E che dire di un servizio pubblico radiotelevisivo
che continua ad essere finanziato con i due canali del canone e
della pubblicità?
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Sarà sicuramente uno dei temi caldi di questa
legislatura e non solo per la dimensione economica nazionale ad
esso legata. Il tema della disciplina dellemittenza radiotelevisiva
costituisce, infatti, dalla sua origine sia un terreno di scontri
accesi tra le diverse parti politiche, sia soprattutto il luogo
ideale in cui si intersecano aspetti normativi, economici e tecnologici
di particolare complessità. È sufficiente, in realtà,
ricordare sia pure sinteticamente le diverse tappe attraverso cui
è passata la normativa italiana per rendersi facilmente conto
di questa complessità. Leggi di sistema (come la legge Mammì
del 1990, la legge Maccanico del 1997, fino al più recente
Testo Unico successivo alla legge Gasparri del 2004) non hanno in
effetti risolto i nodi che, per una parte degli studiosi italiani
e non, fanno dellemittenza radiotelevisiva unanomalia
nazionale.
Andando per ordine nella ricostruzione di questa vicenda, cè
subito da sottolineare il primo punto sulla presenza determinante
dellinnovazione tecnologica che sia nel campo delle telecomunicazioni
che in quello più specifico della radiotelevisione ha nei
fatti sbaragliato la situazione iniziale di monopolio dettato da
ragioni naturali (letere non è infatti una risorsa
illimitata!) oltreché economiche (gli investimenti richiesti
inizialmente erano particolarmente cospicui). Uninnovazione
tecnologica che è bene ricordarlo negli ultimi
anni ha favorito il processo di convergenza tecnologica con cui
si è frantumato il tradizionale rapporto univoco mezzo di
trasmissione-tipo di prodotto, vero caposaldo di questa materia.
Secondo punto. Balza agli occhi la diversa velocità con cui
si sono mossi il legislatore ordinario e la Corte Costituzionale,
svolgendo la seconda un prezioso ruolo di guida nel prendere consapevolezza
dei mutamenti tecnologici e dei suoi riflessi sul piano normativo.
Non si è trattato solo di un ruolo di indirizzo, ma soprattutto
di impulso nei confronti del legislatore ordinario a dettare regole
coerenti con le nuove frontiere tecnologiche (su questo aspetto
vi sono cenni significativi nellintervista al professore Cheli).
E qui non possono passare inosservate una sorta di discutibile inerzia
del legislatore ordinario, né una forma di resistenza passiva,
dissimulata sotto la scelta della provvisorietà e della transitorietà
per evitare di prendere posizione in modo netto su questioni in
cui gli interessi economici e la libertà di iniziativa privata
avevano acquisito delle formidabili posizioni di vantaggio.

Un terzo punto che non sfugge allosservazione è linterazione
tra i due livelli di legislazione, nazionale e comunitario, e la
conseguente necessità di adeguamento del primo al secondo.
Anche su questo versante non sono mancate le criticità, come
ricorda nella sua intervista la professoressa Cappello, segnatamente
nei casi della pubblicità televisiva e della gestione delle
frequenze. Proprio su questultimo aspetto non può non
evidenziarsi una divergenza sostanziale con la Direttiva comunitaria
delle autorizzazioni (Dir. 2002/21), che in tema di procedure per
lassegnazione delle frequenze alle imprese richiede lapplicazione
di criteri pubblici, obiettivi, non discriminatori e trasparenti,
delineando uno scenario in cui non sono certamente ben viste né
loccupazione di fatto delle frequenze, né la conseguente
assenza di situazioni di titolarità giuridica.
Non cè, poi, da trascurare un quarto punto aperto
dalla rivisitazione nel 2001 dellarticolo 117 della Carta
Costituzionale, laddove tra le competenze assegnate alle Regioni
sul piano di legislazione concorrente con quella statuale figura
lordinamento della comunicazione. Regioni che sono oggetto
di considerazione particolare anche nellottica del regulator,
lAutorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, in quanto
delegatarie di specifiche funzioni attraverso i Co.Re.Com (Comitati
Regionali per le Comunicazioni).
Ma i punti delicati della situazione italiana dellemittenza
radiotelevisiva non si esauriscono qui. Aree di problematicità
legate alla vigente normativa non mancano quando, ad esempio, si
affronta il tema dei limiti imposti allo stesso fornitore di contenuti,
mettendo in un unico contenitore programmi diffusi su rete analogica
e su rete digitale separata; oppure quando si punta il dito sullassenza
di limiti al possesso di reti, tollerando in prospettiva possibili
situazioni di oligopolio in netto contrasto con il principio di
pluralismo informativo; così come desta perplessità
anche la configurazione del SIC (Sistema integrato di comunicazioni),
un enorme paniere di prodotti su cui si determina la posizione dominante
sul mercato. E che dire, infine, di un servizio pubblico radiotelevisivo
che continua ad essere finanziato con i due canali del canone e
dei proventi pubblicitari, legittimando di fatto una situazione
di ambiguità per la inevitabile soggezione ai criteri dellaudience
commerciale in contrapposizione al principio di qualità che
dovrebbe essere lunico suo marchio di distinzione?
Sono tutti interrogativi ai quali si dovrà trovare una risposta
adeguata e coerente. Infatti, avviare a soluzione questi nodi in
un senso o nellaltro non costituirà per la radiotelevisione
italiana solo la premessa per dibattiti appassionati e confronti
di visioni diverse sulla cosiddetta anomalia italiana,
ma la condizione essenziale per continuare un percorso democratico
in unottica di convergenza europeistica.
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