Il parroco con il volto duro, le vesti scosse
dal vento, incurante della pioggia, affrontava a viso scoperto
il demone della tempesta.
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Per alcuni è unautentica ossessione. Sì, ci
si tiene costantemente aggiornati sul meteo, se ne parla
molto: la capacità sconosciuta nei secoli passati
di prevedere il tempo con un anticipo di almeno una settimana
spinge infatti a sapere, a commentare, a discutere,
anche se poi assai raramente ci si lascia determinare dal tempo
nelle scelte e nei comportamenti.
Ma allinterno di questa ossessione cè
un altro aspetto che riguarda la lettura che ognuno di noi compie
del tempo che fa: questa dipende essenzialmente da quanto
ci dicono i mass media, verso i quali cè un atteggiamento
di fiducia quasi fideistica che toglie la possibile oggettività,
il discernimento personale, la capacità di giudicare da se
stessi a partire dallesperienza e dal ricordo degli anni precedenti.
Così, quando sta piovendo e noi leggiamo, ascoltiamo e vediamo
servizi su piogge torrenziali, alluvioni, inondazioni e diluvi,
siamo presi da paura e sgomento, come se la pioggia in sé
fosse una novità imprevedibile; oppure la pioggia tarda a
venire e subito ci vien fatto intravedere il deserto che avanza.

In realtà siccità, pioggia, inondazioni, tempeste
sono emergenze periodiche di tutte le epoche e di tutti i luoghi:
emergenze che cancelliamo dalla nostra memoria e che così
ci appaiono ogni volta come novità inedite. Se le variazioni
climatiche avvengono dunque su cicli più ampi che il semplice
volgere di un paio di generazioni, è il rapporto che oggi
si ha con il tempo che fa a essere cambiato rispetto
a quello che viveva anche solo la mia generazione fino a quarantanni
fa, soprattutto in campagna.
Per me, che abitavo in Monferrato, tra colline coperte di filari
di vite e piccole pianure chiazzate da campi di grano, il tempo
meteorologico era anche allora, soprattutto destate, una vera
ossessione: ma ossessione di paura preventiva che accompagnava tutti,
da maggio fino a ottobre. Dal tempo dipendeva il pane,
ovvero la sussistenza alimentare della gente contadina, e del tempo
la radio dava sì qualche previsione, ma molto incerta, per
vaste aree, sovente fallace, per cui non ci si fidava di quel che
diceva.
Ma di cosa ci si fidava, allora? Della religione, del prete, della
preghiera
Del resto sappiamo che in tutte le culture si sono
sempre praticati riti per implorare la pioggia, per chiedere il
sole, per ottenere il regolare e pacifico scorrere dei fiumi...
A fine aprile, per San Marco, iniziavano le cosiddette rogazioni:
al mattino presto si partiva in processione attraverso le campagne,
cantando le lunghe litanie dei Santi e chiedendo unannata
feconda di frutti. Il prete cantava in latino il Vangelo sulla porta
della chiesa: «Quale padre, tra voi, se il figlio gli chiede
un pane, gli darà una pietra? O se gli chiede un uovo gli
darà uno scorpione?».
«Dunque, occorre chiedere proseguiva il prete
chiedere con insistenza a Dio, e Dio concederà il tempo propizio
e raccolti abbondanti...». Se poi qualcuno gli faceva osservare
di aver chiesto e di non essere stato esaudito, il prete rispondeva
che questo dipendeva dal fatto di aver chiesto male, oppure dallessersi
comportato in modo tale da meritarsi il mancato esaudimento. E ai
più sembrava che le parole del prete fossero fondate perché
a volte succedeva e non si mancava di farlo notare
che la grandine colpisse i filari di quelli che «non prendevano
messa» o che erano soliti bestemmiare... allora si temeva
ancor di più quel Dio che «castigando guariva»
(castigando sanas).
Langoscia per un evento atmosferico che in pochi minuti poteva
distruggere un anno di lavoro era motrice di parole e azioni straordinarie
che oggi fatichiamo non solo a credere ma perfino a immaginare.
Quando, da maggio in poi, appariva allorizzonte lo scuro,
cioè le avvisaglie di un temporale, tutti uscivano di casa
e stavano sulluscio a osservare il cielo: se la minaccia veniva
da Nizza, si annunciava un temporale particolarmente cattivo, se
invece saliva da Acqui era meno pericoloso. E mentre la banderuola
sullasta della croce della chiesa cigolava sotto i colpi del
vento, quando ormai il temporale era incombente e apparivano le
terribili nubi più basse color caffelatte, nuvole piene di
grandine, il parroco chiamava il chierichetto quasi sempre
ero io, perché abitavo proprio di fronte alla parrocchiale
ed ero già sulla soglia di casa a scrutare a mia volta il
cielo , si vestiva con i paramenti liturgici, in particolare
il piviale viola, e partiva risoluto incontro al temporale, con
me accanto che portavo il secchiello dellacqua santa. Tra
tuoni e lampi che scuotevano la terra, il parroco avanzava deciso
fendendo laria con laspersorio e con voce ferma implorava
che Dio fermasse la grandine: «Per Deum verum, per Deum vivum
!».
Rivedo ancora oggi quelle immagini: il parroco con il volto duro,
carico delle ansie e delle attese di tutti i suoi parrocchiani,
le vesti scosse dal vento, incurante della pioggia che cominciava
a cadere, affrontava a viso scoperto il demone della tempesta.

Io ero impressionato dalla sua fede, la sua convinzione, la sua
forza danimo... mentre la perpetua contribuiva con scongiuri
più popolari, come il bruciare rami di ulivo
benedetti. E così, il più delle volte, la grandine
era scongiurata: il mio parroco, don Montrucchio, aveva fama nella
zona di essere uno dei preti più efficaci in queste suppliche
e io attribuivo questo potere alla sua preghiera intensa, alla ricca
umanità, al sapersi fare carico morale e materiale dei cristiani
a lui affidati. Mi appariva davvero come un amico di Dio, e allora,
mi dicevo, come potrebbe un amico negare un favore allamico?
E come dimenticare le orationes diversae che tutti, grandi e piccoli,
conoscevano a memoria? Cera quella per ottenere la pioggia,
che invocava Dio in quo vivimus, movemur et sumus per ottenere contro
la siccità una pluviam congruentem; quella per il sereno,
che chiedeva sole sul mondo e osava dire che se il Signore faceva
cessare le piogge torrenziali ci avrebbe mostrato il sorriso del
suo volto (hilaritatem vultus tui); poi quella contro la tempesta,
la grandine, il nemico terribile dei campi di grano maturo e delle
vigne: se si abbatte sui filari li spoglia completamente, lasciando
uno spettacolo di tremenda desolazione che provoca pianto e disperazione.
A quei tempi non esistevano assicurazioni contro queste calamità,
né razzi antigrandine, né reti di protezione: nella
mia infanzia del dopoguerra, la grandine sui grappoli pronti per
la vendemmia significava letteralmente fame. Solo il parroco e il
suono di tutte le campane avevano qualche potere contro quella calamità.

Sì, fino allinizio di ottobre, quando finiva la vendemmia,
interi paesi vivevano così, con quellansioso interesse
per il tempo che fa, tanto diverso dalla curiosità
un po frivola dei nostri giorni. Ieri era Dio colui in cui
si aveva fede e fiducia, oggi sembra essere la meteorologia
Cosè meglio, più umano e più bello? Da
parte mia, su questo non ho dubbi.
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