Le comunità
furono costrette
a darsi alla fuga, portando con sé
la memoria di un castigo divino che fu allorigine
dei miti e delle leggende narrati
in moltissimi testi sacri.
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È presente in tutte quante le comunità umane, da
un capo allaltro del pianeta: una remota inondazione voluta
dagli dèi o per le religioni monoteistiche
da Dio. Il Diluvio Universale deve pur corrispondere a qualche cosa
di reale, se ha lasciato un segno così profondo nelle antiche
culture. E ora, da qualche tempo, una nuova ipotesi scientifica
avanza lidea che forse fu proprio uninondazione apocalittica
ad aver inciso radicalmente nello sviluppo delle attività
agricole in tutto il Vecchio Continente, più o meno 8.300
anni fa.
Utilizzando evidenze archeologiche e datando alcuni campioni organici
con il carbonio 14, un gruppo di ricercatori britannici ritiene
di aver dimostrato che il collasso di un enorme ghiacciaio dellAmerica
del Nord, che avrebbe fatto salire il livello degli oceani di un
metro e 40 centimetri, fu allorigine di gigantesche alluvioni
nellarea Sud-est dellEuropa. Esse costrinsero migliaia
di agricoltori, che da tempo vivevano lungo le coste del Mar Nero,
a cercare nuove dimore nei territori occidentali europei.
La ricerca sostiene di aver trovato le prove dellinnalzamento
del livello del mare in tutto il Mar Mediterraneo e nello stesso
Mar Nero, grazie allanalisi delle linee di costa esistenti
prima e dopo linondazione.
«La precisione della nostra ricostruzione ci ha consentito
di arrivare ad un errore non superiore ai cinquantanni»,
ha chiarito Chris Turney, un geologo delluniversità
di Exeter (Regno Unito), che ha guidato gli studi. Linnalzamento
del livello del mare ricoprì circa 73 mila chilometri quadrati
di spiagge, per un periodo di circa trentaquattro anni. Poiché
era noto che attorno al Mar Nero si erano stabilite numerose comunità
dedite allagricoltura, è evidente che queste furono
costrette a cercare altre aree nelle quali continuare la loro esistenza,
e questo le portò lontane da altri mari.
«Studiando lo sviluppo dellagricoltura in Europa, si
scopre come essa fosse poco sviluppata prima del diluvio.
Subito dopo questa immane catastrofe lagricoltura ebbe unimprovvisa
crescita nellarco di una sola generazione», sottolinea
Turney. Ciò spiegherebbe il motivo per il quale il Diluvio
Universale come fenomeno misterioso registri la sua
presenza in tutti i testi religiosi, e non solo, delle culture planetarie:
se si fosse vissuti in quei tempi, la crescita spropositata del
mare in un brevissimo torno di tempo avrebbe dato la sensazione,
e meglio ancora la certezza, che tutto il mondo fosse inondato.
Questultima scoperta va a sommarsi a precedenti ipotesi, secondo
le quali il Mar Nero si sarebbe ingrandito esattamente al termine
delle glaciazioni. Quella più nota venne avanzata da William
Ryan e Walter Pitman, geologi della statunitense università
Columbia. Secondo questi due ricercatori, attorno al 5000 prima
di Cristo il Mar Nero era isolato dal Mar Mediterraneo. Esso era
un gran lago di acqua dolce, e le rive erano un centinaio di metri
al di sotto del livello dei mari.
Con tanta acqua dolce a disposizione si svilupparono diverse attività
legate allagricoltura. Ma intorno a 7000 ani fa crollò
la diga naturale in corrispondenza dellattuale Bosforo, che
separava lacqua dolce del Mar Nero da quella salata del Mar
Mediterraneo. Si venne a creare in questo modo una gigantesca cascata,
che durò un anno intero, nel corso del quale si riversò
nel lago, immettendovi anche fino a cinquanta chilometri cubi di
acqua al giorno. Il livello del Mar Nero si alzò di circa
quindici centimetri al giorno, fino al momento in cui raggiunse
il livello dei mari. Le comunità furono costrette a darsi
alla fuga, portando con sé la memoria di un castigo
divino che, entrando nei racconti orali dei superstiti, fu
allorigine dei miti e delle leggende narrati in moltissimi
testi sacri.

Conosciamo la vicenda riferita dalla Bibbia. La Genesi racconta
che Dio volle risparmiare Noè (che aveva letà
di seicento anni, ed era ritenuto giusto e perfetto) e la sua famiglia
dal castigo che stava per abbattersi sul mondo; per questa ragione
gli ordinò di costruire larca, a bordo della quale
imbarcare i suoi e una coppia di tutti gli animali che abitavano
la terra.
Noè sembra corrispondere alleroe del Diluvio conosciuto
dagli antichi documenti sumero-babilonesi, poi anche greci. Con
lui, la Bibbia dalla storia umana in generale passa a quella speciale
del popolo che sarà oggetto di particolari provvidenze di
Dio. La stessa fonte racconta che Noè, una volta uscito dallarca,
proprio a Dio offrì un sacrificio; e con questo episodio
Dio diede principio a un secondo cominciamento del mondo e a una
nuova alleanza, simboleggiata dallarcobaleno, ripetendo il
comando di propagare la specie umana e concedendo alluomo
di servirsi delle altre creature per proprio uso.
Nella mitologia greca è ricordata la vicenda dei due anziani
coniugi Deucalione e Pirra. Questa la vicenda: figlio di Prometeo
e di Climene, Deucalione aveva per moglie Pirra, figlia di Epimèteo.
Durante il Diluvio, scatenato da Giove per la distruzione del genere
umano, i due, ritenuti i soli giusti di tutta lumanità,
si erano posti in salvo, ritirandosi con una nave sul monte Parnaso.
Quando Giove, fatto cessare quellapocalisse, restituì
la serenità alla terra e al cielo, Deucalione piangeva e
insieme con la consorte si disperava perché era del tutto
perito il genere umano. Allora entrambi decisero di recarsi a Delfo
per consultare loracolo sul modo con cui potesse restaurarsi
la stirpe umana.
Loracolo di Tèmide rispose: «Uscite dal tempio,
copritevi il capo, slegate gli abiti cinti e gettate dietro le spalle
le ossa della grande nutrice». Dopo essere stati lungamente
perplessi sul significato delloscuro responso, Deucalione
pensò che la grande nutrice dovesse essere la Terra, e di
conseguenza le sue ossa non potevano essere che le pietre. Manifestata
questa interpretazione alla moglie, insieme gettarono sassi dietro
le loro spalle. Le pietre lanciate da Deucalione si trasformavano
in uomini, quelle buttate da Pirra in donne. In questo modo venne
ripristinato il nuovo genere umano.
Passiamo allinduismo. Qui, esemplificando, Brama, Siva e Visnu,
in origine simboli cultuali di tre religioni probabilmente differenti,
con abbondanti apporti di elementi mistico-estatici provenienti
dalle popolazioni aborigene dellIndia, sono poi assunti quale
simbolo di tre momenti differenti del divenire dellUomo e
dellUniverso, e, cioè, la generazione o creazione (srsti),
il mantenimento (sthiti) e la distruzione del creato (pralaya),
venendo così a formare la cosiddetta Trimurti che, più
o meno, costituisce il fondamento comune del pensiero teologico
indù.
Ma mentre nel versante vedico dellinduismo Visnu era la divinità
solare che incarnava il principio-luce che pervade lUniverso,
in quello dei visnuiti diventa la divinità centrale che assorbe
tutte le funzioni, da quella di demiurgo alle altre, di eroe celeste,
di numerosi eroi tribali, di tutti i semidei. Dunque, con il nome
di Matsya, sotto laspetto di pesce, salva Manu, il prototipo
umano, dal Diluvio Universale, anche in questo caso facendogli costruire
unarca, la cui polena era legata alla sua pinna caudale, in
modo che potesse condurre a un luogo ove la terraferma sarebbe emersa
prima che altrove. E questo mito ricorda quello babilonese del dio-pesce
Oannes, salvatore dellumanità e suo maestro, tramandatoci
da Beroso.
Abbiamo detto che il racconto del Diluvio si trova in più
di un contesto culturale: nellarea mediterranea, nellEstremo
Oriente, nellAmerica centro-meridionale, nelle isole del Pacifico
è presente il ricordo di una calamità che travolse
lumanità. Questo riscontro ha spinto gli studiosi a
ipotizzare che dopo levento i popoli si siano dispersi in
più direzioni. Lipotesi è suggestiva, ma le
tradizioni mesopotamiche più antiche parlano piuttosto di
diversi diluvi presso quei popoli soggetti ai bizzarri straripamenti
del Tigri e dellEufrate.
Nellepopea di Gilgamesh è narrata in versi la vicenda
del Diluvio, allo stesso modo in cui è narrata nella Bibbia.
Un confronto fra i due testi consente di cogliere le analogie, ma
soprattutto le differenze che riportano ad un differente contesto.
Intanto, nella narrazione biblica è chiaramente precisata
la motivazione della calamità: «Vedendo dunque Dio
come grande era la malizia degli uomini, sopra la terra, e tutti
i pensieri del loro cuore erano intesi a malfare continuamente,
// si pentì davere fatto luomo. E fu preso da
intimo dolor di cuore: // Sterminerò, disse, luomo
da me creato dalla faccia della terra, dalluomo fino agli
animali, dai rettili fino agli uccelli dellaria
».
Nel testo mesopotamico, invece, i motivi sono meno evidenti e giustificabili;
inoltre, la decisione del Diluvio viene presa da un gruppo di dèi,
e non è condivisa da tutti gli altri. Infatti Ea, il dio
della sapienza, di nascosto dice a Utnapishtim, destinato a diventare
dopo il cataclisma il padre di tutti i nuovi uomini: «Demolisci
la casa, costruisci una nave, // lascia andare le ricchezze, cerca
la vita, // i beni odia, la vita fa vivere, // porta a salvamento
ogni seme di vita nellinterno della nave!». Tutti gli
dèi mesopotamici, poi, durante il Diluvio sono sconvolti:
«Come cani stettero fermi, si accucciarono fuori». Dio,
invece, date le istruzioni a Noè, ricompare solo per avvertirlo
che può uscire dallarca: «Uscite dallarca,
tu e tua moglie, i tuoi figli e le mogli dei tuoi figli, // conduci
fuori con te gli animali di ogni genere che sono insieme con te,
tanto volatili, che bestie e rettili che strisciano sulla terra,
e scendete sulla terra: crescete e moltiplicate, dilatatevi sopra
la terra, e riempitela!».
I due protagonisti, cessato il Diluvio, inviano uccelli in esplorazione:
Utnapishtim fa uscire la colomba, la rondine, infine il corvo che
non ritorna più, poiché le acque si sono prosciugate
e ha trovato cibo. Noè invece «passati quaranta giorni
[
] mandò fuori il corvo, // il quale uscì e
non tornò fino a tanto che le acque fossero seccate sulla
terra. // Mandò ancora dopo di lui la colomba [
] //
la quale, non avendo trovato ove fermare il suo piede, tornò
a lui nellarca; // [
] e avendo aspettato sette altri
giorni, mandò di nuovo fuori la colomba; // ma ella tornò
a lui la sera, portando in bocca un ramo dulivo con verdi
foglie. Intese dunque Noè che le acque erano cessate sopra
la terra. // E nondimeno aspettò altri sette giorni, e rimandò
la colomba, la quale più non ritornò a lui».
Noè tuttavia non esce subito, come Utnapishtim, ma aspetta,
finché Dio stesso non gli ordina di abbandonare larca.

Il Creatore non fa di Noè un dio. Pur essendo il tramite
privilegiato fra lumanità e Dio, egli rimane uomo,
tanto che muore dopo tre secoli e mezzo. Utnapishtim non muore,
vive alla bocca dei fiumi, nel paradiso terrestre in cui mai la
morte lo toccherà. Nel pantheon politeistico mesopotamico
cè posto per una coppia umana che acquista limmortalità,
nel Cielo monoteistico ebraico questa è prerogativa esclusiva
di Dio.
Ma cè unaltra differenza tra i due protagonisti.
Utnapishtim non si connota tanto per i valori morali, quanto perché
molto sapiente. La sua sapienza gli consente di capire
il volere degli dèi e di conquistare una dimensione eterna.
Il testo mesopotamico sembra affermare che la colpa è frutto
di stupidità; lessere sapiente, invece, fa la distanza
fra gli uomini, poiché permette di discernere nella complessità
del vivere la via che conduce alla vita.
Nella Genesi il male è insito nella natura umana; il giusto,
non il sapiente, colui che, cosciente di essere peccatore, teme
la colpa e si abbandona fiducioso al volere di Dio, questi ottiene
grazia presso di Lui. La Bibbia mette in luce tutta
la fragilità umana, che si riscatta soltanto nelle grandi
braccia di Dio; il testo mesopotamico lascia un maggiore spazio
alle doti intellettuali delluomo, capaci di distoglierlo da
un percorso che conduce allannientamento di sé e di
avviarlo sulla strada che si apre alla vita.
I Maya, infine. Questa civiltà precolombiana riteneva che
ci fossero stati parecchi mondi: ciascuno era perito a causa di
un Diluvio, e si attendeva un successivo Diluvio. Notizie sui miti
maya, dal momento che la lingua di questo popolo non è stata
decrittata che in minima parte, si hanno dalla lettura dei quattro
libri del Popol-Vuh (La raccolta delle foglie scritte), una vasta
compilazione redatta nel XVII secolo da un indigeno cristianizzato
del Guatemala. Nel terzo dei quattro libri si narra della creazione
da parte degli dèi dei primi uomini, e della morte che Diluvio
dopo Diluvio colpisce il genere umano. Degno di nota il fatto che
parecchi passi di questo documento posseggono movenze metriche,
e qualcuno può essere identificato con un vero e proprio
canto, probabile residuo delle melopee dette nugum tzih,
cioè ghirlande di parole, che accompagnavano
le danze rituali.
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