Cisco
è il più piccolo,
è la mascotte, quattro anni,
o lì intorno, e
due occhi neri neri fondi lucidi
meravigliati
dellunica cosa che hanno conosciuto: il male del mondo.
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«Estu mauditu gubierno», esordisce in stretto gergo
paulista. «Questo maledetto governo ha aumentato laffitto
dei terreni occupati dalle baracche, allora mia madre non poteva
sfamarci più, ha mandato via dapprima mia sorella, poi mio
fratello, infine me. Ha tenuto il più piccolo perché
deve essere ancora allattato».
Si chiama Antonio. È il capo di un gruppo di bambini dai
quattro ai dodici anni, che vivono sotto il pelo della terra, un
centinaio di metri dopo limbocco di una stazione metropolitana,
raccolti attorno agli sfiatatoi dellaria condizionata. «Destate
è torrido, ma dinverno ci protegge dal gelo. Un angolo
collaterale, privilegiato. Langolo incantato, diciamo noi».
E lo difendono, quello spazio, lui e gli altri, giorno e notte.
Si riemerge dal sottosuolo soltanto con metà effettivi, laltra
metà presidia il territorio, pronta a contrapporre il coltello
al sopruso. La piccola comunità è imperforabile, ermeticamente
chiusa nel numero della prima aggregazione, diffidente nei confronti
degli altri gruppi stanziati a debita distanza. La comprensione,
la pietà, la generosità hanno un nome esclusivamente
nellambito del loro giro. I sentimenti sono travalicati dallo
stato di necessità.
Ha undici anni, così almeno crede. Misura le parole, parla
guardando diritto negli occhi, ha il piglio deciso di chi è
consapevole della responsabilità che ha assunto: una ventina
di vite umane dipendono da lui, dal suo modo di inventarsi ogni
giorno il mestiere di sopravvivere, dalla sua capacità di
convincere «quelli che stanno sopra», nelle strade,
nei negozi, e soprattutto nei ristoranti, a dargli i resti dei pranzi
e delle cene, a regalargli i vestiti smessi, ad allungargli qualche
moneta. Nei giorni di magra, entrano in azione i più grandi,
i più abili nel piccolo furto o nel taccheggio, i più
veloci tra la folla: sfuggire ai colpi di pistola dei poliziotti,
che sono capaci di sparare mirando alle gambe, è una scommessa
per la vita o per la morte, qui dove la vita dei bambini è
autodifesa istintiva, e la morte dei bambini è puro accidente,
evento che non coinvolge e non commuove.
San Paolo del Brasile conta più o meno venti milioni di
abitanti, è il più grande distretto industriale latino-americano,
conosce da tempo un inurbamento selvaggio, ha i quartieri moderni
assediati dalle favelas, città di Dio nate eslege,
cresciute come fungaie, popolate da esuli volontari della fame provenienti
da tutte le latitudini del Paese.
Morumbi, da dove vengono Antonio e i suoi, è uno dei verminai
più vasti: case per modo di dire, di lamiera e fasciame di
fortuna, si sono allargate a macchia dolio, innervandosi in
una pianura arida, spoglia, segnata qua e là da grattacieli,
alcuni anche avveniristici; e rifugi addossati (ma con frigo e televisore),
containers arrugginiti, sordide topaie, tuguri stratificati nei
quali ci si accalca in promiscuità, ai margini di improbabili
strade solcate da rivoli maleodoranti.
Sono queste le bocche dellinferno che negano linfanzia,
espellendo le bambine (meninas de rua, le chiamano: ragazzine di
strada; oppure meninas de programa, da portare a letto in cambio
di un panino, o di una notte trascorsa non più alladdiaccio,
ma al caldo, e su un materasso. Le definiranno, poi, quando avranno
raggiunto diciassette o diciotto anni, e porteranno addosso malattie
veneree e focolai di tbc, pirañas, carne umana inservibile,
candidate alla morte precoce per sangue ormai guasto, per inedia,
per gelo o per coltello), e i bambini, (quelli che delinquono per
abbandono, vittime incolpevoli, potenziali ribelli che se alimentassero
una guerriglia avrebbero Cristo dalla loro parte).
Morumbi non attrae questi angeli neri. Li respinge, e li dimentica.
Sono le aree urbane opulente quelle che, sebbene infastidite da
questa lebbra che cammina, danno loro un riparo, tenendoli
a bada con le elemosine e con la polizia. Ed è qualche organizzazione
caritatevole cristiana che distribuisce, quando può, un pasto
caldo. La lebbra è una geografia mobile di centinaia
di migliaia di creature che vanno come va il vento. «E il
vento è cieco», dice Antonio, «va e viene senza
alcuna regola».
Cisco è il più piccolo, è la mascotte, quattro
anni, o lì intorno, e due occhi neri neri fondi lucidi meravigliati
dellunica cosa che hanno conosciuto: il male del mondo. Lo
hanno trovato addormentato sotto unacacia, addosso una canottiera
sbrindellata, neanche le mutandine. E così è rimasto,
seminudo, smagrito, silenzioso. Anche Ramon cinque anni,
forse ha addosso pochi stracci, come gli altri, del resto,
ma a differenza di tutti appena può si nasconde il viso butterato
dalle croste con uno sghembo pareo viola, come se non volesse farsi
riconoscere dalla morte.
Bisognerebbe vestirli un poco, dico. Per proteggerli dal freddo,
aggiungo imbarazzato. «Diez cruzados!», replica Antonio.
«È un taglio troppo grosso, se lo presento mi consegnano
alla polizia, diranno che ho rubato. Dammi tagli piccoli».
Chiama due dei suoi, da quelle parti cè un megastore,
compriamo biancheria e vestiti di cotone a prezzo vile, sì
e no centomila lire italiane in cambio di due sacche gonfie, il
costo di una cena in un buon ristorante, o di un esorcismo provvisorio
per chi, come me, viene da remote terre del rimorso: mi sembra di
sentirmi più leggero, liberato in parte almeno da una colpa
che, essendo di tutti, è anche mia.
Linterprete un emigrato nisseno che vive di espedienti,
ha un negozio di Viño y Pasta, esercita una discreta attività
confidenziale per i servizi locali e smercia sottocosto pessimo
mate de coca non apprezza granché: non si intuisce
che da grandi quelli saranno ladri, contrabbandieri, grassatori,
magari assassini; non si capisce che sono perduti a se stessi dal
momento in cui la favela li ha vomitati, imbrattando i boulevard,
le piazze e i vicoli che favoriscono tutti gli agguati? Il mio magnetofonista
non è così cinico, sa che non cè asilo
che tenga, se la polizia li ferma e li ricovera appena possono fuggono
(sono gli adulti quelli che evadono, precisa; i bambini hanno le
ali, volando si lasciano alle spalle i ghetti delle opere misericordiose
dove li bacchettano sulle gambe e li fanno inginocchiare sul sale).
Il futuro? Da adulti. Se ci arriveranno, faranno gli adulti, sceglieranno
potendo che fare della loro vita. Come gira la fortuna,
dice. Intanto eccolì là, nella disumana dimensione
di talpe in cui li hanno ridotti il miserabile istinto selettivo
della favela, linaridimento dei valori, la morte dei sentimenti
più elementari.

Scatta da tutto questo la muta e quasi sacrale solidarietà
tra diseredati, quella che non ammette ambiguità o indecisioni.
Per difendere uno dei suoi Antonio può anche metter mano
al coltello. Per difendere Antonio i suoi possono anche uccidere.
È la legge non scritta, ma ferreamente rispettata da tutti
i clan. Per questo in albergo (un cinque stelle gestito da emigrati
italiani, che si rivolgono a noi in un orgoglioso dialetto veneto)
ci hanno consegnato un cartoncino, che riporta un avviso esplicito:
non allontanarsi da soli oltre il raggio di cento metri, pena Dio
sa che. E questa faccenda mi ricorda quanto ci disse una notte un
policeman che controllava i nostri documenti in una strada deserta
della Grande Mela: fino alle Ventitreesima siete a New York; da
lì alla Quarantaseiesima siete nelle mani della polizia;
oltre, sarete solo nelle mani di Dio. O, specularmente, quanto
scrisse per il Continente Nero (dal quale giunsero qui in catene
i progenitori delle piccole talpe pauliste) quellinfallibile
profeta che fu Ryszard Kapuscinski: «In questa terra si muore
in silenzio, ma se raccogli il sussurro di dolore di uno dei suoi
figli troverai comunque la tua coscienza e poi, forse, un po
di fortuna».
Certo, un solo Antonio non salva torme di bambini che non vogliamo
guardare, di cui preferiremmo non sapere per anestetizzare ogni
orrore. Antonio è una goccia nelloceano, sento dire.
Alibi preistorico e feroce: il mare è fatto di gocce. E in
quello latino-americano ogni goccia dacqua è un bambino
che non abbiamo saputo o voluto salvare. Questo clan, ad esempio:
Melinda è bella nel suo pallore ramato, leggera come una
farfalla, ha sette anni, così immagina, e vorrebbe correre
sulla terra rossa della pianura al tramonto, quando il paesaggio
si indora sparando negli occhi tutta la sua struggente bellezza.
Fidel ha le pupille incendiate dalla febbre, ricorda di essere nato
in una casa di fango, non ha mai avuto un padre, sua madre aveva
dozzine di uomini che le pagavano da bere e aveva messo al mondo
molti figli, prima di finire in chissà quale lazzaretto.
Aña viene dallaltro capo della favela, ha un gonnellino
nero trattenuto da ununica bretella, i suoi capelli ricci
sono la corona di una piccola e fiera imperatrice. Un sorriso lieve
le schiude le labbra solo quando il magnetofonista le regala una
bambola di pezza: mai avuto un giocattolo nella sua vita (nove anni?
dieci anni?), sa soltanto che ha dolore dentro le ossa e nel cervello,
parla col corpo, esprime solitudine e rabbia come nessuna bimba
sana può fare. Ecco perché parla così, senza
parole. La sua consegna fatale al silenzio inquieta.
A mezzanotte i nove più grandi escono fuori, tre ronde di
tre unità, in direzioni diverse, vanno ai ristoranti popolati
di turisti e di uomini daffari. In qualche modo la solidarietà
deve covare nella gente, allora bisogna stanarla. Per tutto il giorno,
elemosine, piccoli lavori, baratti. Poi scocca lora dei resti.
Nessuno butta via niente, nessuno nega niente, i camerieri dei ristoranti
colmano in fretta e alla rinfusa sacchetti da distribuire ai bambini
della zona, vi aggiungono quel che possono, anche di soppiatto.
Molte famiglie appendono alle maniglie degli usci, fuori dalla portata
dei cani randagi, viveri e spremute, a volte anche vestiti smessi.
Antonio ha una carriola, vi carica tutto, quella cigola sinistramente
e sobbalza fra le gobbe e le buche delle strade.
Infine, il rientro nello spazio del clan. Quando Chico spegne i
morsi della fame, le sue lacrime si mutano in rugiada sulle ciglia.
Langolo degli incanti attenua le luci, così le ombre
diventano più sfumate. Didì, il più loquace,
suona larmonica a bocca: una musica ondulare cola fin dentro
le anime come per levigarle, finché leco muore oltre
la curva del sottopasso. Le bambine stendono dei teli di iuta ai
quattro lati degli sfiatatoi. È ora di dormire.
Aña immagina le strade di cipria e le matasse di zucchero
filato che le racconta Melinda. Fidel si fascia la gola, ha le tonsille
fragili. Qualcuno accenna ma molto piano a un canto,
ed è come se trasvolasse su di noi un coro amaro di tutti
i bambini brasiliani gettati al vento. Poi ad uno ad uno i ragazzi
e le ragazze si abbandonano al sonno, alla speranza disperata e
alla vita.
Antonio ci raggiunge allingresso. Il grumo dira che
ha dentro da undici anni sembra diventato una forza immensa. Una
forza di undici secoli, di undici millenni. «Avete visto la
Croce del Sud?», ci indica le stelle che bruciano nel cielo
anonimo della metropoli. No, che non labbiamo vista, ci sono
troppe luci, dico, in navigazione o in volo sulloceano è
diverso, la volta è blu cobalto e tutto in alto diventa più
chiaro. Mi scruta a lungo, poi sbotta: «No, che non so leggere,
imparo dalla strada, studio la tecnica che mi consenta di rivedere
con tutti gli altri la notte e lalba. Viviamo un giorno, sospesi;
per quello seguente si vedrà. Ecco: come le stelle, noi qui
ci siamo, San Paolo brulica, eppure sembriamo invisibili. E tuttavia,
quando ci scorgono, dicono che siamo troppi e troppo pericolosi.
Ti sei reso conto che la polizia ti segue per proteggerti da noi?
Sei così importante?». No, che non lo sono. Rimprovero
con lo sguardo linterprete, troppo zelante, lui sapeva che
il mio lavoro mi porta oltre ogni raggio, fra la gente, e fra gli
ultimi, qui e a New York e nel resto del mondo: per toccare con
mano e per raccontare quanti soffi di vita luomo spegne o
salva, quali paradisi confinano con gli inferni, quanti muri fronteggiano
altri muri, quanti costati perforano o difendono le canne di fucile,
quanto fango ricopre o svela le capanne, qual è, quale potrà
essere la chiave di lettura della giungla umana qui, più
in là, e ancora altrove. E come risponde il cuore del mondo,
quali battiti scandisce, quali scarti atriali registra, quali palpiti
danno un nome a una stretta di mano.
Vi auguro di restare uniti, e spero che un giorno ci si possa rivedere,
dico salutando Antonio. «Se Dio lo vorrà», risponde.
Per un attimo soltanto gli si oscurano le corde vocali.
Quando la sua figura affonda verso langolo del clan, raggiungo
i grattacieli e mi inoltro fra le strade della città scintillanti
di vetrine ancora accese, di insegne cangianti, di chioschi animati.
Posso permettermi di non aver fame. In tv replicano un incontro
di calcio. Lo stadio è gremito di migliaia di piccole figure
che si agitano scompostamente, solo il padreterno sa perché
si comportino in quel modo. Sui vetri della finestra della mia stanza
dalbergo si disegna un immenso spicchio di città, con
le geometrie statiche delle luci pubbliche e con quelle vischiose
delle automobili in movimento.
Morumbi ora balugina appena, si potrebbe ascoltare il rantolo intermittente
della favela in letargo, come si potrebbe cogliere il respiro profondo
della metropoli che riposa, finalmente sgombra dalla lebbra
che cammina che ottunde gli egoismi ed esalta la generosità.
Poter sentire simultaneamente il polso delluno e dellaltro
pianeta vivente di San Paolo, il tam-tam asimmetrico delle due aorte:
altro che metafora dellesistenza, altro che metafisica atemporale
dei massimi sistemi! Sarebbe istantanea raffigurazione dellumanità,
rappresentazione realistica del mondo. E del nostro andare con gli
occhi chiusi o con gli occhi aperti.
Che teatro enigmatico, la vita!
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