Dieci anni dopo.
L’Unione
monetaria non
finirà vittima della
crisi economica,
ma per l’euro
sarà un test più
severo di tutti
quelli che ha
dovuto fronteggiare
finora. |
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L’Unione economica e monetaria (Uem) e
l’euro celebrano il loro decimo compleanno.
La moneta unica europea è stata introdotta
senza grandi ostacoli, e da allora si è ben
comportata, con la Banca centrale europea
intenta ad adempiere a quello che è il suo
unico mandato: tenere sotto controllo l’inflazione.
Ma la crisi economica di questi tempi potrebbe
rappresentare un test impegnativo per
la capacità dell’euro di sopravvivere alle crescenti
turbolenze. La crisi potrebbe rafforzare
le istituzioni create dall’Uem, ma potrebbe
anche creare molteplici rischi, di cui i Paesi
membri devono essere consapevoli, se vogliono
evitarli.
Il problema principale è che la situazione
economica dei singoli Paesi membri dell’Uem
può avere sviluppi diversissimi, al
punto che alcuni leader politici nazionali potrebbero
essere tentati di stabilire che il loro
Paese avrebbe da guadagnare adottando una
serie di politiche differenti da quelle degli altri
partner. Le attuali differenze nei tassi
d’interesse dei titoli di Stato dei Paesi dell’Eurozona
dimostrano che i mercati finanziari
considerano una spaccatura come una
possibilità reale. I titoli di Stato decennali in
Grecia e in Irlanda, ad esempio, ormai rendono
un punto percentuale in più dei corrispettivi
tedeschi, e in Italia sono quasi altrettanto
alti.
Naturalmente, nella storia non mancano
esempi di unioni monetarie andate in pezzi o
di Stati con una valuta unica che scelgono di
adottare monete nazionali. Anche se ragioni
tecniche e giuridiche rendono più difficile
uno scenario del genere per un Paese dell’Uem,
non sembrano esservi dubbi sul fatto
che un Paese potrebbe abbandonare l’euro,
se davvero lo volesse.
La ragione più ovvia per ritirarsi dall’Unione
economica e monetaria è il desiderio di
sottrarsi alla politica monetaria “a misura
unica” imposta dall’euro. Un Paese che da
qualche anno vede arrancare la sua economia,
e che teme che queste difficoltà possano
farsi croniche, potrebbe essere tentato di
uscire dall’euro per alleviare le condizioni
monetarie e svalutare la propria divisa. Non è detto che sia una cosa economicamente
sensata, ma un Paese alle prese con un forte
calo dell’attività potrebbe benissimo prendere
una decisione del genere.
Il Patto di stabilità e crescita, che impone limiti
ai deficit di bilancio dei membri dell’Eurozona,è un’altra delle ragioni che potrebbero
spingere un Paese ad abbandonare l’Uem.
In un periodo di grave difficoltà economica,
un Paese potrebbe scegliere di portare avanti
una classica politica keynesiana, stimolando
l’economia con una politica di investimenti
su larga scala, finanziata con il deficit. Anche
se il Patto di stabilità e crescita può essere
sufficientemente elastico da consentire
l’accumularsi di un certo deficit se c’è necessità di stimolare l’economia, un Paese po
trebbe sentirsi impossibilitato ad agire nella
misura voluta.
L’attuale crisi finanziaria solleva ancora un
altro problema: la mancanza di un chiaro“prestatore di ultima istanza”. Resta da vedere
se e quanto la Banca centrale europea
sarà disponibile a fornire alle Banche centrali
nazionali il volume di euro necessario per
svolgere appieno questo ruolo. Se un Paese
vede i suoi istituti di credito fallire perché la
Banca centrale non è in grado di prestar loro
denaro in misura sufficiente, potrebbe scegliere
di uscire dall’euro in modo da consentire
alla sua Banca centrale di fornire tutta la
valuta locale che giudica necessaria.
L’attuale crisi, inoltre, ha rilanciato il dibattito
sulla necessità per l’Unione europea di
avere un’autorità fiscale. A prescindere dalla
logica di questa proposta, essa aprirebbe la
porta a una ridistribuzione del reddito molto
più accentuata. I Paesi ad alto reddito potrebbero
giudicarla una ragione sufficiente
per uscire.
Gli esponenti politici magari non vogliono
abbandonare la moneta unica, ma potrebbero
scegliere di farlo come strategia per cercare
di convincere altri Paesi ad accettare di
cambiare politica. Un Paese convinto che la
politica monetaria o di bilancio sia troppo rigida
potrebbe minacciare di uscire se non si
cambiasse rotta.
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Albrecht Dürer, “Ritratto del banchiere Jakob Muffei”, 1526. Staatliche Museum, Berlino. - Archivio BPP |
È un rischio chiaramente molto concreto
se il Paese in questione è la Germania o la
Francia. Ma anche se fosse uno degli Stati
più piccoli potrebbe rappresentare una minaccia
seria, dal momento che potrebbe essere
visto come l’inizio della fine. Tutti i
Paesi, dunque, sia quelli di maggiori dimensioni
sia quelli piccoli, possono ventilare
questa minaccia, nella speranza che
sia sufficiente a spingere i loro partner
dell’Uem ad accettare il cambio di
rotta voluto. Il rischio, ovviamente,è che gli altri Paesi
non si lascino intimidire. Il
Paese che ha pronunciato
la minaccia a quel punto
dovrebbe scegliere se accettare
un’umiliante
sconfitta, e rimanere
nell’Europa unita, oppure
tener duro per pure
ragioni di principio, e
andarsene via.
Tutto questo parte dal
presupposto che i leader
politici scelgano di cambiare
linea soltanto quando
pensano che questo sia
nell’interesse di lungo periodo
della loro nazione. Ma c’è anche il rischio che qualche
politico agisca solo ed esclusivamente
nell’interesse personale,
cogliendo la crisi economica
come occasione per
farsi eleggere, con la promessa
di far uscire il Paese dall’euro, o dicendo
che minacceranno di farlo se gli altri Paesi
membri non accetteranno le correzioni di
rotta proposte.
Tutti questi rischi non significano che l’Unione
monetaria finirà senz’altro vittima
della grave crisi economica in corso. Ma
quel che è certo è che questa crisi rappresenterà
per l’euro un test più severo di tutti
quelli che ha dovuto fronteggiare nei suoi
primi dieci anni di vita.
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