Il Sud della fuga: le partenze con anabasi via
via più rade, e i voli lunghi verso pianure
continentali ignote, verso attracchi
fortunosi, verso città dagli spazi serrati, da
conquistare con
la forza delle
braccia e con
il filo del rasoio.
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Sud trasformista, si dice; come se dalla linea di confine che separa
lAbruzzo e la Campania dal resto della Penisola cambiare opinione
o campo o casacca sia una prerogativa esclusiva! Restiamo in Italia,
allora, e facciamo qualche esempio emblematico della diffusione
di questo (mal)costume, chiamando in causa un poeta-vate, Giosuè
Carducci, che la critica ha condannato due volte: dapprima congelandone
limmagine, inchiodata ad alcuni testi convenzionali, sebbene
notoriamente memorabili, scelti Dio solo sa con quali criteri; e
in seguito con la parola dordine secondo-novecentesca che
imponeva di scaricare questo autore, concentrando su di lui il duplice
e contrastante malumore con cui lo osservavano, da posizioni rigide
e sterili, sia una parte della critica tardo-gramsciana e marxista
sia una parte di quella cattolica.
Ebbene: Carducci fu giacobino senza diventare rivoluzionario; fu
repubblicano, ma accettò il laticlavio senatoriale del Regno;
dedicò un inno A Satana, ma aveva fatto battezzare i figli;
la fedeltà coniugale non gli impedì la passione per
Lina Piva, la Ninfa Egeria, e una disordinata relazione
con Annie Vivanti; contrario al colonialismo, esaltò i soldati
italiani il giorno della sconfitta di Adua
Oppure diamo unocchiata in giro nel mondo: noteremo che Peter
Handke è solidale con il boia dei Balcani, Slobodan
Milosevic; che Mozart parlava a vanvera di politica; che Eliot era
antisemita; che Ezra Pound era un convinto razzista; che Brecht
e Neruda erano stalinisti; che Pasolini non capì nulla del
boom democratico italiano; che Céline era di destra; che
Picasso era un accanito maschilista; che Borges simpatizzava per
Pinochet; che Heidegger e Schmitt tifavano per Hitler e Pirandello
per Mussolini (dopo il delitto Matteotti); che Pinter detesta Bush,
mentre Vargas Llosa disprezza i caudilli latino-americani e Brodsky
ce lha a morte con il comunismo; che nel frattempo Saramago
è comunista, al modo di Fuentes; e che tutti possono vivere
splendidamente solo perché vivono e lavorano in contesti
democratici di libero mercato, di libero pensiero e di libero arricchimento...

Il Sud terra dellassistenzialismo, si dice pure. E si dimentica
che fu area di autonoma ricchezza e di moderno sviluppo, fino al
giorno in cui lunità dello Stivale voluta dai Savoia
determinò la protezione delle produzioni del Nord, leradicamento
delle iniziative industriali nelle regioni meridionali e le strategie
politiche di sviluppo sbilanciato che tuttora perdurano. Nacque
così, e mai è stata realmente risolta, la celebre
e ora decisamente abolita questione, che
ha impegnato invano gli intellettuali più sensibili
del Mezzogiorno.
Mentre per i poeti si è dispiegato un percorso del tutto
originale, unico al mondo, e nello stesso tempo in sintonia con
quello degli altri Sud del pianeta: la separatezza geografica non
ha impedito al canto di farsi eco corale di vicende del tutto simili
a quelle dei popoli oppressi, delle genti neglette, capitoli di
un dolore universale che è emerso da una condizione umana,
da un clima, da una visione del mondo, insomma, che non ha pari
per specifica connotazione identitaria e per unitaria ricchezza
di sentimenti e di espressioni nel resto del territorio italiano.
Tu non conosci il Sud, le case di calce / da cui uscivamo al sole
come numeri / dalla faccia dun dado: è il Sud di Vittorio
Bodini, nato a Bari, ma leccese delezione, che insieme con
Girolamo Comi e con Vittorio Pagano formò la triade di poeti
di respiro europeo che impose il Salento e la sua vivacità
creativa allattenzione dei maggiori esponenti della nostra
cultura. Fu, il Sud, tema scarno, non musicale né retorico,
ma sicuramente originalissimo nei contenuti, in La luna dei
Borboni, raccolta apparsa nei Meridiani di Mondadori,
accanto alle opere dei maggiori poeti italiani coevi.
Vi scriveva: Sulle pianure del Sud non passa un sogno. / Sostantivi
e le capre senza musica, / con un segno di croce sulla schiena,
/ o un cerchio, / quivi accampati aspettano unaltra vita.
/ Tutto è evidenza e quiete, e si vedrebbe / anche un pensiero,
un verbo, / con il bigio sgomento duna talpa / correre tra
due pietre. // La pianura mirare a perdita docchi, / senza
case, senzalberi, senza una lettera: / livello di unassenza
a cui sole si sporgono / capre o spettri di capre morte da secoli,
/ che bruciano le amare giade dellinsonnia, / lacciaio
senza luce dantiche spade, / quando popoli amari si scontravano
/ e di sangue tingevano i cieli della preistoria

Ancora Bodini, e ancora il suo Sud: Cade a pezzi a questora
sulle terre del Sud / un tramonto da bestia macellata
/ Il
buio, / comè lungo nel Sud! Tardi saccendono
/ le luci delle case e dei fanali
; con il tema del rosso-sangue
che ritorna più volte, con macerante pessimismo: Viviamo
in un incantesimo, / tra palazzi di tufo, in una grande pianura.
/ Sulle rive del nulla / mostriamo le caverne di noi stessi /
qualche palmizio, un santo / lordo di sangue nei tramonti, un libro
/ lento, di pochi fatti
È lincantesimo di un
passato che non passa, che condiziona pensiero, gesti, moti dellanima.
Noi parliamo del logos e dellamore, / sorpassando più
volte le nostre case
// Ma tu, luna, le incognite finestre
/ illumini del Nord, / mentre noi qui parliamo, / nel fondo di questesule
provincia / ove di te solo la nuca appare.
Il Sud che fu, espressione di unantropologia umana e civile
inchiodata allimmobilità che non intendeva concludere
il suo ciclo secolare, per affrontare lincognita di un futuro
con altre istanze e con valori differenti.
Così il Sud di Mario Gori: Il Sud ha strade di fango / e
siepi dagavi e rovi / e case basse tinte di fumo / e donne
vestite di nero / che lavano avanti le porte / e attendono uomini
e muli / con occhi dansia, cupi di tramonto. // E uomini ha
il Sud / vestiti di pastrani militari / e berretti mafiosi, / le
barbe lunghe duna settimana, / lossa stoccate dannate
di zappa / e il sangue fosco di silenzio e amore. // Il Sud prega
e bestemmia / i santi neri delle processioni. // E vecchi ha ancora
il mio Sud, / accattoni di sole, / vecchi che bevono il vino / e
intrecciano fili di giunco / e reti rattoppano / e narrano antiche
sfortune. // Si butta lolio sullacqua / per le ragazze
che han seni di noci / e attendono morsi di uomini / e sullacqua
poi il sale / sputando parole saracene / contro malocchio e fatture.
// Ma ci si perde a ventanni nel Sud / per un garofano rosso.
E così, quasi perfettamente speculare, il Sud di Franco Costabile:
Mio Sud, / mezzogiorno / potente di cicale, / sembra una leggenda
/ che vi siano / torrenti a primavera. // Mio Sud, inverno mio caldo
/ come latte di capre, / già si dorme / fratello e sorella
/ senza più gusto. // Mio Sud, / pianura mia, / mia carretta
lenta. / Anime di emigranti / vengono la notte a piangere / sotto
gli ulivi, / e domani alle nove / il sole già brucia, / i
passeri / a mezzora di cammino / non hanno più niente
da cantare. // Mio Sud, / mio brigante sanguigno, / portami notizie
della collina. / Siedi, bevi un altro bicchiere / e raccontami del
vento di questanno. // Mio treno di notte / lento nella pianura
/ Battipaglia
Salerno
/ mio paesano stanco sulla valigia,
/ come vagabondo
Il Sud della speranza, si dice anche. Cioè dellillusione
lunga, del cumulo di inganni perpetrati dalla Storia, del patto
tradito, dellassedio del deserto, dellabbandono delle
terre rosse di bauxite e di vergogna.
Il Sud degli ulivi cui è rimasto chiuso tra i nodi
secolari soltanto il cuore. Scrive un poeta schivo, e anche
per questo frettolosamente dimenticato, Luigi de Simone: Con
lozio che è un firmamento / e il sole portato a spalla,
// col mare fino al mento / tirato come un sudario // fa molto male
il mosto / delle speranze

Il Sud, questo Sud: ma di chi? Chiarisce Ennio Bonea: È
fatto di pietre il mio Sud / di terribili uomini in lotta / contro
la roccia dei millenni. / Le donne aspettano la sera / i figli che
fuggono di casa, / intorno al focolare. / Le figlie dietro i vetri
/ spiano nella strada / il venditore di percalla / sognando futuri
di Penelopi. // Sono uno di loro / uno dei bruciati cafoni, / ma
venate non ho mani / come foglie di tabacco; / piedi non ho ampi
come pale / e duri come zoccoli di mulo / né dal cuore purissimo
/ so trarre canzoni da lanciare / col fiore in bocca sui balconi.
Il Sud della fuga. Le partenze con anabasi via via più rade,
(Luciano Folgore ci offre limmagine-desiderio del nostos:
Carri di paglia: / scricchiolio delle erbe secche / per tutta la
città, / pestate da piedi di vento fresco / in cammino verso
il Sud. / Ditate di zafferano sugli alberi. / Una foglia, / due
foglie, / tre foglie. / Desiderio di farsi trascinare, / a lungo,
/ oltre lovest, / dai rossi nastri del crepuscolo), e i voli
lunghi verso pianure continentali ignote, verso attracchi fortunosi,
verso fiumi disumanamente giganteschi, verso città dagli
spazi serrati, da conquistare con la forza delle braccia e con il
filo del rasoio. Scrive un malinconico Lucio Romano: La buona novella
/ laspettammo da sempre / mirando stelle e pietre / ed alberi
malati. // Ogni giorno con zappe ed aratri / coltivammo cuori di
rocce: / raccogliemmo piante bruciate / raccogliemmo raggi di sole.
// Ovunque andiamo il Sud ci accora: / terre assetate, piante piegate,
/ uomini che non sanno più amare. / Neppure laria puoi
dire che è tua: / le case si frantumano al sole.
Le ferite della nostalgia non rimarginano, stillano memorie non
del tutto perdute. E se Giacinto Spagnoletti mette in campo versi
dal timbro greco, (e non per nulla era nato nella spartana Taranto):
I marinai raccontano / che nel partire sempre / guardano la terra
ansiosi: / dove la terra muore / e le ultime palme ondeggiano /
sorridenti fanciulle / coi fazzoletti muti / il volo dei capelli
neri / promettono ai marinai perduti, Eraldo Miscia riapre il discorso
del nudo realismo descrittivo, foto in bianco e nero di drammi senza
nome, di vincoli recisi, di solidarietà disperse, di radici
definitivamente strappate: Scorticammo la giovenca bianca / e non
parlammo con nessuno, / così partimmo per laltro mondo.
/ Noi non gridammo / e non dicemmo verbo. / Nessuno lo sapeva che
eravamo santi. // Ce ne andammo e non ci si vedeva, / il gallo pastore
ancora non cantava. / Dove sarà quellaltro mondo? /
Nessuno lo sapeva, / non lo sapeva la strologa / e noi lo sapevamo.
// Così ce ne andammo ed eravamo due. / Non cera il
sole / ma cerano le stelle, / sentendo i nostri passi / altro
non si sentiva. / Ce ne andammo / e nessuno lo sapeva, / così
partimmo per laltro mondo. // Nessuno lo sapeva che eravamo
santi.
Immagini che riemergono, implacabili, ad alimentare lo spleen che
tocca le corde più segrete e più vibranti dellesule
cantato dal poeta Gaetano Savelli:
Rinunci alla tua terra
e alla lusinga / cedi di nuova sorte; / ma con te è limmagine
di cieli / noti, di amori, di paesi sparsi / su docili colli. /
Storia di scarso pane ti accompagna / nel lungo viaggio, / mentre
batte nel sangue la memoria / dei cari volti. // Canta se puoi cantare,
ma il distacco / in gola ti fa nodo, / mentre la sera oscilla entro
i suoi lumi / perdutamente.
E ancora Miscia, a fare i conti con i ricordi: I giorni io colgo
in mezzo al mondo, / lodore della tua pelle. / Sulla città
un tropico si accende / locchio del sole / le notti ritarda.
// Vorrei bruciare come un carro di fieno / lungo la strada del
Sud, aperta al mare. / E seguire la polvere dei tuoi passi / tra
i sentieri di fichidindia / e le rovine sovrumane e aride / dove
le cicale si suicidano nel canto.
Un altro classico, poi. Anchesso tarantino, e come Spagnoletti
critico letterario (e darte) e poeta di levatura, Raffaele
Carrieri: Trascorremmo in altri lidi / e in altre vite / la nostra
vita. / Isole penisola estuari! / Allegri furono i mari / e le terre
degli anforai. / Ci ritroviamo negli avi / come schiavi in una danza:
ripetiamo larroganza / e unallegria senza speranza.
Il Sud siceliota e quello magnogreco, infine. Il Sud che ha illuminato
il mondo. Il Sud che ha guardato dentro di sé, nel pozzo
del suo passato, ma che ha simultaneamente scandagliato gli orizzonti
e le altezze e le profondità degli universi che, circondandolo,
o assediandolo, comunque gli offrivano la materia nucleare dalla
quale distillava poesia.
È, primo fra tutti, il Sud estenuato di Salvatore Quasimodo,
con gli echi ondulari delle sue esistenze dissugate, con gli scialli
neri della sua storia, con i fatalismi proclivi del suo presente
senza riscatto: La luna rossa, il vento, il tuo colore / di donna
del Nord, la distesa di neve
/ Il mio cuore è ormai
su queste praterie / in queste acque annuvolate dalle nebbie. /
Ho dimenticato il mare, la grave / conchiglia soffiata dai pastori
siciliani, / le cantilene dei carri lungo le strade / dove il carrubo
trema nel fumo delle stoppie, / ho dimenticato il passo degli aironi
e delle gru / nellaria dei verdi altipiani / per le terre
e i fiumi della Lombardia. / Ma luomo grida dovunque la sorte
duna patria. / Più nessuno mi porterà nel Sud.
// Oh, il Sud è stanco di trascinare i morti / in riva alle
paludi di malaria, / è stanco di solitudine, stanco di catene,
/ è stanco nella sua bocca / delle bestemmie di tutte le
razze / che hanno urlato morte con leco dei suoi pozzi, /
che hanno bevuto il sangue del suo onore. / Per questo i suoi fanciulli
tornano sui monti, / costringono i cavalli sotto coltri di stelle,
/ mangiano fiori dacacia lungo le piste / nuovamente rosse,
ancora rosse, ancora rosse. / Più nessuno mi porterà
nel Sud
E il dissacrante Vittorio Pagano, in conclusione. Il poeta che amò
e liberamente tradusse i lirici greci, Quasimodo. Il poeta che amò
e rigorosamente tradusse i francesi maledetti, Pagano: Villon antesignano,
prima dogni altro, con i segni complici di un pittore erratico,
Tonino Caputo; e quelli a noi nel tempo più vicini, perché
ne potessimo cogliere le amare assonanze del canto e limmaginifica
sintassi del verso: Questi soliti olivi
Ormai sè
persa / una pena del sangue nella loro / devastazione al
sole che fa cenere / e miseria: sabbarbicano al nudo
/ sasso, la terra estorcono ai contesi / pascoli, tramortiscono
il furore / del giorno nella verde irresistenza / del flusso in
cui sadempiono. // Bandiere / di luce lente oscillano nel
cielo / senza pietà del mondo e interminata / la pianura
sobliqua e si frastaglia / contro ogni senso
Antico e nuovo, il cuore fibrillante del Sud di Pagano, con i suoi
palpiti scomposti, con gli incanti irregolari, con lodio-amore
per la messinscena recidiva, per i ritmi martellanti della danza
panica
È tempo di rito del passaggio; è momento
di vecchia sterile pelle da farsi scivolare, al modo di quella di
un rettile, lungo il corpo; è lattimo folgorante che
esalta il rinnegamento di sé e della Storia di sé;
o è forse apparenza di unaltra primavera, aurora di
un nuovo miraggio che riaccende vane speranze e illusioni di indomiti
vinti: Miti del Sud, addio. Locchio si sbarra / nelle spirali
e vi saccieca
// La Grecia, Roma, i tufi, la pianura,
/ le scogliere del Capo, gli oliveti, / tutto si squarcia
e in alto ne perdura / londa, il disintegrarsi, in alto, ai
vieti / culmini domertà che la paura / innalza aglippogrifi
// E saremo i Giasoni per il vello / di tenebra e di piombo, contro
i mostri / che partoriamo. Immersi nel rovello / del nulla, graffieremo
come rostri / la lapide del sogno
Il cuore è quello
/ che fu, geloso, avaro, ebbro dei nostri / vecchi tesori
e il canto della prèfica / è la sua cifra orribile
e benefica.
(3 - continua)
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