Personaggi
che hanno segnato limpronta del luogo, e non
risultano nelle storie ufficiali, fanno sentire
la loro voce
attraverso
le epigrafi.
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LAssociazione Italiana di Cultura Classica (A.I.C.C.) di
Lecce da più anni dal 1990 per essere precisi
è impegnata in unimpresa di vaste dimensioni culturali:
quella di raccogliere una per una, paese per paese, le innumerevoli
iscrizioni latine, che ancora, più o meno leggibili, parlano
a noi dai muri delle chiese e dei castelli, dei palazzi baronali,
delle diverse dimore signorili, ma che possono leggersi anche nelle
più umili case a corte, nelle sperdute masserie del Salento,
sulle torri di difesa che presidiano le coste e le campagne del
nostro territorio. Unopera, un intervento di necessità
urgente, anche e soprattutto perché di anno in anno qualcuna
di queste iscrizioni scompare, sotto i colpi del tempo edace, ma
ancor più dei picconi e delle ruspe, che nulla sanno di...
latino.
Lidea di una raccolta mi era balenata molti anni fa, quando
da giovane, peregrinando da una località allaltra,
mi capitava di leggere iscrizioni latine e non che
per me erano sempre ricche di significati, sia che riportassero
un avvenimento, una notizia, un monito o anche una semplice curiosità:
spesso enigmatiche, queste iscrizioni, o frammentarie, e che costituivano
perciò un problema da risolvere, un testo da integrare.
Thànatos athànatos, ta loipà thetà:
ossia Solo la morte è immortale, tutto il resto è
mortale così leggevo intorno agli anni Cinquanta
nel Duomo di Lucca, vicino al celebre monumento funebre di Ilaria
del Carretto, opera di Jacopo della Quercia, transetto a sinistra.
Incominciavo così, per il gusto di ricordarle e conservarmele,
una prima, anche se disordinata raccolta di schede con epigrafi.
Dal greco al latino. Un bel florilegio, di cui ecco alcuni dei saggi
raccolti: ad Amalfi, presso la presunta casa natale, due esametri
ricordano linvenzione (vera o supposta che sia) di Flavio
Gioia:
Prima dedit nautis usum magnetis Amalphi.
Amalfi dette per prima ai naviganti luso della bussola.
e il secondo:
Inventrix praeclara fuit magnetis Amalphi.
Fu Amalfi illustrissima ad inventare la bussola.
E sul sacro monte de La Verna in Umbria, ecco con un pentametro
lavvertimento breve ma solenne per il visitatore:
Non est in toto sanctior orbe mons.
Non cè in tutto il mondo monte più santo di
questo.
Nei pressi del famoso ponte in legno di Bassano, ecco un elegante
distico che lega la città al ponte famoso:
Clara situ fulget Bassanum antiqua per orbem
quam pons nobilitat ligneus in fluvio.
Splende nel mondo la famosa e antica Bassano e la nobilita sul
fiume il ponte di legno.
E a Roma, nella Galleria Borghese, sotto la statua berniniana di
Apollo e Dafne, ecco gli esametri ammonitori, fattivi apporre dal
Cardinale Barberini:
Quisquis amans sequitur fugitivae gaudia formae
fronde manus implet baccas seu carpit amaras.
Chi per amore va dietro ai piaceri della bellezza che fugge
si riempie le mani di foglie e coglie frutti amari.

Si potrebbe continuare con infiniti esempi. Ma anche nel mio piccolo
paese natio, Vernole, e nelle sue ancor più piccole cinque
frazioni e su tutto lintero territorio, mi andavo accorgendo
che le iscrizioni latine non mancavano.
Un mio zio, Eugenio De Carlo, prefetto del Regno, sopraelevando
la sua abitazione nel 1928, vi faceva incidere solo quattro parole,
ma altamente significative:
Parva domus magna quies.
Piccola la casa, ma grande è la quiete.
Da Roma a Vernole, dalle grandi dimore e dai rumori annessi e connessi
alla Capitale anche a quei tempi! si passa a contemplare
la pace della casetta in un piccolo paese. Si era ancora senza energia
elettrica a Vernole, perché proprio nel 1928 fu portata la
luce, dallallora Società generale pugliese di elettricità.
Entrando poi nel cortile dellabitazione di Eugenio De Carlo,
su una lapide di marmo si potevano leggere i primi otto versi del
secondo epodo di Orazio:
Beatus ille, qui procul negotiis,
ut prisca gens mortalium
paterna rura bobus exercet suis
solutus omni fenore
neque excitatur classico miles truci
neque horret iratum mare
forumque vitat et superba civium
potentiorum limina.
Beato colui che, lontano dagli affari, come lantica stirpe
umana, coltiva i campi paterni con i suoi buoi, libero da ogni debito,
né, come il soldato, è mai svegliato dal brusco suono
della tromba di guerra, né ha paura del mare infuriato e
si tiene lontano dalle piazze e dalle superbe soglie dei cittadini
che detengono il potere.
Ma sempre a Vernole, e proprio accanto allabitazione di cui
si è parlato, un altro De Carlo Francesco, sacerdote
aveva fatto incidere sulla piccola finestra al primo piano
della sua modesta casa un distico elegiaco, in cui labitazione,
come se parlasse dichiara la sua piccolezza, senza invidia però
per quelle grandi dei ricchi:
Parvula sum Jomus et magnis non invideo superbis
sit maior vobis est satis ista mihi.
Sono una piccola casa e non invidio quelle grandi dei superbi,
abbiatene pure una più grande; a me questa basta.
La data è del 1848: ricordando la storia, se ne può
dedurre che mentre in Europa succedeva davvero un quarantotto,
Francesco De Carlo, anche lui orazianamente, si accontentava della
sua piccola casa, nella sua piccola Vernole.
Questa confidenza con Orazio non sorprenda: ho ereditato da casa
mia un vecchio grosso volume datato Neapoli, 1791, apud Januarium
Migliacci contenente Quinti Horatii Flacci opera. Interpretatione
et notis illustravit Ludovicus Desprez, Cardinalitius Socius ac
Rhetor emeritus, etc. etc.
Tutto in latino quel volume, dal sommario per ogni componimento
alle note, alle interpretationes, una specie di versione in
prosa. Ma quel che meraviglia è, in fine del volume,
lIndex rerum notabilium et Vocabulorum omnium, quae in Horatio
leguntur, con puntuali rimandi al numero della pagina e al verso
del componimento (da p. 669 a p. 776). Tutto senza lausilio
dellelettronica e dei computer di oggi.
Chiusa questa parentesi oraziana, ritorniamo alle iscrizioni: mi
accorgevo con lesperienza che, mentre per importanti edifici
di importanti città, esse venivano anche se non sempre
e tutte riportate su testi di storia dellarte, di storia
locale, di guide turistiche (come per esempio quelle del Castello
di Acaia), per tutte le altre invece il silenzio era assoluto e
costante, sicché, oltre ad esser conosciute se non da chi
vi passava accanto e aveva voglia di leggerle e sapeva tradurle
e interpretarle, esse correvano il rischio di andare in rovina col
vecchio edificio che le ospitava e scomparire per sempre.
Ma come fare per raccoglierle tutte e in modo ordinato? Puntando
su quanto, benché poco, era a mia disposizione, volli provare,
e così, in uno dei primi numeri della rivista Lu lampiune,
furono pubblicate (aprile del 1987) quelle da me raccolte per Vernole
e frazioni: una quarantina.
Dalla mia prima raccolta inedita di iscrizioni racimolate qua e
là, si era passati ad un corpus più omogeneo,
ad una pubblicazione, anche se limitata; un passo avanti sera
fatto.
Si trattava del resto di iscrizioni a me note, perché viste
e riviste, lette e rilette mille volte; per me costituivano un patrimonio
affettivo, significavano anche il primo impatto con la lingua latina,
quando ancora non conoscevo la declinazione di rosa, la rosa;
ma larticolo piacque anche ad amici lettori, che me ne segnalarono
altre, sconosciute, e mi esortarono, se possibile, a continuare
nel lavoro e allargare il campo della ricerca.
Ci voleva però un salto di qualità, per lanciarsi
nellardua impresa. E il salto ci fu, quando, verso la fine
degli anni Ottanta, fu possibile agganciarsi allAssociazione
Italiana di Cultura Classica, sezione di Lecce, la più idonea
a sposare questiniziativa, e passare così da un articolo
di rivista ad un volume vero e proprio, anzi ad una serie di volumi.
Si inventarono allora i Quaderni di iscrizioni latine nel Salento,
da dedicarsi ciascuno ad uno o più centri: dal 1992, data
di edizione del primo quaderno su Otranto, si è
arrivati, nel 2004, al sesto di questi quaderni, con le iscrizioni
di Trepuzzi e Squinzano, Cavallino e Galatina. In totale, 925 le
iscrizioni raccolte, 51 le località esaminate: un bel numero,
ma io, ad occhio e croce come si dice, avevo preventivato una ventina
di volumi, con circa seimila iscrizioni. Ci sarebbe perciò
ancora tanto altro da fare; manca, per esempio, Lecce, cui un solo
quaderno non basterebbe, e Gallipoli e Nardò e tanti altri
Comuni (piccoli, alle volte), che formano la fitta ragnatela dei
centri del nostro Salento.
Si iniziò con il quaderno di Otranto, che vide
la luce nel 1992 e conteneva ben 61 iscrizioni, raccolte con la
massima diligenza dal compianto Antonio Corchia, che della città
martire conosceva ogni angolo di strada, di chiese, di piazze. Numerose
le illustrazioni a corredo dei testi. Appartengono ad Otranto due
fra le iscrizioni più antiche, le due di Casa Arcella, risalenti
al periodo imperiale romano. Scontate, nella Cattedrale, le numerose
iscrizioniche ricordano leccidio operato dai Turchi nel 1480.
Un gran numero di iscrizioni è situato nelle chiese, grandi
e piccole, di cui il nostro territorio è ricco. E molte di
esse risalgono al 600 e al 700, secoli contrassegnati
da un gran rifiorire di edifici sacri; spesso ristrutturazione di
più antichi: è il fiorire anche da noi dellarte
barocca, esplosa dopo il Concilio di Trento (1564); si vuole proclamare,
nel più solenne ed eclatante dei modi, il trionfo del Cattolicesimo
sul mondo protestante. Anche le iscrizioni risentono di questa atmosfera,
con il ricorrere ad espressioni altisonanti, a volte vere e proprie
figure retoriche. La lingua usata non può essere che il latino,
la lingua di Roma e, come appare dai testi, la si sapeva usare a
dovere, quasi sempre.
Due anni dopo, nel 1994, appariva il secondo quaderno
con le iscrizioni di Vernole e frazioni (48 in tutto), Maglie (31)
e Casarano (38): un totale di 117 iscrizioni, raccolte e commentate
rispettivamente da Luciano Graziuso, Emilio Panarese e Gino Pisanò.
Nel volume veniva citata uniscrizione recente, recentissima,
del 1990, nella chiesa del Sacro Cuore di Casarano, riferita alla
Passione di Cristo dipinta da Lionello Mandorino:
Perfecit Mandorino opus hoc, Filograna donavit.
Mandorino realizzò questopera, la donò Filograna.
Ben rappresentato in questo (e in genere in tutti i volumi) anche
il periodo rinascimentale, con molte iscrizioni civili, che spesso
si ispirano alla caducità della vita, al disprezzo delle
ricchezze, con inviti allonestà, al bene operare, o
che esaltano il viver tranquillo, senza eccedere in inutili sfarzi
e spese non necessarie.
Risuona spesso la paura dei Turchi, come in Vernole n. 15, Strudà
n. 13; Acquarica nn. 7 e 8.
Ricordiamo la più breve, Acquarica n. 7; si legge sulla torre
di una masseria fortificata e con essa si vorrebbe incoraggiare
il lettore a non temere, a prepararsi per respingere lassalto:
grande il pericolo, ma non meno grande il coraggio:

Si consistant adversum me
castra non timebit cor meum.
Se contro di me si dovessero appostare gli accampamenti nemici,
il mio cuore non avrà paura.
La data è del 1717: vale a dire che il pericolo turco era
ben vivo anche due secoli e più dopo il sacco
di Otranto, 1480. È citazione biblica: Salmi, XXVI, 3.
Da Maglie, n. 114, ecco lepigrafe:
B.M.V. Reginae Poloniae
Legio XXV Lanceariorum maioris Poloniae
Malleis clade in arma rinata
Imaginem hanc pietatis signum
dicavit
XXIX IV MCMXLV.
Il XXV reggimento di cavalleria di una più grande Polonia,
ricostituitosi in armi a Maglie dopo la disfatta, dedicò
questimmagine alla Beata Maria Vergine della Polonia, simbolo
di pietà (per i Polacchi) verso di lei - 29 aprile 1945.
Sta nella chiesa madre di Maglie, con sopra un bassorilievo dello
scultore magliese Giuseppe Conte. Fu voluto dai soldati polacchi
che soggiornarono nel Salento verso la fine della Seconda guerra
mondiale. È attestata la presenza di soldati polacchi anche
in altre iscrizioni, come in Alessano, 2, quaderno n.
4.
Nel 1995 vede la luce il quaderno n. 3, con le iscrizioni
di Melendugno e Borgagne, Parabita, Tricase e frazioni: 153 in tutto,
raccolte da Carmen Mancarella, Loredana Barone e Mario Monaco.
Colpiscono i frequenti distici elegiaci in territorio di Melendugno,
la gran mole di iscrizioni latine moderne nel Santuario della Madonna
della Coltura a Parabita (inizio anni 40) e laccurato
impegno filologico, quale appare dalle note apposte da Mario Monaco,
che per larea di Tricase scopre e reintegra sapientemente
più di un testo.
Liscrizione n. 43 di Tricase avverte:
Virtus hominem exaltat
vitia et divitia eundem praecipitant.
La virtù esalta luomo, i vizi e le ricchezze lo fanno
precipitare in basso.
E, ancora, si può citare quella n. 53, coeva, della seconda
metà del Cinquecento, su casa signorile, che parimenti ammonisce:
Sumptus redditum non superet.
La spesa non sia superiore al guadagno.
Consigli validi per ogni età, come si vede; anche se in
ogni età allegramente disattesi.
Nel quaderno n. 4, edito nel 1998, il numero delle iscrizioni
raccolte sale a 251, comprendendo ben 17 paesi fra Comuni e frazioni,
tutti situati nellestremo sud della penisola salentina, il
Capo di Leuca.

Opera a più mani tale volume, perché, oltre ad Antonio
Caloro, cui spetta la parte relativa alle iscrizioni di ben 13 dei
17 centri passati in rassegna, è da ricordare anche, per
i restanti 4, la collaborazione di Francesco Fersini, Padre Antonio
Leonio e Mario Monaco.
Le località esaminate sono precisamente: Alessano e Montesardo,
Salve e Ruggiano, Morciano di Leuca e Barbarano, Patù, Castrignano
del Capo e Giuliano, Salignano, Marina di Leuca e il suo Santuario,
Gagliano del Capo, San Dana, Corsano, Tiggiano e Specchia.
Qualche esempio: Montesardo, n. 1
Tempus ordo num
erus et mensura
MDXXIII.
Il tempo è ordine, numero e misura 1523.
La relativa nota così commenta. «È assai difficile
collocare in un ambito preciso le quattro parole dellepigrafe,
tante sono le accezioni che ciascuna di esse comporta. Possono riferirsi
tanto alla matematica, quanto alla musica, tanto alla filosofia,
quanto alla poesia, alla metrica... Montesardo continua la
nota era famosa in passato per le sue scuole: è ad
una di esse che si riferisce, probabilmente, questa iscrizione».
Nella n. 5 di Barbarano cè invece unaccogliente
esortazione ad entrare nella propria casa: Amice, ingreditor (Amico,
puoi entrare!), così si legge, con altre considerazioni.
Siamo nel 1711: «Omaggio sottolinea la nota
allantico senso di ospitalità della gente del Capo,
anche se ci sfugge il nome del cittadino cortese».
Sulla croce posta sul piazzale di Santa Maria di Leuca si legge:
Hic mendacii signa superstitio
vidit olim
videat colatque nunc fides
Salentinae gentes XX saeculi
veritatis justitiaeque trophaeum
Ecce vexillum
venite adoremus.
La superstizione qui vide una volta i segni della menzogna; ora
la fede della gente salentina del XX secolo veda e adori il trofeo
di verità e di giustizia. Ecco il vessillo, venite, adoriamo.
È una testimonianza indelebile del passato, dellanno
giubilare 1900.
Nel 2000, il Quaderno n. 5, che raccoglie 175 iscrizioni,
appartenenti a Galatone, Diso e Marittima, Andrano e Castiglione,
Lizzanello, Collepasso e Tuglie. Ricercatori, Vittorio Zacchino
per Galatone (38 iscrizioni); Filippo Cerfeda per Diso (33), Marittima
(31), Andrano (23) e Castiglione (6); Dorina Martina per Lizzanello
(17); Maurizio Paturzo per Collepasso (9) e Tuglie (19).
Mettiamo a fuoco anche qui alcune iscrizioni: partiamo dalla n.
1 di Galatone, dove si parla di una chiesa in cui officiavano sacerdoti
latini ritus, ossia di rito latino, in opposizione perciò
a quelli di rito greco-bizantino. Testimonianza di un dualismo religioso,
politico e culturale, su cui poi finì col prevalere la Chiesa
romana, non senza lotte e contrasti.
Personaggi che hanno segnato a volte limpronta del luogo,
ma che non risultano nelle storie ufficiali, fanno sentire la loro
voce attraverso le epigrafi: ecco, in Galatone n. 14, Fabio Fornari,
brindisino, vescovo di Nardò dal 1583 e morto in Galatone
il 20 febbraio 1596, buon conoscitore del diritto canonico, indisse
un Sinodo, riformò i costumi, riedificò la chiesa
matrice di Galatone, si schierò apertamente a favore del
rito latino nella contesa con il rito greco. Si ricordi per inciso
che da poco si era concluso il Concilio di Trento e si era vittoriosamente
combattuta la battaglia di Lepanto (1571).
Altro vescovo degno di nota è quellAntonio Sanfelice
che sembra parlarci dalle epigrafi di Galatone, ai nn. 4, 15, 26:
nato a Napoli da nobile famiglia e morto a Nardò nel 1736,
molto colto e buon mecenate, istituì lArchivio e la
Biblioteca, che porta ancora il suo nome; ma si segnalò soprattutto
per il forte incremento impresso alledilizia religiosa della
diocesi; del resto, suo fratello era un valente architetto, operoso
a Napoli nella prima metà del 700.
Interventi dalla sede pontificia sono attestati per Galatone nelle
iscrizioni a nn. 25, 27 e 28: siamo nel 1796, alla vigilia dellinvasione
napoleonica in Italia, ed è Papa quel Pio VI dalla vita assai
travagliata e morto in esilio in Francia nel 1798.
A Lizzanello, in una lunga ed elegante iscrizione, la n. 5, sono
tessute le lodi di Giorgio Antonio Paladini, signore di Lizzanello,
Melendugno ed altri Feudi, morto nel 1656; a quel che si dice,
persona veramente encomiabile, come signore e padre di famiglia,
valoroso in battaglia, accanito difensore contro i Turchi
della fede cattolica.
Per Tuglie, nella prima iscrizione e con richiamo anche nella n.
12, si ricorda lopera di don Vito De Santis, arciprete dal
1733 al 1785.Durante il suo lungo arcipresbiterato ebbe cura di
far eseguire a sue spese i lavori di ampliamento della chiesa, con
laggiunta di due altari laterali.
A Marittima, nel cimitero, liscrizione n. 20 riporta, su lastra
marmorea, tre brevi parole: Abiit, non obiit (È andato via,
non è morto). Ricorda Mons. Vittorio Boccadamo (1918-1996),
che ha lasciato pregevoli monografie sul suo territorio. Dice la
nota relativa: «Tralasciando le solite invenzioni mitologiche,
diede più importanza alle statistiche, alle dinamiche degli
eventi storici, ai registri parrocchiali, ai Catasti onciari, agli
avvenimenti più recenti, che molte monografie locali trascuravano
e tuttora trascurano. Su questa strada [annota Filippo Cerfeda]
si può considerare un vero pioniere: le sue Ricerche storiche
su Diso risalgono infatti al 1966». Da notare licasticità
dellespressione latina.
Anche in questo quaderno possono leggersi epigrafi con
precetti e osservazioni di carattere morale, specie in edifici civili.
Qualche esempio: Galatone, n. 230:
Virtus vulneratur, sed mori non potest.
Si può colpire la virtù, ma essa non può morire.
Senza data, ma del 500: si esprime qui la volontà
e la sicurezza delluomo rinascimentale ad operare rettamente,
perchè presto o tardi anche se con qualche battuta
darresto il valore, la virtus trionferà.
È datata 1821 liscrizione n. 18 a Diso:
Ubi thesaurus vester erit, ibi et cor vestrum erit.
Dove cè il vostro tesoro, là ci sarà
pure il vostro cuore.
Di matrice evangelica (Matteo, 6, 21), essa esorta a non considerare
troppo i beni terreni, vera prigione dello spirito.
Sempre avvertimenti morali contengono le numerose iscrizioni che
ornano il castello di Andrano, di cui eccone alcune:
Non nobis solum nati sumus.
Non siamo nati soltanto per noi.
Optimum omnium est bene agere.
Di tutte le cose la migliore è comportarsi bene.
Rotat omne fatum.
Il destino fa girare ogni cosa.
Sulla brevità e inconsistenza della vita umana ci ammonisce
Collepasso, n. 1:
Fuissent quasi non essent
de utero translati ad tumulum.
Vissuti come se non fossero mai esistiti, passati dallutero
al tumulo.
Nei secoli scorsi anche da noi imperversarono terribili epidemie:
puntuali, alcune epigrafi ne danno conferma: in Diso, n. 19, è
dedicato un tempietto a S. Oronzo pestilentiae propulsator, ossia
a colui che ci tiene lontano dalla peste; a Lizzanello, nelle epigrafi
nn. 9 e 10, si ringrazia pubblicamente San Lorenzo, protettore della
città, per il cessato pericolo del colera e si ricordano
i casi mortali, di colera, intorno al 1869.
Liscrizione n. 33 di Galatone, alla via Pietro Micca, sulla
facciata del magazzino ora di Antonio Caputo, con ricchezza di nomi
e particolari, ci informa della ricostituzione, anche in quel di
Galatone, di unAccademia arcadica, denominata Romanus Parnassus,
che, oltre a cenacolo di poesia, si rivela apertamente schierata
a favore dei Borbone: siamo nel fatidico 1799 e Ferdinando IV, rientrato
a Napoli dopo la parentesi della Repubblica Partenopea, viene osannato
dai poeti arcadi quale sovrano «felice, augusto, trionfatore».
Così conveniva, anche allora.
Ma liscrizione che, almeno per me, ha destato maggiore sorpresa,
richiamando lattenzione di tutti, è stata la n. 2 di
Collepasso:
Monumentum
posteritati commendandum
Antonii Leuzii Contareni
domo Tripoli
puelli suavissimi ac summae spei
quem binos annos natus
a libertate servum
ob ingenii elegantiam
atque ad optima quaeque discendi
expeditissimum
filium adoptarunt
de eo amantissime semper merituri
Patricii coniuges Carolus Leuzius
et Maria Contarena
ex Ducum Venetorum stirpe
Collispassi domini
acerbissimo fato raptum
hoc in templo
ubi baptismate inauguratus est
moestissimi sepeliundum curaverunt
vixit annos VI mensis VI dies XX
decessit a(nte) d(iem) X Kal(endas) Iul(ias) MDCCLXXII.
Liscrizione è preceduta dalle lettere greche alfa
e omega (principio e fine) ed è seguita dal monogramma greco
ictùs (pesce) per indicare Gesù Cristo, figlio di
Dio, Salvatore. (Monumento funebre da affidare ai posteri, di Antonio
Leuzzi Contarini, tripolino di nascita; fanciullo soavissimo e di
grandi speranze, a due anni di età [reso] schiavo da libero
[che era], vivacissimo dingegno e capace di apprendere il
meglio del sapere, [lui] adottarono come figlio i nobili coniugi
Carlo Leuzzi e Maria Contarini della stirpe dei Dogi di Venezia,
signori di Collepasso, che, per averlo così amorevolissimamente
accolto, avrebbero sempre ben meritato; strappato da acerbissimo
fato, mestissimi [i genitori adottivi] vollero che fosse sepolto
in questo tempio, dove, col battesimo, era stato iniziato [alla
fede cristiana]; visse sei anni, sei mesi e venti giorni; morì
il 22 giugno 1772).
Lepigrafe è nella chiesa della SS. Trinità,
sulla predella dellaltare maggiore.
Ma come può spiegarsi, alla fine del Settecento, la presenza
in Collepasso di un ragazzo nato a Tripoli e qui adottato dai signori
del luogo? Lipotesi più verosimile è che questo
bambino alletà di due anni fosse stato rapito e poi
venduto come schiavo dai nostri, in una delle incursioni dei cristiani
sulle coste musulmane dellAfrica mediterranea: la pirateria
infatti veniva esercitata attivamente sia da parte musulmana che
da parte cristiana e nel corso dei secoli si possono stimare da
400 a 500.000 gli schiavi musulmani vissuto in Italia, specie nel
Mezzogiorno e nelle Isole. Ecco allora in una nostra
epigrafe, ai più ignota, la preziosa testimonianza di un
fenomeno poco conosciuto, per noi un po scomodo e perciò
poco divulgato dalla storiografia ufficiale.
Lultimo Quaderno della serie, il n. 6, vede la
luce nel 2004. Esso presenta le iscrizioni di Trepuzzi (18), Squinzano
(27, più 10 non più esistenti, ma di cui si conserva
memoria), Cavallino (29), Galatina (101). Per un totale di 167 iscrizioni.
È dovuto allimpegno di tre giovani studiosi, che ripondono
al nome di Valentina Vissicchio, Enrico Spedicato, Elisabetta De
Giorgi.
Gustiamo qualcuna di queste iscrizioni. In Trepuzzi, n. 17, può
cogliersi unaltra dichiarazione di ospitalità:
Sinceris januam
numquam claudo amicis.
Agli amici sinceri non chiudo mai la porta.
È del secolo scorso; breve ed elegante per il ricercato
allontanamento di sinceris da amicis, la prima e lultima parola,
irrealizzabile in italiano.
Nella n. 3 di Squinzano sembra di leggere una pagina di cronaca
locale a carattere civile e religioso: si ricorda una solenne visita
del Cardinale Ascalesi, accolto dal vescovo Gennaro Trama, circondato
dai nobili e dal popolo plaudente, il 23 agosto 1919. Seguì
un incontro in Municipio, per salutare gli amministratori del Comune
e da lì impartire nuovamente la benedizione.
Quasi tutte le iscrizioni di Cavallino sono ubicate nel Castello
o nelle vicinanze di esso; si fa conoscenza con i componenti dellillustre
famiglia dei Castromediano, delle loro parentele, di alcune loro
imprese.
Per Galatina, risale al 1795 la n. 12, dedicata a Ferdinando IV,
Re, Augusto, Invitto, come al solito; ma si apprende anche che per
suo interessamento fu ampliata la città e rifatta lattuale
Porta Luce; a lui si deve ancora lopera di prosciugamento
delle paludi circostanti, civium saluti infestissimae (Assai dannose
alla salute dei cittadini).
Sempre in Galatina, nella n. 30, è una campana che parla:
Mariae perdolenti
in dolore tristis
in gaudio jucunda
laudes Deo persolvo.
In onore di Maria Addolorata, triste nel dolore, lieta nella gioia,
rendo lode a Dio.
Spesso, a proposito di campane, si ricorre a questa forma di prosopopea.
Lo Spirito Santo si invoca nella n. 56 per essere protetti dalle
insidie di Satana; forse è del Cinquecento:
Procul a nobis perfidus absistat Satan a tuis viribus
confractas sanctus assistat spiritus a tua sede demissus.
Stia lontano da noi il perfido Satana, [allontanato] dalle tue forze.
Lo Spirito Santo, inviato dalla tua sede, aiuti le [nostre] forze
infrante.
Più semplice risulta, su unabitazione di via Lillo,
al numero civico 28, la n. 70:
Omnia tempus habet.
Tutte le cose vanno fatte a loro tempo.
Risale al 1795 e riporta una massima biblica (Eccl. III, 1).
E per finire, sempre a Galatina, la n. 80:
Regnantibus impiis
ruinae hominum.
Sotto il governo dei disonesti cè la rovina dei cittadini.
Risale al Cinquecento, ma il detto, soprattutto in questo tempo
di sfiducia e di stanchezze, è sempre di grande attualità.
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