LItalia unita
costruì la propria immagine
accentuando Roma
e marginalizzando la memoria della «Grecia che aveva dentro
il cuore».
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Cè molto di greco in Italia, così come cè
molto di romano in Grecia, ricorda Salvatore Settis, analizzando
i percorsi delle due maggiori civiltà mediterranee del mondo
antico. In una lezione tenuta a Chicago nel 1985, riferisce lo studioso,
Arnaldo Momigliano rifletteva sulluso del passato classico
in un Paese appunto classico come il nostro;
ma altrettanto si può fare per il Paese che fra tutti è
il più classico, vale a dire la Grecia. In effetti,
la storia del rapporto dei Greci con il proprio passato transita
attraverso due parole-chiave, Hellenismòs e Romiosyni.
Il primo termine si riferisce alla Grecia più classica, quella
di Pericle e di Sofocle, mentre il secondo (che letteralmente significa
Romanità) ne evoca il passato bizantino. Quelli
che da noi per definizione sono Bizantini, infatti, chiamavano se
stessi Romaioi, vale a dire Romani, e a buon diritto: perché
Costantinopoli era la seconda Roma, non meno importante della prima
non soltanto in senso amministrativo e politico, ma anche religioso
e simbolico.
Sottolinea lo studioso: la traccia di questa denominazione, e dello
spessore storico che implica, rimase a lungo viva, e non soltanto
in greco, ma anche in arabo e in turco, anche dopo la caduta di
Costantinopoli, mentre per tutti gli altri veniva preferito il termine
Yunanniyan (Ioni); allo stesso modo, fino al 1922 i
Turchi distinguevano nettamente tra Yunan (Ioni, cioè
i Greci della Greci indipendente) e Rum (Romani), cioè
i sudditi greci dello Stato turco. De resto, a lungo i Fanarioti
(cioè i Greci di Istanbul rivendicarono per se stessi (contro
gli altri sudditi greci dellImpero Ottomano) il nome di Romaioi.
Insomma, si potrebbe dire senza tema di smentita che per essere
Greci era necessario essere Romani.

Sappiamo che la guerra dindipendenza greca durò dal
1821 al 1827. In quellarco di tempo, il termine Romiòs,
che designava i Greci nella lingua popolare, venne sostituito: si
inventò, o meglio si reinventò la tradizione dal nuovo
nome del popolo e della Nazione, ripescato dal greco antico: Hellenes,
da Hellas. Dunque, Romiòs tendeva a sparire dalluso
corrente, e a volte addirittura ebbe un senso e un significato peggiorativi,
designando i Greci alla vecchia maniera, come ai tempi
dellImpero Ottomano, privi della cultura dei popoli dellEuropa
occidentale. Afferma lo studioso: «Ma la Romiosyni, nel senso
di struggimento del sentirsi Romiòs, membro di una grecità
mutilata dalla caduta di Costantinopoli in mano ai Turchi, fu un
leit motiv ricorrente in tutta la letteratura neogreca dallindipendenza
al pieno Novecento». Romiosyni finì con lindicare
il carattere nazionale della Grecia moderna nella sua continuità
con Bisanzio, interrotta ma non bruciata dalla Turcocrazia:
in questa accezione la parola sembra essere quasi unultima
traccia dellImpero Romano dOriente, anche se nel 1998
venne avanzata la proposta di vietarne ufficialmente luso,
sostenendo che era stata introdotta dai Turchi allo scopo di sottrarre
agli Hellenes il loro glorioso nome e di conseguenza il loro passato.
Fu chiamato Impero Bizantino quello che forse con maggiore rispondenza
fu lImpero Romano dOriente, nato fra il 330 e il 395,
con capitale la Seconda Roma, con politica parallela
a quella della Prima Roma, dalla quale si affrancò
nell800 (incoronazione di Carlo Magno), e durato fino al 1453
(caduta di Costantinopoli) e sopravvissuto nellImpero di Trebisonda
fino al 1461.
LImpero Bizantino nacque dalla necessità che si impose
ad un certo punto ai Romani di assicurare la difesa dei possedimenti
orientali contro la doppia pressione dei barbari germanici, poi
slavi, sul Danubio, e dei Persiani sulla grande ansa dellEufrate.
A tal fine, era necessario dare allImpero un nuovo centro
politico e militare che offrisse il vantaggio di essere più
vicino di Roma al fronte delle operazioni e che per la sua posizione
geografica fosse facilmente difendibile. Ciò spiega la scelta
di Costantino quando fondò nel luogo dellantica Bisanzio
la città alla quale diede il suo nome: Costantinopoli. Questa
Seconda Roma, edificata sulle rive del Bosforo allestremità
di una penisola facilmente fortificabile, presentava anche il vantaggio
eccezionale di trovarsi nel punto dincontro delle due vie
marittime del Ponte Eusino (per cui passavano il grano della Scizia
e i prodotti orientali) e del Mediterraneo, e delle due vie continentali
provenienti luna dallEuropa, laltra dallAsia
Minore e dalla Siria. Questa situazione geografica naturale destinava
dunque Costantinopoli ad essere la capitale di un Impero insieme
continentale e marittimo, e che richiedeva stretti legami fra lAsia
e lEuropa, fra la cultura greco-romana e le civiltà
orientali.
Tre furono le grandi fasi storiche di questo Impero. Quella dellImpero
Romano Universale (395-641) prolungò letà classica
senza soluzione di continuità. Giustiniano riconquistò
il bacino occidentale del Mediterraneo, pubblicò il Corpus
Juris, costruì grandiosi monumenti (lIppodromo, che
poteva contenere decine di migliaia di persone; Santa Sofia, che
per la prima volta presentò strutture influenzate dallOriente
asiatico). Basandosi sulla sua posizione geografica privilegiata,
Costantinopoli trasse tutti i possibili vantaggi: le carovane dalla
Cina portavano seta ad Antiochia e nelle altre città situate
lungo i confini comuni allImpero e alla Persia (Callinico,
Nisibi, Artaxata); sul Mar Rosso, a Klysma (presso lattuale
Suez) e ad Aila (attuale Eilat) arrivarono avorio dallAfrica,
mirra, incenso e profumi dal paese dHimyar (odierno Yemen),
legni preziosi dallAsia meridionale e numerosissimi prodotti
dallIndia, particolarmente apprezzati dalla società
bizantina; i porti della Crimea, Cherson (odierna Sebastopoli) e
Bosporos (attuale Kerc) stabilivano il contatto con i popoli dellEuropa
centrale: vi si scambiavano i prodotti dellindustria bizantina
con ambra e con pellicce.
Il periodo dellImpero Romano Ellenico (641-1204) portò
a compimento lellenizzazione. Gli Arabi giunsero fin sotto
le mura di Costantinopoli, gli Slavi si stanziarono nei Balcani,
lItalia cadde in potere dei Longobardi: anche formalmente
lOccidente cessò di dipendere da Bisanzio il giorno
in cui, nel Natale dell800, nacque il Sacro Romano Impero.

Terzo e ultimo periodo, quello dellImpero Diviso, che vide
le lotte fra Latini, Bizantini e Turchi, che crearono le cause della
crisi irreversibile per limpero che era esistito per più
di mille anni, esattamente per undici secoli, durante i quali arte
e letteratura divennero a mano a mano espressione di una civiltà
nuova e ben differenziata nel quadro della storia globale dellellenismo,
con lincontro, arricchito anche da numerosi apporti orientali,
della grecità pagana con la nuova spiritualità cristiana,
analogo a quello avvenuto in Occidente tra la cristianità
e luniverso romano, con la conseguente fusione del nuovo e
del vecchio mondo in ununità culturale autonoma e originale.
Merito di questa civiltà nella prospettiva storica fu la
trasmissione delleredità greco-classica, che essa affidò,
alla caduta dellImpero dOriente, al nuovo mondo europeo
occidentale, rimasto alloscuro della cultura greca fin dal
primo Medioevo.
Il testimone sarebbe passato di mano in pieno secolo XX, quando
Kemal Ataturk avrebbe trasferito la capitale della Turchia dal Bosforo
allaltopiano anatolico, ad Ankara, vecchia Angora, antica
Ancira, che derivava il nome dal greco, con riferimento allàncora
che sarebbe stata trovata sul luogo da Mida, re dei Frigi, succeduti
agli Ittiti nel dominio dellarea. Ad Ankara fu rinvenuto il
Monumentum Ancyranum, con testo originale in latino e con traduzione
in greco.
Fu scoperto, questo documento, nel 1555, iscritto sulle pareti di
una moschea costruita sullantico tempio di Roma e di Augusto:
costituiva una copia pressoché completa dellIndex Rerum
Gestarum, lampio testamento politico e apologetico che Augusto
compose prima di morire disponendo che venisse inciso su colonne
di bronzo da collocarsi dinanzi al suo mausoleo. Frammenti di copie
analoghe furono rinvenuti ad Apolonia e ad Antiochia di Pisidia,
città che Augusto volle, col titolo di colonia e con il nome
di Cesarea, capoluogo della Galazia Inferiore.
E la componente greca nel nostro Paese, nellItalia moderna?
Prima dellascesa di Roma (e anche dopo) lItalia antica
era un mosaico di popoli, dai Liguri ai Sardi, dai Veneti agli Etruschi
e ai Celti, e via dicendo, con una fortissima presenza greca nel
Meridione e in Sicilia, e con città puniche in Sicilia e
in Sardegna. Il latino vi si affermò lentamente, ma il greco
rimase a lungo dominante anche in metropoli come Napoli e Taranto;
e anche quando il latino divenne la lingua della Chiesa di Roma,
il greco continuò ad essere praticato nella liturgia in monasteri
e in chiese, soprattutto in Puglia, in Basilicata e in Calabria,
ma anche altrove. Quando il movimento umanistico che più
tardi prese il nome di Rinascimento (alimentato dai greci rifugiatisi
in Italia) cominciò a riflettere sullantichità
classica, la Penisola era divisa in una galassia di
Stati, alcuni dei quali molto piccoli, anche se a volte con brillante
vita intellettuale (si pensi a Urbino, a Ferrara, a Mantova): più
che il latino, lingua franca dellEuropa occidentale, li unificava
luso dellitaliano, che dopo lexploit del vulgare
nella corte di Federico II, giganti come Dante, Petrarca, Boccaccio
avevano forgiato come la vera lingua nazionale.
La secolare riflessione italiana sul proprio passato si gioca tutta
fra lidea (o la meta) di una sostanziale unità culturale
nel nome di Roma (lItalia culla dellImpero, sede del
Papa) e la rivendicazione delle identità locali, fondate
sullantica Italia multietnica dei Veneti, dei Sanniti, degli
Oschi, degli Irpini, dei Lucani, dei Sabelli, dei Dauni, dei Messapi...
In essa, i Romani non erano che un popolo fra gli altri, la cui
cultura, per di più, aveva forti debiti con quella degli
Etruschi, e soprattutto dei Greci. Dopo il Settecento (definito
il secolo senza Roma, tanti furono allora gli studi
che cercarono nelle popolazioni preromane la radice degli orgogli
e delle differenze municipali italiane), lOttocento aggiunse
il largo ventaglio di altre e molteplici presenze nel Medioevo italiano:
i Longobardi e i Goti, i Tedeschi e i Bizantini (ancora Greci),
gli Arabi di Sicilia, i Francesi e gli Aragonesi.
Dopo levento decisivo della nascita dellItalia unita,
con lannessione del Regno di Napoli alla Corona dei Savoia
(1860), quasi metà del nuovo Regno aveva un passato più
greco che romano; ma, in particolare, dopo lannessione di
Roma (1870), la costruzione di unidentità nazionale
finì col passare piuttosto attraverso il mito e la memoria
della Città Eterna (essa stessa oscillante tra Repubblica
e Impero). Ciò che aveva contrassegnato la rete di poleis
in Magna Grecia e in Sicilia (Taranto, Gallipoli, Siri, Sibari,
Crotone, Reggio, Metaponto, Siracusa, e cento altri centri greci),
e le aree fenicie in Sicilia e in Sardegna, prima ancora che sulle
coste spagnole e francesi, finì con la caduta in un cono
dombra dal quale ancor oggi è complicato riemergere.
Lunità dItalia si verificò qualche decennio
dopo lindipendenza della Grecia, ma nel recupero del passato
dovette seguire un percorso ben diverso. Per i nuovi
Greci riscattati dal dominio ottomano era cruciale riannodare il
filo con la Grecia classica, come del resto avevano già fatto
i Filelleni alla Byron; e per questo motivo essi cancellarono spesso
le tracce di altre presenze, come sullAcropoli di Atene, dove
rasero al suolo non soltanto i resti della moschea turca, ma anche
quelli bizantini e la torre dei fiorentini Acciaiuoli. Il passato
greco di buona parte dItalia, al contrario, non sembrava un
buon ingrediente per la nuova coscienza nazionale dellItalia
unita (che aveva in Roma il suo centro di gravità), e si
prestava male anche alla definizione di coscienze locali, contraddittorie
rispetto allidea unificante di unItalia tutta governata
da Roma.
A questo scopo, era funzionale molto di più il passato autoctono,
romano, italico o etrusco. Le antichità regionali della Penisola
furono comunque esplorate come componenti di una futura
identità nazionale; ma quella greca, in una visione del genere,
non poteva che essere una fra esse, (al modo della sarda, dellitalica,
della veneta, delletrusca), e in ogni caso interessava solo
lItalia continentale meridionale e la Sicilia: dove, contribuendo
a definire identità sub-nazionali, si presentava tuttavia
come u dato potenzialmente centrifugo.
In ultima analisi. LItalia unita costruì la propria
immagine e la propria tradizione accentuando Roma e marginalizzando
la memoria della «Grecia che aveva dentro il cuore»,
che in ogni caso vi ha lasciato impronte di straordinaria, formidabile
portata e durata (non solo i templi di Paestum e di Agrigento, che
gareggiano con quello dellateniese Acropoli, ma anche le isole
linguistiche neogreche, vive più che mai, dalla grecanica
calabrese alla grica salentina); la Grecia indipendente costruì
la propria identità marginalizzando la memoria di Roma implicita
nella Romiosyni e sostituendola con il collante più potente
(perché ritenuto autoctono) del proprio Hellenismòs.
Queste avventure (e disavventure) della memoria del classico
non sono finite. La domanda che, secondo il saggista, Greci e Italiani
devono oggi rivolgere a se stessi in quanto cittadini dEuropa
è se non sia venuto il momento di comprendere che le identità
nazionali sono più ricche (e più autentiche) se costruite
non per esclusione e per selezione, ma mediante un principio di
molteplicità e di inclusione. Ci sono molta Grecia e molta
Roma in ogni molecola della cultura europea, e le culture della
Grecia moderna e dellItalia moderna devono luna allaltra
almeno quanto entrambe devono ai loro antenati in grandissima parte
comuni.
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