Il metro fu un
dono non richiesto:
qualcuno lo ha
definito un colpo
di Stato da parte della scienza,
poi esportato dalla Ragione, ma
sulla punta delle baionette.
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«A tutti gli uomini, per tutti i tempi»: il marchese
di Condorcet riteneva che la Francia dei Lumi avesse dato al mondo
un dono eterno: il metro, misura scientifica delle cose, figlio
della Ragione. E così è stato, se è vero, come
è vero, che la globalizzazione sta cancellando voci di misurazioni
che finora hanno identificato storie, economie, mercati, relazioni
umane in vari Paesi del pianeta.
Dal 2010 in Inghilterra dovrà sparire, condannato a morte
dallEuropa unita, lacro, (dal latino ager), misura emblematica
dei terreni, pari a 4.840 iarde quadrate, equivalenti a 4.046 metri
quadri. Il catasto dovrà accettare soltanto le misure in
ettari. Lacro raggiunge così il furlong,
la pertica, il rod, il chaldron,
il cran, il cavallo vapore e il grado
termico britannico nel cimitero delle unità di misura
imperiali trapassate insieme con le libbre, le pinte (i celebri
568 millilitri), le miglia.
Protagora aveva scritto che «luomo è la misura
di tutte le cose». E lo è stato per davvero, per millenni.
Cubito, una delle prime voci: la distanza tra la punta dellindice
e il gomito. Poi braccio, dito, pollice, unghia (in Birmania anche
il capello). Si è contato il mondo con le membra umane. Fino
al giorno in cui, tagliata la testa a Luigi XVI, il metro sostituì
il pied-du-roi (pari a 32,48 centimetri) in nome della
misura repubblicana e universale, che divideva per 40 mila la circonferenza
meridiana della Terra.
Degli archeo-metri a misura duomo nel mondo anglosassone sopravvive
solo il miglio: i mille passi (doppi e militareschi)
con cui i calzari delle centurie romane tracciarono le vie dellImpero.
Ma solo per poco. La globalizzazione incalza. Il mondo interconnesso
reclama uniformità. Si può concedere uno spazio di
nicchia al nobile furlong (un tiro di buoi) per certe
corse dei cavalli, ma prima o poi dovremo fare i conti col convertitore
tra gli tsubo giapponesi, i peninkulma finnici,
i li cinesi, e le verste russe che ci richiamano
alla memoria le profondità degli spazi e la grandiosità
dei romanzi di Lev Tolstoj.
Del resto, furono proprio i Cahiers de doléances dell89
a chiedere a gran voce di uniformare il marasma delle misure feudali,
diverse tra borgo e borgo, caos comodissimo per baroni avidi e per
mercanti truffaldini. Si chiedeva che unauna fosse uguale
a nord e a sud, e che unoncia di grano comprato fosse uguale
ovunque a unoncia di grano venduto. Sicché i giacobini
decisero di correre ai ripari. Ma non uniformarono, bensì
unificarono tutte le misure, riassunte in una sola.
Il metro fu un dono non richiesto, invenzione di un gruppo di matematici
e fisici. Qualcuno, fra laltro, lo ha definito «un colpo
di Stato della scienza», poi esportato dalla Ragione, ma sulla
punta delle baionette.

Eppure lestensione, la quantità pura e semplice, non
è sempre la più importante informazione. In questo
caso i tomoli, gli stai, le giornate dei nostri nonni erano più
efficaci del nostro ettaro. Il campo che si ara in due giorni è
diverso da quello che si ara in uno; il solco che ha bisogno di
due moggi di semente è diverso da quello che per dare gli
stessi frutti ne reclama quattro. A quei tempi la terra si misurava
esattamente con la fatica che richiedeva, con le risorse che reclamava,
addirittura con la fame che riusciva a soddisfare: ancora oggi gli
appezzamenti di terra che alcune partecipanze agrarie dellEmilia
ridistribuiscono periodicamente ai millenari discendenti dei primi
soci sulla base del numero dei componenti delle loro famiglie si
chiamano bocche.
Ma è poi infallibile, il metro? La lunghezza di quel proto-metro
di platino fuso nel 1799, calcolata nel fragore di guerre e ghigliottine
da un pugno di ardimentosi studiosi in sei anni di triangolazioni
topografiche lungo il meridiano che corre tra Dunquerque e Barcellona,
fu sorprendentemente accurata.
La lunghezza di quella sbarra metallica è variabile al decimilionesimo
di metro. Scarto ridicolo per chi costruisce un ponte o un grattacielo,
ma enorme per chi lavora su microtecnologie che non tollerano errori
superiori al decimilionesimo di millimetro. Sicché oggi il
metro di riferimento non è più quello dei giacobini,
un concreto frammento di crosta terrestre materializzato in un oggetto
esposto al museo di Sèvres.
È lo spazio «pari a 1.650.763,73 lunghezze donda
nel vuoto della radiazione corrispondente alla transizione fra i
livelli 2p10 e 5d6 dellatomo di cripto 86». Misura disumanizzata,
comprensibile solo a poche migliaia di studiosi, e verificabile
solo da poche decine di costoro.
Con buona pace di Condorcet, dunque, il metro non è mai stato
di tutti gli uomini, (non lo è stato, ad esempio, per il
calcolo del tempo o per le misure angolari) e forse non lo sarà
per tutti i tempi. Da decenni cè chi lavora per abbattere
in futuro limperialismo decimale grazie a qualche altra misura
perfetta ed eterna, ora impensabile, che sostituirà
il sistema metrico decimale. Almeno questo lato umano continua a
sopravvivere: come lamore, le misure sono eterne finché
durano.
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