel vasto mare, a
metà distanza fra Gibilterra e Suez, grande ponte fra l'Europa
e l'Africa.
Superficie, popolazione
e occupazione
La superficie della
Sicilia (2.571 mila ettari) è superiore a quella di tutte le
regioni italiane. Anche come superficie agraria e forestale, l'Isola
(2.386 mila ettari) supera tutte le altre regioni. La densità
della popolazione rispetto al territorio (1.891 abitanti per Kmq.) è
pari alla media nazionale (185,9).
La Sicilia ha una popolazione di 4.860 mila abitanti al 31 dicembre
1975, superiore a quella del Piemonte (4.542 mila abitanti), ma ha,
proporzionalmente, un numero esiguo di comuni: ne ha soltanto 384, mentre
il Piemonte ne conta ben 1.209. Una provincia, Ragusa, comprende solo
12 comuni: non v'è nessun'altra provincia con un così
piccolo numero di comuni. La provincia di Isernia, che ha una popolazione
pari ad un terzo di quella di Ragusa, conta 52 comuni. Questa caratteristica
- di comuni molto grandi - non viene generalmente messa in luce, ma
va considerata per i suoi riflessi amministrativi e di assetto territoriale.
Un'altra caratteristica da, segnalare è la presenza di due grandi
città: Palermo e Catania. Palermo, per numero di abitanti, è
al sesto posto fra le città italiane; Catania è al nono.
Stiamo parlando di caratteristiche; ve n'è un'altra che merita
di essere segnalata; in Sicilia si riscontra il più basso tasso
di attività della popolazione. Su 100 abitanti, quelli che figurano
attivi (popolazione di oltre 10 anni di età, che esercita una
professione, arte o mestiere in proprio o alle dipendenze, ivi compresi
i coadiuvanti) sono soltanto 28,2 con una media di 34,7 per il complesso
nazionale e contro il massimo di 40,2 nell'Emilia-Romagna, e i valori
di 39,4 in Piemonte e 39,0 in Lombardia.
Perdita demografica
Nell'intervallo
fra i due censimenti 1951 e 1971 ben 274 su 382 comuni hanno avuto una
perdita di popolazione con valori massimi di -52,9 per cento nel comune
di Acquaviva Platahìna, -51,2 per cento nel comune di Villalba,
-46,7 per cento nel comune di Floresta. Per contro si segnalano forti
aumenti di popolazione nei comuni di Gravina di Catania (+234 per cento),
Tremestieri Etneo (+240 per cento) e San Giovanni La Punta (+105 per
cento).
Movimento naturale
e migrazione
La natalità
in Sicilia è alta (18,1 per mille abitanti), ma non raggiunge
i valori eh altre regioni (Campania, Puglia e Sardegna: la media italiana
è15,7 per mille abitanti). La mortalità (8,7 per mille
abitanti) è anch'essa piuttosto elevata, essendo superiore a
quella di altre cinque regioni del Mezzogiorno, ma è inferiore
alla media nazionale (9,5 per mille abitanti). La mortalità infantile
è ancora molto elevata (26,4 per mille nati vivi contro 22,6
per mille nella media nazionale). Infine è da segnalare un numero
di figli illegittimi relativamente basso, sensibilmente inferiore alla
media nazionale (2,0 per 100 nati vivi in Sicilia; 2,5 per 100 nati
vivi in media per I' Italia).
La Sicilia presenta un'alta emigrazione verso le altre regioni; essa
si rivolge prevalentemente verso la Lombardia (circa 16.000 nel 1973),
in Piemonte (13.000), Lazio (4.600), Toscana (3.700) e Liguria (3.300).
Pure notevole è l'emigrazione verso l'estero, specialmente in
Germania (4.759 nel 1975), Svizzera (1.570) e Stati Uniti (1.147).
Analfabetismo
e abitazioni
La situazione abitativa
non è delle migliori: considerata la media per l'Italia di 0,96
persone per una stanza occupata, la Sicilia presenta un rapporto di
1,2; quindi meno di una stanza per persona. E' inoltre da notare che
in Sicilia si ha il massimo numero di alloggi, se così si possono
chiamare, costituiti di cantine, soffitte e altri simili. Il 40 per
cento di detti alloggi di tutta Italia sono stati censiti in questa
Isola.
L'analfabetismo è ancora elevato: 10,7 analfabeti su cento persone
di oltre sei anni di età: circa il doppio della percentuale della
media nazionale (5,2 per cento). E' però da avvertire che la
maggior parte (7,7 per cento) di detti analfabeti è costituita
da persone di oltre 45 anni di età.
Divorzi
Il numero dei divorzi
in Sicilia è sensibilmente più elevato rispetto alla media
nazionale: 138,2 su 100.000 coniugati e separati contro una media nazionale
di 124,8. La cifra della Sicilia è la più alta fra le
regioni del Mezzogiorno, ed è superata solo dal Lazio e dalla
Lombardia. Anche per le domande di scioglimento del matrimonio la Sicilia
presenta una cifra molto elevata.
Attività
economiche. Turismo
La Sicilia ha il
maggior numero di aziende agricole in confronto a tutte le altre regioni
(il 13 per cento dell'intero Paese). I prodotti agricoli più
importanti sono gli agrumi, le Olive, l'uva e il grano. Notevole è
il numero degli ovini e caprini.
Assume una certa importanza la produzione di energia elettrica (termoelettrica),
circa un decimo della produzione nazionale, impiegata specialmente in
agricoltura.
L'attività turistica è rilevante, ma assai inferiore a
quella che potrebbe essere in relazione alla bellezza dei luoghi, al
dolce clima e alle attrattive artistiche e storiche. L'attrezzatura
alberghiera ed extra alberghiera non è adeguata al potenziale
turistico: essa è costituita da 81 mila posti letto, solo il
due per cento del totale dell'Italia.
Turisti stranieri
(specialmente tedeschi)
Nel 1975 sono stati
ospitati negli esercizi alberghieri ed extralberghieri della Sicilia
1.648.000 clienti con 6.056.000 giornate di presenza, pari al 4 per
cento dei clienti di tutta Italia e appena il due per cento delle giornate
di presenza. Gli stranieri sono stati 427.000 con 1.949.000 giornate
di presenza, pari al 2-3 per cento del totale dell'Italia.
I paesi di provenienza dei turisti stranieri arrivati in Sicilia sono
stati specialmente: tedeschi (Germania R. F. 26,4 per cento delle presenze
di tutti gli stranieri arrivati nella regione); francesi (19,4 per cento),
inglesi (15,0 per cento) e svizzeri (14,3 per cento).
Scarsa è la motorizzazione. Su 100 abitanti si ha, come media
italiana, 25,7 autovetture; la media sale a 34 in Piemonte, mentre in
Sicilia si riduce a 20,0. Tuttavia questa è la frequenza più
elevata in confronto alle altre regioni del Mezzogiorno (solo 14,1 per
mille abitanti in Basilicata). A proposito di circolazione automobilistica
è da segnalare una cifra interessante: gli incidenti costituiscono
in, Sicilia un minimo, 0,7 su 100 veicoli, contro 1,4 nella media. italiana.
Su 100 occupati nelle attività economiche, la Sicilia ne conta
27,3 in agricoltura, 32,2 nell'industria e 40,5 negli altri settori
(compresa la pubblica amministrazione).
Il numero dei disoccupati è meno rilevante che in ogni altra
regione del Mezzogiorno. Infatti per la Sicilia si hanno 1,2 disoccupati
su 100 abitanti, mentre nella media del Mezzogiorno ve ne sono 1,7 per
cento.
Un indicatore sintetico di grande significatività è il
consumo di prodotti petroliferi, specialmente la benzina per autovetture
e l'olio combustibile che riflette l'attività economica (produzione
industriale). Nel 1975 il consumo di benzina-auto in Sicilia è
stato (835.000 tonnellate) il 7,6 per cento di tutta Italia quello dell'olio
combustibile è stato del 6,3 per cento (2.318.000 tonnellate).
Le esportazioni siciliane verso l'estero (movimenti valutari) costituiscono
una quota relativamente modesta: circa il 2 per cento di tutta Italia
nel 1975 (ma una parte delle esportazioni siciliane si attuano da altre
località extra isola).
Elevata la quota
di spese per l'alimentazione
Le spese per l'alimentazione
assorbono nella nostra Isola il 43,4 per cento di tutte le spese familiari;
è una quota sensibilmente più elevata di quella che si
riscontra nella media nazionale; segno evidente del livello relativamente
basso delle condizioni economiche dei siciliani. Di ciò si ha
conferma nella percentuale della spesa per pane e cereali: il 15,4 per
cento di tutte le spese alimentari: la più alta rispetto a tutte
le altre regioni (media italiana 11,6 per cento).
Le spese per spettacoli (lire 4.707 per abitante nel 1972) sono la metà
di quelle del Centro-Nord (lire 8.686) e molto inferiori a quelle della
media nazionale (lire 7.183). Tuttavia si rileva una elevata proporzione
nei riguardi della spesa per concerti e lirica e di quella per cinematografi.
La distribuzione degli sportelli bancari in Sicilia è abbastanza
elevata: è superiore alla media nazionale e ai valori di tutte
le altre regioni del Mezzogiorno. Su 10.000 abitanti gli sportelli sono
2,1 in Sicilia, contro una media di 2,0 per l'Italia e di 1,4 per l'area
del Mezzogiorno.
Reddito pro capite
un milione
Il reddito prodotto
netto in Sicilia è stato calcolato complessivamente in 4.827
miliardi di lire, pari a 1.002.355 lire per abitante, contro la media
italiana di 1.419.722 lire. Quindi la media siciliana rappresenta il
70,6 per cento di quella dell'Italia., L'agricoltura costituisce ancora
una quota notevole in Sicilia. Le quote percentuali di reddito dei vari
settori di attività economica rispetto alla media italiana e
alla media del Mezzogiorno sono riportate nel seguente prospetto (dati
del 1974).
Il tenore di
vita
Considerando un
gruppo di consumi e spese non alimentari, troviamo che la media pro
capite per la Sicilia è soltanto il 73 per cento della spesa
per il complesso nazionale. Ma il livello di consumi è sensibilmente
diverso da una provincia all'altra. Fra le nove province siciliane si
riscontra una media di 82 (fatto =100 la media italiana) nella provincia
di Catania, di 81 in quella di Siracusa: sono queste le due province
relativamente più ricche. Il valore minimo si riscontra nella
provincia di Enna, il cui indice (49) è al di sotto della metà
della media nazionale.
Siciliani all'estero:
quasi un milione
Fra le collettività
italiane residenti all'estero, una delle più numerose è
quella dei siciliani, che ammontano a 846.807 persone, così ripartite
nei vari paesi.
Essi rappresentano il 18 per cento della popolazione della Sicilia.
La collettività più numerosa si trova in Argentina con
217.286 siciliani.
Progressi notevoli
negli ultimi anni. Al primo posto Siracusa
Prima di terminare
desideriamo confrontare i dati del 1974 con quelli del 1951. Per la
media nazionale si è registrato fra il 1951 e il 1974 un aumento
del reddito pro capite del 676,8 per cento; in Sicilia l'aumento è
stato sensibilmente superiore, 714,1 per cento. Notevoli differenze
si notano da una provincia all'altra: l'incremento più importante
è stato registrato nella provincia di Siracusa (833,1 per cento)
e in quella di Caltanissetta (806,6 per cento). Gli incrementi minori
si sono riscontrati nelle province più avanzate: Palermo (673,5
per cento) e Catania (647,8 per cento).
Se si considera il reddito complessivo (anziché quello pro capite),
si ha perla Sicilia un aumento del reddito prodotto dal 1951 al 1974
lievemente inferiore a quello medio nazionale: Sicilia 773,8 per cento;
Italia 809,7 per cento. La provincia di Siracusa è quella che
ha registrato l'incremento complessivo più elevato (999,3 per
cento).
Sicilia 2000
Ornello Vitali in
un pregevole studio sulle prospettive dell'andamento della popolazione
nei prossimi decenni, ha calcolato che la Sicilia dovrebbe contare nel
2.001 una popolazione di 6.636 mila abitanti contro 4.989 mila nel 1971.
Con ciò la popolazione dell'Isola, che nel 1971 costituiva il
9,2 per cento della popolazione italiana, salirebbe al 10,3 per cento
nel 2.001. A quest'ultima data la Sicilia verrebbe al terzo posto come
forza demografica, dopo la Lombardia (14,0 per cento della popolazione
italiana) e la Campania (12,1 per cento).
Dette previsioni fanno astrazione dai movimenti migratori: esse assumono
un valore abbastanza credibile, in quanto l'emigrazione dell'Isola è
in continua diminuzione. Ad ogni modo si riportano le cifre previste
anche sulla base di un'emigrazione nella misura constatata negli ultimi
due anni.
La densità
della popolazione (numero di abitanti per Kmq), passerebbe da 194 nel
1791 a 258 nel 2001 (proiezione del solo movimento naturale, nascite
e morti). Resterebbe immutata se si considerasse anche il movimento
migratorio.
Le carenze
La Guida statistica
dei consumi e delle aree del Mezzogiorno, recentemente pubblicata dalla
SVIMEZ ci offre in questo specchietto una situazione dei comuni della
Sicilia rispetto alla presenza o assenza di alcuni servizi essenziali.
Aree socio-economiche
Sono state individuate
in Sicilia (Unione Italiana delle Camere di Commercio) 32 aree socio-economiche,
che rappresentano circoscrizioni subprovinciali caratterizzate da elementi
di gravitazione e complementarietà. Di ognuna di esse diamo il
numero di comuni e il numero di abitanti.
Sicilia in sintesi
La Sicilia è
la regione più estesa d'Italia con una densità di popolazione
pari a quella media nazionale. Lo sviluppo industriale è stato
importante, ma l'attività agricola costituisce tuttora una risorsa
notevole specialmente per i ricchi agrumeti, che rappresentano un primato
non solo per l'Italia, ma per tutta l'Europa. Il progresso conseguito
negli ultimi anni è stato cospicuo, ma ciò non di meno
il valore economico dell'Isola è rimasto arretrato rispetto alla
media nazionale, all'incirca, in senso relativo, come venti anni addietro.
La Sicilia conta tre città importanti: Palermo, Catania, Messina;
esse concentrano una quota rilevante dei redditi e dei consumi della
regione: nelle tre rispettive province si concentra più della
metà del reddito complessivo prodotto dalle nove province siciliane;
un quarto del totale regionale è rappresentato dalla provincia
di Palermo.
Come elementi negativi segnaliamo l'alta quota di analfabeti, l'elevato
indice di affollamento nelle abitazioni e il gran numero, di pseudo
abitazioni (cantine, soffitte, ecc.), la mancanza in molte abitazioni
di adeguati servizi igienici e di acqua potabile, la carenza di aule
scolastiche e di mezzi di trasporto, l'insufficienza della ricettività
alberghiera, la scarsità di istituti di cura, e infine la bassa
quota di popolazione attiva (la più bassa di tutte le regioni
italiane).
Nel complesso la Sicilia è povera; i progressi conseguiti da
un decennio all'altro sono modesti, specialmente riguardo allo sviluppo
industriale; più soddisfacente è il miglioramento del
tenore di vita, ma molto si deve ancora fare per portare l'Isola ai
livelli di elevata civiltà e prosperità come merita la
sua popolazione intelligente e attiva.
Poche promesse sono state mantenute dai pubblici poteri; le delusioni
non mancano, fra le quali non si può dimenticare il ponte di
Messina, che potrebbe portare all'Isola un grande beneficio economico
e sociale.
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