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«È il primo mio giorno di guerra sul fronte greco-albanese.
In groppa ad un mulo cerco di inerpicarmi fino alla quota assegnatami
dalla 127ª sezione di sanità. Un pomeriggio quasi primaverile
e il sole prossimo al tramonto».
Vario di forme e di toni, lo smisurato paesaggio è solcato
da profonda quiete. Subito dilacerata e scossa.
«In alto, a ridosso di una montagna, alcuni soldati, convulsamente,
mi fanno dei gesti che io non riesco proprio a capire e tranquillo
proseguo tra uno scenario titanico, che eccita la mia fantasia in
una allucinazione di sogno.
Scarta, ruzzola, perdo la mia rozza e mi trovo miracolosamente in
piedi: fischiano ancora gli orecchi e gli occhi mandano scintille
riflesse dal bagliore di due granate scoppiate a breve distanza.
E quei soldati stan fermi e mi fan cenno di correre ed io ora, con
quel mio innato senso di fatalismo, continuo a piedi la mia scalata
e, solo quando entro nella zona dombra del monte, mi corrono
incontro. Si meravigliano che il Comando mi abbia inviato a quellora,
poiché la LITTORINA (così lo chiamavano
un rumoroso obice greco) teneva sotto il tiro costante quel tratto
scoperto di mulattiera» (R. De Vitis, I nostri caduti,
in Soste lungo il cammino).
Miracolo o fato, il tenente medico Rocco De Vitis raggiunge illeso
la meta, Luzzati, quasi a picco sulla strada che da Tepeleni porta
ad Argirocastro. «Da qualche mese, il soldato italiano sui
crinali di questi monti ancora zebrati di neve, su queste balze,
sta scrivendo una fra le tante pagine eroiche di questa guerra»,
così annota il corrispondente dal fronte Gianni Botta (Primavera
a Tepeleni, in Tomori del 7 aprile 1941).

Fra i tanti cui tocca scrivere quella pagina anche lui, Rocco De
Vitis, classe 1911, richiamato alle armi nel gennaio 41. Nella
sua personale Agenda 1941, una serie minuta di annotazioni:
«Domenica 19, commiato da Supersano alle 13.30, partenza da
Lecce alle 17.55 / notte infame / lunedì 20, arrivo a Napoli
alle 7.15, ore 9 al Comando truppe coloniali presso i Granili
»:
alla violenza degli eventi, al turbine degli accadimenti è
opposto un umile ma caparbio raziocinio. Le prime ore a Napoli sono
di grande concitazione, incombe limbarco per lAfrica
Orientale. A seguire, invece, sono i giorni lunghi dellattesa,
dello smarrimento, del vuoto: nihil novum / nihil gratum, registra
fedele il diario.
Zuccoli, Sensi, Van Vechten, Mitchell, DAnnunzio
: infaticabile
lettore, trova sollievo, breve oblio dal «perfido mondo»
e dalla «storia bugiarda dei tempi» (Agenda 1941,
17 febbraio) nelluniverso dei libri. Compagni assoluti di
vita, da quei volumi velati dantico, tra i legni odorosi degli
scaffali nella penombra del suo singolare esotico studio, promana
il fascino di edizioni Hoepli, Corbaccio, Bompiani ormai perdute.
Libri più che libri, testimoni oggi unici e preziosi di transiti
per tempi, emozioni e spazi diversi.
Un luogo, una data autografa in calce allultima pagina di
ogni testo. Erasmo, Goethe e Stevenson letti nel 37 a Bologna,
lanno e la città della sua laurea, celebrata
in uno scanzonato annuario goliardico. Cronin, finito di leggere
nel novembre 38 quando nel Dodecaneso italiano, tra Rodi e
Coo, assolve il servizio di leva e sorride, vigoroso e prestante,
in sella al suo mulo di ufficiale. Chissà, forse la guerra
può tornare ad essere fantasia di futuristi, dacché
a Monaco Mussolini è stato «lago della bilancia»
internazionale e Chamberlain, dinanzi alla Camera dei Comuni, ha
testé affermato che «lEuropa e il mondo hanno
ragione per essere grati al Capo del governo italiano per il lavoro
da lui compiuto nel contribuire ad una pacifica soluzione»
della questione dei Sudeti.
«Supersano, 10 gennaio 1940-XVIII»: la pagina conclusiva
di Zola, Il Sogno, certifica il congedo e il ritorno al paese, dove
il 25 maggio convola a nozze con ladorata Tettuzza.
Sguardi segreti, sussurri di parole hanno punteggiato lidillio
con Antonietta Sbarro, un amore senza fine che li ha sorpresi ancora
adolescenti. Un amore cui non poteva fare ombra il vagheggiamento
di lui per Maria Attanasi Beltrame, insegnante elementare morta
a Soleto a soli venticinque anni.

«Soleto, il Soletum di Plinio e per la superstizione
la cittadella delle macàre o streghe [
] mi è
particolarmente cara e perché il paese natale di mia
madre e perché vi ho trascorso gran parte della mia fanciullezza,
costretto a vivere in casa della nonna per poter avere la possibilità
di frequentare il ginnasio-liceo Colonna nella vicina Galatina
e dovendo e al caldo e al gelo fare ogni giorno
landirivieni a piedi o in bicicletta». |
Nel tragitto quotidiano incrocia, fra le altre, unabitazione
in pietra leccese a piano terra. Un giorno,
«da dietro il vetro di una delle finestre, mapparve
improvviso, come una eterea visione... venuta / di cielo in
terra a miracol mostrare, il volto bellissimo di una giovane
donna». |
Stroncata da un male incurabile nel 1927, Maria è compianta
dallintera comunità e «dinanzi alla bara che
serbava tutto il mio tormento e che si portava lessenza del
Dolce Stil Novo» (Il dolce stil novo, in Soste
lungo il cammino) limberbe ginnasiale pronunzia un lirico
encomio. Gesto accorato, inconsueto e impresso, fino a non molti
anni or sono, nella memoria dei più anziani a Soleto.
Appassionato delle lettere, lo studio è elevazione del suo
animo, cibo della mente, riscatto da una condizione sociale di marginalità.
Nei banchi del Pietro Colonna, tra rampolli della borghesia
professionistica e di aristocratici lombi, siede pure lui, figlio
di mesciu Angelo, calzolaio barbiere che il 2 gennaio
1913 è salpato dal porto di Napoli su uno dei tanti bastimenti
della speranza. Quattordici giorni fino a Nuova York. Una traversata
della paura. In preda ai marosi per sei interminabili giornate.
Rulla il piroscafo, beccheggia orrendamente. Quasi in fin di vita,
il trentenne Angelo è fatto salvo dalla sua schietta, incrollabile
fede. San Michele Arcangelo, patrono del suo paesetto, gli sembra
tagliare montagne dacqua con la spada. I primi risparmi dellemigrante
saranno per unopera di devozione, uno struggente Cristo Morto,
eseguito in cartapesta dal leccese Oronzo Manno, statua recata ancora
oggi in processione a Supersano la sera del Venerdì Santo.
«Il nome del nostro vapore era Germania», racconta Anacleto,
Teto lamericano, col suo colorito meticciato linguaggio,
nellumanissima autobiografia. James Anacleto Galati
è il fido discipulu che, appena sedicenne, ha
voluto seguire Angelo nellavventura transoceanica. Scrive,
per ricordare ai suoi figli e nipoti, come «Maestro Nino»
e altri quattro compaesani «nascosti delle loro famiglie»,
quasi carbonari,
«stavano facendo i preparamenti di venire in America
per un paio danni, e facevano i conti che qui in America
si quadagnava tre o quattro dollari al giorno che scambiarle
a lire veniva a 30 lire al giorno più di 180 lire alla
settimana e più di 720 lire al mese. E secondo i loro
conti un paio danni in America uno podeva ritornare a
Supersano. Ricco». |
È lEldorado. Entusiasta, Teto implora
e supplica il maestro di potersi unire al gruppo, non sapendo neppure
dove trovare le tre-quattrocento lire necessarie al viaggio, più
«centoventicinque lire per deposito che si deve fare a Napoli».
Di unaltra cosa è ancora più stupito: come può
Angelo lasciare la moglie Maria, «non solo che era una delle
più belle donne forse di tutta la provincia di Lecce, ma
la più buona e aveva un sorriso che faceva illuminare una
stanza scura», assieme ai piccolissimi figli, Rocco e Gina?
Ma Angelo, guardandolo dritto in faccia:
«e tu che ti credi che io faccio questo passo per me...
Lo faccio per loro. e poi si tratta per pochi mesi. non appena
ci mettiamo a posto faccio la progura per loro, e saremo tutti
riuniti in America [...] qui in questo Paese disgraziato uno
vive sempre di miseria. Tu lo sai che io ci sono mesi che appena
posso pagare la rendita di casa, quarda tuo Padre, mio Padre,
passare tutta la vita in questa maniera, e meglio essere morto». |
Anche se la perdita definitiva di popolazione fu di gran lunga minore
intorno al 38% il numero complessivo degli espatri
tra il 1861 e il 1940, si calcola, secondo Ercole Sori, sui 20 milioni
in unItalia che contava circa 33 milioni di abitanti nel 1901.
Unemorragia di vite alla ricerca del meglio. Amaro
il destino di Angelo: non tornerà più a Supersano.
Fallite svariate partenze, muore di crepacuore infarto dice
il referto allimboccare la scaletta dellaereo
che, oltre quarantanni dopo, deve ricondurlo in Italia.

Nellanimo del figlio Rocco si agita una mescola nera di risentimento,
pena, disperazione per il padre perduto, per labbraccio negato:
[...] Per tre volte
allor tentò di circondar le braccia
al collo, per tre volte lombra, invano
contenuta, sfuggì le mani, uguale
ai venti lievi e molto simigliante
ad un dolce fuggente alato sogno
(Eneide, libro VI, vv. 1046-1051, trad. De Vitis). |
Nellamato Virgilio una consonanza di affetti. Come sfugge
ad Enea lombra di Anchise, così svanisce per Rocco
ogni attesa. Angelo non verrà. Gli resta di lui limpercettibile
amorosa presenza al suo fianco, lì a Napoli, quel 18 marzo
1941 quando, su quella stessa banchina di emigranti, riceve infine
lordine dimbarco sulla Città di Savona
per il fronte greco-albanese.
Durazzo, Tirana, Valona, Zemblan, Ponte Bence, Tepeleni e quindi
Luzzati. Il fuoco incrociato delle opposte artiglierie qui non dà
requie, eppure capita di conversare «sulleventuale durata
della guerra, che si prevede molto breve» (Agenda 1941,
29 marzo)! Il 6 aprile,
«apprendiamo lentrata in guerra della Germania
contro la Grecia e la Jugoslavia: ci sentiamo più rincuorati
anche perché in questa domenica di Palme regna una tranquillità
un po insolita. Verso le 16 cominciano però ad
arrivare alcune granate che scoppiano vicinissime. Si corre
per la montagna, ma apprendo subito che ci sono dei feriti.
Mi precipito giù, col cuore che mi batte forte ma con
alto il senso del dovere. Medico tre fanti, di cui uno alquanto
grave (Marti Amleto di Corigliano dOtranto) il cui sangue
mi macchia anche la giacca. Cè stato anche un morto,
colpito da una scheggia sulla tempia sinistra. Regna un po
di panico perché la morte ci sovrasta necessariamente
e inesorabile come la spada di Damocle. A letto comincio a leggere
La sosta sul ponte di Lucio DAmbra»
(Agenda 1941, 6 aprile). |
Si riaccende la fiducia giovedì 24 aprile quando la Grecia
depone le armi. Il Comando ordina quindi il risanamento dei campi
di battaglia.
«A me, col mio reparto, viene assegnata
la zona che, con centro a Luzzati, seguendo la via per Argirocastro,
comprende più quote fino alla cima del Bus-Devrit ed
in più il settore del Mali-Palcies» (I nostri
caduti, cit.). |
Più che la vista, è il senso dellolfatto che
guida alla ricerca dei morti, trasportati poi a spalla, su improvvisate
barelle, e deposti in loculi scavati nel terreno roccioso:
... Intanto
affidiamo alla terra glinsepolti
corpi dei nostri, unico onor dovuto
allAcheronte.
(Eneide, libro XI, vv. 32-35, trad. De Vitis) |
Lavoro immane. Procede per molti giorni, comè attestato
dalle annotazioni quotidiane dellAgenda 1941,
dovè pure riportato lelenco esatto degli ignoti
e degli identificati. A varie quote è data degna sepoltura
ai caduti, comprese le salme di 35 greci.
«Ma tu, soprattutto, lindo e decoroso cimitero
di Luzzati con le tue 150 croci numerate, hai ancora il mio
cuore e a distanza di 40 anni, se un qualche valore ha il tempo,
rivolgo a chi di dovere langosciosa domanda: che cosa
di quei fratelli morti se nè fatto da parte del
Governo italiano? Che cosa se nè fatto di quei
sacri luoghi da parte dello stato dAlbania? Se ne è
data poi comunicazione alla Grecia dei suoi connazionali da
noi devotamente raccolti e seppelliti?» (I nostri
caduti, cit.). |
Domanda ancora oggi senza risposta. Morti dimenticati di una guerra,
più di altre, sbagliata. Tumulati nelloblio che «la
storia assegna come condanna senza appello agli incolpevoli sconfitti»
(Aldo Bello, I dimenticati). Come Ettore Del Niro. Raggiunto
il padre, capitano al fronte, muore in azione contro i partigiani
iugoslavi, nella primavera del 42. Fiore reciso dallaratro.
«Ricordi? Ti conobbi in un meriggio di
primavera su una vetta di guerra mentre provavi le armi tolte
al nemico disfatto [
]. E fremevi, anelavi a nuovi cimenti
perché tu più che soldato eri unofferta.
Volontario nel più alto significato ideale, non tavvinceva
più nessun legame fuorché quello che lega lofferta
al sacrificio delleroe purissimo» (R. De Vitis,
foglio autografo del 42). |
Ma il franare degli eventi travolge il sacrificio e leroismo
dei singoli. Luglio 43, gli angloamericani sbarcano in Sicilia.
Lotto settembre il governo Badoglio, «riconosciuta limpossibilità
di continuare limpari lotta contro la soverchiante potenza
avversaria», chiede larmistizio e fugge da Roma. Allindomani
esplode la carica distruttiva dellesercito germanico contro
soldati e civili italiani. I reparti tedeschi in ritirata dalla
Puglia lasciano dietro di sé devastazione, saccheggi e stragi,
una scia di vendetta. Alla violenza nazista si oppongono la reazione
popolare e il coraggio di militari come il generale Bellomo. Tra
i pugliesi combattenti allestero che decidono di mantenere
fede al giuramento prestato, anche il tenente medico Rocco De Vitis.
Prigioniero della Wehrmacht, è costretto a una durissima
peregrinazione attraverso lEuropa centrale fino in Russia.
Fame, gelo, paura. Remoti i giorni dei simposi ridenti brevi
soste dumanità con Davide Lajolo, compagno darmi
e di letture. Solo la sua dignità e la funzione di medico
lo salvano dallabbrutimento, dallestremo degrado. Nel
luglio 44, i tedeschi, inseguiti dai sovietici, invertono
la rotta trascinando con sé il detenuto da un carro ferroviario
allaltro. A dicembre, arrivati in Germania, a Siegmaringen,
il vagone del prigioniero è agganciato ad una tradotta dei
repubblichini della divisione Italia, in partenza per
il Brennero. Varcato il confine, i mesi che precedono la Liberazione
sono unodissea di profugo nellItalia di Salò.
Il 23 maggio 1945 è il giorno del ritorno. A Supersano,
a casa. Lì lo aspetta la sua sposa. Come allora, nel maggio
odoroso del 40. Il primo governo dellItalia libera è
costituito da Ferruccio Parri il 21 giugno 45 con ministri
Alcide De Gasperi, Palmiro Togliatti, Pietro Nenni. Grandi le attese
della rivoluzione morale che deve rigenerare il Paese.
Al Sud una nuova Italia fermenta nel movimento contadino di occupazione
delle terre incolte. Il ministro dellAgricoltura, Fausto Gullo,
emana i decreti per la riforma dei patti agrari e la promozione
della contrattazione sindacale collettiva. Caso rarissimo
rileva A. Rossi Doria in cui un intervento dallalto
dà legittimità alle lotte dal basso e insieme le amplia.
«Sulle terre incolte dArneo / noi porteremo la vita
e il lavoro, / darem le terre a tutti coloro / a cui lagrario
per anni negò» (in G. Prontera, Una memoria interrotta):
lepopea dei braccianti salentini, tra il dicembre 1950 e il
gennaio 1951 si chiama Arneide. Accusato di favoreggiamento, subisce
alcuni giorni di reclusione anche Cesare Reho, segretario della
Camera del Lavoro di Supersano, che fu tra i primi poi a promuovere
qui un moto di occupazione del latifondo incolto, in contrada Schillanti.
A sedare gli animi e sciogliere il contrasto con i proprietari De
Marco è però Rocco De Vitis. Con la sua mediazione,
si arriva a un frazionamento in piccole quote della zona Schillanti,
attribuite con sorteggio a circa mille nuclei familiari della comunità
supersanese.
Lumanesimo civile, la formazione politica cristiana, lesperienza
di vita gli aprono una visione dei problemi che va oltre il conflitto
di classe. Il confronto e la negoziazione sono per lui gli strumenti
del progresso, la via della crescita economica e sociale, la garanzia
democratica dei ceti più deboli.
In quellarco di anni, un «comunista senza dogmi»,
Giuseppe Di Vittorio, si batte con poca fortuna ma con tutte le
forze perché non si spezzi lunità sindacale
fra tutti i lavoratori, al di là di ogni appartenenza politica
o credo religioso.
«Rompere la barriera delle proprie rigide
posizioni, incontrarsi, colloquiare bisogna, entrare in contatto
col pensiero e con lanimo dellaltro, scacciare i
preconcetti e la mania che uno o una classe voglia il male del
prossimo, erigendosi a paladino della verità» (Luomo
e la società, in Soste, cit.). |
Due uomini differenti, entrambi protagonisti secondo modi, contesti
e convincimenti diversi, ma animati da un identico pragmatismo,
orientato ai bisogni delle persone, a quel bene comune che non può
essere sacrificato al fanatismo e allo schematismo ideologico.
Lasciato alle spalle lincubo della guerra, la priorità
ora è costruire una realtà nuova, di cittadinanza
e partecipazione, dopo due decenni di forzata passività.
È la stagione degli inizi.
Nella vita politica, De Vitis porta la stessa passione e limpegno
che lo fanno medico infaticabile di tutti e ad ogni ora, esperto
dei mali del fisico e dellanima, confidente sapiente e fidato
di disagi e problemi.
Non si candida a ruoli istituzionali ma, nelle file della Democrazia
Cristiana, svolge unintensa attività a sostegno della
candidatura del concittadino Arcangelo Magli, eletto al Senato con
amplissimo suffragio nelle votazioni dellaprile 48.
A Palazzo Madama il senatore Magli pronuncia però, il 22
febbraio 50, un discorso di duro dissenso dalla posizione
di De Gasperi sulla questione di Trieste, invitando
il Presidente del Consiglio a lasciare il posto ad altri. Decisione
gravida di conseguenze. Per il senatore, che passa ai Monarchici,
per la comunità di Supersano che vede sfiorire le prospettive
di un rapido sviluppo.
Deluso ma non arreso allostinazione degli uomini e degli eventi,
De Vitis continua la lotta di ogni giorno ai morbi del corpo, alle
tossine dellarroganza e del qualunquismo.
«Ognuno di noi trovi ed innalzi anzitutto
entro di sé i valori dello spirito, le regole eterne
della convivenza sociale, basata sullamore e sul rispetto
reciproco, e senza fanatismo non tralasci ugualmente
alla politica il compito di proporre leggi più giuste
e sempre più socialmente avanzate» (Luomo
e la politica, in Soste, cit.). |
Nel suo ambulatorio, nella sua abitazione, di giorno e di notte,
presta le cure ai compaesani, ai più sbadati non risparmia
rimbrotti preoccupati, al capezzale dei più gravi accorre
premuroso, a bordo di una Fiat 500 C, «a Topolinu
te don Roccu», familiare ai supersanesi fino alla fine dei
suoi giorni. Dei suoi mali non parla mai. Una sobrietà che
lo fa sentire a casa tra i classici latini. Nel 1982
pubblica una traduzione dellEneide virgiliana, in endecasillabi
sciolti, seguita nel 1987 da una seconda edizione in endecasillabi
puri, cui fanno poi corona nel 1988 le traduzioni delle Bucoliche
e delle Georgiche.

Enzo Panareo, Aldo de Bernart, Florio Santini esprimono allora
apprezzamento per un lavoro fedele e appassionato che lAutore
offre, con modestia, agli studenti in particolare, per la possibilità
di «eliminare i comuni e fiacchi traduttori» grazie
alladerenza del tradotto con loriginale, ma anche al
«culto del tempo e della parola», dice Antonio Errico,
sotteso alla smisurata fatica. Tenacia che non stupisce in un uomo
profondamente legato alla Natura:
Togliersi i calzari
ed andar talora
con i piedi scalzi,
perché santo è il suolo
su la terra impervia
(Caritas, in R. De Vitis,
Naufragio a Milano). |
Sulla Serra di Supersano, tra vigna e ulivi piantati nel terreno
sassoso, trascorre pomeriggi operosi, già avanti nelletà,
ed edifica agli inizi degli anni Ottanta una chiesetta a San Giuseppe
perché, ricorda lanziano e affezionato Ugo Santoro,
«u tottore, era statu alla cuerra, ia curatu tanti feriti,
ia vistu murire tanti giovani surdati e ulia cu costruisce na chiesia
cu ringrazia u Signore ca lia sarvatu te ddhra brutta esperienza».
Dona poi alla parrocchia questa cappella a lui così cara,
impreziosita dagli affreschi di Ezio Sanapo e dalle sculture di
Antonio Elia, artisti che lui ha visto crescere a Supersano, ammirandone
da sempre la bravura e la genialità. Nei giovani ripone ogni
attesa, ogni domani. A loro porta nelle scuole un messaggio di fede,
dottrina, saggezza. Fino al 1997, fino allultimo.
Nelle sue intime fibre, una vita la sua, una storia che parla di
noi.
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