Lo Stato
territoriale sovrano, che forma la
cornice essenziale della politica
democratica
e di ogni altra
politica, è oggi
più debole di ieri.
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Oggi il popolo è il fondamento e il punto di
riferimento comune di tutte le forme di governo statali, eccezion
fatta per quella teocratica. E ciò non è soltanto
qualcosa di inevitabile, ma anche di giusto, perché per avere
un qualunque scopo il governo deve parlare in nome e nellinteresse
di tutti i cittadini.
Nellepoca delluomo comune, ogni governo è un
governo del popolo e per il popolo, anche se logicamente non può
essere in nessun senso funzionale un governo esercitato
direttamente dal popolo.

Questo principio non si basa soltanto sullegualitarismo dei
popoli, che non sono più disposti ad accettare una posizione
di inferiorità in una società gerarchica governata
da uomini superiori per diritto naturale, ma anche sul
fatto che finora i sistemi sociali, le economie e gli Stati nazionali
moderni non hanno potuto funzionare senza lappoggio passivo,
e anche la partecipazione attiva e la mobilitazione, di moltissimi
loro cittadini.
Questo principio rappresenta leredità del XX secolo.
Ma sarà ancora la base dei governi popolari, incluso quello
liberaldemocratico, nel XXI? La mia tesi è che la fase attuale
dello sviluppo capitalistico globalizzato lo sta minando alle radici,
e che ciò avrà anzi, sta già avendo
serie implicazioni per quel che riguarda la democrazia liberale,
quale è intesa oggi. Lodierna politica democratica,
infatti, si fonda su due assunzioni, una morale o, se si
preferisce, teorica e laltra pratica.
Sotto il profilo morale, essa richiede il supporto esplicito del
regime da parte della maggioranza dei cittadini, che si presume
costituiscano il grosso degli abitanti dello Stato. Ma per quanto
fossero democratici gli ordinamenti in vigore per la popolazione
bianca nel Sudafrica dellapartheid, un regime che privava
permanentemente del diritto di voto la maggior parte della sua popolazione
non può essere considerato come democratico. Gli atti con
i quali si esprime il proprio assenso alla legittimità di
un sistema politico, come votare periodicamente alle elezioni, possono
essere poco più che simbolici.
Di fatto, è da molto tempo un luogo comune tra i politologi
dire che solo una modesta minoranza di cittadini partecipa costantemente
e attivamente alla vita del proprio Stato o di unorganizzazione
di massa. Ciò torna a vantaggio di coloro che comandano;
e, in effetti, è da tempo che i pensatori e i politici moderati
si augurano la diffusione di un certo grado di apatia politica.
Ma questi atti sono importanti.
Oggi ci troviamo di fronte a unevidentissima secessione dei
cittadini dalla sfera della politica. La partecipazione alle elezioni
appare in caduta libera nella maggior parte dei Paesi liberaldemocratici.
Se le elezioni popolari sono il primo criterio di rappresentatività
democratica, in che misura è possibile parlare di legittimità
democratica per unautorità eletta da un terzo dellelettorato
potenziale (la Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti), oppure,
come è avvenuto di recente per le amministrazioni locali
britanniche e il Parlamento europeo, da qualcosa come il 10 o il
20 per cento dellelettorato? Oppure per un presidente americano,
normalmente eletto da poco più di metà degli statunitensi
che hanno diritto di voto?
Sotto il profilo pratico, i governi dei moderni Stati nazionali
o territoriali, (qualunque governo), si basano su tre presupposti:
1) che abbiano più potere di altre unità operanti
sul loro territorio; 2) che gli abitanti dei loro territori accettino,
più o meno volentieri, la loro autorità; 3) che tali
governi siano in grado di fornire ai cittadini quei servizi ai quali
non sarebbe altrimenti possibile provvedere, perlomeno non con la
stessa efficacia (come legge e ordine, per riprendere
unespressione proverbiale). Negli ultimi trenta o quarantanni
questi presupposti hanno progressivamente perso la loro validità.

In primo luogo, pur essendo ancora di gran lunga più potenti
di qualunque rivale interno, anche gli Stati più forti, più
stabili e più efficienti hanno perso il monopolio assoluto
della forza coercitiva, non ultimo grazie alla marea di nuovi strumenti
di distruzione portatili, oggi facilmente accessibili ai piccoli
gruppi dissidenti, e allestrema vulnerabilità della
vita moderna di fronte agli sconvolgimenti improvvisi, per quanto
leggeri possano essere.
In secondo luogo, hanno iniziato a vacillare anche i due pilastri
più solidi di un governo stabile, ossia (nei Paesi che godono
di una legittimità popolare) la lealtà dei cittadini
e la loro disponibilità a servire gli Stati, e (nei Paesi
dove questa legittimità popolare manca) la pronta obbedienza
a un potere statale schiacciante e indiscusso. Senza il primo pilastro,
le guerre totali basate sulla coscrizione obbligatoria e sulla mobilitazione
nazionale sarebbero state impossibili, così come sarebbe
stata impossibile la crescita degli introiti erariali degli Stati
fino allodierna percentuale dei Pil (introiti che possono
oggi superare il 40 per cento del Prodotto interno lordo in alcuni
Paesi, e il 20 per cento anche negli Stati Uniti e in Svizzera).
Senza il secondo pilastro, come ci dimostra la storia dellAfrica
e di ampie regioni dellAsia, piccoli gruppi di europei non
avrebbero potuto mantenere per generazioni il controllo sulle colonie
a un costo relativamente modesto.
Il terzo presupposto è stato minato non solo dallindebolimento
del potere statale, ma anche a partire dagli anni Settanta
da un ritorno, tra i politici e gli ideologi, a una critica
dello Stato basata su un laissez-faire ultraradicale, secondo la
quale il ruolo dello Stato stesso devessere a tutti i costi
ridimensionato. Questa critica afferma, più per una sorta
di fede teologica che non sulla base di evidenze storiche, che ogni
servizio che le autorità pubbliche possono fornire o è
qualcosa di indesiderabile, oppure potrebbe essere fornito in modo
migliore, più efficiente e più economico dal mercato.
A partire da quel periodo, la sostituzione dei servizi pubblici
con servizi privati o privatizzati è stata massiccia. Attività
caratteristiche di un governo nazionale o locale come gli uffici
postali, le prigioni, le scuole, lapprovvigionamento idrico
e anche i servizi assistenziali e previdenziali sono stati ceduti
a (o trasformati in) imprese commerciali; i dipendenti pubblici
sono stati trasferiti ad agenzie indipendenti o rimpiazzati con
subappaltatori privati. Anche alcune parti dellapparato bellico
sono state subappaltate. E, ovviamente, il modus operandi delle
aziende private che mirano alla massimizzazione dei profitti
è diventato il modello al quale ogni governo aspira
a uniformarsi. E nella misura in cui ciò avviene, lo Stato
tende a fare affidamento su meccanismi economici privati per sostituire
la mobilitazione attiva e passiva dei propri cittadini.
Allo stesso tempo, è impossibile negare che nei Paesi ricchi
del mondo gli straordinari trionfi delleconomia mettono a
disposizione della maggior parte dei consumatori più di quanto
i governi o lazione collettiva abbiano mai promesso o fornito
in tempi più poveri.
Ma il problema sta proprio qui. Lideale della sovranità
del mercato non è un complemento, bensì unalternativa
alla democrazia liberale. Di fatto, esso è unalternativa
a ogni sorta di politica, poiché nega la necessità
di decisioni politiche, che sono esattamente le decisioni sugli
interessi comuni o di gruppo in quanto distinti dalla somma di scelte,
razionali o meno che siano, dei singoli individui che perseguono
i propri interessi personali.
Si aggiunga che il continuo processo di discernimento per scoprire
che cosa vuole la gente, processo messo in atto dal mercato (e dalle
ricerche di mercato), deve per forza essere più efficiente
delloccasionale ricorso alla grezza conta elettorale.
La partecipazione al mercato viene a sostituire la partecipazione
alla politica; il consumatore prende il posto del cittadino. Francis
Fukuyama ha di fatto sostenuto che la scelta di non votare, così
come la scelta di fare la spesa in un supermercato anziché
in un piccolo negozio locale, «riflette una scelta democratica
fatta dalle popolazioni. Esse vogliono la sovranità del consumatore».
Senza dubbio la vogliono, ma questa scelta è compatibile
con ciò che abbiamo imparato a considerare come un sistema
politico liberaldemocratico?
Così, lo Stato territoriale sovrano (o la federazione statale),
che forma la cornice essenziale della politica democratica e di
ogni altra politica, è oggi più debole di ieri. La
portata e lefficacia delle sue attività sono ridotte
rispetto al passato. Il suo comando sullobbedienza passiva
o il servizio attivo dei suoi sudditi o cittadini è in declino.
Due secoli e mezzo di crescita ininterrotta del potere, del raggio
dazione, delle ambizioni e della capacità di mobilitare
gli abitanti degli Stati territoriali moderni, quali che fossero
la natura o lideologia dei loro regimi, sembrano essere giunti
al termine.
Lintegrità territoriale degli Stati moderni
ciò che i francesi chiamano la Repubblica una e indivisibile
non è più data per scontata. Fra trentanni
ci sarà ancora una singola Spagna o unItalia,
o una Gran Bretagna come centro primario della lealtà
dei suoi cittadini? Per la prima volta in un secolo e mezzo possiamo
porci realisticamente questa domanda. E tutto ciò non può
non influire sulle prospettive della democrazia.
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