Il problema non
è contare quanti abitanti vi si
accalchino, ma come possano
vivere in condizioni di disagio, in
carenza di igiene,
e senza un lavoro stabile.
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Il mondo è entrato in una nuova era, dal momento che la
metà della popolazione vive nelle città. Il preambolo
del nuovo schema di accordo tra i Paesi asiatici del Pacifico (Enhanced
Framework for the Asia-Pacific), nel riaffermare questo fatto da
tempo noto (ma si dice che lanno in cui la popolazione urbana
ha superato quella rurale sia stato proprio il 2007), continua esprimendo
la preoccupazione che provoca questa situazione: «Le città
generano gran parte dellinquinamento che influiscono sui cambiamenti
climatici. I poveri nelle aree urbane sono facili vittime di disastri.
Così molte città diventano trappole gigantesche. È
necessario sviluppare nuove concezioni, così che i Paesi
della regione del Pacifico asiatico possano guardare e trattare
le loro città come ecosistemi viventi».
Gli esponenti di oltre 35 Paesi in questione (tra i quali la Cina,
lIndia e la Corea) si sono incontrati a Nuova Delhi, sotto
legida dellOrganizzazione delle Nazioni Unite che si
occupa delle condizioni di vita nelle aree urbane (UN-Habitat).
Da diversi anni si va discutendo il tema dellenorme espansione
dei nuclei urbani, definiti megalopoli o conurbazioni.
Se questa rapida espansione ha riguardato, fino alla fine del XX
secolo, le aree industrializzate del mondo occidentale e del Giappone,
oggi il fenomeno investe in pieno regioni come lAmerica Latina,
lAfrica e il Subcontinente asiatico, la Cina e la Corea (appunto:
i Paesi della costiera asiatica). UN-Habitat ha compilato unanalisi
statistica che ha aperto una finestra su questa situazione e causato
un certo scompiglio. Per quanto i dati riferiti siano evidentemente
incerti, (nessuno è in grado di comporre un accurato rilevamento
negli slum, nelle favelas, nelle città di Dio delle sconfinate
periferie urbane), la novità e la grandiosità del
fenomeno risultano evidenti.

Alcuni dati, per esemplificare il problema. Città del Messico,
secondo la statistica UN-Habitat, nel 1974 aveva tre milioni di
abitanti, che sono diventati 18,3 milioni nel 2004, (secondo altre
rilevazioni, dal 1950 al 2004 è passata da 2,4 a 19,9 milioni
di abitanti); la capitale peruviana, Lima, negli ultimi trentanni
è passata da 2,5 a 7,4 milioni, (ma secondo altri è
andata dagli 0,6 del 50 agli 8,2 del 2004); la filippina Manila,
nello stesso arco di tempo, è andata da 1,3 a 10 milioni
(e secondo altri, in mezzo secolo, è passata da 1,5 a 14,3
milioni); lindiana Mumbay (Bombay) da 5,9 è salita
in tre decenni a 16,4 milioni (sempre secondo altri, e sempre in
cinquantanni, è passata da 2,9 a 19,1 milioni); la
cinese Shanghai in trentanni è andata da 3,1 a 10,8
milioni (secondo altri, in mezzo secolo, da 5,3 13,2 milioni). Prendendo
come unità di tempo i trenta anni, Parigi è passata
da 8,1 a 9,6 milioni, Londra da 1,4 a 7,1 milioni, New York da 11,5
a 21,2, Tokyo-Yokohama (le due città sono considerate ununica
conurbazione) da 2,4 a 22,2 milioni.
Il dato palese è questo: nei Paesi industrializzati lurbanesimo
sembra essere ormai contenuto, indice che gli agglomerati urbani
vi hanno raggiunto una condizione di relativa stabilità.
Invece è esploso nei Paesi in via di sviluppo, con velocità
impressionante. Nei Paesi industrializzati le città sono
cresciute lungo tutto larco del XIX e del XX secolo, non in
modo uniforme, ma con una certa gradualità. Per esempio,
Londra agli inizi del Novecento era diventata sette volte più
grande di un secolo prima. Ma città come la nigeriana Lagos
e la sudanese Khartoum sono cresciute di dieci volte in soli trentanni.
Aumenta anche il numero di città (a metà del XX secolo
erano una novantina in tutto il mondo quelle che superavano il milione
di abitanti, oggi sono quattrocento) e aumentano le megalopoli:
soprattutto nelle regioni il cui sviluppo industriale non è
compiuto.
Il termine megalopoli fu usato per la prima volta dal
geografo Jean Gottmann nel 1960, per descrivere la continuità
di aree urbane costituitasi nel secondo dopoguerra nella costa orientale
degli Stati Uniti, da Boston a Washington. Qui si notava che lallargamento
delle periferie di città come New York, Philadelphia, Baltimora,
tendeva a ricucire tutto il territorio in ununica continuità
urbana. La campagna circostante i grandi centri abitati si urbanizzava
e toglieva la soluzione di continuità. Il fenomeno si è
poi osservato tra le città dei Grandi Laghi, che hanno costituito
la Megalopoli laurenziana (tra le canadesi Montreal
e Toronto, e le statunitensi Detroit e Chicago, tutte nella zona
del bacino del fiume San Lorenzo). Sulla costa occidentale degli
Usa il fenomeno ha interessato larea che va da San Diego a
Los Angeles e a San Francisco. In Europa, fenomeni analoghi interessano
la regione della Ruhr e il bacino del Reno, la zona di Parigi, la
Valle Padana e la Costa Azzurra francese.

Con la crescita delle aree urbane del mondo in via di sviluppo,
il numero di megalopoli (sullordine dei 20 milioni di abitanti)
continua ad aumentare prepotentemente: sono Città del Messico,
che si estende fino a Puebla e a Cuernavaca, le aree di San Paolo
e di Rio de Janeiro, quelle di Giakarta, di Dacca e di Karachi,
e quelle di Shanghai e di Mumbay, che attraggono milioni di persone
che spopolano le campagne.
In tutte queste nuove megalopoli si possono ammirare gli arditi
grattacieli: sono la loro faccia tecnologica e ricca. Ma lestensione
urbana avviene nelle disordinate baraccopoli dove si vive di espedienti
e anche ai limiti della legalità. E il problema non è
contare quanti abitanti vi si accalchino, ma come possano vivere
in condizioni di disagio, in carenza di igiene, e senza un lavoro
stabile.
Le immagini-simbolo di queste baraccopoli sono quelle di coloro
i quali si arrampicano sulle cataste di rifiuti nei giganteschi
immondezzai di Manila o di Città del Messico, alla ricerca
di oggetti da riciclare o di qualcosa da mettere sotto i denti.
Oggi circa un miliardo di persone vivono in queste condizioni. E
il loro numero aumenta. Mentre si accavallano i gridi di allarme,
si paventano nuove forme di instabilità sociale, e cè
addirittura chi prevede il diffondersi della guerriglia urbana come
condizione intrinseca di queste conurbazioni. Allora si sostiene
la necessità di «pianificare lurbanesimo per
includere», di dotare le città di Dio di servizi (acqua
potabile, energia, trasporti, centri medici
), perché
tutte le città, anche quelle miserabili, vanno «trattate
come esseri viventi». E gli organismi viventi vanno aiutati
a crescere, perché la marcia della civiltà deve andare
nella direzione del progresso verso la città sostenibile.
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