La nuova holding
che controlla
la City e Piazza
Affari rappresenta
il primo mercato borsistico in
Europa per il
comparto azionario.
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Il mercato globale sembra quasi divertito: Piazza Affari in riva
al Tamigi, con la City londinese? Niente male, per una Borsa nata
francese, due secoli fa, con decreto napoleonico del
Viceré dItalia Eugenio di Beauharnais, e che per tutti
e duecento gli anni ha parlato come in riva alla Senna, a Parigi:
corbeilles, parterre... Niente male anche perché a un veterano
frequentatore di Palazzo Mezzanotte è subito venuto in mente
di chiedersi: Ma i titoli saranno quotati in euro, oppure
in sterline? .
Grande è stata la parabola, nel corso della quale è
cambiato il mondo, e le corbeilles, i recinti degli affari, sono
state sostituite ovunque (tranne che a Wall Street) dal network
dei computer, le grida si sono affievolite e poi spente, e fisicità,
personaggi, storie e suggestioni sono scomparsi con il big bang
della telematica.
Certo che quel mondo ha resistito molto a lungo, Milano ci ha girato
intorno (anche con ristoranti come il Savini o il Furio,
oppure con il Bar della Borsa, noto come l Insider),
fino a quando tutto si è dissolto nella finanza pervasiva
delle investment bank, dellasset management e degli hedge
fund.
I luoghi, per la città, sono importanti. Piazza Affari non
nasce in Piazza Affari. Il primo ospite nel 1808 è il Monte
di Pietà. Poi trasloca nel Fabbricato della piazza dei Tribunali,
quindi nel Palazzo dei Giureconsulti, e perfino, fra il 1887 e il
1890, nel Ridotto della Scala. Con il nuovo secolo, il Re inaugura
la sede in Piazza Cordusio. Finché il passaggio definitivo
avviene nel 1928, quando Paolo Mezzanotte imbrocca il disegno giusto
e nasce la Borsa che comprende il suo nome. Sostiene Urbano Aletti,
agente di cambio storico, attivo dal 1946 al 1982: «Un
monumento, niente praticità. Che cosa si poteva chiedere
a un architetto che costruiva chiese?». Di fronte alledificio
cerano vecchie case. Ma ci pensò Mussolini a fare spazio:
nel 1932 entrò nel palazzo da via Meravigli e uscì
in Piazza Affari. Disse al prefetto di buttar giù tutto quel
che cera davanti. E così fu.

Nel gran salone delle corbeilles, dove gli affari non li aveva
fermati la guerra ma qualche finta bomba negli anni del terrorismo
e un paio di scioperi, ogni giorno per decenni si
è ripetuto il rito degli ordini gridati e dei gesti bizzarri:
vuoi le Toro? Fai le corna. Generali? Saluto militare. Per le Pirelli,
una mano al petto. Per le Fiat si simulava il volante o un clacson.
Le Italgas si chiamavano turandosi il naso. Un mondo che lavorava
sulla parola, che non ammetteva fraintendimenti. Lo
spiega un agente che racconta il suo primo giorno: «Non
riuscivo a capire la differenza fra denaro e lettera. Prima mi dicono:
Vendi? , e poi: Paghi? . Alla fine mi
son trovato in mano i titoli che dovevo vendere, più quelli
che non volevo acquistare». Un mondo dove gli affari si concludevano
con una firma particolare: «Quando si dava lo
stabene, era fatta. E chi mancava alla parola solo una
volta era messo per sempre al bando».
Detto tutto questo, fissato un bon ton condiviso anche con il mercato
dei bovini della Piazza di Lodi, la vita alle grida restava per
tanti anni quasi del tutto simile al Far West. Praticamente senza
controlli. E in questo territorio spadroneggiavano personaggi come
Michelangelo Virgillito, con gli assalti alla Liquigas e Lanerossi,
ma anche con la sua devozione per la Madonna e con il rito della
beneficenza. Oppure Giulio Brusadelli, che si scontrava con Giulio
Riva. E soprattutto il mitico Aldo Ravelli. Raccontano
ancora oggi che «lui era il capo dei ribassisti.
E ogni giorno chiedeva: che cosa fa il pericolo giallo?,
vale a dire Luigi Palermo, capo dellUfficio Borsa del Credit,
loperatore di Enrico Cuccia, detto il fuochista
perché rialzista forsennato e chiamato con quel soprannome
perché di colore giallo era il distintivo allocchiello
dei signori di banca».
Erano anche gli anni delle scorribande della Signora della
Finanza, Anna Bonomi Bolchini; di Michele Sindona, che lanciò
anche la prima Opa, sulla Bastogi; e di Roberto Calvi. Anni che
vedevano la stampa anglosassone accorgersi di Piazza Affari soltanto
per chiamare Lady Speculation una signora che dal parco
buoi, (la balaustra al primo piano che accoglieva un pubblico
da sala corse), si esibiva nel lancio di guide telefoniche, arrabbiatissima.

Le cose cambiarono negli anni Ottanta. Nacque la Consob, nacquero
e fecero immediatamente boom i fondi comuni, che portarono in Borsa
un cast diversificato. Le star, guru per tutti, trascolorarono.
Il mercato-pozzanghera si allargò a dismisura e nessuno,
o quasi, si accorse di chi scalava, ad esempio, la Bi-Invest e vendeva
a Mario Schimberni, che subito dopo conquistava anche Fondiaria.
Poi, il trasloco nel gabbiotto, perché Palazzo Mezzanotte
andava restaurato. Ma chi brindava, sapeva che in quelledificio
non si sarebbe tornati più. E in effetti, così è
stato. Nel 94 si chiusero le ultime grida e si passò
al telematico. Era la fine di un mondo, del resto ampiamente annunciata.
Esattamente in una cena a Parigi, nellottobre 1987. Al ristorante
Grand Defour. Gli agenti di cambio dei mercati latini sedevano agli
stessi tavoli che avevano ospitato anche Robespierre. Il presidente
del listino di Parigi, Xavier Dupont, disse: Il club è
finito . Probabilmente, molto probabilmente cominciò
proprio lì il tempo delle super-Borse.
È una corazzata, la santa alleanza fra Londra
e Milano. Almeno a giudicare dai numeri: la nuova holding che controlla
la City e Piazza Affari ed è quotata anche a Milano rappresenta
il primo mercato borsistico in Europa per il comparto azionario,
con il 48 per cento della capitalizzazione dei titoli presenti nellindice
FtsEurofirst 100. Ha la supremazia negli scambi sugli Etf, i derivati
e, tramite Mts, il Mercato dei titoli di Stato, nel reddito fisso.
Inoltre, è il mercato più liquido dEuropa, con
evidenti vantaggi per i titoli quotati anche a Milano, nonostante
lautonomia gestionale.
Il valore del nuovo gruppo, ai prezzi delloperazione, è
di 5,777 miliardi di euro. Lofferta pubblica di acquisto e
scambio lanciata dalla Lse londinese prevede un pagamento cash per
un massimo di 519 milioni di euro. In sostanza, lopzione consentirà
ai soci minoritari, se lo riterranno opportuno, di uscire dal nuovo
gruppo che a cose fatte sarà controllato per il 28 per cento
dalle banche italiane, e per il restante 72 per cento dagli azionisti
della City. Tra questi cè anche il Nasdaq, il listino
tecnologico americano, che aveva già tentato un fallito attacco
alla City e che potrebbe ritentare dopo i dodici mesi di congelamento
previsti dalle regole difensive londinesi.
Le nozze Borsa Italiana-Lse (London Stock Exchange) offrono un buon
esempio di come attualmente si gioca nellindustria finanziaria
globale dove non ci sono alleanze o egemonie precostituite. Basti
pensare che le quattro Borse principali di Eurolandia hanno quattro
diverse collocazioni: Francoforte e Madrid da sole, Milano con Londra,
Parigi e le altre di Euronext integrate con il New York Stock Exchange.
Lse valuta Borsa Italiana 1,63 miliardi, ventisette volte lutile
e 5,7 volte il patrimonio netto. Nel 1997 il Tesoro la privatizzò,
a fatica, per 25 milioni di euro. Da allora, tenuto conto dei dividendi
e dellaumento di capitale del 2002, linvestimento degli
acquirenti si è rivalutato 62 volte, in linea con lesplosione
dellindustria finanziaria. Partita quasi da zero, Borsa Italiana
ora vanta ricavi per 274 milioni, un risultato operativo di 106
milioni e un utile netto di 59 milioni.
Dal punto di vista societario, è Lse che acquisisce Borsa
Italiana, tanto è vero che dei dodici membri del board sette
sono inglesi. Dal punto di vista azionario, invece, lequilibrio
è più complesso. Lse emette nuovi titoli che danno
alla compagine di Borsa Italiana il 29 per cento del capitale. Il
resto rimane frazionato tra i piccoli soci e il Nasdaq, diluito
dal 30 al 22 per cento. Le banche italiane, dunque, rappresentano
il baluardo contro uneventuale seconda aggressione di Nasdaq.
Baluardo, in riva al Tamigi, non vuol dire blocco formalizzato in
un patto di sindacato: un simile assetto farebbe venir meno la public
company e il conseguente potere del management. Qui è gradito
un azionariato stabile.
Il forte interesse degli americani per le Borse europee è
spiegato dalla maggior generazione di affari che si registra nel
Vecchio Continente e nel Vicino Oriente. Laccordo anglo-italiano
conserva al di qua dellAtlantico il controllo su una piattaforma
che, al tempo stesso, costituisce un ponte verso lEstremo
Oriente, dove Londra vanta legami storici. Lautonomia delle
due Borse prima o poi dovrà cedere il passo allintegrazione,
che senza dubbio esalterà lefficienza meneghina, ma
farà emergere anche le contraddizioni del suo azionariato
e della politica italiana. I bassi prezzi dei servizi di Piazza
Affari, logici per una proprietà consortile come lattuale,
lo saranno meno in una public company votata al profitto. Continueranno
ad aver senso per le specialità che attirano i nuovi clienti
(le Ipo, per esempio), non per quelle (pagamenti, compensazioni,
custodia) dove il margine ricavato dalla clientela finale, concorrenza
tra le piazze finanziarie permettendo, potrebbe essere ripartito
tra la società di Borsa e le banche azioniste in modo meno
sbilanciato verso le seconde.
Più in generale, lintegrazione Londra-Milano offrirà
una nuova opportunità di sviluppo allindustria italiana
della gestione del risparmio, che può contare su un giacimento
domestico tra i maggiori del mondo. Ma per coglierla, il governo
dovrà armonizzare il trattamento fiscale dei fondi a quello
dei Paesi concorrenti e le banche dovranno decidersi a rendere autonomo
lasset management, come richiede la Banca dItalia per
consentirgli lo sviluppo che non ha avuto finora.
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