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Compianto
Aveva avuto titoli diversi, Madre mia, poi Lamentazione,
poi ancora Lamento, e infine lo avevo letto in uno dei
500 esemplari editi per i Menhir delle Edizioni del
Pescecapone, Serrano 2002, con il titolo di Compianto (7156
ore), contenente anche 18 splendidi versi per la morte del padre,
e unaltra poesia, Questa madre, gli uni e laltra
preceduti da una lettera di Mario Marti e seguiti da altre due lettere,
rispettivamente di Ennio Bonea e di Donato Valli. La prefazione
era di Mario Geymonat.
Quella di cui ci occupiamo ora è ledizione definitiva,
sempre con prefazione di Geymonat, ma con un numero leggermente
maggiore di versi, senza più le lettere, e con postfazione
di Sergio Vuskovic Rojo, Tallone Editore Stampatore. Edizione preziosissima
di un volume con custodia, «tirato in 103 esemplari di cui:
85 su carta Magnani di Pescia, 10 su Amatruda di Amalfi e i rimanenti
su carte esotiche della Cina e del Giappone. Licenziato dai torchi
ad Alpignano, nel mese di ottobre MMVI».
E non è un caso che lAutore abbia curato con tanta
eleganza questo testo talloniano. Il Compianto si dispiega in uno
dei passaggi più drammatici e misteriosi per
luomo: quello dalla vita alla morte, nellattimo folgorante
che conclude unesistenza, che conduce alla speranza
della resurrezione o al nulla eterno.
E quando oggetto del rito è la Madre, la fonte della vita,
non è quel che cè al di là
a coinvolgere i nostri umanissimi sentimenti, a storicizzare la
memoria delle nostre memorie. Veniamo quasi assaliti dagli snodi
del tempo passato, da tutto ciò che ha colpito la nostra
immaginazione, che ha inciso, scavato il nostro tempo, e legato
le nostre passioni e la nostra capacità di amare. Così
nel grido disperato di Nocera, che rievoca i giorni indistinti della
Mater dolcissima e della Mater dolorosa, «madre di sette dolori,
/ e di stupendi amori», nel momento estremo in cui vorrebbe
trattenerla ancora sulla nostra riva, («Voglio ancora raccontarti
di me, / della mia disperazione, / della mia solitudine, / del mio
stupido girare in tondo, / di come un amico poeta mi è morto
tra le braccia, / e di come ho venduto lanima ad una civetta
cornuta»).
E non mi sembra un caso, intanto, che lAutore usi il termine
madre molto più frequentemente di mamma,
proprio in virtù dellessenza a suo modo divina
che essa rivela come scaturigine della vita, come creazione delle
discendenze, nel travaglio degli abissi del corpo, che travalicano
le ragioni della biologia e si fanno miracolo esistenziale. Ha cadenze
iterative, la parola madre, appunto perché è
diapason che scandisce i ritmi e i tempi del canto, i contrappunti
di una melodia che sembra di qualche giorno fa, mentre in realtà
appartiene a tempi antichi, e persino remoti, quelli degli echi
ondulari dei moroloja. Con la suggestione di un coro che ha la voce
materna con la scansione metrica della poesia tagliata,
espressa in lingua dialettale, e con la forza dirompente dellimprevedibile
intermezzo. Ed è anche questo, fra laltro,
a fare del disteso lamento un canto moderno, anche se canto che
evoca sentimenti eterni (perciò anchessi antichi, e
persino remoti).
Diversi punti del testo, (nella prima parte, là dove la vita
della madre ancora sfiaccola; ma anche nella seconda, che vede Nocera
attore unico, ieratico sacerdote del rito del passaggio, e nello
stesso tempo straziato cronista di quel rito), raggiungono picchi
di delicatissima sincerità e di autentico abbandono a un
dolore che nessun medicamento lenisce. E la forza dellAutore
è anche nella sua capacità (volontà) di trascorrere
dai campi lunghi, («
hai abbracciato il mondo, / e la
terra e il mare / e i compagni e le amiche, / e nel crepuscolo del
campo arato, / con lo sposo tuo riverso ancora sui capperi di scoglio,
/ hai sciolto la stretta del cuore
»), ai primi piani
coinvolgenti («In un angolo avevi ordinato / laltarino
delle tue madonne, / e nellaltro, a tutta vista, / quello
dei tuoi cari morti tanto amati, / - il volto della nonna dipinto
a sorriso, / poi la cristalliera con le foto dei figli, / e i fiori
sempre freschi di giornata, / accanto al tuo grande letto di madre
grande
»).
Vanno via tutti. Anche la Morte, che aveva atteso appoggiata allo
stipite della porta, abbandona la scena. Presenza quasi tattile,
una farfalla in volo sullemblematico fiore di malva. E, nel
Sud che è più a sud di tutti i Sud, la canzone adamantina
del figlio «maku te le stiddhe e de lu jentu».
Meraviglia dellincontrare
Nel marzo 2006, presso il Fondo Verri di Lecce, ho avuto larduo
e piacevole compito di presentare (insieme a Maurizio Nocera) lesordio
poetico di Genny Meraviglia, Ho costruito un castello di pioggia,
(I poeti de Luomo e il mare, Gallipoli, Collana
fondata da Augusto Benemeglio e diretta da Nocera). Genny è
stata per me una donna nuova che, in unaltra vita, avevo conosciuto
col nome di Mimma (Sambati). Altri tempi per tutti. Per me chero
altrove per motivi universitari
E per lei che viveva alcuni
grandi amori, tra cui quello per la pittura e, più in generale,
per larte. Il primo perché, mentre muoveva i primi
passi presso la locale Accademia dArte, ha vissuto il fulgore
dirompente e lesilio liquido, fatto di mare e di vino portoghese
(ma non solo), del vichingo leccese Edoardo De Candia.
Dicevo della difficoltà del mio intervento e ciò perché
quando recensisco o intervengo in serate come quella di cui ho detto,
devo (per onestà intellettuale) sempre ripetere che lo faccio
senza alcuna presunzione di critica letteraria professionale, ma
da dilettante, cioè per diletto.
Mi tocca, quindi, vedere la delusione di chi si aspettava che magari
argomentassi di lemmi e sinestesie verbali, di allitterazioni, di
assonanze e dissonanze, piuttosto che di ipotassi e paratassi.
Chiarito che a me piace parlare (soprattutto) daltro, rivelerò
(nessun arcano, bensì) le mie sensazioni dopo la lettura
di Ho costruito un castello di pioggia.
Dicevo che Genny Meraviglia è stata per me una scoperta o
quasi. Comunque, una donna nuova.
Perché conoscevo Mimma e, dopo anni di cui avevo avuto sue
notizie casualmente (ritrovandola, prima, su Fabbricante di
armonia di Antonio Verri, dellIstituto Carpitella, e,
poi, su un suo racconto passatomi a sua insaputa in
fotocopia: Lappuntamento mancato), lho rivista fisicamente
e nei suoi versi: in questo sta il piacere.

Genny è laltra vita, quella nuova, di Mimma
segnata da eventi importanti che lAutrice ci ricorda nella
sua costruzione-istintiva (oh, caro paradosso
). Perché,
come una volta mi ha detto unaltra donna meravigliosa, il
vero castigo è quello che risiede nellesserci concesso
di vivere una sola vita.
Genny, per concedersene unaltra, quasi esorcizza i suoi giorni
andati che, per essere stati comunque segnati non solo da eventi
difficili, ma anche da taluni momenti che val la pena non affidare
alloblio, ri-vivono nei suoi versi. Senza nostalgia o, comunque,
senza quella nostalgia perniciosa che ti riporta al passato e lì
tinchioda, impedendoti di vedere il futuro e facendoti perdere
ogni contatto col presente.
No, la nostalgia di Genny è quella dellabbandono al
ricordo con la consapevolezza che mai potrà ri-tornare epperò,
stante la sua importanza, è bene ogni tanto farlo ri-salire
in superficie fossanche per un solo attimo di struggimento
che ri-dona energia, con i colori dallora, per trovarne di
nuovi con cui colorare anche il giorno più grigio di unesistenza,
per non far crollare il sogno che, sì, è proprio una
vita nuova. E allora questo miracolo è fatto ancora di solitudine,
di dolore, di tormento e di angoscia, ma tutti questi stati dellanima
non fanno più tanto male quando riesci a farli coabitare
con tutti i colori che ti porti dentro o che stanno dintorno;
non sono più taglienti come rotti vetri, quando riesci ad
ascoltare il ritmo , i suoni e i canti di una immensità altra;
il cielo non ti sputa più addosso gocce di pioggia, quando
hai imparato a metterle da parte, una ad una, sino a costruirci
un castello, facendo versi e mischiando colori, come ha felicemente
detto Mauro Marino nella locandina che preannunciava la serata al
Fondo Verri.
Perché, in effetti, la poetica dellAutrice, prima ancora
di vivere nei suoi versi, è cominciata ad esistere nei suoi
quadri (spesso incompiuti, come se neppure tutto il colore possibile
bastasse per esprimere linquietudine della sua anima) e, più
a ritroso, nel travaglio della sua stessa esistenza.
Oggi quel vivere, sorridendo ai giorni andati, mi ha regalato un
sorriso e sono certo che altri ce ne saranno per tutti quelli che
vorranno leggere i versi di questo libro.
vito antonio conte
Da quali fondali Mimma emerge, trasfigurata in Genny? Il suo volto
era «nascosto fra le rime», come rammenta e ci ricorda
dalla sua favolosa Istanbul Ayse Yazicioglu. Ma, premette
lAutrice, «via via dalla notte sono cadute le maschere
/ e ripercorrendo il tempo / simbrigliano come una condanna».
Da quali segrete nebbie è ricomparsa? Dal luogo dove «un
tempo era una valle tra i monti e il mare, / tra spettrali paesaggi
della storia / dove ogni respiro era palpito, / dove ogni giorno
nascondeva un sogno, / dove ogni giorno era un sogno
»?
Dal «mondo di nani travestiti da giganti», che alla
«povera bambola di porcellana» altro non lascia che
il cuore? Da tutti i luoghi dellanima, «uno per ogni
tormento, / uno per ogni sorriso»? La risposta è schiva,
e forse volontariamente sviante: «
dinanzi al mistero
/ in equilibrio il cuore rimane», anche se il sigillo si scioglie
tra maceranti scavi («Frammenti dillusione in frantumi:
/ in uno spicchio di specchio nuvole barocche / e una frappa di
foglie si riflette / in un paesaggio scomposto della mente»)
e il vitalismo naturante che riscatta dalle tenebre («
tutto
lessere si avvolge / quando fuori è il temporale. /
Dopo la terra partorirà la luce / e le piante e gli animali
e le parole»).
Forse Mimma era unombra a forma di donna che i venti laceravano
in compositi brandelli: e ogni vento, si sa, va e viene come lo
porta il caso, e non ha pensiero, non ha più un progetto.
Perciò quella scapigliata ombra muliebre si era chiusa nella
sua latitudine più segreta, e vi era rimasta a lungo, sedimentando
epoche di memorie e di rocce. Infine aveva riaperto i suoi immensi
occhi: ed era ormai Genny. Cioè poesia.
a. b.
Lo sguardo che unisce
Il sottotitolo di questo bel testo di Umberta Coltella Tommasi
è Occidente e Oriente arabo-islamico nel pensiero di Francesco
Gabrieli. Il volume è pubblicato nella Biblioteca di
cultura pugliese diretta dalleditore Mario Congedo:
poco più di duecento pagine foltissime, che percorrono lintera
opera del Maestro, unopera che rappresenta «una pietra
miliare per la costruzione di un ponte sul quale uomini e donne,
dalle coscienze divise, possono transitare per ricomporsi nel riconoscimento
reciproco di un patrimonio comune».
Come sottolinea lAutrice, Gabrieli fu «appassionato
cultore del mondo classico», che allEllade guardava
come a un modello insuperato di equilibrio e di bellezza, «un
paradiso da cui egli è stato esiliato, strappato dai popoli
del deserto, ai quali dedica una vita di studi e di riflessioni.
Egli conosce larabo classico, lebraico, il turco, il
persiano, oltre al greco, al latino, al russo e alle principali
lingue europee. Un patrimonio linguistico che gli permette di abbeverarsi
direttamente alle fonti e delineare spazi comuni, in cui ricercare
le ragioni dellincontro e dellintegrazione».
Nasce da qui limmenso affresco di due mondi, lOccidentale
e lOrientale, il Cristiano e lIslamico, che con una
lunga serie di scontri hanno comunque proseguito con altri mezzi
una storia diplomatica, che degli scambi culturali, delle reciproche
influenze artistiche, delle spole bi-direzionali dei commerci, aveva
creato per una lunga età un network mediterraneo oscurato,
e messo in secondo piano, dagli interessi di divergenti espansionismi,
con il mito del confronto alimentato dai giorni delle Termopili
a quelli globali delle Torri Gemelle.
Due le parti della complessa esplorazione degli studi del Gabrieli.
La prima include i capitoli su Cristianesimo, Islamismo e
la morte di Dio, («Gli integralisti usano per fini politici,
per la loro sete di potere la religione islamica. Ma lIslam
in sé non ha nulla a che vedere con il fanatismo oscurantista,
con lintolleranza di cui questi assassini sono portatori.
Il dialogo per svilupparsi deve fondarsi sul rispetto reciproco,
su una reciproca contaminazione, evitando ogni atteggiamento di
pretesa superiorità»); su Israele e Palestina;
su La poesia, filo dArianna nel labirinto del mondo
arabo; su Il 900 di un grande arabista; su Un
crociano tra Occidente e Oriente (Le ragioni di un metodo);
su Dante, Petrarca e la cultura araba (Storie di controversie);
su Il Salento, la Sicilia e lIslam (Il ruolo degli
Arabi nel Mediterraneo): «Il Salento terra che il dono di
natura ha gettata, estrema punta di Italia, verso il Levante, esponendola
al flusso e riflusso delle guerre, ma anche appena la buona volontà
o la saggezza prevalgono, ai frutti migliori della operosità
umana, alle correnti dei traffici, allincontro delle culture
più diverse e lontane».
La seconda parte, più strettamente biografica, include tre
capitoli, rispettivamente su Una saga familiare tra Roma e
il Salento (Storia di unorigine): «Sono Romano
di nascita e di vita, ho fatto idealmente a ritroso il cammino del
padre Ennio, e tra le zolle e le rovine di Rudiae ricerco e venero
lantica mia madre»; su In nome del Padre
(Storia di una formazione); sull Accademia dei Lincei
(Palazzo Corsini: scenografia di un destino). Concludono lindice,
una cronologia, unappendice e una vastissima bibliografia.
Puntuali le ricostruzioni bio-bibliografiche e intelligente lacribia
dellAutrice, che ha compulsato un gran numero di fonti, ha
incontrato i familiari del grande arabista, ha contattato i discepoli
di questo studioso apprezzato a livello planetario non soltanto
per la sua scienza, ma anche per le sue qualità umane. Non
per niente, sottolinea Umberta Coltella Tommasi, una drammatica
delusione immalinconì gli ultimi giorni di Gabrieli, il quale
con sguardo lucido vedeva profilarsi sempre più netto, al
posto di un mosaico complementare delle culture greco-latina e araba,
una grande faglia in grado di scatenare tutti gli urti, tutti i
disastri fisici e morali, tutte le sciagure della civiltà
mediterranea.

Il Mare una volta Nostrum, culla della democrazia greca, del diritto
romano e delle nozioni scientifiche apportate dai popoli del Vicino
Oriente per rivitalizzare un Occidente al tempo della sua decadenza
alto-e basso-medioevale, oggi è un lago percorso dalle armi,
solcato da boat peoples, spaventato dal sangue delle vittime di
un barbaro terrorismo.
Intrigante la lettura dei vari capitoli del testo, anche perché
lAutrice ha fatto ricorso a una prosa colta e piana, traducendo
il pensiero di Gabrieli negli snodi più complessi e corredandolo
di note esplicative e di riferimento che ne illuminano la ricchezza
e la profondità, e ne disegnano gli ampi orizzonti (gli oltre
che questo sensibile arabista sempre cercò) compresi fra
indagine critica, ricerca letteraria, gusto narrativo, persino abbandono
bozzettistico, lungo una vita che fu milizia permanente e nobile
di scrittura.
s. b.
Identità Salentina
Con la cerimonia di premiazione del Concorso di giornalismo Identità
Salentina, riservato ad aspiranti giornalisti e a pezzi
pubblicati nel corso del 2005 e nella prima metà del 2006,
si è conclusa a Lecce domenica 24 settembre lottava
edizione dellomonima manifestazione, promossa dalla Sezione
Sud Salento di Italia Nostra, articolata in oltre due settimane
di mostre sui beni archeologici, etnografici, architettonici, naturalistici
e storico-documentari, conferenze, dibattiti e convegni sulle emergenze
archeologiche e sulla tutela del paesaggio, elaborati delle scuole
e concerti di gruppi emergenti salentini.
Il primo premio del Concorso di giornalismo è andato a Paolo
Marzano (La storia sospesa, pubblicato sul mensile La Voce
di Nardò), il secondo premio a Tiziana Colluto (La
grande Acait. Il racconto della rivolta, pubblicato sul settimanale
Bel paese), il terzo a Stefano Mele (Quellaffronto
in stile Liberty, pubblicato sul quotidiano Il Paese nuovo).
Oltre ai riconoscimenti della Giuria, composta da Donato Valli,
Aldo Bello, Giuliana Coppola, Marcello Favale e Sabrina Greco, ai
vincitori sono stati assegnati premi in denaro messi a disposizione
dalla Banca Popolare Pugliese, che ripropone ora su questa Rassegna
i tre articoli, a riprova di unattenzione verso il territorio,
e di unaderenza ai suoi problemi, che passa e si alimenta
anche attraverso le espressioni più genuine e spontanee,
ma non per questo meno impegnate, del giornalismo non professionistico.
(n.w.)
La storia sospesa
Paolo Marzano
Per capire il centro storico di Nardò e per confrontarsi
con opere scultoree di rilievo come quelle presenti nella nostra
città, abbiamo bisogno di viverle e interpretarle nel giusto
modo. La loro descrizione e i livelli di percezione devono, però,
essere pronti a recepire il massimo da queste meritevoli opere.

Certo, non sono edifici da nascondere perché vecchi o visivamente
da evitare perché sporchi, ma sono tesori che hanno bisogno
di continua cura, quindi pretendono una manutenzione
appropriata, obbligatoriamente aggiornata alle nuove tecniche di
recupero, di difesa dagli agenti atmosferici e altro.
Il degrado, in effetti, è prima di tutto un atteggiamento
mentale, purtroppo è generato dallindifferenza e dallimpreparazione
ad affrontare queste problematiche.
Tutto il nostro centro storico deve essere posto sotto osservazione,
dallantica parte sotterranea alla più alta guglia,
la sua qualità comunicativa va salvaguardata e il suo monumentale
bagaglio sia culturale sia architettonico deve assolutamente essere
difeso. Limpegno delle amministrazioni, allora, deve guardare
alle nostre opere darte indagandone e, se possibile, scoprendone
lambito elettivo. La qualità del centro di tutte le
città storiche ha sempre rappresentato lefficienza
di chi le gestisce. Senza retorica e senza cadere in luoghi comuni
dai quali cercheremo di fuggire, colgo loccasione di riportare,
grazie a La Voce di Nardò, alcuni appunti per cercare di
creare un ambito dialettico e per sollecitare un interesse allapproccio
del singolo individuo allopera darte.
Per Nardò e per tutto il Salento, lo possiamo fare in quanto
nel nostro caso non mancano episodi di rilievo che entrano a pieno
titolo nella storia della nostra terra. Relazionarsi al nostro quotidiano
e confrontarsi con le molteplici forme di comunicazione ed espressività,
è lo scopo del nostro muoverci in un ambiente.
Grazie al fatto di variare la propria posizione in un luogo, percepiamo
lo spazio e il tempo che impieghiamo nello spostamento. È
un modo abbastanza semplice di stimolare la nostra conoscenza ed
è altrettanto complesso, per i processi che realizza nel
creare diversi livelli desperienza. Nasce, allora, un interesse
per quei segni e quei mondi comunicativi che diventano parte di
noi, appena ci poniamo in loro relazione. Percezioni,
emozioni e quindi esperienze sono le fasi che il mondo visibile
comunica; a volte involontariamente e a volte organizzando spazi
particolarmente ri-conoscibili. Le regole di questo continuo e instancabile
relazionarsi non esistono, abbiamo però delle
semplici indicazioni che, per la maggior parte, vengono regalate
dallarchitettura (prima traccia o strumento di relazione delluomo
e il suo spazio).
Cercherò di portare un esempio e alcune analisi per comprendere
questo fantastico mondo fatto di quella comunicazione visiva
che tanto didatticamente guida il nostro presente, più di
quanto noi possiamo immaginare. Alcuni appunti che scrissi tempo
fa, per una ricerca sulla nostra zona, mi aiuteranno a parlare,
anzi, a leggere unarchitettura per dimostrare come un monumento
può sollecitare e raccontare delle storie legate
al luogo dove è stato costruito riassumendo, con una certa
qualità, i segni, i colori, le forme di quel posto.
Lesempio che ricercai e mi permise di registrare il maggior
numero di informazioni racchiuse in un singolo monumento è
la facciata della chiesa di Santa Croce, a Lecce. Esiste unimmensa
bibliografia riguardo ai tempi di costruzione, alle maestranze che
si sono susseguite, ai committenti e ai loro rapporti nella storia.
Ma quello che seguiremo è uno schema strategico, chiamiamolo
emozionale, legato al risultato compositivo che appare
ai nostri occhi.
Si tratta di uno dei monumenti barocchi che la storia di questa
terra, generosamente, ci lascia contemplare. Una testimonianza di
rilievo nel quadro più generale delle trasformazioni del
barocco leccese. Cè da dire che alcuni storici hanno
cercato di indagare e di valutare le condizioni di trasformazione
di un elemento così particolare e unico qual è il
barocco leccese.
Mi riferisco ad un articolo su LArchitettura del 1955 di Cesare
Brandi oppure allanalisi minuziosa e accurata di Maurizio
Calvesi con M. Manieri-Elia nel testo dal titolo Architettura barocca
a Lecce e in terra di Puglia, fotografie di Maurizio Di Polo, Carlo
Bestetti Edizioni darte, Milano-Roma, 1971 (testo e catalogo
consultato nella Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze).

Ma torniamo alla nostra indagine emozionale. I protagonisti
del racconto scultoreo che andiamo ad ascoltare, osservando,
sono il tempo e la storia. Losservatore, posto di fronte alla
facciata, in un attimo, può scegliere di immergersi in essi
o rimanerne distante, riflettendo attentamente sui particolari che
la compongono (praticamente lo schema dindagine è stato
tratto dalle metodologie adottate secondo alcuni testi di W. Benjamin,
Angelus Novus, Einaudi; R. Barthes, Limpero dei segni; U.
Eco, I limiti dellinterpretazione, Bompiani; E. Gombrich,
J. Hochberg, M. Black, Arte percezione e realtà, Einaudi;
H. Focillon, Vita delle forme, Einaudi; Il potere del centro di
Rudolf Arnheim, Einaudi Paperbacks).
Fermarsi per osservare un monumento, una piazza o un dipinto oppure
una scultura, diventa determinante per quello che andremo a scoprire.
Isolare singoli episodi da una complessa e omologante moltitudine
di elementi, si rivela determinante.
È sicuramente un passo importante verso larte del saper
guardare. Lapproccio ad unopera architettonica (la lettura
di una facciata) può realizzarsi servendosi di esempi segnici
o codici figurativi dati o alternativi, comunque inerenti alla nostra
percezione visiva. Le due componenti: la lettura più superficiale
o particolare, che descrivono questazione attivano, a un certo
punto, un rapporto che chiameremo relazionale. La relazionalità,
allora, diventa fondamentale in quanto viene identificata come una
distanza culturale, intesa nellaccezione di spazio fisico,
attivo, che si stabilisce tra la facciata (oggetto emittente) e
lindividuo (ricevente). La parte più affascinante dellesperienza
conoscitiva viene adesso! Questi elementi scultorei sono capaci
di scambiarsi le parti, alternatamente rispondendo a domande o formulandone
visivamente altre. Possiamo quindi, con questa premessa, analizzare
la facciata.
Funziona come un meccanismo rivelatore o un complesso enigma, dalla
cui interpretazione dipende la scoperta della mappa per arrivare
ad un prezioso tesoro. È come se la facciata della chiesa
di Santa Croce, complice la luce nella posizione ottimale sulla
facciata, funzionasse solo in una fase del giorno, svelandoci
il suo messaggio nascosto e la sua effettiva sublime drammaticità.
Per fare questo si ha bisogno di un piccolo impegno da parte di
chi la osserva, proprio per recepire il massimo dinformazione
e, credetemi, si tratta di informazioni più che importanti.
Per la sua lettura abbiamo bisogno di alcuni strumenti (infatti
come la letteratura ha bisogno del linguaggio scritto formato da
parole, da concetti e pause, anche per osservare unarchitettura
abbiamo bisogno di alcuni attrezzi): prima di tutto
lespressività del materiale con cui è costruita,
capace di assorbire la luminosità, come di rifletterla grazie
ai suoi svariati trattamenti scultorei, poi la luce e la relativa
ombra (propria o portata) proiettata.
Immaginiamo per un attimo che la facciata sia una tela gigante,
su cui questi due elementi trovano una loro definizione. Semplici
componenti, ma dimmensa potenza espressiva. Per avere il messaggio
tramandatoci, serviamoci del tempo, della luce: aspettiamo, infatti,
che il sole sia allo zenit e che la luce tracci le ombre giuste
(fondamentale per questo genere di architettura). Esiste infatti
un ordine di lettura che sicuramente è stato rispettato nella
costruzione della facciata, per cui lornato e larchitettura
stessa si sono pregevolmente affidati a tale sistema non ancora,
secondo me, analizzato e tenuto dalla storiografia del barocco nella
giusta considerazione.
Noterete per esempio (sembra comune come caratteristica cittadina,
ma non per la facciata di una chiesa) che un elemento così
usato per Lecce, come il balcone sostenuto da mensoloni, riesca
nella sua normalità a diventare una struttura scenografica
eccellente. Esso, dividendo le due parti della facciata (in realtà
sono tre, ma il balcone ne marca inesorabilmente due), rivela e
soprattutto racconta la storia che, in effetti, gli è stata
impressa. La luce magnifica del sole nella posizione perpendicolare
o zenitale (specialmente nella stagione estiva) dà la visione
giusta dellopera scultorea e del brulichio cesellato,
la cui fittezza ne evidenzia, quasi, il rumore. Lombra proiettata
dallelegante balcone determina la raffinatezza scultorea esaltandone
lalto livello di drammaticità, latmosfera così
creata dilaga in un fermento emozionale in cui ogni forma che prima
era individuabile nella facciata perde il fondo e rifiuta in questo
modo la sua definizione proiettandosi in uno spazio scultoreo
astratto. È la premessa di un evento di sicuro effetto.

Le tredici facce dei mensoloni-telamoni ora si coprono dombra
e mostrano la loro grottesca espressione. È questo il mondo
terrestre, la scena madre del racconto, la facciata diventa per
un attimo il palcoscenico verticale, il cui proscenio irrompe nella
stretta strada. Inizia, a questo punto, lo spettacolo della trasformazione
umana, la storia sospesa. Come una cascata di lava solidificata,
sgorga luminosa, densa e nello stesso tempo angosciante, in quanto
laggetto del balcone, tentando di prevalere sulla stretta
sezione stradale, aumenta laberrante prospettiva. Lequilibrio
sembra compromesso, la logica costruttiva sembra non esistere; masse
fluide prevaricano sulle direzioni note, la verticalità e
lorizzontalità si fondono ed evidenziano la perdita
di riferimenti.
È il narcisismo di una scultura superficialmente incrostata?
No! Forse dovremmo indagare nella passionale festosità dionisiaca!
Le figure simbolicamente usate per rappresentare le divinità
pagane, ora, sono lavorate dallombra radente che le descrive
minuziosamente esplicitandone il ghigno ancestrale e tremendamente
grottesco. È il momento della trasformazione umana, un passaggio
obbligato per arrivare poi in un mondo nuovo, forse alla luce nel
tema compositivo: lEsaltazione della Croce, infatti, si trova
in cima.
Il primo ordine di colonne dichiara unevidente deroga al tempio
sacro; i capitelli raffigurano idoli pagani osceni nellatteggiarsi
deplorevoli, se visti come decorazione per una facciata di una chiesa,
ma estremamente naturali se visti secondo il significato che ora
riassumono, sono speranze figurate di fertilità attese in
periodi difficili, per una terra che rivela e realizza generosità
naturali. Poi ghirlande, canestri ricolmi e ancora sirene, leoni,
lupi, arpie, sileni, creature anfibie nellatto di saltare
per spiccare il volo in dimensioni leggendarie. I livelli sono chiari
e decifrabili, ma esiste un linguaggio nascosto. Non cè
del magico in questo, è tutto tremendamente calcolato per
produrre emozione, per descrivere unatmosfera. Chi pensa a
questa facciata come ad un episodio ben definito, ma appartenente
al passato, si sbaglia! È un racconto figurato, una dimensione
immaginifica che ironizza sul mondo reale, una sensazione solidificata,
la descrizione di emozioni forti, di visioni uniche che solo una
terra con queste caratteristiche climatiche può vantare;
con questi colori, esaltati da una luce accecante, con questi suoni
che arrivano forse da strumenti lontani, dedicati a balli o canti
propiziatori, oppure con questi odori penetranti, caratteristici
di una mediterraneità in trasformazione.
Questo è un motivo per cui il termine orgiastico,
dato al barocco di Lecce da certe descrizioni pur validissime, non
dà ragione al suo valore. Orgiastico risulta
ovvio come termine, oltreché imperfetto, non aderente ad
una complessità che va analizzata e maturata; infatti, risulta
equivoca la frase «... manca una visione dello spazio»,
che pur autorevoli storici hanno avallato. Lo spazio in questo caso
esiste, esso è prima di tutto levidente relazionalità
tra quegli elementi che tentano invano di trovare posto per godere
della luce, tra i vuoti e i pieni del centro urbano, ma anche quelli
di una facciata; ecco perché diventa esaltante sentire la
parola slarghi invece di piazze. Siamo,
infatti, in un luogo con regole diverse, come dice Brandi: «[...]
un fenomeno singolarmente autentico, di radici locali nella cui
conformazione e fisionomia concorrono impulsi e contenuti svariati».
Se la geometria diventa il parametro selezionatore per un illusorio
controllo del territorio, allora Lecce non rientra nella categoria,
ma se il parametro selezionatore è la relazionalità
tra interni ed esterni, la città può essere uno dei
maggiori esempi di organicità, evidenziata da percorsi senza
privilegi (vedi la difficoltà di vedere le grandi facciate
perché manca lo spazio antistante): «Sembra quasi che
non siano state costruite per essere ammirate», mi disse una
volta un visitatore.
Nella città prevale il carattere organico di matrice concettualmente
medievaleggiante, dove la collettività partecipa a quelle
relazioni fondamentali che promuovono un continuum tra paesaggio
e comunità, buttando via le chiavi di un ambiente cittadino
a tenuta stagna, lasciando entrare (o uscire!?) lo spazio vitale
che fisiologicamente rifiuta il congelamento dato da prospettive
fin troppo calcolate di memoria rinascimentale.
Questa è una delle letture della facciata che abbiamo provato
a svelare. Naturalmente non può, certo, un monumento concentrare
la storia di una città o di una zona, né individuare
le mutazioni generali di un popolo, ma osservarlo, cercando
di fare propri questi tesori visivi, diventa il nostro dovere. In
questa facciata cè un po di tutti noi, delle
nostre difficoltà, delle nostre trasformazioni, delle nostre
piccole vittorie, praticamente linterpretazione delle complessità,
della grande storia umana. Una storia che diventa facciata, una
storia sospesa quindi, che si ripete da tanto tempo e che si ripeterà
perché, in essa, è riconoscibile il travaglio, è
identificabile la continua mutazione che luomo supporta.
Geniale lo Zimbalo costruttore, che localizza questo travaglio
in una parte intermedia, quella nellombra, dellobbligato
passaggio e trasformazione. I telamoni dalle facce orrende sono
stati condannati dagli uomini a sopportare perennemente tutta la
parte superiore e il pesante balcone, ma essi rispondono invece
con un ghigno, la cui ironia rimanda alle passioni mutevoli con
le quali i popoli di queste terre devono confrontarsi, agli stati
dipnotica esaltazione derivati da temperature torride, dai
sapori forti e dai profumi intensi.
Essi con definita e scultorea ironia rimangono i giullari dalle
forme grottesche, cantastorie che con precisa cadenza, nella sonorità
generale della città, tramandano fatti ed eventi di una popolazione
che ha saputo produrre, da quel travaglio, opere di simile fattura
per ricordarsi che la mutazione è sempre in atto e così
continuerà ad essere.
Ma adesso sta arrivando un altro turista, è uscito da una
stradina e si è trovato così, ad un tratto, di fronte
alla facciata di Santa Croce, osserva la sua architettura, legge
visivamente una storia. Non aveva previsto questo incontro, né
era stato preparato da spazi di attesa o piazze. Rimane bloccato,
alza gli occhi... con aria attonita la osserva stupito. Del Barocco,
magari, ha sentito parlare poco, ricorda qualche nozione, ma quel
momento ha qualcosa di diverso, di emozionante, non sa capacitarsi,
le stradine impervie e irregolari, le semplici facciate delle abitazioni
nel centro, poi quella preziosità, quella luce, quei segni,
quei colori... adesso è lì, fermo, quasi rapito...
sospeso. In questo momento, siamo sicuri, la facciata funziona ancora,
nuovamente racconta, in un silenzio e in un tempo tutto suo, la
storia di tutti noi!
Bene, pensiamo ora a cosa potremmo perdere se lasciassimo al degrado
e allindifferenza le opere che pure il centro storico di Nardò
possiede.
La grande Acait
Tiziana Colluto
Nacque nel 1902 lattività tabacchicola che fece di
Tricase un centro di produzione nevralgico, teatro delle rivolte
del 1935 quando si tentò di spostare a Lecce questo tipo
di produzioni. Dal 1938 prese il nome di Acait, Azienda Cooperativa
Agricola Industriale del Capo di Leuca.
Gli stabilimenti dellAcait sorgono
nel cuore di Tricase e non alla periferia o tra campagne sperdute,
e per un secolo hanno rappresentato il centro propulsivo della cittadina.
La ringhiera di ferro con gli alti cancelli, che si chiudevano alle
7 del mattino per riaprirsi nove ore dopo, abbraccia la vasta tenuta
su cui si erge imponente la struttura. Ed è lì, dove
lodore aspro degli agrumi tuttintorno si confondeva
con quello pungente del tabacco, che centinaia di lavoratori hanno
trovato per anni riparo sicuro da una vita fatta di stenti.
Il 28 dicembre 1902 nacque in questo luogo una delle prime imprese
cooperative dellItalia meridionale, il Consorzio Agrario
del Capo di Leuca. I novantasei soci fondatori sono sottoscrittori
di novantanove azioni di 10 lire ciascuna, con le quali si diede
avvio per la durata prorogabile di 99 anni a una società
anonima cooperativa a responsabilità limitata, così
stabiliva lo Statuto. Sin dallanno successivo si riuscirono
ad intrecciare importanti rapporti con società straniere,
la Maurice Hartog di Anversa, la Holtman di Lugano e la Fratelli
Allatini di Salonicco, tra laltro proprietaria dello stabile
che venne acquisito nel 1909. Gli accordi prevedevano lacquisto
di duemila quintali di tabacco allanno prodotti in loco.
Nel 1906, la crescita del capitale consentì allazienda
di ottenere dal Monopolio la concessione speciale per la lavorazione
del tabacco levantino, da coltivare entro una superficie
iniziale di settanta ettari e da consegnare alle manifatture statali.
La diffusione delle concessioni riguardò soprattutto lestremo
Salento, grazie allintervento dellon. Alfredo Codacci
Pisanelli, in quellanno Sottosegretario al Tesoro nel governo
Sonnino.
Il Consorzio, che a partire dal 1938 prese il nome di Azienda
Cooperativa Agricola Industriale del Capo di Leuca, ha il
compito di organizzare la coltura dei tabacchi per lesportazione,
curandone il trasporto e la vendita allestero. Non solo. LAcait
si specializzò anche nella confezione di sigarette, la cui
richiesta aumentò con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale.
Il rifornimento degli uomini al fronte fece raddoppiare la superficie
destinata a questa piantagione. Solo sulle colline di Tricase nel
1929 si contavano ben 3.158 ettari di area coltivata e 29 opifici.
Gli incentivi ai produttori fanno poi salire a 800 il numero dei
soci dellAzienda, sempre più spesso costituita da ex
combattenti nelle trincee del Carso.
La Grande Crisi venne superata senza invocare sussidi né
protezioni, ma il 30 aprile 1935 venne approvato un decreto che
deliberò, in osservanza della legge istitutiva delle Corporazioni
varata un anno prima, lo scioglimento di molti consorzi agrari sparsi
per la provincia, per crearne uno centralizzato a Lecce sotto il
nome di Terra dOtranto. La sanguinosa rivolta
che ne seguì, conseguenza immediata del provvedimento, consentì
di ottenere il mantenimento dellAcait a Tricase, assicurando
il lavoro alla gran parte delle famiglie del circondario.
Questa azienda era anche quella più ambita dalle tabacchine.
Gli ambienti si presentavano relativamente puliti e ordinati, si
effettuavano controlli medici annuali agli occhi e ai bronchi, date
le frequenti malattie visive e la tubercolosi. La comodità
poi non riguardava solo i servizi igienico-sanitari. Oltre allinfermeria,
infatti, vi era lo spaccio alimentare in cui i prodotti venivano
venduti a metà prezzo e si poteva trovare il ghiaccio, prima
esistente solo a Maglie.
Ancora più importante era la presenza dellasilo nido,
dove le mamme potevano lasciare i figli fino a tre anni e recarsi
da loro per allattarli. La v¦ta allinterno dellAcait
continuava intanto laboriosa e silenziosa.
Un mutuo di 200 milioni di lire nel 1979 consentì di appianare
i debiti regressi fino a quando, il 20 novembre 1995, non fu decisa
la sua messa in liquidazione coatta con decreto ministeriale.
Quellaffronto in stile Liberty
Stefano Mele
... Un luogo brulicante di gente e riecheggiante dei versi
di pescivendoli e verdurai, un luogo unico e tipico della nostra
città dove una moltitudine di massaie leccesi si recava giornalmente
per la classica spesa (...) era un continuo andirivieni da un banco
allaltro, da un box allaltro, fino a che non si riusciva
a trovare ciò che si desiderava.
Giuseppe De Simone,
Il Grande Gelso. Lecce anni 50 attraverso ricordi e immagini
Stravaccata fra lerba, al pari
di un ferro vecchio senza valore, giace, nel deposito comunale Sorriso,
in via Costadura, la gloriosa tettoia in stile Liberty, che dal
4 dicembre 1898 fino al 1981 ha fatto bella mostra di sé
in viale Marconi, addossata alle mura del Castello. A lasciarla
in eredità ai leccesi fu il sindaco Giuseppe Pellegrino,
avvocato, giornalista, in seguito anche deputato, probabilmente
lamministratore più illuminato che la città
ricordi.
Lopera, molto simile alla struttura che ancora oggi si può
ammirare nella stazione ferroviaria di Lecce, fu costruita dalla
stessa ditta che, secondo alcuni, realizzò dei componenti
del ponte di Brooklyn, e divenne, insieme al tram elettrico che
collegava Lecce a San Cataldo, uno dei gioielli della città,
simbolo di unepoca, quella precedente alla Grande guerra,
che anche Lecce probabilmente viveva come linizio di una nuova
era.
Il trisnonno di chi scrive aveva, negli anni dieci del Novecento,
un chiosco per la vendita dellacqua, che prelevava da un grosso
serbatoio di zinco. Ai numerosi avventori del mercato, Oronzo Mele,
lu tamburrieddhru, forniva refrigerio nelle calde giornate
estive, con granite che costavano circa 20 centesimi. Nelle foto
depoca il chiosco è immediatamente riconoscibile, perché
è una struttura a sé stante rispetto alla tettoia,
posizionata in prossimità della fontanella che ancora oggi
si trova su quel marciapiede, proprio vicino ai bagni pubblici.
La chiazza cuperta era un brulicare di anime, un mercato
molto grande che non si limitava alla sola area coperta dalla tettoia,
ma si estendeva nelle zone limitrofe dove i commercianti, da Lecce
e provincia, esponevano merci di vario genere: scarpe, stoffe, carbone,
ma anche piante e fiori, spezie e arnesi di ogni tipo.
Il mestiere si tramandava di padre in figlio, la piazza e quella
tettoia dovevano essere lanima stessa del commercio cittadino
e dellintera provincia, ma anche un luogo affascinante, del
quale, secondo i testimoni, è rimasto impresso nel ricordo
soprattutto lodore, inconfondibile e aggressivo, un misto
di spezie formaggi e pesce, e ogni altro genere alimentare.
Così Giuseppe De Simone ricorda quel luogo, ne Il Grande
Gelso: «Lungo tutti e quattro i lati della struttura Liberty
vi erano numerosi box di vendita (macellerie, salumerie, panetterie,
drogherie), nella fascia centrale, invece, si trovavano i banchi
adibiti alla vendita di verdura e frutta. Inoltre, tutti da un lato,
vi erano dei lunghi banchi in muratura, completamente rivestiti
di piastrelle smaltate di colore bianco e forniti di acqua corrente,
utilizzati per la vendita di frutti di mare». Sono certo che
chi ha letà per ricordare deve solo chiudere gli occhi
per rivederli tutti lì: lu Pippi zeppu (così
ribattezzato per landatura claudicante) e la Nnina delle
cozze, Vincenzino Amato con i suoi sanguinazzi
(sanguinacci), la salumeria Renna e quella dellu Peu.
Chi ha unetà più avanzata potrà ricordare
anche lu pirèca, lu Mmelu sagna,
il gelataio, lu mesciu Peppu carrozzieri, lu Ronzu
babbu te li anelli e via discorrendo.
Giuseppe De Gaetano, nipote di quel Giuseppe De Gaetano (Pippi
zeppu) e figlio di Ginone (Luigi) De Gaetano,
ancora oggi fa lo stesso lavoro tramandato da tre generazioni, il
suo è lultimo box in fondo al mercato di Settelacquare,
una sede provvisoria che i commercianti non hanno mai amato. Nel
1978 il sindaco Salvatore Meleleo dispose la demolizione della tettoia
Liberty, come testimonia unepigrafe marmorea affissa su una
parete del Castello di Carlo V. «Io ricordo perfettamente
le sue parole», racconta De Gaetano.
La fase di smontaggio della struttura, invece, terminò nel
1982, i grossi pali furono inviati a Vicenza per il restauro, con
un costo di circa 350 milioni di lire, mentre i commercianti furono
trasferiti in quella sede provvisoria, fatta di lamiere, in Piazza
Libertini, che invece ospitò il mercato fino a tempi recentissimi,
fino a quando, cioè, baracche e burattini non
sono stati spostati nellattuale sede di Settelacquare, «alla
periferia di Lecce!», commenta Giuseppe De Gaetano.

La promessa, però (e a volte la questione ritorna), era
quella di erigere nuovamente la tettoia nellarea di Santa
Maria del Tempio, poi Caserma Tempio e successivamente
Caserma Massa, sulle ceneri dei due chiostri cinquecenteschi
fatti demolire nel 1971 dallamministrazione allora guidata
dal sindaco democristiano Salvatore Capilungo. Ora è il regno
delle giostrine, dei panini con il würstel e dei parcheggiatori
abusivi.
Nella nuova sede del mercato, rispetto ai tempi della tettoia Liberty,
è tutto diverso, fatta eccezione per gli antichi banconi
dove ancora oggi sono appoggiate le casse di frutta e verdura. Sotto
quei banchi, in ferro battuto e marmo, cera anche chi, nella
prima metà del 900, ci dormiva, per guadagnarsi così
la postazione di vendita migliore. E così, dormiente, è
oggi la struttura, smontata e dilaniata, sparsa un po qua
un po là fra i depositi comunali.
La generazione di chi scrive non può neanche ricordarla,
solo fantasticare guardando le vecchie foto o affidandosi al racconto
di chi cera, e continuando a fantasticare viene in mente ciò
che forse avrebbe detto oggi Giuseppe Pellegrino davanti a questo
affronto: «Questa città ormai sta con Fazzi».
Il pubblico della Rassegna
Salento Negroamaro
NellUnione europea numerose ricerche riguardanti i processi
culturali evidenziano la necessità di descrivere il mondo
della cultura di ogni Paese e di effettuare confronti con le diverse
identità culturali.
Secondo le più recenti indagini statistiche (EUROSTAT e ISTAT),
le rapide trasformazioni che stanno interessando il campo culturale
modificano sia le forme di produzione, diffusione e consumo di cultura,
sia gli scambi culturali che possono avvenire sul territorio.
Parallelamente allo sviluppo dellinteresse per la cultura,
intesa come sistema di orientamento dei valori fondamentali per
i membri di una società, esiste un processo che interessa
sempre più la dimensione sociale della cultura: la cultura
e lo sviluppo sociale sono strettamente interdipendenti e la partecipazione
sociale rappresenta una funzione chiave.
Le attività culturali, unitamente alle nuove tecnologie comunicative,
allo sviluppo dei servizi, allaumento di figure altamente
specializzate, fanno presagire un incremento della dimensione economica
legata alla cultura in termini di flussi monetari e di unità
produttive.
La posizione geografica pone il Salento ai confini sud-orientali
dellarea comunitaria, di fronte ai Paesi del Mediterraneo,
che stanno costruendo un sistema integrato sulle statistiche culturali
del territorio, seguendo il concetto di partecipazione culturale.
La misura della capacità di attrazione e dimprenditorialità
in termini culturali del Salento permette di dare un valore operativo
al concetto di dimensione sociale della cultura, oltre ad effettuare
utili confronti con altre aree geoculturali del Paese.
Partendo dallimportante ruolo assegnato alla cultura attraverso
il festival Salento Negroamaro 2005, organizzato dalla Provincia
di Lecce, in questo articolo vengono sinteticamente analizzati i
risultati della ricerca Il pubblico della Rassegna Salento
Negroamaro 2005 in cui si è voluta misurare e valutare
la dinamica attrattiva della rassegna attraverso lanalisi
del pubblico.
Sono stati scelti alcuni spettacoli più significativi e di
diversa tipologia espositiva secondo il programma definito dallAssessorato
alla Cultura della Provincia di Lecce per ledizione 2005 del
festival e oggetto dellindagine è stato un campione
di sei eventi.
Non si pretende di offrire una lettura puntuale dellanalisi
del pubblico della rassegna (cosa che presupporrebbe approfondimenti),
ma di gettare le basi per verificare la fattibilità di un
sistema di monitoraggio del settore culturale che tenga conto di
un set di indicatori specifici significativi, in quanto è
ormai nota la necessità di promuovere ricerche in ambito
culturale, finalizzate alla definizione di politiche dintervento
capaci di determinare lo sviluppo del settore dal punto di vista
della domanda, dellofferta e quindi della crescita economica
e occupazionale in ambito culturale.
Lideazione del questionario da somministrare ha avuto come
obiettivo quello di conoscere il pubblico della rassegna, con particolare
riferimento agli aspetti relativi alla mobilità e alle forme
di promozione e la definizione del dataset da raccogliere, ha compreso
gli elementi su cui operare una prima analisi suscettibile di sviluppi
importanti della ricerca e la cui standardizzazione garantisce la
confrontabilità delle informazioni.
Lindividuazione del database dellindagine, oltre a rispettare
le esigenze espresse dalla committenza e i vincoli della disponibilità
dei dati, ha tenuto conto della necessità di giungere alla
definizione di uno strumento informativo di base, allo scopo di
disporre di un quadro di sintesi indispensabile per lattività
dindirizzo della rassegna poiché dallanalisi
dei dati emergono le linee evolutive da seguire per ladeguamento
del gradimento della rassegna alle esigenze dellutenza locale
e straniera.
Il questionario è stato somministrato ad un campione di pubblico
presso sei sedi di manifestazioni e ha permesso la costruzione di
un database efficace per analizzare le statistiche rilevanti ai
fini della programmazione futura della rassegna con implicazioni
culturali, sociali ed economiche per il territorio.
La ricerca statistica, avente come fine lanalisi del consumo
degli spettacoli con particolare interesse verso la mobilità
del pubblico e la validità degli strumenti di promozione,
è stata condotta attraverso la somministrazione di un questionario
ad una proporzione di pubblico selezionata casualmente.
Le domande contenute nel questionario hanno dato origine a dati
di tipo quantitativo e qualitativo che hanno permesso di studiare
la variabilità del fenomeno oggetto della ricerca al variare
di alcune caratteristiche di natura demografica, sociale ed economica
degli utenti come, ad esempio, il sesso, letà, il titolo
di studio, la professione.
Inoltre, nel questionario sono state poste delle domande con lobiettivo
di conoscere la provenienza del pubblico, ovvero la capacità
attrattiva del festival; in particolare, esse riguardavano il luogo
di residenza e il mezzo di trasporto utilizzato per giungere alla
manifestazione ed eventualmente per i non residenti il motivo del
soggiorno nel Salento.
Inizialmente previsto anche in lingua inglese, il questionario è
stato somministrato solo nella versione italiana e per tale motivo
è probabile che il dato riguardante il pubblico straniero
sia approssimato per difetto.
Nella sezione del questionario dedicata alla raccolta dei dati sul
gradimento del pubblico verso i vari tipi di manifestazioni allinterno
della rassegna, sono state raccolte significative informazioni sulla
tipologia di evento che sarebbe auspicabile incrementare o meno.
Infine, è stato chiesto dindicare le fonti di informazione
relative alla rassegna per meglio approfondire le potenzialità
promozionali.
Un punto forte dellindagine sul pubblico attraverso la somministrazione
del questionario è che la raccolta dei dati dà immediatamente
unidea della composizione del pubblico ad ogni rappresentazione.
La distribuzione del pubblico totale per genere evidenzia una superiorità
numerica di spettatori di sesso femminile, il 54%, con lievi oscillazioni
tra le varie manifestazioni (Fig. 1).
La partecipazione alle varie forme di spettacolo è influenzata
dalla dimensione generazionale e la distribuzione per classi di
età degli spettatori ad una manifestazione permetterebbe
di valutare alcuni aspetti in funzione di unefficace programmazione:
la conoscenza delle caratteristiche socio-economiche del pubblico,
infatti, ha un ruolo strategico per analizzare il consumo degli
spettacoli e da qui orientare la programmazione futura.
La Tab. 1 indaga la partecipazione analizzando la professione del
pubblico, e una prima veduta dinsieme delle abitudini culturali
farebbe pensare che lattitudine a recarsi in alcune manifestazioni
varia a secondo della professione.
Uno degli obiettivi dellindagine è stato quello di
conoscere la provenienza del pubblico e dai dati raccolti nella
sezione del questionario relativa alla mobilità, è
emerso che in tutte le sei manifestazioni i partecipanti risiedevano
nel comune in cui si svolgeva liniziativa o in Comuni della
stessa provincia quindi, si trattava di unaffluenza di pubblico
locale, come illustrato in Fig. 2.
Tale risultato evidenzia che la promozione della rassegna è
avvenuta principalmente a livello locale.
La quantità di dati sulla mobilità raccolti attraverso
il questionario, potrebbe essere utilizzata per ulteriori sviluppi
della ricerca, i dati potrebbero essere analizzati per verificare
ad esempio quale mezzo di trasporto viene utilizzato per giungere
alla rassegna, il motivo del soggiorno nel Salento e se lo spostamento
dipende dalla partecipazione alla rassegna o da altri motivi.
Laltro obiettivo della ricerca è stato quello di verificare
la validità degli strumenti di informazione adottati per
promuovere la rassegna. Se analizziamo la distribuzione delle fonti
dinformazione (Tab. 2), si dimostra una buona capacità
del canale informale della segnalazione dellevento tramite
il passaparola, seguito dai tradizionali strumenti informativi
quali la stampa e la televisione.
Il sistema organizzativo del Festival Salento Negroamaro 2005
nel complesso pare avere caratteri deboli principalmente per le
ristrette forme di promozione sul territorio e allesterno.
A monte di una scarsa diffusione di un monitoraggio a fini valutativi
della rassegna per gli anni precedenti, sembra assente una capacità
di controllo del gradimento degli utenti.
La rassegna non appare inserita in un vero e proprio sistema di
rassegne, per cui il pubblico esprime un disorientamento nella conoscenza
della manifestazione. Si può pertanto affermare che, qualora
uneventuale analisi approfondita dei dati sia utilizzata per
promuovere innovazioni nella promozione, gli obiettivi principali
debbano essere i miglioramenti organizzativi e la concentrazione
delle risorse verso le forme di mobilità che permettano ai
flussi di utenza esterna al territorio di raggiungere le sedi degli
eventi.
Le considerazioni precedenti hanno preso le mosse dalla dimostazione
che lattuale modello organizzativo del festival Salento Negroamaro
2005 è inefficace a costituire garanzia di promozione culturale
del territorio.
La partecipazione culturale costituisce la parte principale di un
sistema integrato del settore culturale che, data la sua importanza,
necessita di un adeguamento alle condizioni mutevoli della società
supportato da un modello organizzativo innovativo che rappresenti
una potenziale crescita della rassegna e di sviluppo continuo del
settore culturale.
sabrina greco
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