In realtà,
il problema
se lo era già posto nel XII secolo un santo, Bernardo
di Chiaravalle,
a proposito delle
immagini dei
capitelli romanici nei monasteri...
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La domanda è stata posta di recente, e ha un ineludibile
fondamento: oggi come oggi, cè bisogno di segni e di
immagini nuove per dire, con il linguaggio contemporaneo, le cose
vere di sempre? E con una provocazione in più: siamo forse
dei nani sulle spalle di giganti, vale a dire gli artisti del passato?
Certamente, per essere protagonisti, spiriti creativi e non perdenti,
tocca agli artisti contemporanei cercare nuove forme, magari ancora
incerte, come tutte le invenzioni originali in nuce, per esprimere
il contenuto della speranza cristiana.
Non a caso è stato ipotizzato che si deve trattare sempre
di qualcosa di inedito, di assolutamente futuribile, come lultimo
dei nostri figli, che è sempre quello che ancora non è
nato. «Quel che vorrei dirti di più bello non te lho
ancora detto», suggerisce il lirico turco Nazim Hikmet.
È stato proprio questo il cammino dellarte cristiana
nei secoli. E a questo cammino lo storico dellarte Timothy
Verdon (un monsignore) ha dedicato una grande opera in tre volumi,
sfarzosamente illustrati, Larte cristiana in Italia, (San
Paolo), di cui è uscito poco fa il terzo e ultimo volume,
dedicato alletà moderna e contemporanea.
Dopo aver trattato nei primi capitoli Le stagioni del Barocco
(1600-1750), Il Neoclassicismo (1750-1820) e Dal
Romanticismo alla Seconda guerra mondiale (1820-1945), Verdon
affronta il tema dellarte cristiana dei giorni nostri. E sostiene
che «il capitolo più difficile di ogni testo di storia
è quello che tratta della contemporaneità».

Il problema dellarte contemporanea, infatti, è realmente
spinoso. E duplice. Deve innanzitutto rispondere alla domanda su
che cosa sia arte oggi. Poi deve chiarire quale arte
possa considerarsi genericamente sacra e quale più
specificamente cristiana. Nel XII secolo, in realtà,
il problema se lo era già posto un santo, Bernardo di Chiaravalle,
a proposito delle immagini dei capitelli romanici nei monasteri,
al cospetto dei quali si domandava: «Nei chiostri, davanti
agli occhi dei frati, che cosa stanno a fare quelle ridicole mostruosità,
quella bellezza per così dire deforme e quelle belle deformità?».
Eppure, come ebbe a sottolineare sette secoli dopo un laico
anzi, un poeta maledetto come Charles Baudelaire
il connubio tra arte e fede in Italia «aveva ricoperto il
paesaggio con una foresta di opere e simboli sacri».
Ai giorni nostri, tuttavia, di quella foresta di simboli, di quel
forziere, di quella bellezza deforme o meno come
afferma lo stesso Verdon «si è persa la chiave».
Il problema è soprattutto di questi ultimi centanni
in cui si è consumato il divorzio tra fede e cultura, e lidentità
cristiana si è affievolita, subendo, soprattutto dal secondo
dopoguerra, la grave e profonda crisi della secolarizzazione.
Sfogliando dunque le pagine e le illustrazioni di questultima
fatica del saggista, dopo il realismo drammatico di Caravaggio,
lenfasi barocca di Bernini, il neoclassicismo settecentesco,
il revival romantico-religioso dei pittori Nazareni (seguaci dei
preraffaelliti inglesi, amanti di Giotto e del Beato Angelico) e
il simbolismo religioso (Giovanni Segantini e Gaetano Previati),
ci troviamo davanti, nel Novecento, a una pittura anche religiosa
che è messa in discussione dalle avanguardie dOltralpe.
Si sperimentano linguaggi nuovi, con il cubismo la forma si scompone
e la bellezza classica sembra svanire.
Va subito detto che la Chiesa, allinizio, si dimostrò
molto diffidente verso questa svolta rivoluzionaria. Pio XI nel
1931, in occasione dellinaugurazione della Pinacoteca Vaticana,
intervenne con parole molto dure, che ricordano quelle di Bernardo
di Chiaravalle: «Troppo spesso questi pretesti nuovi sono
sinceramente, quando non anche sconciamente, brutti,
e danno luogo a figurazioni, o più veramente
detto, a deformazioni, alle quali vien meno la stessa tanto ricercata
novità, troppo somigliando a certe figurazioni che si trovano
nei manoscritti del più tenebroso Medioevo».
Pio XI invocava dunque un ritorno alla bellezza dellarte classica
contro lestetica del brutto e del deforme. Basti ricordare
queste parole, dieci anni dopo, nel dibattito suscitato dalla provocatoria
Crocifissione (1941), di Renato Guttuso, oggi nella romana Galleria
Nazionale dArte Moderna: il tema era quello del dolore, della
sofferenza e della morte, della denuncia della guerra e della crudeltà
umana, tipico del XX secolo. E scriveva Guttuso: «Questo è
tempo di guerre e di massacri. Voglio dipingere questo supplizio
di Cristo come una scena doggi».
Un grande pittore futurista come Mario Sironi replicherà
al Pontefice difendendo il diritto dellartista a deformare
la realtà visiva, ove lo ritenga opportuno, come nella sua
stupenda opera Cristo e la samaritana del 1951, che ora fa addirittura
parte della ricchissima collezione della Città del Vaticano.
Il realismo trascendente di un pittore di ispirazione cristiana
come Gino Severini, che unisce nel suo processo creativo il linguaggio
della tradizione e quello delle avanguardie, testimonia linflusso
nella cultura italiana e nel dibattito artistico del filosofo francese
Jacques Maritain, allievo di Henry Bergson e autore del celeberrimo
saggio Arte e scolastica, in cui si rivaluta lestetica tomista
del bello, del buono e del vero.

Facciamo un salto nel tempo, e arriviamo ai giorni di Papa Paolo
VI il quale, trentacinque anni dopo Pio XI, alla chiusura del Concilio
Vaticano II (al quale invitò a sorpresa lo stesso Maritain),
tese con fiducia la mano al mondo dellarte e della cultura
con un notissimo appello agli artisti: «Da lungo tempo la
Chiesa ha fatto unalleanza con voi». E prosegue il testo
letto dal Pontefice: «Voi avete decorato ed edificato i suoi
templi, celebrato i suoi dogmi, arricchito la sua liturgia. Voi
lavete aiutata a tradurre il suo messaggio divino nel linguaggio
delle forme e delle figure, a rendere sensibile il mondo invisibile.
Oggi come ieri, la Chiesa ha bisogno di voi e si rivolge a voi».
Molti artisti risposero. Persino uno spirito apertamente laico come
Fausto Pirandello realizzò uno Studio e due Crocifissioni
che sono tuttora esposti nella collezione dei Musei Vaticani.
Ma la sfida più difficile risultò quella dellarchitettura:
la progettazione di nuove chiese, che avrebbero dovuto contenere
le pitture e le sculture. Il punto qualificante fu il rinnovamento
liturgico voluto dal Concilio Vaticano II. Se allalba del
XX secolo si guardava con nostalgia alle forme dellarchitettura
romanica medioevale, riprodotte con facilità grazie alle
nuove possibilità offerte dalle strutture in cemento armato
rivestite di materiali tradizionali come il cotto e la pietra, la
riforma liturgica creò nuove esigenze con la necessità
di coniugare nello spazio del presbiterio tre elementi: laltare
rivolto verso i fedeli, lambone della parola di Dio, il tabernacolo
del sacrificio.
In Lombardia prevalse la corrente del Razionalismo, caratterizzato
da interni spogli e da tipologie che ricordavano le chiese paleocristiane,
con la ripresa dellantico quadriportico che delimita il sagrato,
luogo dove la Chiesa, che il Concilio chiama Popolo di Dio,
si raduna per lassemblea. E il grande architetto Giò
Ponti, autore del grattacielo Pirelli, nelle sue chiese milanesi
traduce alcune suggestioni gotiche nel linguaggio essenziale del
cemento armato, che consente ampie superfici a vela.
Sono però i grandi Santuari, con lafflusso sempre crescente
di pellegrini, a dare opportunità agli architetti di esprimersi
in linguaggi sempre più innovativi. Dalla Madonna delle Lacrime
di Siracusa (1956) di Enrico Castiglioni, arriviamo, ai nostri giorni,
al Santuario dedicato a San Pio da Pietrelcina, realizzato a San
Giovanni Rotondo, in Capitanata, da Renzo Piano (1991-2004), a quello
di San Francesco di Paola (1989-2001), dalle parti di Cosenza, di
Sandro Benedetti, alla chiesa romana di Dio Padre Misericordioso
di Richard Meier (1996-2003).
Anche le chiese dedicate ai nuovi Santi primeggiano per innovatività
di soluzioni, come San Riccardo Pampuri (1985-1992) di Guido Canella
a Peschiera Borromeo, e San Massimiliano Kolbe (1990-1992), realizzata
da Justus Dahinden a Varese.
Ampie e innovative informazioni a firma di esperti fanno di questo
lavoro di Verdon una fonte inesauribile di idee e di approfondimenti.
Nella sezione dellArte barocca troviamo schede dedicate, ad
esempio, ai coralli trapanesi, al presepe napoletano, o ancora allaltare
barocco. Nei capitoli riguardanti lOttocento e il Novecento
sono analizzate le condizioni del sistema viario italiano su rotaia
e su asfalto.
Per quel che concerne la musica sacra, si va dalle canzoni
missionarie di Grignon de Monfort e Alfonso Maria de
Liguori alle Messe di Verdi e di Rossini, fino alla riscoperta dei
canti gregoriani.
Al cinema biblia pauperum del XX secolo sono dedicate
numerose pagine che ricostruiscono la storia di questo connubio,
dalla Passion Lumière (1897) a The Passion (2004) di Mel
Gibson.
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