Japigia
o Messapia
o Salento, sempre terra tra due mari vuol dire,
ed è il più terso specchio
dellantica Madre.
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Fenomeno forse unico, ciascuna regione, ma potremmo dire ciascuna
provincia italiana, ha una propria poesia dialettale. Che nella
terra pugliese si articola in un gran numero di linguaggi locali.
Perciò non è disdicevole parlare di Puglie,
anche perché al mosaico delle culture linguistiche vernacolari
(compresa quella eccentrica della Grecìa Salentina,
nel territorio del Capo) si somma quello delle identità architettoniche
e urbanistiche, con il Romanico innervato nelle terre del Centro-Nord
che tramonta alle soglie delluniverso dei trulli, e svanisce
ai confini messapici, dove trionfa il Barocco. Pertanto, tornando
alla poesia, dobbiamo tralasciare nomi di prestigio (da Pierri a
De Donno, a Savelli, e oltre che ai contemporanei, ai classici)
che meritano un discorso a parte.
Il senso di appartenenza a un pianeta altro, qual è
il Sud, non è mai assente. Scrive Martin Andrade, il quale
in Salento fu esule: Dei loro avi / i poeti del Sud custodiscono
/ il sangue la parola il sudore. Prima di essere Puglia, dunque,
questa terra è Sud. Ricorda Vittorio Pagano:
Qui la
pietra scolpita si riposa / su fisse onde calcaree e senza
vele, / in se stessa incagliata, altro non osa / che tramutarsi
in un astro crudele
// A noi si dona, artefici assolati, /
una malia di calme architetture, / dove luomo è il
pretesto dun poeta: // la morte a un Sud eterno ci ha votati
Latitudine, però, infelice. Non soltanto per Vittorio Bodini:
Sulle pianure del Sud non passa un sogno
// Le pianure mirare
a perdita docchio, / senza case, senzalberi, senza una
lettera: / livello di unassenza a cui sole si sporgono / capre
o spettri di capre morte da secoli, / che brucano le amare giade
dellinsonnia, / lacciaio senza luce dantiche spade,
/ quando i popoli amari si scontravano / e di sangue tingevano i
cieli della preistoria; ma per lo stesso Pagano: Miti del Sud, addio.
Locchio si sbarra / nelle spirali e vi saccieca
// La Grecia, Roma, i tufi, la pianura / le scogliere del Capo,
gli oliveti, / tutto si squarcia e in alto ne perdura / londa,
il disintegrarsi, in alto, ai vieti / culmini domertà
che la paura / innalza aglippogrifi
// E saremo i Giasoni
per il vello // di tenebra e di piombo, contro i mostri / che partoriamo.
Immersi nel rovello / del nulla, graffieremo come rostri / la lapide
del sogno
Il cuore è quello / che fu, geloso, avaro,
ebbro dei nostri / vecchi tesori e il canto della prèfica
/ è la sua cifra orribile e benefica.
La Puglia è un Sud che rinasce dalle sue ceneri, sembra volerci
comunicare Elio Filippo Accrocca: Oh, mitica memoria che riemerge
/ dallinfuocato cielo, dalla terra / contrita, dal marino
sepolcro, / umile foglia nellincerta mano / del fanciullo
che ignaro passo muove / tra scheletriti mostri, / è già
ventura e grazia, intatta forma / alle favole nuove, a te che andrai
/ nel mare del tuo vivere a spiegate / vele, col radar nellaperta
mente. Perché se una visione idillica è concessa
una volta tanto allo sguardo gentile di una poetessa di delicati
sentimenti, qual è Lia Leda Leonardi, (Alta è la luna
/ sul dolmen. / Nellaria di vetro / ora le pietre / silenti
danzano
), ben presto una tensione panica simpossessa
delle anime innocenti, votandole ad oscuri riti sacrificali. Scrive
Vincenzo Rella: Dio dei terroni, / che ieri / danzavano a tondo
sullaia / al suono / dellorganetto a bocca / intorno
al boccale di vecchio vino, / ora sfangano / nei fradici scarponi
/ inzuppati di loto. // Lasciali, Dio, ancora sognare / quando fiocca
la neve / liquori odorosi di mammole / intorno al focolare, / pietre
roventi / sulle Murge spaccate dal sole.
Ogni tragedia è preludio ad unaltra tragedia. Rivoltami
la sciarpa sopra il bavero: / tra poco fischierà il treno
del Nord
, scrive Antonio Prete. E di rincalzo, Enzo Miglietta:
Odore di terra lontana, / altri monti, altri piani, // altri volti.
// Forse altre lotte. / E una pena maggiore / di vivere
È
Rino Bizzarro, poeta e attore, a darci la misura della psicologia
umana dellemigrato, esule forzato della fame:
Oh Puglia,
mio rimorso, tu lo sai, / perché mi sei nel sangue, / che
quando il treno fischia, / nel cuore mi tormenta lo spavento / e
paura di strade e volti ostili! / Tu conosci ai ritorni la mia gioia
/ che riempie di parole, / di canti e di preghiere saracene / la
gola, gli occhi, il cuore disperato
Solitudine di chi va, e di chi resta. Come racconta la disperata
poesia di Alfonso Gatto dedicata alla Sera di Puglia:
Quella sera destate udii il pianto. // Era la madre
sola / col bimbo dafa inzuccherato dali / che le moriva
in grembo, a tamburello / il setaccio di polvere lasciava / il suo
crespo velato di sonagli. // Ora è vergogna dire che lincanto
/ su tutti tenne la sua mano obliosa, / ma nessuno si mosse. Erano
stanchi / di mentirsi pietà, erano dentro / il pianto che
piangeva sui cavalli in piedi / ad ascoltarla li fa grandi e soli.
E disperazione è termine ricorrente nella poesia
del Sud e della Puglia. Scrive Biagia Marniti: Terra di Puglia /
che nel mio sangue bruci la cenere / la disperazione degli avi,
/ il cuore ti chiama amore sconosciuto. / A est a ovest nellisola
sul fiume / paesi e città io amo, ma sono del Sud. / Forse
un giorno tornerò alla mia collina / tra ulivi e mandorli
cinerini nel sole destate, / ai braccianti agli artigiani
/ fra lodore del basilico e garofani rossi
Mentre Vittore
Fiore dispiega così il suo canto:
Talvolta maspetto
/ di fuggire e da ogni parte lolivo, / dolce infanzia, con
me portare e la vite / in fondo a nuove valli / dove fiorisce la
speranza. / Penso a un esilio in cieli alti / e lerba intenerire
fra le dune / ai ciechi sassi / nel silenzio delle campagne. / Terra
di sale, di pecore nere, / soli e perduti piovono misteri / dentro
di te che sempre fuggo ed amo
// Puglia, amara palude / del
sangue, dai cieli vicini, / dalle selve, gonfi di sole, i pini /
renosi: fioriscono le pietre / contro i fossi sotto la terra rossa,
/ le antiche tombe sotto gli oliveti. / Venite erbe, venite le vuote
/ strade a calcare, mentre / Altamura dalle Murge esce / incontro
ai venti del mare aperti. Quelle voci nei campi assorte / e i tanti
cieli, cè Otranto / che brucia fra cielo e mare, /
di primavera verso il tuo canale / sei guerre e chiese, / sei tu
che gli antichi approdi continui / e per incantagione / solo e perduto
piove lamore
Tra i poeti che hanno cantato il Gargano, la terra che, al di qua
delle colline abitate dai Liburni, allarga gli orizzonti della civiltà
dei Dauni, Umberto Fraccacreta è voce sincera, e dunque limpida,
sebbene un poco antica. Scrive:
Sulla pendice estrema del
Gargano / la masseria giaceva e labbagliava / la piana solatia
del Tavoliere: / accoccolate sulla bassa costa / ammiccavan le case
linde e bianche. / Come branco di capre loliveto / selvatico
saliva alla montagna / brulla, mentre alle falde si snodava / attraverso
boschetti delci e dolmi / il Candelaro torpido e silente
// E mossero i pastori dellAbruzzo / traendosi le pecore e
gli agnelli / verso la Puglia pel tratturo antico / aperto, or è
moltanni, alla vicenda / degli armenti dai monti alla pianura,
/ dalla pianura al monte. Ed era come / un mondo che migrasse. Per
le forre / dAppennino il maltempo già premeva / alle
lor spalle, quando dalla nebbia, / azzurra spada, emerse lAdriatico
// Grande era lopra e tempo daffrettare: / la spiga
doro già pendea matura. / Albeggiava e la stella mattutina
/ come un fanal rosso sinarcava / sul Gargano. Pungeva quasi
il fresco. / Subito mosser gli uomini in silenzio / al limite del
campo, e là arrivati / ristettero un momento per pregare.
/ Roco un grido sudì, e le prime falci / brillaron
nel chiarore antelucano
Universo rurale coronato dalla roccia dello sperone che emerge
nero dal mare. Con le vie derba
che portano in Campania, in Basilicata, ma soprattutto nella Piana
pugliese che ebbe una storia nobilissima tra Castel del Monte e
Lagopesole lucano, con Federico II, Stupor Mundi, e
prima ancora con la civiltà italiota, e con la più
grande città dellantichità italica ancora sepolta,
Arpi, dove gli archeologi possono scavare soltanto se sono presenti
i carabinieri con le armi in pugno e il proiettile in canna, tale
è la tracotanza dei mafiosi trafugatori di opere darte;
oltre che con quel che è stato salvato della cultura troiano-italica
da valorosi amanti delle tradizioni artistiche locali (e non solo
locali) e raccolto nel museo di Siponto: anche se per dolente provocazione
Guido Pensato scrive: Siponto non cera, non cè
/ è isola remota / gota sparuta / mota sperduta / memoria
illusoria / di sogni furenti / di menti perdute / in un vago delirio
/ di vita smarrita / nel cavo grembo di tufo / nel lembo estremo
da cui torniamo. Mentre una Biagia Marniti trasognata ci descrive
lalone di poesia che emerge da Lucera, che fu città
in cui limperatore Federico II raccolse i saraceni che ebbero
lonore di formare la retroguardia del suo esercito: Riconosco
la voce del vento / quella voce che a un tempo / immemore mi riporta.
/ Ritrovo lantico cielo / e lombra dei pini. / Una strana
atmosfera mi avvolge / poi la sensazione dilegua / e levento
è forse la presenza / delle colonne che mi vengono incontro.

La salvezza è forse nel prolungamento del passato? Nellafoso
clima delle transumanze, che pure condizionarono la storia e leconomia
di tanta parte dellItalia del Sud? Scrive infatti Marcello
Ariano: Parlami, voce buona dei tratturi, / prima che sul terrazzo
/ scendano falene / a coinvolgermi in cerchi e malombre
Oppure
è nella forza centrifuga, cioè nelluscita di
sicurezza da una civiltà contadina ormai fuori tempo, dopo
due rivoluzioni industriali? Così sembra sottendere Salvatore
Ritrovato: Trasvolato uno stormo di pernici / lontano dai sonagli
degli armenti / dal ronzio delle granaglie / spigoloso sui tratturi
/ come il frullo di un ricordo / da un altro mondo, lontano / nellimbuto
di doline / che rovinano nel mare, / in nicchie amare
; mentre
rientra nelle pagine ingiallite della storia la skyline
dei borghi antichi, assediati ormai dalle periferie anonime, figlie
del benessere-malessere del dopoguerra. Registra Cristanziano Serricchio:
Il ceppo sannida fra pietre / antiche, amiche, vive
di tutti / gli anni insieme vissuti, calcificate / nella carne dognuno
di noi, / di me, di te, dei nostri figli, / dal sole che ancora
le sfalda. // Resteremo come le formiche / a correre lungo il muro
/ fra linterrato nido / e il coppo lustro in cima. // Già
da tempo le casupole hanno / embrici sconnessi e i sottani / in
ombra giochi poveri di ragazzi / tra mura di cinta diroccate. /
Dagli spalti sentinelle assolate / salutavano a fischio / robuste
lavandaie, gambe e braccia / nude nellacqua, e strizzavano
/ panni e voglie sugli scogli
Bari del primum vivere, remoto dal barocco philosophare,
e della concretezza, del pensiero veloce, del linguaggio secco e
immediato. Bari che lavora e che stempera i sogni tra il lungomare
crespato e il cielo rigato da chiassosi gabbiani. Bari locomotiva,
fascio di muscoli, grido di mercante, afrore di fronti. Bari dei
modernissimi registri di Daniele Giancane: Allora le notti volavano
leggere / sui gradoni dei vicoli antichi / Michele ogni giorno /
quattro volte alla fontana / la carriola partiva cigolando
/ Michele fatica e sorride / la faccia sempre più pece /
sotto il sole beffardo / ma lui sorride e scrolla le spalle
E Bari generatrice di poeti del disagio, perciò in fuga verso
latitudini più meridionali, nelle terre del philosophare,
appunto. Al modo di Vittore Fiore, nato sui mari del tonno. O al
modo di Vittorio Bodini: Come un polpo sbattuto ancora vivo contro
lo scoglio / si arricciolavano i miei pensieri / a Bari fra le barche
verdi e gli inviti / favolosi dei venditori / di quella iridescente
pena; ma io / non avevo che una moneta / dimpazienza e di
notte, / una moneta nera dei paesi / dellinterno, che soffoca
le case / fra orizzonti di corda su cui oscilla / la tarantola
unaltra pena
La costa adriatica barese butterata dallAdriatico, poi. Con
gli incantevoli scorci polignanesi descritti da Luigi Fallacara:
Qui salzano le grotte e, sulle grotte, / le case rosee e bianche,
provvisorie / pareti duna fragile presenza, / o solo appena,
cubi desistenza. / E il mare si rigira nelle grotte / come
un capo assonnato di respiri, / avvolto dalghe, di sogni e
di notte. / Qui non lopera umana è ciò che dura,
/ non è la terra col suo solco oscuro, / ma un estremo del
pianeta, un resto / di calcare lucente, arso e celeste. / Superficie
scavata a conche, a lame, / di dove, rabbuffate nel pelame, / azzurre
capre contemplano il vuoto. / Quando sorge la luna, il promontorio
/ ha le sue stesse lucentezze ed ombre. / Allora, uomini avvezzi
a ogni disastro, / salgon dal mare ed entrano nellastro. Oppure
scolpiti nella poesia di Lino Angiuli: Qui / dentro il ventre della
pietraviva / tutto quanto il marenostro si confina / con la magniloquente
voglia / di ricreare ora per allora / il lungo palpito dellannoluce
/ sul quale vedo galleggiare ancora / una manciata di millenni al
timone. / Così come / lazzurrognola bellezza della
storia / le dolci cantilene, della calce / delle case che spariscono
nel sole. / E quelli / i nostri benedetti santi marinari / di buon
mattino vanno alle patate / poi scendono a spassarsela in paese
/ oppure acchiappano centotré aquiloni / di notte infine
sognano salato / come sta scritto in tutte le bibbie / il primo
mare non si scorda mai.
E sempre lui, Angiuli, ancora con le sue lettere spedite al mondo.
Una da una città di confine, Savelletri, sotto il cono dombra
delle Serre fasanesi: Lo zampino del sogno / ci fa cigolare le mezzelune
in fiore / sotto il libeccio mangiaufo a tradimento / che ci sbuffa
africa in faccia / quando locchio smarrisce i confini / del
giorno acquerellandosi nel cielo / lì dove abitano un sacco
di sud / fili chitarre chiesemadri e coppole. / Tuttiquanti / in
cerca di fortuna come noi peraltro / che navighiamo tenendoci per
mano / dentro la pancia duna madrebarca / capace di guardare
dentro gli occhi il mare / e di fargli figliare favole salmastre
La regina di tutte le chiese romaniche pugliesi, con le pitture
di pietra, cioè con le sculture che sostituiscono la
pittura, grazie alla docilità del carparo. È in Ruvo
di Puglia, descritta da Biagia Marniti: Hai la forza di un drago
nel ricordo / Cattedrale, / dalle aperte ali come uccello, / sobrio
rosone / con dodici piccole clavi, / portale con grifoni / seduti
su agili colonne, / alla cui base leoni stilofori / i ragazzi scavalcano
di corsa
Cè una Puglia di mezzo. Non tanto in terra brindisina,
che fu Salento nord-orientale, e che nelle balze occidentali saldò
la Messapia verso Manduria dalle ciclopiche mura. Quanto nella falcatura
tarantina, unica terra di marinai spartani, poi deduttori di una
colonia, anchessa unica, in Gallipoli. Comunque, di Brindisi,
dove Virgilio finì di scrivere lEneide, dice Vittorio
Bodini:
Alla fontana col secchio / i carrettieri / voltavano
le spalle / a quellovale e quasi esule specchio / ove la sera
calmava reti / ed un viola dobblio, e annidati / in qualche
parte dellonde / i piccoli gabbiani / chiedevano la storia
/ di Moby Dick che muove solitario / sugli oceani assoluti. // E
un palmizio era a guardia della fonte / che come un ladro io guardavo.
/ Ladro del tempo che ci ruba tanto. / Era qui che i crociati abbeveravano
/ i loro cavalli.

Ma è Taranto che ruba la scena. Con Raffaele Carrieri: Tace
il gallo fra spugna e lancia / splende il sole nella bilancia. /
Miei paesi di tante croci / senza fiumi senza foci / miei paesi
di lune e gufi / col demonio dentro i tufi. / Sul calvario Gesù
giace / come luce nella calce; o ancora: Immoto era il falco / sulla
cima dellolmo. / Batteva il tuo zoccolo / la fertile terra
mia / senza ferire la cicala / che al mio canto suniva / nella
ressa degli arbusti
Con Giacinto Spagnoletti: Stasera vedrò
ancora / una stria di celeste / unire il tuo pallore quieto / al
cuore invisibile dei boschi. // In unaria diversa / custodirò
le tue ombre / così attente nellora più persa,
/ e il fluido dei marciapiedi / da cui sinnalzano voci damore
/ che una musica sempre frastorna
Con Alda Merini: Nelle prime
sostanze, nelle prime / luci dellalba quando viene il vero
/ peccaminoso senso dellangoscia / quando il tempo perde terreno
/ ed arde per la delicatezza del fiore / quando germoglia il senso
della vendetta / sulle propaggini buie / e tu ascolti il vituperio
del vento / qui a Taranto fra i gelsi ed i fiori / allora scende
il tempo del delitto / quello che mortifica la tua voglia damare
/ e che manda spirali sanguinose / sopra il tuo seno intatto / allora
la foglia libera / vibrerà di intenso pudore / e la tua vena
di pianto / sarà disseccata per sempre / ma adesso reggi
le corte briglie del tempo / o poeta che scavi nella notte / la
tua sostanza. Mentre Angiuli riporta alla memoria le antiche tragedie,
innervate nel nome dei paesi come Roccaforzata che
furono protagonisti e vittime: Una folla di onde vagabonde entra
/ esce nelle parentesi tonde dellocchio / alzando la voce
per farsi sentire / da una famiglia di cartari tarlati / velieri
fantasma che vagano nel tempo / con un bel carico di aurore saracene
/ da una parte allaltra allaltra / vanno
E cè la Puglia estrema, ai confini della terra, che
culmina non si sa se con una o unaltra Punta, la Meliso oppure
la Rìstola: in ogni caso, luoghi di anime che tornano col
cappello in testa. Japigia o Messapia o Salento, sempre terra
tra due mari vuol dire, ed è il più assiduo
e poliedrico Parnaso del Sud, il più terso specchio dellantica
Madre. Come sintetizza Bruno Epifani: ...Qui generò mercanti
e tessitori / la magnagrecia / e nomi sapienti addussero / timide
pulicarie, / pallide sementi di biade (nutrici di cavalle) / contro
un mare dassenzio / mangiato dalle grotte
// Qui / Pitagora
dedusse il numero: / principio e fine / dogni congiunzione
di pensieri; / luce di fede / e musica / di navigati mappamondi
Riecheggia il più tardo Salento di Bodini: Qui cerano
accademie / e monaci sapientissimi: / o città gloriose /
di sporcizia e abbandono! / Nel mattino senzuomini allattano
i figli / le donne sulle porte o lungamente / si pettinano. / E
che neri capelli, che capelli / che non finiscono mai, / fra quelle
case bianche con le file / di zucche gialle sulle cornici!...; o
di Vittore Fiore:
Venga Lupo Protospata a dirci / le antiche
invasioni e il massamutino / passi e il cotone e le spezie e il
lino / per arabe mani. / Gallipoli, un vento azzurro guidò
/ me bambino fra le tue case / fino alla chiesa del Mal Ladrone:
/ fu allora che tra bene e male / Conobbi un divario. Appena finito
/ il mare gridava le sue perdute / speranze la Magna Grecia / e
come in unantica armonia / la ragione fu luno / e il
due la scienza / e tre lopinione / e il quattro fu sensazione.
/ Qui venne Pitagora / e giorni felici conobbe / chi cantò
la lira. / Torneranno i volti umani, / le belle forme sinora celate
/ dove ora solitaria Metaponto / la sabbia lascia al vento di lontane
/ pietre spoglie di gloria e unaria secca / trascina tra i
campi gonfi di sole. / Noi cogliamo cicorie / tra le Murge e lumache,
/ un filo derba, rinasce la speranza. / AllAdriatico
i miei giorni / inclinano, a questi cieli grigi. / Qui anche lAddolorata
/ ha spade dargento nel petto, / qui anche a me la parte di
dolore / riportano dalle piazze / le voci che alle incerte luci
dellalba / allasta comprano i braccianti. / E se tu
nuovo sangue / in me sei, terra natale, / meglio aprire le braccia
dagli approdi / dellantico meditare.
E la memoria di ciò che non fu, che non si ebbe mai, oltre
ogni illusione: la neve sdorata (dice Antonio Errico)
che seppelliva il pane di Antonio Verri:
Si potesse noi portar
giù due carri di quella neve / morbida / che servirebbe a
mia madre a riempirmi le tasche / a coprire il campo come con cenere
/ (come faccio a spiegarti i misteri / del pane, linverno
senza neve / le notti senza luna, i frisi? / o le rivolte senza
senso, i contraccolpi / le secche risposte di mio padre, i suoi
tormenti / i ceci fritti, i baci in bocca a fine danno) /
oh come faccio a spiegarti che qui il niente / non può trovare
casa, che non siano molto distanti / dalla vita. O che solo questo
è la vita
È la stessa Puglia ritratta da Ennio Bonea, che descriveva
il medioevo degli anni Cinquanta e dei primi anni Sessanta, il tempo
lento della nostra storia, lossificazione della nostra società:
Sulle piazze degli antichi baroni / ovè fissata la
storia del Salento, / piatto lago di terra, di roccia e di tabacco,
/ tempesta di ulivi e di vigneti, / stanno scalzi i villani, senza
canti, / che lasciano i figli scalzi nelle strade / e nelle case
con le porte aperte / le vecchie madri col fazzoletto nero / pronte
al lamento di prefiche su un morto. / Salento, terra di case bianche
/ e palazzi con facce di spagnoli sghignazzanti / sotto i tronfi
balconi barocchi, / terra di chiese e campanili, / condannata alla
sete, coi Santi / che portano le sarde nella bocca. Al modo di Donato
Moro, che visse in pieno la civiltà contadina e ne seguì
poi la crisi e la disfatta: Non so dove la terra del Salento / confina
con il mare. / Fattura e laria salsa / la sete nel cielo.
// I miei fratelli / coperti di fustagno / arano mare e terra /
con la bocca riarsa, / bevono lacqua / in anfore dargilla
/ che alzano solenni in mezzo al sole. / Sulla terra e sul mare
/ più aspri dellulivo secolare.
Le visioni contrastanti non mancano, sono persino eclatanti. Cè
la terra aurorale di Girolamo Comi: Cristalli di luce varia / spaccano
lozio dei suoli / per fecondarlo di voli / di cantici, daromi
e daria, / e perché lansia del dire / sincanti
nelle matrici / rocciose delle radici / e nel loro sordo fiorire;
cè il mare onirico del poeta di Lucugnano: Frusciante
di un sorgivo brulichio / di rutilanti smeraldi rispecchi / la giovinezza
dazzurri perfetti / modulandone il respiro nativo. // Un pullulare
di vivide flore / palpita nei tuoi abissi col fulgore / delle rugiade
che ad ogni stella / rapito ha lambra duna madreperla
O il micromondo (nido domestico e rifugio ultimo) di Ercole Ugo
DAndrea: Bianchi paesi e bianchi / cimiteri, / folti duve
e di croci, / salso vento greco e fiero / gelsomino di Spagna, /
onda di luna piena musicale, / mia terra, mia piccola patria, /
astrale ti fai / (così rapida precipita la notte ) / e trionfi
prostrata / nella solarità. Ma cè soprattutto
la terra cui si addice la tragedia sovrastante, come in Quasimodo:
Questa è la terra di Puglia e del Salento / spaccata dal
sole e dalla solitudine
/ È terra di veleni animali
e vegetali: / qui esce nella calura / il ragno della follia e dellassenza,
/ si insinua nel sangue di corpi delicati / che conoscono solo il
lavoro della terra, / distruttore della minima pace del giorno
;
come nellimmigrato (al modo di Bodini, e del nato in esilio
Vittore Fiore) Giovanni Bernardini: A questansito sordo del
cuore / non gigli schiumosi infiora il mare / né lantica
pianura un arco incurva / di luna e di tremore. / Qui il cavo silenzio
delle ore / disperde suoni solitari, / lampi iridescenti nellocchio
/ del pastore in mezzo ai pioppi / che il respiro coglie di stormi
e venti / al sud in fuga oltre la siepe mossi; come nello stesso
Vittore Fiore: E qui, se mai verrai, lestate / quietamente
si sfanno obelischi / e cattedrali come sortilegi / consumano in
esilii avventurosi. / Prossimi alle scogliere noi / parleremo del
Sud, dellEuropa, / delluggia e del campo di tabacco
/ che avanza in bilico tra noi e il mondo; di Bodini, infine, nelle
più che recidive immagini della sua terra dapprodo,
dopo la rotta terragna intrapresa dalle plaghe di Bari: La luce
è unaltra bestia sulle case / da aggiungere al bestiario
/ la cui favola / sa di sputi e minacce, / il geco, la tarantola,
/ laggressiva cicala, / la civetta
; e altrove:
Angeli
pterodattili sorvolano / quello stretto cunicolo in cui il giorno
/ vacilla: è unora / che è peggio solo morire,
e sola luce / è accesa in piazza una sala da barba. / Il
fanale dun camion, / scopa dapocalisse, va scoprendo
/ crolli di donne in fuga / nel vano delle porte e tornerà
/ il bianco per un attimo a brillare / della calce, regina arsa
e concreta / di questi umili luoghi dove termini, / meschinamente,
Italia, in poca rissa / dacque ai piedi dun faro. /
È qui che i salentini dopo morti / fanno ritorno / col cappello
in testa.

Hanno la sostanza delle dee-madri, le donne salentine; hanno la
loro flemma arcana, la tempra risoluta, lanima in segreto
movimento, la compassione intrepida. Sono madri dolorose, ricorda
Fabio Tolledi:
Tu, donna e salentina / che hai sole nella
pelle / e delusione sconfitta impotenza nelle mani
/
anche
tu / vuoi scavare nelle rughe del tempo / e rincorri la memoria
/ restando incollata e salda alle contraddizioni, / questa è
lunica nostra eredità // lunico tesoro della
nostra memoria offesa. Sono donne disperatamente eroiche, come quelle
di Donato Moro: Quando affrontano il giorno sui cammini / col fazzoletto
in testa e il vando nero / hanno lo sguardo fiero e un metro fisso
/ di marcia sotto la roggia del sole. // Non parlano non cantano
/ non guardano dintorno / cavalcatrici di strade e di sentieri.
/ I segreti pensieri ruotano lentamente / magri falchi su bisogni
elementari. // Nessuno le vide nascere / nessuno ancora le vedrà
morire. / Destino affamigliato le porta alla campagna / che anela
fra le rocce come la loro bocca. // Al giro indifferente del cielo
e di rapaci / le scarpe in mano vanno su asfalti provinciali / o
lungo carrare polverose. / Finiscono dun tratto dietro case
di pietra / e lasciano solo ombre docchi neri. Gli stessi
occhi un poco demartiniani descritti in metonimia da Salvatore Bello:
Belle occhi neri / specchi di tarantole, / ballano al ritmo delle
zappe / che aprono il cranio della terra, / canto damore,
di disperazione / sete che non si spegne / al bacio della brocca
/ di creta. // Tornano ai giacigli / le belle / vestendo a lutto
sogni // e magri seni. O quelle oniriche di Claudia
Ruggeri, solitaria poetessa della meraviglia: Donna
del piano porta stati nere / per tutte strade per aligi annotta,
/ per langelo perso illanguidito steso / dentro al ceppo e
torno torno mila / grana incenso dice parole, e per la / cascina
delle barbe e per la làmpana, linsensata / affretta
(Fu, la solitudine, scaturigine di solitarietà,
male dellanima di Ruggeri e di altri poeti salentini. Come
Salvatore Toma, per esempio; il quale, forse riecheggiando un altro
maudit conterraneo, Carmelo Bene, ha scritto fra laltro: Vivere
in eterno / coi tuoi versi
/ passare alla storia / per rara
genialità
/ essere ricordati
ma / ne vale la
pena? / ne ho visti di trucidati / in luridi convegni / indagati
frugati fustigati / menzognificati e sfruttati / imbavagliati di
motivi inesistenti / storpiati reinventati
! / meglio una morte
/ sola per noi soli / questultima emozione / questo scoppio
di felicità / questo smembramento leggero).
Le città, per concludere. E Lecce-Rudiae-Lupiae in primo
piano. Con i versi di Bodini: Biancamente dorato / è il cielo
dove / sui cornicioni corrono / angeli dalle dolci mammelle, / guerrieri
saraceni e asini dotti / con le ricche gorgiere
//
Unaria
doro / mite e senza fretta / sintrattiene in quel regno
/ dingranaggi inservibili fra cui / il seme della noia / schiude
i suoi fiori arcignamente arguti / e come per scommessa / un carnevale
di pietra / simula in mille guise linfinito. Con la nostalgia
di Enrico Bagnato: A Lecce lalba / ha cori / di galli e di
campane, // e gentile un profumo / daranci chesala /
da giardini casalinghi. // Città mia, a ogni ritorno / dal
tuo grembo dantichi / tufi mi desto / a nuova nascita. Con
la foto in bianco e nero di Pierluigi Mele: Imbrunisce. Le strade
si svuotano / a rilento come oliere. / Una pioggia dAfrica
sul parabrezza / delle auto in corsa, nessuno sa / per dove: sempre
è lora / in città di andarsene. / Quieti siedono
i contrabbandieri / di sigarette, legati ai semafori. Con quella,
in campo lungo, di Enzo Panareo:
Questa è lora
/ ineguale dacquario / quando per la tangente la noia / infreddolita
fila una canzone / che sa di tabacco / sbriciolato, grigia come
ferro / che morde. // È lora / di donne sfuggenti nei
neri scialli / dombra ed il frusciare derbe, / irose
per lunga arsura / non è dei cupi rancori / la buona rivincita.
Erra così / nellaria lubrica del crepuscolo / il taglio
di voce che fende / la lacrima cerea nella luce che vibra. // Per
guizzi doro passa la memoria / che si dirada in cime / a verdi
fatti sterili // svagati. O con quella impressionistica di Ercole
Ugo DAndrea: Infilo Porta San Biagio. / Un giallo delirio
di pietra / solo che filtri il sole. // Lecce-fresia, / Lecce-lupino,
limone, / Lecce-mimosa sensitiva / a ogni balcone. Con le immagini
onomatopeiche degli haikù di Giovanni Francesco Romano: Zoccoli
allegri. / Lacqua ora canta / nelle brocche di rame; oppure:
Un grillo canta. / Pullula melodiosa / acqua di luna; o infine:
Cantano donne / lontano. Che tristezza / muove le foglie!
Il versante più salso, quello Adriatico. Otranto presa da
saraceni malmostosi, allora i versi per la cripta dei Martiri si
fanno nenia con Vittorio Pagano: Tra i gorghi, più giù,
cantastorie, / alla lima della mia luna / affilano musiche ustorie,
/ si svolge il teatro, saduna / la plebe di marmo e
nessuna / lampada incendia le memorie / chiuse in archi di penitenza
/ mentre rombano i passi senza / sogni cupi, senza cortei, / tracciando
le vie provvisorie / cheludono glincubi miei
;
e si fanno prospettiva storica (e poetica) in quelli di Antonio
Verri: Otranto ha gustosissimi grumi di neve / un lungo discorrere
della memoria / vuota silenzio invernale nella mia mano / bianca
di turco spolpato. // È lontano ricordo anche laria
/ che penetra tutto che tutto riempie / è ricordo il mare
che guarda masse / corpi dabbandono, memoria ancora /
cristalli morbidi mutanti
scrostata pazienza di casucce
di storia.
Poco più in là Santa Cesarea con la sua storia sulfurea,
riscattata dalla poesia di Ercole Ugo DAndrea: Le vecchie
rammendano sugli usci, / le ragazze ricamano gli addii, / le more
nessuno le coglie / la melagrana è quasi compiuta. // Sta
cadendo la sera, / da più sere incendiano le stoppie, / qui
tutto è quotidiano e eterno / al testimone puro e finale,
/ le icone nei muri sono celesti e rosa: / i colori dellanima
bambina. Poi Castro annidata fra la roccia, a un tiro da Badisco
dove Enea, della stirpe di Teucro, in fuga da Ilio, con gli occhi
di Acàte avvistò la sponda italica. Da questo acrocoro,
i saluti di Lino Angiuli:
Stamattina / nuovo di zecca il mellone
del sole / fa ritorno da un ricordo turcomanno / piantato tra i
solchi brulicanti blu / insieme a semi di elleniche meduse / lische
di sogni sentori dodalische, ribaditi dove il mare sprofonda
alla Finibusterre di Punta Meliso: Che si dice da quelle parti?
dove / sicuramente mirto è trasparente? e / melograno snocciola
i suoi più garbati silenzi? / uno ad uno senza dare nellocchio?
e che vi pare? del nostro destino? / sbattuto da mezzogiorno a mezzanotte?
come se dobbiamo pagare per forza / il pegno di un peccato? commesso
contro lidolo guercio dellessenza? // Eppure / sappiamo
mettere una pietra affianco allaltra / sappiamo conversare
col maestrale che / incazza il mare cambiandogli le idee / sappiamo
come prendere per mano un oleastro / e battezzarlo in nome del mediterraneo
noi. // Eppure / quanti sacrifici al totem del passato / sbarchi
imbarchi di carne umana / e quanti viaggi come quello vostro / verso
la terra in cui ogni parola sboccia / come una profezia sul tronco
dellinverno.
Si risale verso nord, ora le acque sono joniche e bagnano la colonia
tarantina di Gallipoli, che fu dapprima isola, poi appendice legata
alla terraferma dagli archi di un ponte seicentesco. La città
sui mari del tonno diede i natali a Vittore Fiore, il
quale in seguito avrebbe malinconicamente scritto della sua decadenza:
E tu bianco di mura / così lontano e solo intorpidisci, /
lì, oltre il mare, son isole perse / su acque azzurre. /
Ecco, se entri al piano solitario, / di là per sempre il
mio paese aspetta, / traverso gli archi suoi la Spagna cola / un
sonno antico lentamente viola. Mentre Elio Romano incrocia le immagini
in un ellittico gioco cielo-terra:
Un aquilone / nel vento
di scirocco. // Tra coni di luce, / dallalto delle case bianche
/ leviga i colori / di vita nuova / bella e procace. // Danza con
Demetra / sulle spume impetuose / di Gallipoli / (è già
libeccio). // Dipana matasse dellabbandono, / di azzurro dimenticato
Il Salento dove, come scrive Lucio Romano, Sirene di cantieri sono
/ antichi rumori di zappa: una terra-corte-dei-miracoli che ha sempre
atteso (inutilmente) la buona novella, mirando stelle e pietre.
È scritto il destino della terra salentina senza eroi: Il
mio Sud / non ha un Luther King / né un Evers / che offrano
sangue / alle terre assetate / per quelli di domani, / ma piaghe
e lacrime / sole e piante piegate. // Scendono a sera / dai cieli
ancora rossi / nere civette sui campanili / a gridare i mali del
domani. La voce dei giornalieri emerge dolente dai versi: Ogni giorno
con zappe ed aratri / coltivammo cuori di rocce: / raccogliemmo
piante bruciate / raccogliemmo raggi di sole. // Ovunque andiamo
il Sud ci accora
Si partiva dopo pochi addii verso cieli meno
azzurri e plaghe sconosciute ma forse, dice Romano, più generose:
Fischiavano treni / fischiavano corde dellanima
E si
lascia alle spalle la terra delleterna civiltà neolitica.
Quella descritta da Donato Moro: Qui tutto è sempre alle
origini / il male che corrode è la fatica, / zappe pesanti
calano / rintoccano picconi sopra tufi / su lastre darenaria
raggelate. / Fanciulli stretti al gioco sulle soglie / guardiani
ignari di deserte case, / le donne alla raccolta in mezzo ai campi
/ il volto delluliva, / ma quando a sera intonano / antichi
canti damore / a udirle sui pagliari salza la luna.
Le latitudini immutate (se non in apparenza) dellinfelicità.
Galatina, per esempio, secondo Martin Andrade: Sui campi di papaveri
/ strisciano le macare. / In osteria / il settebello abbaglia. /
Il frinire delle cicale / apre le palpebre della ragazza / morta
ieri laltro. / Passeri malandrini / stanno a cinguettare in
piazza / e donne dai corpi levigati / taciturne /
sognano il morso dellamore. // Ad un angolo, / una tarantola
dagli occhi azzurri / ed un tatuaggio sulla schiena / sceglie la
sua preda. La terra del rimorso ha il suo luogo del passaggio,
della crisi che ritorna, tra il selciato della strada e il pavimento
(e laltare, e il pozzo) della chiesetta di San Paolo, confine
estremo di paganesimo cristianizzato. Rammenta Nico Mauro: In un
dissolversi / di buio e di spazio / appaiono le grigie ante / duna
impossibile chiesa / e un cerchio umano / più duno
/ aspetta, / e lento / un tramestio di ruote / percuote selci /
e sandali di ferro / di logori animali / echeggiano / in unaria
satura / di tempo, vecchia / di vecchi racconti. Mentre scrive Vito
Antonio Conte: La mia vita è qui / tra questi ulivi / torturati
dal vento / in questa terra / che collinando / scende ad est / mezzo
fuoristrada e mezzo furgone / unaltra giacca di crosta di
pelle / scarpe grosse / nonostante lalternarsi delle stagioni
/ (che ci sono ancora) / la vecchia casa / respiri in gran parte
andati
E i paesi stupendi dellinterno, i gioielli della cultura grica,
e gli altri che fanno corona, per i quali canta Cosimo Corvaglia:
Vedrà nellafa rossa tremolante / come lumini
dentro il camposanto / la mia gente con le anfore di creta / intorno
a fili dacqua alla fontana, / la mia gente dagli occhi miti
e neri, / dalla pelle di bronzo e damaranto, / dal viso modellato
di terriccio, / i miei vecchi dal sorriso scavato, / segugi di ombra
inseguiti dal sole, / che in piazza attendono i figli / svizzeri
fiamminghi e torinesi / masticando sui soliti sedili / sussurri
rantolosi di trinciato. / Quando nelle ore lente del tramonto /
il cielo si fa di mosto denso / e le case bianche sono come / novizie
soffuse di pudore / ornate di collane di tabacco / nel brivido di
alberi di luce, / inzupperò pane dorzo nel riccio /
che luomo vende tra erba di mare / con verso singhiozzante
nei crocicchi
Ad uno di essi Nello De Pascalis dedica alcuni
versi: Quel bosco, / al buio o quasi buio / e Cardegliano, Specchia
/ da lì siamo passati / annusando i venti, la terra / impregnata
di odori / e dorme di uccelli e lì, / dei giovani che
fummo, / sono sparse parole e voci / e tracce, archiviate tra uliveti
/ e colpi di vento
Allalbero di un altro Biagia Marniti
ha rivolto il suo discorso poetico: Sole dinverno, / campagna
annuvolata, spoglia, / viti ormai sterpose / e foglie gialle incuneate
a scudo, / cosa mi dite / del grande carrubo di Parabita / e del
Castello che lontano guarda il mare? / Terra, ricca di arance e
melograni / con alberelli di insolita gaggia, / a me vi lego / nel
rapido incontro novembrino, / sospeso come un ponte / fra Nord e
Sud / nel cerchio del carrubo
Mentre Giovanni Bernardini rammenta
il suo approdo nel porto dellallegria: Esiste un giorno nella
mia vita lontana, certo il più bello, / che questa penisola
della penisola a sud-est protesa / salutai come gemma, fiore dei
due mari, pupilla degli occhi, / rivedendola lieto, il cuore in
tumulto esultante, / a stento a me stesso credendo davere
lasciato la Foresta Nera / e le regioni settentrionali fumide ancora
di battaglie
Un esterno, ispirato a Vittorio Pagano da un paesaggio
di Vincenzo Ciardo: Leuca dunansia (o unala) si
contiene / fremida al bordo sonnacchioso
//
Oh Leuca
! bel riquadro doro / si scialba, e solo un cuore fa cornice
/ alla tela di sonno che ti finge
// E noi abbiamo, rigurgito
canoro, / le Sirene negli occhi esca felice / ai morti, al
sogno duna nostra Sfinge. E un interno, una memoria
che fa rivivere chi più non cè, nella Casa
del tavolo ovale del poeta (e vignettista) Melanton, Antonio
Mele: Sono andati via tutti
/ A chi volesse di noi / non servirebbe
neanche risalire le scale / né spingere appena quella porta
/ così dolcemente socchiusa / per entrare di nuovo in paradiso.
/ Le pareti vibrano ugualmente / di voci e di sussurri, / le pentole
nere nel camino sono ancora calde / e il tavolo ovale, benché
nudo, / profuma intenso di pane e di racconti. / Cè
quel silenzio quasi di meriggio / quando lestate gonfiava
il basilico sui balconi / e dagli scuri serrati delle finestre /
il bagliore del sole disegnava sul pavimento / lame di luce taglienti
come pensieri
// Siamo tutti sempre lì
Immagini. Sensazioni. Ed emozioni. Antonio Verri:
Sgomentano
le viste / scricchiolano i cardini / il mare viscido è in
festa / i rosoni, il Gran Turco / della letteratura / le tonnare,
una vita strutturata / le sepolture i pianti / cè un
Sud in tutto questo / un cielo torbido nerastro / gli ostracismi
vischiosi / le bufere di calce / le morti, ma / che triste faccenda
/ correre dietro al suono / delle campane delle Scalze! E gli aneliti
vani, e le parole desolate della rivolta senza riscatto, e leffimera
libertà del canto
Più tragica che grande, la
nostra storia. Ricorda Vittore Fiore: Venivano al nostro fresco
mare, a Leuca, / fedeli avventure, / ecco sui dorsi dellonda
/ cerano secoli alla deriva, / uomini secoli per cercare /
meridiane paure / e sulla costa abbandonata / fiato e fiato daltri
cieli, / daltre case marine, / navi precoci di morte, / di
silenzi. Di mare in mare / uomini prima di noi / costruirono una
casa, una tomba, / neri secoli anche, / come sonno dalle paludi,
/ le distrussero, / più nessuno sa quanti anni / dietro di
noi, / quando già molti destini / erano emersi dagli scogli.
/ Uniamoci contro la morte, amici, / lo dicono non uno, ma mille
anni / nel vasto mare di Leuca. / Per sempre lavrei taciuto
/ se da secoli intorno / i cespugli, le case fanno questo, / fanno
freddo nel cuore / se pietre e pietre / reggono laria calda
del Salento. / Anche le lapidi sono entrate, / erano forse storie
necessarie, / come una giovinezza sfiorita / laggiù dentro
di noi / ai cieli dei paesi senza gridi / presso case cretose, /
quando ognuno in estate / da anni ed anni / ha un sole negli occhi,
/ saffila una pianura. / Uniamoci, amici, ogni giorno / crepita
una nuova tomba, / i morti riposavano sul cuore / compresi i vivi
/ attraverso una sola terra ormai. / Chi laveva detto? / Dove
ogni rupe è sola, / dove ogni albero è duro silenzio,
/ ogni uomo fuga sulle labbra / uniamoci, amici, è Leuca,
/ in un deserto derica, quellaria.
(5 - continua)
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