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Un
viaggio nelle parole
Letteratura e cineteche abbondano di prodotti sullimmigrazione,
di storie di denuncia sociale ispirate da coscienze inquiete. Pamela
Serafino con il suo Emigranti salentini si raccontano Edizioni
Argo, 2006 ci regala invece un viaggio nella sociolinguistica
dellemigrante, proponendo una carrellata di anime semplici
che fanno poesia con uno stile povero che nei circoli
smart conta pochissimo, la riproduzione scritta delloralità
quotidiana. Così limprecazione diventa preghiera, e
lintreccio amoroso, passionale e istintivo, viene rafforzato
dallassenza o dalluso improprio della punteggiatura,
da parole in libertà che offrono momenti di lirismo e di
commozione.
Settembre 79, da una lettera inviata da Mettmann da un emigrante
alla moglie che vive a Guagnano: «... Come mi hai mandato
a dire della casa, tu pensi, che io non voglia trovarla io amore
non puoi immaginare quanto vorrei trovare una casa per poterti portare
qui ma il fatto te lo già detto quale è non si trovano
amore mio... quando si è lontani ci dobbiamo volere ancora
più bene che da vicino, e poi chi ha fede in dio ha fede
in se stesso amore, non so se mi sono spiegato».
Storie salentine, storie di periferia che fanno sentire il profondo
respiro dei tunnel scavati dai mille volti del dubbio e del dolore.
Frammenti di vita scomoda, scandalosamente attuali.

Lemigrante è sempre solo con la sua solitudine, anche
quando è folla. Il testo fa parte di un impegno più
ampio e organico, diretto e coordinato da Carlo Alberto Augeri.
Aspettiamo interessanti sviluppi.
Colpisce lapproccio originale. Nellanalisi estetica
del linguaggio, nella ricerca fonetica cè lintrinseco
valore emotivo, marcatore di eventi quotidiani che per la loro ritualità
finiscono spesso per restare in ombra. Indifferenti alla Cronaca
e alla Storia, pur nella loro essenzialità. Si dà
risalto agli angoli bui dellumana marginalità, al dramma
dellincomunicabilità che accompagna ogni passaggio
di frontiera, ogni pellegrinaggio dal luogo al non luogo, ogni confronto
tra un dentro protetto e rassicurante e un fuori
inquietante e sfuggente.
Cè nel disagio registrato la richiesta inespressa di
nuove tematiche sociali, per fare inclusione attraverso
una rete di incentivi e disincentivi dei comportamenti standardizzati.
Nel pre-politico si avvertono tutti i limiti politici di un multiculturalismo
che ha creato sotto-comunità, talvolta organizzate in contro-comunità.
Frutto di uno stress ossidativo derivante dal silenzio e dalle barricate
delle coscienze. Ci sono ancora molti ostacoli al dovere di interagire
con i canoni della condivisione e del dialogo. Ci sono ritrosie
istintive verso una naturale evoluzione cosmopolita, verso unuguaglianza
liberata da giudizi e pregiudizi omofobici. Si avverte lassenza
di schemi comportamentali e impianti normativi che agevolino e governino
libridazione e la mescolanza.
Senza un deciso cambiamento di passo continueremo ad allevare rancorosi
microcosmi sociali allinterno di modelli che assicurano garanzie
solo agli interessi consolidati. Continueremo a vedere nelle strade
volti slavati e occhi tristi che fanno rivivere i grotteschi personaggi
di Bruegel. Profughi delleconomia, della politica, dellambiente.
Vittime del relativismo etico e giuridico. E Serafino e altri continueranno
a raccontare lodissea della classe migrante, di umanità
emarginate e cristallizzate nellidentità di piccole
patrie, lodissea silente o esplosiva delle banlieues che produce
le dinastie dellinfelicità. Presenze inquietanti che
denunciano i limiti di progetto e di comunicazione del moderno globalizzato,
il persistere anacronistico delle etnie e delle identità
contingentate. Debolezze di sistema che mettono in discussione la
credibilità delle società opulente e il loro hardware
liberale. Moltiplicando gli angoli del mondo dove si intrecciano
e si replicano i destini sofferti dellumanità viandante.
claudio alemanno
Garzo
dellAncisa: chi era costui?
Mi ero sempre dato una certa importanza, perché molti colleghi
professori, anche di ottima cultura letteraria, conoscevano appena
un anonimo della prima metà del XIII secolo, autore del Lamento
della sposa padovana, probabilmente il più antico documento
lirico della nostra poesia volgare. Io, invece, tenevo in serbo
da tempo una Lauda alla Vergine, pochissimo nota.
Era uscita fuori allimprovviso dai miei famosi cassetti-dimenticatoio.
Autore, ser Garzo dellAncisa, morto intorno al 1250 (si pensi
che il primo poeta del suo secolo, San Francesco, era scomparso
solo nel 1226).
Finalmente è giunta lora di farla conoscere ai presunti
dotti. Ho deciso. Per rimanerne incantati, basta già il titolo,
Altissima Luce. È una preghiera colma di fede:
... In voi, dolze amore, agiam consolanza.
Fresca rivera, ornata di fiori,
Tu se la spera, di tutti colori;
Guida la schiera, di noi peccatori,
Sì casavori, de tua beninanza...
Questultima parola va intesa nel senso religioso di benevolenza
condiscendente. Ho citato brani di luce, specchio di
divinità, di proposito. Risparmio termini per la prima volta,
ma questo Garzo è una rivelazione.
Ser Garzo dellAncisa non ama gli svolazzi, il mio stile ne
guadagna... La sua scarna aggettivazione lo dimostra. Ne faccio
alcuni esempi: consolanza, semolanza, pulzella amorosa che non stai
nascosa, e così via.

A me interessava soltanto mettere in evidenza questo nome, nuovo
ai più. Il gioiello è piccolo, ma il suo splendore
è intenso. Vi prego di gustarlo.
Motivo di questa ricerca: dobbiamo interessarci molto di più
ai minori e agli anonimi; siamo stupidamente divenuti cacciatori
di inutili glorie. Credo che, se potessimo tornare al Dugento,
ne avremmo benefici mentali, proprio quelli che maggiormente necessitano,
dati i tempi.
Però, siccome non voglio essere accusato di preziosismo,
mi piace fare un omaggio al diligente lettore, dicendogli da dove
proviene questa chicca. Il librettino che contiene la
nostra Altissima Luce fu edito nel lontano 1932 da Carlo
Signorelli in Milano, a cura di una piccola tipografia che si trovava
in Via Comelico, 24. Esisterà ancora? Lo stampatore Pirola
no, ma lesaltazione poetica della Madonna credo esista ancora,
specialmente in certi vicoli, dove la miseria si trasformò
e si trasforma ancora oggi in preghiera.
florio santini
Tò
pandochèion
Nascosta, lontana dal paese, ettu-rtèa,
es a mmerèa ettôfsu, cè unosteria
(o, se più vi piace, un ristorantino) costruita su pietre
e terra che per secoli sentirono parlare il greco, il latino e il
bizantino.
Nascosta e lontana dal paese, quasi orgogliosa di sottrarsi alla
vista, custodisce piccoli grandi tesori, cose rare e, si sa, ta
pràmata arèa ìne ta plèo agapimmèna:
«Cercatemi, trovatemi», sembra dire divertendosi
linsegna al neon che i più fortunati riescono
ad intravedere nel buio. Tuttavia, invisibili guide fanno approdare
sempre alla casina, sobria, senza pretese, eppure rassicurante,
così come fidati sono il pane, il vino, la carne cotta sulla
brace e che, non a caso, è la vivanda più importante,
poiché espressione culturale, rimando storico, antica ritualità:
«E quando le cosce furono arse... tagliarono il resto a pezzi,
li infilarono negli spiedi, li arrostirono con cura... e quando
finirono lopera... mangiarono e il cuore non sentiva mancanza
di parte abbondante». Questo si legge nellIliade, e
identiche sono la semplicità e la perizia di Vito
il padrone che sembra uscito da una pagina di Omero; ma,
in verità, pure terra e pietre, vino e linguaggio, volti
e ospitalità di questo luogo discorrono di cose antiche ed
eterne, a cominciare dai benevoli fantasmi che ti accolgono fra
gli alberi del cipo, invitandoti ad entrare: «Mìnò
a spirì», ti dicono, e subito si dileguano fra
le pietre rugose, ìpuno pu fei cì pu o
ttorì.
In casa di Vito si parla min glossa pu milùamo
mian imèra, la glossa grica, e losteria può
definirsi ti pporta tu filìa: artisti, professionisti, docenti
universitari, operai, poeti, agglutinati e contagiati dalla semplicità,
dalla cortesia, dallirrompere delle parole greche, dalle scintille
culturali e linguistiche, le quali rendono diverso e sorprendente
ogni incontro e che Vito e la sua casina sembrano propiziare per
volontà del destino; oìi antàma me filìa,
Vito gareggia con se stesso per amabilità, gentilezze, premure,
regalandoci, quando vuole, la musica di una lingua ftammèni
ros emà, e che in lui è evidente nasce
pu c-èssu sti kardìa, melodia che
èi tòssus crònu, ce ssa ftesinì.
E nelle sere dinverno, quando vrèchi ce fsìcre
cànni, il fuoco del grande camino racconta storie daltri
tempi; e i fantasmi benevoli attratti dalle favole, dallolocarìa,
dal crasì, figlio di stafilìa miristicà
èrcutte apu scotinò tìs nìfta, e ti
sussurrano: «Efsu vrechi ce o ànemo fisà»,
ma qui «e agàpi ce filìa ticanè criàzi
ce ijèni òl es cardìe».
Così, quando il vino arriva a tener compagnia ad ascàdia
me carìdia, e quando si è in pochi, qualcuno chiede
a Vito: «Ìtela mia chitarra na simano»; e talvolta
Vito, alìo cci alìo, intona a bassa voce (quasi per
scusarsi) canzoni griche, il cui ricamo sullamore, la natura,
la bellezza muliebre fa comprendere la forza, la cultura, la civiltà,
i sentimenti della gente meravigliosa che a quei canti dette vita,
colore e calore, melodie che puoi ascoltare mille volte e mille
volte ti affascinano, si capisca o non si capisca il grico.
E tutti applaudono il suo canto e lapplauso, ogni volta, è
conferma e convinzione che tùisi glossa icrizzi canne pràma,
tùoso grico e nna mas pài ambrò,
na casì ennan amartìa.
Ma o grico ti dulèi? Serve a ricordare le origini,
ad onorarle e a trarne insegnamenti; serve a riconoscere uomini
come Vito e la loro grecità, ossia limpegno
di vita, la forza, la sobrietà trasmessi dagli antenati;
serve in quanto valore, storia, cultura, riferimento; serve anche,
sta vràdia u calocèri, a farsi rapire mente
e cuore, a farsi portare lontano nel tempo dalle voci di Francesca,
di Antonella, di Anna Lisa, figlie di questa terra, una òria
sa tti silene, una ammàddia mávra sa tto pipèri,
una èn ghiomàti càri. E quando cantano,
di ognuna di loro si può dire: afse to travudìsi ìse
i rena, e la loro voce ti esorta a concludere: tèn
glicèa tùsi nifta ce ti pràman òrio
to calocèri!
Tutto questo offre Vito agli amici e questo è il suo modo
di battersi tùoso grico na mi ppài mbejammèno;
e sa che gli siamo vicino, sa che con lui noi ci ritroviamo in semplicità,
sa che, dopo esserci salutati, comunque torneremo da lui, nomèni
na vresùmesta mapàle s tutta méri. E
la calinìfta con cui ci saluta e si congeda è, ogni
volta, augurio, speranza, amicizia, che itremmèni plèo
pìri chìje llumère.
antonio porzano
Dal musicista
alla Pinacoteca
Ne avevamo parlato qui alcuni anni fa, quando quasi
per caso venimmo a sapere dellesistenza di un musicista matinese,
Luigi Romano, emigrato in America, e oltre Atlantico rimasto ventisette
anni, prima che la nostalgia della madre e della terra natia, ma
anche come traspare da alcune frasi in una sua lettera
alcuni rovesci economici (investimenti e risparmi divorati dalla
grande crisi del 29?) e condizioni di vita diventate pesanti
(fu forse vittima di ottuse persecuzioni maccartiste?) lo costringessero
a imbarcarsi per lItalia e a far ritorno a Matino.
Ora un volume, Luigi Romano. Un ponte di musica tra Matino e New
York, promosso dallassessorato ai Beni Culturali (retto da
Antonio Costantino), e sollecitato da Serafino Giannelli, medico
e figlio di Giulio, indimenticato podestà e per gran tempo
medico condotto di Matino, ci propone unantologia delle opere
del musicista, reperite in tre anni di ricerche in archivi pubblici
e privati, presso la Discoteca di Stato del Museo Audiovisivo di
Roma (direttrice, Livia Borghetti), presso la Rai, e a New York.
In America gode dellamicizia di Thomas Edison, che per un
quarto di secolo lo coinvolgerà nel lavoro alla Edison
Phonograph Laboratories, oltre che di Giacomo Puccini e di
Tito Schipa. Ma attestati di amicizia e di ammirazione ebbe, come
ricorda nel denso saggio biografico, musicologico e di sistemazione
filologica degli spartiti Elsa Martinelli, docente al Conservatorio
Tito Schipa di Lecce, dai maggiori esponenti della cultura
e della scienza dellepoca, da Leoncavallo a Caruso, da Roberto
Bracco al barone Fianchetti, ad Antonio Massari, a Ermete Novelli,
a Mascagni, a Pratella, a Richard Strauss, a Toscanini...

Per quel che riguarda lattività artistica
del Romano, scrive Elsa Martinelli: «Stando alle fonti materiali
dirette e indirette finora pervenute, lattività di
Luigi Romano, in qualità di compositore, spaziò in
più di un genere musicale, avendo egli variamente composto
pezzi per canto e pianoforte, pagine dalbum e romanze da salotto
(prediligendo in genere il registro unopera lirica), spartiti
per pianoforte solo, per mandolino e pianoforte, pezzi sinfonici,
partiture per banda... Lavori... [che] rientrano decisamente nel
gusto musicale dellepoca».
Uno spirito creativo eclettico, dunque, con forti espressioni identitarie.
Le sue musiche, sottolinea Martinelli, «affrontano nellinsieme
temi riconducibili alla formula Dio, Patria, Famiglia,
restando talora connotate da procedimenti di elaborazione di natura
descrittiva, in particolare quando esplicitamente concepite in riferimento
ad eventi ed episodi di grande risonanza della storia del primo
Novecento, rimasti celebri e particolarmente vividi ancora oggi
nellimmaginario e nella memoria collettiva, quali il terremoto
di Messina del 1908, la guerra italo-turca (1911-12) conclusasi
con loccupazione di Tripoli, o la tragedia dellaffondamento
del Titanic nelle gelide acque dellOceano Atlantico nel 1912.
Denotano uno spirito attento ai fatti della cronaca e dellattualità
e una spiccata sensibile compartecipazione ai dolori e alle tragedie
delluomo nel mondo».
Dal canto suo, nei prolegomeni, Francesco Libetta, celebre pianista
e curatore delle musiche in antologia, in aperta polemica con chi,
«allombra di un fenomeno sociale recentemente mercificato
come tipico del Salento (eppure fenomeno comune a tutto il Meridione
dItalia; anzi, anche in Spagna se ne conservano tracce), [...]
rischia di dimenticare quale ricchezza di fenomeni culturali sia
la nostra musica». Il che significa una condanna senza, o
con scarsissime attenuanti, per il consumismo musicale contemporaneo,
in virtù del quale «il rapporto del pubblico con il
palcoscenico / podio è quello che Brecht aborriva. Una inalazione
passiva di divertimento e informazioni, insomma».
Questo volume antologico come sfida allopinione pubblica,
dunque: perché ci si rammenti dei giorni in cui «lArte
era un mondo ammirato», e comunque guardato con rispetto da
tutti, potenti e common people, «attraverso un Maestro di
Musica che dagli Stati Uniti ritornò in Salento con un raro
bagaglio di ricordi e testimonianze, come un commovente ponte musicale
tra New York e Matino».
Sulla stessa lunghezza donda, Serafino Giannelli, il quale
sostiene che è sempre necessario «ricercare per ritrovare
noi stessi, per ricostruire la vita del passato che è pur
sempre la stessa vita, il nostro modo di vivere, anche se il tempo
e levoluzione della tecnologia portano a variare il nostro
costume. Questa è per me lautentica cultura che si
sottrae ad ogni strumentalizzazione, che porta alla vera conoscenza
del passato, che rifiuta e rifugge ogni sopraffazione».
Concludendo la sua presentazione al volume, Costantino ricorda laltro
evento, quello delle donazioni di opere darte, come preludio
a uniniziativa di primordine, vale a dire la realizzazione
di una Pinacoteca intitolata al pittore Gabrieli, che
a Matino visse e operò, dedicandosi alla direzione dellIstituto
dArte di Parabita, per la sua attività pubblica, e
alla creazione di splendide tele, per quella privata, quanto mai
appartata e quasi volontariamente isolata.
Scrive Costantino: «
Si coglie loccasione per
rendere nota la recentissima acquisizione [
] di opere di Giovanni
Corallo, Salvatore Fanciano, Bruno Leo, Antonio Massari, Enzo Miglietta,
Francesco Pasca e Beppe Piano...». Queste opere si sommano
a quelle numerosissime che fanno parte della donazione
Gabrieli. Non solo. Un cospicuo volume-catalogo, curato da Salvatore
Luperto, ci dà infine ampie informazioni sullultima,
generosa donazione, quella di Vittorio Balsebre, artista approdato
a Lecce dopo le esperienze a Roma, dove fu a contatto con i maggiori
pittori del Novecento, e a Matera, ai tempi splendidi dellattività
culturale promossa dal circolo La Scaletta.

Dalle presentazioni e dai brevi saggi in apertura,
ricordiamo il D.G. della Banca Popolare Pugliese, Vito Primiceri,
patrocinatore delledizione, il quale fra laltro scrive:
«
il compianto Antonio Verri [
] dopo avere osservato
che abbiamo un quadro completo di quelli che sono stati i
nostri maggiori creatori, ma soprattutto gli innovatori che hanno
favorito lo stato di grazia della recentissima creatività
artistico-poetica salentina, ovvero un microcosmo che non ha niente
da temere nel confronto con altre stagioni creative nazionali [
],
non mancava di citare, fra tanti giovani e promettenti artisti e
scrittori (da Toma a Errico, da Tolledi a Coluccia, da Dodaro a
Massari e a tanti altri), anche il non più giovane, almeno
anagraficamente, Vittorio Balsebre... In continuità con lo
scritto di Verri, anche Balsebre [
] non mancò di osservare
qualche tempo dopo che disgraziatamente qui nel Salento si
commemorano solo i defunti. Non si suole fare festa ai vivi. È
difficile che qualcuno si accorga della cultura creativa
nel momento in cui si va facendo e gli eventi dellarte si
verificano. Che dire? [
]. Faremo festa alla presenza
di questo figlio vivo, autorevole e illustre non solo del Salento...».
«Gli eventi più importanti degli anni Settanta»,
scrive Salvatore Luperto, sono la formazione del gruppo Gramma e
del gruppo Ghen. Il primo gruppo, sorto nel 1970 ad opera di Giovanni
Corallo, Salvatore Fanciano e Bruno Leo, gli stessi operatori che
nel 1965 con Toti Carpentieri avevano fondato il Prismagruppo. Il
secondo gruppo di arte genetica, creato nel 1976 da Francesco Saverio
Dodaro, in collaborazione con molti operatori salentini, tra cui
Franco Gelli, Toti Carpentieri, Ilderosa Laudisa, Antonio Massari,
Carlo Alberto Augieri, Armando Marrocco, Giovanni Valentini e tanti
altri
Balsebre collabora con il gruppo Gramma... e aderisce
(al gruppo Ghen, N.d.R.) e collabora con la poesia visiva...».
Da parte sua, Toti Carpentieri ricorda che «le inquietudini
e le accelerazioni che caratterizzavano i primi anni Sessanta e
che avrebbero portato a breve al fenomeno del 68, condussero
ben presto alleclisse del Prismagruppo 64, forsanche
per alcuni motivi contingenti, non ultimo quello di una diffusa
e necessaria (per vari motivi) emigrazione verso il Nord dItalia,
tipica di quegli anni. Ma non ne soffocarono la forza innovatrice
e quellinsita capacità allaggregazione che nel
Salento avrebbe portato, a breve, alla nascita di numerosi gruppi,
quali il Centro Ricerche Estetiche, il Laboratorio di Poesia, lOistros,
il Laboratorio per lo Spettacolo, il Canzoniere Grecanico Salentino,
il Collettivo Musicale di Terra dOtranto, il Laboratorio per
un Teatro».
Così, i tre elementi rimasti a Lecce, stretti attorno alla
rivista Gramma (la prima in Puglia, coordinata da Enzo Panareo,
ad utilizzare lautogestione, con interventi diretti operati
dagli artisti), diedero vita al Centrogramma, che ebbe il merito
di stringere rapporti e sollecitare collaborazioni internazionali.
Dopo questa breve esperienza, nacque il Movimento Arte Genetica,
con lipotesi che larte potesse essere «una lotta
tra listanza genetica e la spinta dellio alla ricerca
della propria identità, storicizzando i suoni come fatti
essenziali, e recuperando gli archetipi e la realtà artigianale».
Promotore e volano dellidea, Francesco Saverio Dodaro. Aderì
una fitta schiera di artisti, scrittori e uomini di cultura.
Gli anni 70 del Novecento, scrive infine Antonio Lucio Giannone,
«sono caratterizzati da una forte esigenza di rinnovamento
che investe la società italiana
La contestazione studentesca
e degli intellettuali, il movimento operaio e quello femminista
non potevano non lasciare tracce profonde su ogni aspetto della
vita sociale e culturale del Paese. Anche in campo letterario e
artistico si rifiutano forme e contenuti del passato e nascono o
si affermano definitivamente nuove tendenze che si oppongono a quelle
precedenti, come lo sperimentalismo e la neoavanguardia, da un lato,
e larte concettuale e quella povera, dallaltro. Carattere
comune di queste correnti è la caduta delle barriere tra
i vari generi, per cui ogni arte tende ad invadere i confini di
quella ad essa contigua, in un continuo e generale rimescolamento
dei codici espressivi».

Il Salento non rimane estraneo a tutto questo. Al
contrario, si rivela come spesso era accaduto nel passato
aperto alle novità, riaffermando in questo modo la
sua predisposizione alla creatività. «Come aveva recepito
prontamente altri movimenti, anche ardui ed elitari, come il futurismo,
il Novecento pittorico, lermetismo, il neorealismo, così
ora accoglie le tendenze artistiche più innovative degli
anni 70, distinguendosi ancora una volta in tutto il Meridione.
Nel corso del decennio, infatti, si formano gruppi e gruppetti davanguardia
ed escono alcune riviste che si collocano nellarea della più
avanzata sperimentazione».
Completano il testo le note bibliografiche, di Anna Panareo, una
sommaria antologia critica sullopera di Balsebre, vari documenti
sui gruppi Gramma e Ghen, una sintetica bibliografia.
sergio bello
Spirito eroe
Senso vuoto
Tu puoi vedere la notte e la sua luce,
si infrange verso di me e divento vittima.
Fai quello che vuoi, respira in ipoventilazione
ma lasciami morire prima del passato.
Minuto eterno
Infrango il tuo sorriso con una parola doro,
lo stupore si affaccia dentro di te e non ne esce più,
mentre lacrime di gioia inondano i nostri pensieri.
Il futuro minaccia lunione dei sensi ma siamo invincibili.
Scorda la paura come io ho bruciato il mio passato,
le frasi vuote ma felici che escono dal tuo cuore fanno da cornice
allorologio fermo in mezzo al mondo. Amami amore mio, e fallo
per sempre.
Movente senza crimine
Ho tanta paura di perdere ciò che amo,
solo la musica morde le mie labbra e
riesce a scoprire segni nascosti in me.
Tengo in mano ogni tuo piccolo respiro,
oscillando linganno in un mare colmo di silenzio
bacia il vuoto nonostante sia amore puro
e trasformi tutto in una moda.
Paura, mi rimane solo la paura,
vedo gente con gli occhi chiusi,
se aperti scorgono in me la strega da fuggire.
Mi farei prendere solo da te,
incombe la risata persa nel buio,
non ho ucciso nessuno
ma devo fare i conti con me stesso.

73 parole lontane
Laria. È immensa. Afferrala e togli il profondo dal
cuore,
e sono solo, aiutato dal cerchio e dal silenzio.
Lontano da me, posto in cui, veritiero, la luna
gioca senza essere lì, e fingere fa perdere.
Salutami. Mi piace. Occhi che ridono di te.
Stelle nel ricordo, comporre forme vicino la luce
mascherata. Mi annodano la gola, forse questo mi dispiace.
Mi salva il soffio di una bianca cascata. Perdonami ma ti amo.
Stanchezza
Lasciami morire. Lasciami affogare nel mio livido.
Voglio morire. Non è vita questa.
Sotto la paura di unala e fogli che valgono come vite.
Non è vita questa. Lasciami morire. Ora.
Orizzonte Viola
Guarda lorizzonte stasera, è come se volesse dirmi
che la calma
piange solitudine per colpa mia.
Mi sento spento e di premere il rosso non mi va;
chissà se magari mi andrà un altro giorno!
Gli animali assaggiano gli atomi della morte,
uccidere gli amici mi fa venire il vomito!
Basta inghiottire polvere e sangue, mi sono stufato,
ma dentro mi sento vuoto, lanello si è spezzato e mi
torna
la nausea.
Ma al di là dellorizzonte la luce Viola mi ha preso
con sé,
mi coccola e mi fa sentire diverso, importante, e ora
le lacrime escono solo grazie al sorriso.
Adoro il Viola! Mi sento un po miele e un po bambino.
Musica
Musica.
Catturami e portami via da qui, da questa terra che non sento mia,
e che forse mai sentirò.
Fammi volare sulle tue note finché lincubo della vita
non mi sveglierà,
fammi restare nel vero sogno, nel tuo sogno, e ti prego, lasciami
solo.
Cambiare lo sfondo ondeggiando sulle righe, ridere e volare perso
nel buio più luminoso.
Spirito eroe
Spirito. Lacera le mie ossa ed esci da qui,
mieti il mio dolore, così che io possa andar via.
La pioggia brucia i miei sensi, la nube oscura il mondo.
È arrivato?
Pezzi di muro su lastre argentate, come vecchi ricordi
di un passato che torna e divora con la gola nera.
Uccidi tu, che hai ancora la voglia di farlo,
la stanchezza non la senti e il tempo ti ha girato le spalle.
Mi fissi da lassù, ma le spine non sono mie.
Rose titubanti escono dal percorso e petali grigi
scorrono nelle vene.
Posso solo ridere del mio e del tuo dolore,
lunica libertà concessa è questa.
Morte di una farfalla
Solo ventiquattrore di vita,
la trasformazione dura di più,
è come vivere nel cambiamento e alla fine sparire.
Meglio non perdere tempo allora,
e vivere tutto il tempo che resta al massimo.
Gli splendidi colori e le porpore si perdono sotto un albero,
tra lindifferenza dei passanti e la magia del mistero.
Diversità di pensiero
Tra due quadrati ho imparato a respirare sottacqua,
se questo vuol dire soffrire non importa,
se vuol dire credere in qualcosa, ha perso la sua importanza.
Mi ritrovo attore in un film di cui non ho accettato la parte,
non è questione di soldi o di testa,
ma di morire proprio non mi va.
Cinque o più anime che girano creando dolore. Ma perché?
Una trasfusione di pensiero incompatibile,
ma la colpa non è nostra, il potere trasforma le persone
e crea soggetti vittime del boia.
Ma la colpa non è nostra. Non ora almeno.
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