Quel pacchetto
ha creato il rischio
di far credere
alle istituzioni
finanziarie
che in futuro
potranno essere
salvate ancora
dal governo. |
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Il problema di fondo è come venir fuori
dalla crisi. Secondo me, i passi fatti vanno
nella direzione giusta. Il piano del governo
americano era quanto mai necessario,
per l’evidente motivo che i mercati creditizi,
se lasciati a se stessi, sarebbero ripartiti
troppo lentamente, per di più con costi sociali
enormi. Anche i tagli ai tassi d’interesse
erano indispensabili per accelerare il
flusso del credito.
Per quel che riguarda le ricadute di Wall
Street su Main Street, vale a dire sull’economia
reale, c’è senz’altro motivo di
preoccupazione per la disoccupazione e
per i pignoramenti cui assisteremo nel corso
del 2009. Per questo motivo saranno
necessari incentivi fiscali e investimenti nel
settore delle infrastrutture, che ridurranno
gli effetti della crisi finanziaria a un paio
di anni. In tempi di recessione è più che
sensato avere un debito pubblico.
La domanda è: quale capitalismo emergerà
da una crisi di questa portata? Certamente,
non esisterà più il mito che tutti i mercati
funzionino perfettamente. Alcuni di essi
funzionano abbastanza bene da soli, altri
invece no. Il credito è uno di questi. Ci
sarà un recupero delle teorie di John Maynard
Keynes, citato in questi tempi come
un nemico del capitalismo. Ma le sue misure
lo salvarono dalla grande crisi del 1929
e degli anni immediatamente seguenti.
Per le regole del mercato del credito, vorrei
vedere una veloce e adeguata capitalizzazione
delle banche e modalità precise
per la concessione del credito stesso. Di
fatto, si tratta di recuperare il buonsenso,
quello che si è perso negli ultimi anni,
quando le banche hanno concesso mutui
senza nemmeno verificare se il debitore
avesse un lavoro e fosse in grado di onorare
le scadenze.
Va poi chiarito un altro problema, posto
dalla lettera aperta al segretario del Tesoro
americano, nella quale duecento economisti
hanno sostenuto che il pacchetto da
700 miliardi di dollari può aver creato un
pericoloso precedente. In realtà, il vero
problema di quel pacchetto è stata la sua
vaghezza, perché non vi erano precisate le
modalità d’intervento nei confronti delle
banche statunitensi, non le si costringeva
ad usare i capitali pubblici per erogare
prestiti, e infine ha creato il rischio morale
di far credere alle istituzioni finanziarie
che in futuro potranno essere salvate ancora
dal governo. Quel pacchetto deve essere
messo in pratica gradualmente e con
attenzione. Tuttavia, la maggior parte degli
economisti ha concordato sul fatto che
fosse necessario.
C’è stato, è vero, qualcuno che era convinto
che lasciar fallire le banche che si erano
messe in una situazione insostenibile sarebbe
stato salutare per il sistema finanziario.
I fallimenti sono senza dubbio un
ingrediente importante del capitalismo.
Ma in questo caso l’effetto a catena di un
sistema di bancarotte bancarie avrebbe
immediatamente paralizzato l’economia.
E per concludere, una domanda ricorrente
in questi ultimi tempi: prevenire un’altra
crisi significa dare maggior potere a istituzioni
internazionali, come ad esempio il
Fondo monetario? La mia risposta è inequivocabile:
io credo nel coordinamento
fra i governi, ma non credo che si debba
dare ad istituzioni internazionali la responsabilità
di correggere mercati che
sfuggono di mano: incontrerebbero la resistenza
ferma di non pochi governi nazionali;
né credo che si debbano allargare
troppo i gruppi designati ad affrontare le
crisi, come il G8, perché non sarebbero
più in grado di agire rapidamente.
“There is no disagreement that we need action by our government,
a recovery plan that will help to
jumpstart the economy”
Barack Obama, gennaio 2009
With all due respect
Mr. President, that is not true
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Dalla “Lettera al Congresso” di duecento economisti aderenti al Cato Institute di San Francisco. |
“Con tutto il dovuto rispetto, Signor Presidente,
non è vero che tutti gli economisti adesso sono
keynesiani e che tutti appoggiano un grosso incremento
del peso del governo, non crediamo
che più spesa pubblica sia un modo per migliorare
la performance economica. Più spesa pubblica
durante le presidenze Hoover e Roosevelt
non ha tirato fuori dalla Grande Depressione l’economia
Usa negli Anni ‘30. Più spesa pubblica
non ha risolto il decennio perduto del Giappone
negli Anni ‘90. Quindi è un trionfo della speranza
sull’esperienza credere che più spesa pubblica
aiuti gli Usa oggi. Per migliorare l’economia, i legislatori
dovrebbero concentrarsi sulle riforme
che tolgono gli ostacoli al lavoro, ai risparmi, agli
investimenti e alla produzione. Livelli di tasse inferiori
e una riduzione del peso del governo sono
i modi migliori di usare la politica fiscale per spingere
la crescita”...
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