Il Governatore
di Bankitalia
non aveva esitato
a puntare il dito
accusatore verso
alcune delle
maggiori banche
internazionali
colpevoli di aver
creato un sistema
bancario ombra.
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Il 2008 che volge al termine è stato foriero
di una crisi finanziaria particolarmente virulenta,
crisi che se ha suscitato notevole
sgomento tra gli operatori e i consumatori
di prodotti finanziari, nondimeno ha destato
il significativo interesse degli studiosi per
i suoi aspetti di originalità.Già le stime di metà anno del Fondo Monetario
Internazionale riportate dalla Banca
d’Italia quantificavano in circa 600 miliardi
di dollari le perdite potenziali legate alla crisi
del mercato delle abitazioni statunitensi,
ai quali si sarebbero dovuti aggiungere ulteriori
400 miliardi nel segmento dell’edilizia
non residenziale e dei crediti a consumatori
e imprese. Una cifra destinata ad essere rivista
e non di poco verso l’alto, ma che paradossalmente
non costituisce il tratto più rilevante
di quella che se non si fosse intervenuti
per tempo avrebbe assunto le caratteristiche
di una crisi sistemica; con conseguenze
catastrofiche per gli assetti economico-finanziari
internazionali e per l’economia
reale.
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Il caveau di una banca giapponese. - Ph. Sou |
In realtà, quella che è stata definita la prima
crisi dell’era della cartolarizzazione, manifestatasi
con l’innesco nel segmento immobiliare
USA, ha avuto ragioni che trascendevano
lo specifico comparto direttamente interessato.
Da un lato, la rapida crescita del
mercato dei derivati creditizi, accompagnata
dalla percezione di un’offerta pressoché
inesauribile di opportunità d’investimento
apparentemente sicure; dall’altro lato, un
grado di liquidità degli strumenti creditizi
in un contesto marcatamente contrassegnato dall’innovazione finanziaria, fattore quest’ultimo
che ha favorito le potenzialità del
sistema di moltiplicare il credito rispetto al
capitale investito.
Se questi sono i principali elementi oggettivi
distintivi del quadro in cui si è sviluppata la
crisi, ai fini di una sua valutazione completa
non possono, poi, passare sotto silenzio alcuni
elementi soggettivi: a cominciare da
quanti, sottovalutando il rischio associato
agli strumenti strutturati e muovendosi disinvoltamente
tra le maglie sfilacciate di una regolamentazione lacunosa, hanno ingenerato
un affievolimento dell’applicazione
rigorosa del merito del credito.
E proprio su questo versante c’è chi, come il
Governatore della Banca d’Italia, non aveva
esitato già nella scorsa primavera a puntare
il dito accusatore verso alcune delle
maggiori banche internazionali colpevoli di
aver creato «un sistema bancario ombra»
costituito da veicoli specializzati nell’investimento
e nella provvista di fondi sul mercato
dei derivati 1. Il comportamento di
queste banche, unito a quello altrettanto
poco ortodosso delle società di rating e degli
investitori, si era tradotto in una sottovalutazione
sia del rischio legato a questi
strumenti finanziari, sia della sua concentrazione
che si sarebbe inevitabilmente determinata
in occasione di un generale deterioramento
dei mercati.
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Ispirata ai palazzi fiorentini, la sede della
Federal Reserve Bank di New York. La sua cripta, a 15 metri sotto il livello del mare, custodisce miliardi di dollari in oro. - Epicharmus |
Definito, dunque, il reale perimetro della
crisi e delle responsabilità soggettive ad essa
connesse e dato atto alle Banche centrali di
essere comunque intervenute con modalità
quantitative, di flessibilità e di tempestività
senza precedenti nella storia delle turbolenze
finanziarie, c’è ora da chiedersi cosa fare,
quale strada seguire per evitare il ripetersi
di simili fenomeni attivando una rete di monitoraggio
continuo e attento a cogliere
qualsiasi minimo segnale di inceppamento
nello stato di salute del sistema finanziario
internazionale.
L’esigenza appare ancor più indifferibile alla
luce degli ultimi eventi economico-finanziari
registrati lo scorso autunno.
Ma andiamo con ordine nella ricostruzione
della crisi e dei rimedi prospettati, partendo
dall’analisi, sia pure breve, di un documento della primavera scorsa del “Financial
Stability Forum” (FSF) 2 – organismo istituito
alla fine del secolo scorso, che riunisce
governi, Banche centrali e autorità di supervisione
competenti in materia di stabilità finanziaria,
e di cui lo stesso Governatore
della Banca d’Italia è presidente.
In quell’occasione furono enunciate una serie
di raccomandazioni nell’ottica di un ristabilimento
di regole finalizzate alla stabilità;
furono, quindi, delineate correzioni a
quegli elementi di vulnerabilità legati alla
complessità degli strumenti di credito strutturati
e ai rapporti tra banche e organismi
che investono in tali prodotti attraverso misure
che spaziavano dalla normativa prudenziale
e dalla trasparenza degli intermediari
al ruolo delle agenzie di rating, all’attività
di vigilanza e alla capacità di risposta
delle Banche centrali.
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Il villaggio galleggiante di Aberdeen, a Hong Kong. - Archivio BPP |
In concreto, il nuovo sentiero virtuoso della
vigilanza prescriveva l’adozione rapida
dei nuovi criteri di Basilea II, l’aumento
dei requisiti di capitalizzazione e l’utilizzo
di adeguati strumenti per migliorare i processi
di gestione della liquidità e del rischio.
Inoltre, il cambio radicale della sorveglianza
internazionale veniva fatto passare
per l’accrescimento della trasparenza
sui rischi dei prodotti strutturati, per il miglioramento
qualitativo dell’informazione
fornita dalle agenzie di rating, nonché per
il potenziamento dell’efficacia dell’attività
di vigilanza e della cooperazione tra le autorità
dei diversi Paesi nel fronteggiare le
tensioni sui mercati. E, infine, come ultima
misura non certo in ordine d’importanza,
si auspicava una marcata accentuazione
della flessibilità operativa delle Banche
centrali.
Regole precise, adeguate e coerenti con lo
sviluppo del sistema finanziario internazionale
e in grado di governare i maggiori rischi
dell’economia mondiale (tensioni inflazionistiche
e rallentamenti delle “locomotive
economiche”) erano dunque il primo elemento
essenziale dello scenario virtuoso che
scaturiva dalle raccomandazioni dell’FSF;
accanto a questo primo elemento si collocavano
sia un rapporto complessivo
capitale/indebitamento decisamente più
spostato sul primo dei due termini, sia un
ruolo meglio definito per ciascuno degli attori
del mercato finanziario internazionale
con l’assunzione di precise responsabilità.Peraltro, queste raccomandazioni portate
all’attenzione di governi e autorità monetarie
nazionali e internazionali si sono tradotte
solo in parte in misure operative efficaci,
come ha dimostrato la fase autunnale della
crisi che ha interessato in modo marcato
tutti i mercati finanziari: determinando distruzioni
rilevanti di ricchezza borsistica,
impatti negativi sull’economia reale e ondate
di panico assimilabili a quelle del 1929 e
suscitando reazioni plurime. Diversi sono
stati, infatti, i livelli d’intervento chiamati
in causa: da quello di indirizzo squisitamente
tecnico dell’FSF, ad uno di indirizzo politico
generale (G7) o comunque sovranazionale
(vertice dei Paesi Ue), ad uno, infine,
di tipo applicativo internazionale-nazionale
chiamato all’emanazione di provvedimenti
concreti in ambito Ue (Bce) e nei diversi
ambiti domestici.
Tra quelli recentemente prodotti si segnala
ancora una volta quale uno dei documenti
più significativi sul piano concettuale l’ultimo
rapporto presentato dall’FSF per le implicazioni
immediate e per quelle a tendere3.
Infatti, pur in una linea di continuità metodologica
rispetto al precedente rapporto del
2008, davanti ad un sistema finanziario che
dava di sé l’immagine desolante di un accumulo
di macerie, gli esperti dell’FSF si sono
posti nell’ottica di avviare la ricostruzione
sulla base dei criteri guida costituiti da un
più contenuto rapporto di indebitamento,
da un rafforzamento della vigilanza prudenziale
e da un maggiore grado di trasparenza
nei comportamenti degli operatori e
nei prodotti offerti sul mercato.
Vale la pena sottolineare le tre parole chiave
che ricorrono in questo documento e che a
ragione si possono considerare ispiratrici
delle raccomandazioni e delle linee operative
ivi contenute: coordinamento, prociclicità e trasparenza. Ne derivano così gli inviti a
rafforzare la cooperazione internazionale e
la coerenza degli accordi già esistenti; a mitigare
gli effetti di prociclicità nell’ambito del
sistema finanziario e a una conseguente sostanziale
riconsiderazione dei contenuti di
Basilea II quanto ai criteri dei livelli di capitalizzazione,
degli stanziamenti ai fondi rischi
e per la gestione delle interazioni tra valutazioni
di titoli e indebitamento; a colmare
le manchevolezze regolamentari riscrivendo
la normativa finanziaria su istituzioni, strumenti
e mercati che hanno contrassegnato
l’era della cartolarizzazione, sia per l’insufficienza
conclamata dei modelli di valutazione
del rischio, sia per il comportamento spregiudicato
(se non irresponsabile) di alcuni
operatori in tema di assunzione del rischio.
Sono raccomandazioni (ne sono state citate
solo alcune per evidenti limiti di spazio) che
quando verranno accolte e messe in opera
eserciteranno sicuramente un impatto dirompente
su normative finora accettate
quale prodotto di una civiltà finanziaria
avanzata, su prassi operative ormai consolidatesi
nel corso degli anni e su standard
contabili ritenuti intoccabili.
Anche se è ovviamente necessario rinviare
una valutazione degli effetti delle misure
adottate in sede Ue e nell’ambito dei principali
Paesi industrializzati è, però, possibile
stabilirne la direzione verso cui tendono.
Infatti, esse appaiono orientate a: migliorare
la capacità di rifinanziamento alle banche
ampliando la gamma dei titoli e degli
impieghi da vantare come collaterali; tutelare
la sicurezza dei depositanti presso le banche
fino a limiti specifici; eliminare il rischio
di controparte, sbloccando il mercato interbancario
dalla situazione di stallo e reciproca
diffidenza in cui era precipitato.
Naturalmente il nuovo sentiero virtuoso
della vigilanza internazionale comporterà
sia sacrifici in termini di costi aggiuntivi e di
marginalizzazione e successiva espulsione di
operatori che non volessero/potessero allinearsi
alle nuove regole del gioco, sia l’impegno
cospicuo ad affrontare complesse
problematiche in tema di ripartizione di
competenze di vigilanza e di livelli di efficienza
e tutela dei mercati.
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Archivio BPP |
In realtà, non sembrano esserci, almeno per
ora, alternative migliori praticabili; in particolare,
va decisamente esclusa la doppia tentazione
di imboccare una strada apparentemente
più semplice e sbrigativa: sostituirsi al
mercato e ai suoi meccanismi, oppure rifiutare
l’innovazione finanziaria.
In entrambi i casi ne conseguirebbe un impoverimento
del mercato e delle sue opportunità
di sviluppo ancor più ingiustificati
alla luce di una lettura critica di altre
due crisi finanziarie del secolo scorso:
quella delle Savings and Loans Banks degli
Stati Uniti alla fine degli anni Ottanta e
quella successiva delle banche giapponesi,
risoltasi con costi ancor più rilevanti per il
sistema di quel Paese. Quale insegnamento
si può trarre da queste due crisi? Sicuramente
la convinzione che non sempre gli
intermediari e gli strumenti finanziari tradizionali
sono necessariamente sinonimo
di maggiore affidabilità.
Ma c’è di più: il porsi in contrasto con gli
elementi innovativi non ha altro sbocco
pratico che il tradursi in uno scenario caratterizzato
da oscurantismo ideologico e penosi
lacci operativi: quanto di peggio per
una vigilanza internazionale che si vuole
rafforzare nel rinnovamento degli strumenti
per assumere una fisionomia coerente con
un sistema finanziario sano e in grado di assecondare
la crescita reale dell’economia
mondiale.
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