Il prepotente
ritorno dello Stato
nell’economia si
inserisce in un
trend che vedeva
lo Stato uscire dal
capitale bancario
in quasi tutti
i Paesi del mondo. |
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Il 2009 ha definitivamente sancito nello scenario
mondiale la presenza di una stagione
del risanamento finanziario che passa attraverso
la fissazione di criteri e di regole ispirati
all’assunzione di precise responsabilità
di tutti gli attori del sistema politico ed economico.
Si tratta di un passo avanti significativo rispetto
a quanto registrato lo scorso anno.
Infatti, fatte salve alcune isolate eccezioni,
allora il susseguirsi di difficoltà e imbarazzi
di natura finanziaria dopo le prime reazioni
di stupore aveva suscitato un dibattito centrato
sulla natura della crisi (sistemica o
meno) più che sulle ragioni della sua origine
e sugli strumenti necessari per affrontarla.
Il tirocinio di esperienze degli scorsi mesi,
nel generare nuove certezze e consapevolezze
su cause e dimensioni di questo sconvolgimento
dei mercati finanziari e dei suoi
marcati riflessi sulle economie reali dei diversi
Paesi, ha contemporaneamente sviluppato – come spesso avviene nelle fasi di
estrema criticità – sentimenti di solidarietà e
cooperazione utili a fare fronte comune alla
complessità e alla gravità delle situazioni
che si andavano a mano a mano delineando.
L’avvento di un nuovo inquilino alla Casa
Bianca e il suo cambio di registro politico
(anche se appare inevitabilmente prematura
una valutazione approfondita e circostanziata
delle linee programmatiche enunciate
da Barack Obama), uniti a una maggiore
coesione di intenti e di operatività a livello
di Paesi UE e ad una condivisione di obiettivi
e strumenti con le potenze planetarie
emergenti del BRIC (acronimo con cui si indicano Brasile, Russia, India e Cina),
sembrano delineare uno scenario meno inquietante del temuto; pur continuandosi a
manifestare i segni inequivocabili di una
crisi, misurabili in termini di diminuzione
sia del PIL e dei livelli occupazionali dei
singoli Paesi, sia della ricchezza reale complessiva
del mondo.
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Archivio BPP |
Solo il tempo potrà dire e confermare quali
delle numerose ricette finora formulate e
lanciate per la sperimentazione,
nonché delle
altre che verranno presumibilmente delineate
nel prossimo futuro, si riveleranno efficaci
sul piano concreto per riavviare un
processo di crescita economica ora seriamente
compromesso. “Apulia”, nell’intento di offrire ai propri lettori
un originale strumento di orientamento
e di navigazione nei mari turbolenti di questa
crisi, ha intervistato Roberto Ruozi, autore
di una riflessione particolarmente stimolante
(oltreché tempestiva rispetto al manifestarsi
della crisi stessa) concretizzatasi
nella sua ultima fatica letteraria, dal titolo
decisamente suggestivo: Viaggio nel mercato finanziario con Dr. Jekyll e Mr. Hyde.
L’irrisolto dilemma della contrapposizione
tra Stato e Mercato viene qui ripercorso nelle sue specifiche articolazioni per concludersi
non con un’opzione per una delle due categorie,
ma con l’auspicio di trovare realisticamente
una loro migliore combinazione
possibile. In definitiva, un viaggio intellettuale
affascinante e rigoroso nelle proprie
tappe di ricerca e di approfondimento, di cui
si apprezzano e largamente si condividono
lo spirito pragmatico e il messaggio conclusivo
di speranza che ne scaturisce: «È proprio
nelle crisi che possono nascere le innovazioni
capaci di assicurare l’ordinato sviluppo
anche economico dell’umanità».
Professore Ruozi, da che cosa nasce e perché proprio ora questa idea di un viaggio nel mercato finanziario con il Dr. Jekyll e Mr. Hyde?
Già prima che scoppiasse la grande crisi finanziaria
nel 2007 avevo capito che il perno
dello sviluppo economico mondiale si sarebbe
spostato sull’equilibrio fra le forze del
mercato e l’intervento dello Stato. Il problema è stato esasperato dalla crisi, che ha riportato
all’attenzione di tutti il ruolo fondamentale
dello Stato nel correggere gli errori del capitalismo, il quale tuttavia tornerà
quello che era prima della crisi non appena
gli interventi statali avranno prodotto
gli effetti auspicati. In questo senso ho sempre
ritenuto che il mercato libero sia una
conquista positiva dell’umanità e il suo ruolo
nel mio volume è quindi interpretato dal
dottor Jekyll, cioè dal personaggio buono
del romanzo di Stevenson. A Mister Hyde,
che è il personaggio cattivo del romanzo,
ho invece affidato il ruolo dello Stato, nella
convinzione che comunque Mercato e Stato
dovranno sempre convivere. Il centro della
questione non è quindi se sia meglio l’uno o
l’altro, ma quale sia la migliore combinazione
dei due.
In che misura e sotto quali specifici punti si può dire che questo viaggio sia stato influenzato dal suo ricco patrimonio esperienziale di qualificato ricercatore attento agli stimoli dell’innovazione finanziaria, nonché dall’esperienza tuttora in atto di operativo di alto livello?
Il mio viaggio è stato in effetti il frutto di
una ormai lunga esperienza di amministratore di banche e di imprese nonché di consulente delle une e delle altre, ma non
avrebbe potuto essere quello che è stato se
non avessi avuto dentro di me un’altrettanto
lunga esperienza di ricercatore e di docente
universitario, che ha sempre cercato
di essere concreto e attuale. L’innovazione
finanziaria, importante protagonista anche
della crisi che stiamo vivendo, è sempre stata
al centro della mia attenzione e mi porta
a dire che essa è indispensabile per lo sviluppo
ordinato dei sistemi e dei mercati finanziari,
ma che per svolgere positivamente
questa funzione deve essere costruita e utilizzata
in termini virtuosi, cioè per soddisfare
sempre meglio le esigenze finanziarie degli
operatori economici. Quando viene invece
solo utilizzata per eludere le norme legali,
fiscali e di vigilanza, e diventa strumento
di autoreferenzialità degli operatori finanziari,
il rischio è grande e può scatenare
quello che abbiamo tutti sotto gli occhi.
Prima di passare ad alcuni aspetti particolari toccati nel suo libro, una domanda preliminare: quali sono, a suo avviso, le principali differenze tra la crisi del 1929 e l’attuale?
Confrontare la crisi attuale con quella del
1929-‘32 può essere un interessante esercizio
teorico che riguarda gli storici dell’economia
e della finanza, ma dal punto di vista
pratico e operativo insegna ben poco. Sono
infatti profondamente diverse le cause delle
due crisi, diversi gli strumenti adottati per
combatterle e i risultati dell’utilizzazione di
tali strumenti, ma soprattutto sono assai
differenti i contesti economici sociali in cui
le due crisi si sono sviluppate. Oggi siamo
in un mondo globalizzato, le cifre in ballo
sono da capogiro, la presenza e la capacità
di intervento degli Stati sono moltiplicate, i
protagonisti della scena economica e finanziaria
mondiale sono cambiati e più numerosi,
le capacità di assorbimento di fenomeni
come recessione e disoccupazione sono
molto maggiori, e così via. In questo scenario,
per uscire dalla crisi, occorrono quindi
strumenti profondamente diversi da quelli
che si cercò di usare ottant’anni fa.
Spostiamo ora il focus dell’attenzione su due profili che stanno facendo molto discutere: il ritorno in forze dello Stato e il ridimensionamento dello strapotere dei manager. Come si pone lei rispetto a queste due tendenze in atto?
Quanto al prepotente ritorno dello Stato
nell’economia e soprattutto nel capitale
delle banche, si tratta di un fatto assolutamente
inatteso, che si inserisce in un trend che vedeva gradatamente ma quasi completamente
lo Stato uscire dal capitale bancario
in quasi tutti i Paesi del mondo. Mentre
questa uscita, come del resto l’entrata che
l’aveva preceduta, era il frutto di una nuova
ideologia economica e di un nuovo credo
politico, ciò che è accaduto in questi
mesi non ha nulla di ideologico e politico.
Esso è soltanto (si fa così per dire) il frutto
di uno spinto pragmatismo, che ha preferito
l’azione immediata alla sua elaborazione
teorica.
Del resto, i tempi richiesti per affrontare i
problemi erano ristrettissimi e non avrebbero
tollerato alcun dibattito ideologico e politico.
Non si tratta quindi di una svolta nella
credenza nei riguardi di un determinato
tipo di sistema economico e finanziario, ma
di un terribile incidente di percorso destinato
a essere sanato per far sì che si ritorni, mutatis mutandis , al punto in cui eravamo
arrivati dopo anni di lenta ma progressiva
evoluzione teorica e pratica.
Quanto invece al ridimensionamento dei
manager e a quello delle loro rimunerazioni
e incentivazioni, essi sono soltanto benvenuti.
Una classe di manager avidi e assai
poco interessati alle conseguenze che le loro
azioni sconsiderate avrebbero potuto produrre
sull’economia e sulla società è stata
spazzata via. Ai nuovi arrivati, che si spera
siano diversi dalle persone che hanno sostituito,
sono stati ridimensionati i compensi,
le incentivazioni sono state determinate in
modo da tenere conto dei rischi della loro
attività e dei nuovi obiettivi che sono stati
loro assegnati e che riguardano orizzonti
molto più lunghi di quelli considerati nel
passato.
I comportamenti dei manager sono determinanti
per il successo delle banche, e in verità anche delle altre imprese, e sono largamente
responsabili anche delle loro crisi. Le
scelte in argomento per gli azionisti e gli
amministratori sono conseguentemente
molto delicate. È lì che si vedrà la loro accortezza
e si giocheranno le sorti delle loro
aziende.
Per concludere, nonostante il cupo pessimismo con cui si è aperto il 2009 si riesce da questo viaggio a trarre un messaggio di speranza per i nostri lettori?
L’esame di ciò che è accaduto in quest’ultimo
anno e mezzo non è in effetti particolarmente
esaltante. La cosa non deve tuttavia
indurre al pessimismo, che è uno degli stati
d’animo peggiori, capace solo di creare ulteriori
problemi o di aggravare quelli che
già ci sono. In questo momento occorre essere
i più freddi e i più razionali possibili. Si
devono analizzare attentamente le cause
delle catastrofi alle quali abbiamo assistito e di quelle che potrebbero ancora venire.
Capirle significa non ripetere gli errori che
ci hanno portato a questo punto. Capirle significa
anche individuare, in un panorama
generalmente negativo, le opportunità che
qui e là si celano e che possono essere sfruttate
per uscire vincenti nella battaglia per la
sopravvivenza e lo sviluppo. È peraltro proprio nelle crisi che possono
nascere le innovazioni capaci di assicurare
l’ordinato sviluppo anche economico dell’umanità.
Certo l’uscita dal tunnel non sarà
rapidissima, ma diversi esperti cominciano
a pensare che il secondo semestre del 2009
potrebbe vedere il risveglio della locomotiva
americana e che nel 2010 potrebbe seguire
anche l’Europa e con essa l’Italia. Affinché
le banche, che si sono trovate ad un
passo dal fallimento, ritornino in buona salute,
permettendo così allo Stato di rientrare
negli investimenti effettuati nel loro capitale,
occorrerà invece più tempo. Anche se è
difficile fare previsioni, che comunque non
possono avere validità generale riguardando
diversamente i singoli casi considerati, ci vorranno infatti fra tre e cinque anni.
Nato a Biella nel 1939, Roberto Ruozi si è laureato con
110 e lode all’Università Commerciale “Luigi Bocconi” nel
1961, dove è stato Rettore dal 1995 al 2000 e professore di
Economia degli Intermediari Finanziari fino al 2002. Ha insegnato
nelle Università di Ancona, Siena, Parma, Parigi (Sorbona)
e al Politecnico di Milano.
Attualmente è Professore emerito dell’Università Bocconi.
Autore di numerose pubblicazioni su problematiche bancarie
e finanziarie, ricopre importanti incarichi amministrativi
in Società quotate e non quotate. |
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