Se la Cina
arricchiva
il mondo materiale dellIndia,
questultima
aveva cominciato
ad esportare il buddhismo in terra cinese perlomeno dal I secolo
a.C.
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I legami culturali tra India e Cina, protrattisi per oltre duemila
anni, hanno avuto effetti di vasta portata sulla storia di entrambi
i Paesi, ma è raro che oggi vengano ricordati. La scarsa
attenzione loro riservata proviene tendenzialmente da storici della
religione, in particolare del buddhismo, che nel I secolo cominciò
a diffondersi dallIndia alla Cina, dove si affermò
saldamente fino ad essere in gran parte scalzato, circa un migliaio
di anni più tardi, da confucianesimo e taoismo. E tuttavia,
la religione costituisce solo un capitolo della ben più ampia
storia dei rapporti nel primo millennio dellera volgare. Rapporti
che sarebbe quanto mai auspicabile indagare non solo per consentirci
di apprezzare con maggior cognizione di causa la storia di un terzo
della popolazione mondiale, ma anche per la forte incidenza di quei
legami sulle questioni politiche e sociali di oggi.

Sulla centralità della religione quale fonte di contatto
tra India e Cina, e sullimportanza del buddhismo nella circolazione
di persone e di idee che si venne a creare fra i due Paesi, non
vi sono naturalmente dubbi. Ma lungi dal limitarsi alla religione,
linfluenza del buddhismo si estese agli ambiti laici di scienza,
matematica, letteratura, linguistica, architettura, medicina e musica.
Da minuziosi resoconti di vari visitatori cinesi dellIndia,
come Faxian nel V secolo e Yi Jing nel VII, apprendiamo che i loro
interessi erano tuttaltro che limitati a teoria e pratica
religiosa. Analogamente, tra gli eruditi indiani recatisi in Cina,
specie tra il VII e lVIII secolo, si annoveravano non solo
esperti di religione, ma anche professionisti di altro genere, come
astronomi e matematici. E proprio uno scienziato indiano, Gautama
Siddhartha, andò a presiedere nellVIII secolo il Comitato
astronomico della Cina.
Ricchezza e varietà degli antichi rapporti culturali tra
Cina e India sono state a lungo ignorate. Un disinteresse consolidato
dallattuale tendenza a classificare la popolazione mondiale
in civiltà distinte secondo un criterio prevalentemente
religioso (si pensi, ad esempio, alla divisione del mondo in civiltà
occidentale, islamica e induista,
proposta da Samuel Huntington). Di qui, la diffusa attitudine a
inquadrare i popoli prevalentemente secondo la fede religiosa, per
quanto si perdano di vista, in tal modo, molte cose importanti.
I limiti di un tale approccio hanno già fatto danni notevoli
alla nostra conoscenza di altri aspetti della storia mondiale delle
idee. In linea generale, si propende a considerare la storia musulmana
sostanzialmente come storia islamica, ignorando la fioritura di
scienza, matematica e letteratura resa possibile dagli intellettuali
musulmani, in particolare tra lVIII e il XIII secolo.
Una delle conseguenze di questa angusta enfasi sulla religione è
che lodierno attivismo protestatario arabo è incoraggiato
ad agitare unicamente la bandiera della purezza dellIslam,
piuttosto che quella della diversità e della ricchezza della
storia araba. Né sono infrequenti i tentativi di ridurre
la civiltà indiana a una civiltà induista,
per citare un sintagma caro tanto ai teorici come Huntington che
agli attivisti politici induisti.
Vi è poi una strana e distraente differenza nella maniera
di guardare alle idee e alla cultura, a seconda che siano occidentali
o non-occidentali. Nellinterpretazione di queste ultime, molti
commentatori tendono a conferire alla religione unimportanza
eccessiva e a trascurarne gli interessi laici. Sono in pochi a ritenere,
mettiamo, che lopera scientifica di Isaac Newton vada letta
attraverso la lente del Cristianesimo (per quanto egli fosse di
fede cristiana); né si suppone, generalmente, che il suo
contributo alla conoscenza scientifica debba essere in qualche modo
interpretato alla luce dei suoi profondi interessi in campo mistico
(a dispetto dellimportanza che tali speculazioni rivestivano
per lui, forse alla base di alcune delle sue ricerche scientifiche).
Ma se si tratta di culture non-occidentali, il riduzionismo religioso
si rivela una tentazione irresistibile. Gli studiosi ritengono il
più delle volte che lopera intellettuale, per quanto
di vasta concezione, di eruditi buddhisti o di seguaci del tantrismo
possa essere interpretata correttamente solo sotto la
luce particolare della fede e delle usanze religiose.

Di fatto, i rapporti tra Cina e India iniziarono con il commercio,
non col buddhismo. Circa duemila anni fa, le abitudini di consumo
indiane, in particolare tra le fasce abbienti della popolazione,
furono radicalmente influenzate dalle innovazioni provenienti dalla
Cina. Un trattato di economia e politica del grande studioso sanscrito
Kautilya, scritto originariamente nel IV sec. a.C., ma ritoccato
alcuni secoli più tardi, accorda un posto di riguardo, tra
gli «articoli preziosi» e gli «oggetti di valore»,
alla «seta proveniente dalla terra di Cina». Lantico
poema Mahabharata contiene riferimenti a tessuti serici
cinesi (cinamsuka) offerti in dono, e accenni analoghi troviamo
nelle antiche Leggi di Manu.
La natura esotica dei prodotti cinesi veniva colta in numerose opere
letterarie sanscrite durante la prima metà del primo millennio
dellera volgare, come nel dramma del V secolo Sakuntala,
opera di Kalidasa, forse massimo poeta e drammaturgo della letteratura
sanscrita classica. Scorgendo durante una battuta di caccia la stupenda
eremita Sakuntala, il re Dusyanta, estasiato dalla sua bellezza,
illustra la propria passione paragonandosi allagitarsi di
una bandiera serica: Il mio corpo va avanti, / ma la mia
mente si ritrae riluttante / come seta cinese di uno stendardo /
agitato dal vento . Nel dramma Harsacarita, scritto
da Bana nel VII secolo, la radiosa Rajyasri si presenta al suo matrimonio
deliziosamente adorna di elegante seta cinese. Nello stesso periodo,
la letteratura sanscrita abbonda di riferimenti ad altri prodotti
cinesi affermatisi in India, tra cui la canfora (cinaka), il cinabro
(cinapista), il cuoio di alta qualità (cinasi), il frutto
delizioso della pera (cinarajaputra) e quello della pesca (cinani).
Se duemila anni fa la Cina arricchiva il mondo materiale dellIndia,
questultima aveva cominciato ad esportare il buddhismo in
terra cinese perlomeno dal I secolo a.C., quando due monaci indiani,
Dharmaraksa e Kasyapa Matanga, si recarono in Cina su invito dellimperatore
Mingdi della dinastia Han. Da allora, e fino a tutto lXI secolo,
eruditi e monaci indiani affluirono sempre più numerosi in
Cina. Centinaia di studiosi tradussero in cinese, con rapidità
straordinaria, migliaia di documenti sanscriti, testi buddhisti
per la maggior parte. Questo alacre lavoro di versione si arrestò
nellXI secolo, ma ancora tra il 982 e il 1011 venivano tradotte
più di duecento opere sanscrite.
Il primo erudito cinese a redigere una minuziosa cronaca del suo
viaggio in India fu Faxian, dotto buddhista partito dalla Cina occidentale
in cerca di testi sanscriti da diffondere nella propria lingua.
Dopo un difficile viaggio lungo la via settentrionale di Khotan
(dalla forte presenza buddhista), giunse in India nel 401. Dieci
anni dopo, faceva ritorno in patria via mare, partendo dalla foce
del Gange (non lontano dallodierna Calcutta), passando per
lo Sri Lanka buddhista e per linduista Giava. Faxian percorse
lIndia in lungo e in largo, raccogliendo documenti che in
seguito tradusse in cinese. I suoi Annali dei regni buddhisti sono
un illuminante resoconto di viaggio su India e Sri Lanka. Gli anni
trascorsi a Pataliputra (o Patna) furono dedicati allo studio di
lingua e letteratura sanscrita, oltre che dei testi religiosi, ma
i suoi interessi vertevano anche sugli ultimi ritrovati terapeutici
indiani.
Il più illustre visitatore cinese dellIndia fu Xuanzang,
che vi giunse nel VII secolo. Straordinaria figura di studioso,
raccolse una gran quantità di testi sanscriti (traducendone
parecchi dopo il suo ritorno in Cina), viaggiando da un capo allaltro
dellIndia per sedici anni, di cui alcuni trascorsi presso
il famoso istituto di educazione superiore di Nalanda, non lontano
da Patna. Qui, oltre al buddhismo, Xuanzang studiò medicina,
filosofia, logica, matematica, astronomia e grammatica. Al suo ritorno
in Cina, fu accolto dallimperatore con grandi onori. A Nalanda
studiò anche Yi Jing, il quale, venuto in India poco dopo
il viaggio di Xuanzang, abbinò i lavori sul buddhismo a studi
di medicina e di sanità pubblica.
Tra i testi tradotti da Yi Jing figuravano opere di adepti delle
dottrine tantriche, le cui tradizioni esoteriche davano grande rilievo
alla meditazione. Il tantrismo divenne assai diffuso in Cina tra
il VII e lVIII secolo e, in ragione del notevole interesse
dei suoi iniziati per la matematica (forse connesso, perlomeno in
un primo tempo, con lossessione tantrica per i numeri), grande
fu linfluenza del tantrismo sulla stessa matematica cinese.
Osserva Joseph Needham che «il più importante tantrista
fu [...] il monaco cinese Yi Xing (672-717)», nonché
«massimo astronomo e matematico della sua epoca». Questi,
che parlava correttamente il sanscrito e aveva unottima conoscenza
della letteratura matematica indiana, era anche un monaco buddhista,
ma sarebbe un errore presupporre nei suoi studi scientifici una
valenza specificamente religiosa. Matematico e al tempo stesso seguace
del tantrismo, Yi Xing si occupò di vari problemi di analisi
e di calcolo, molti dei quali nulla avevano a che vedere con i Tantra.
Affrontò problemi classici della disciplina, come calcolare
il numero totale delle posizioni possibili negli scacchi. Particolarmente
interessato a questioni di calendaristica, su ordine dellimperatore
mise a punto un nuovo calendario per la Cina.
Sempre di calendaristica si occupavano in particolare gli astronomi
indiani residenti in Cina nellVIII secolo, i quali fecero
ricorso, nei propri studi, agli sviluppi della trigonometria già
emersi in India (ben più avanzati degli originari fondamenti
greci della trigonometria indiana). Nello stesso periodo, astronomia
e matematica indiane trigonometria compresa esercitavano
un profondo influsso sulle scienze del mondo arabo attraverso la
traduzione di autori quali Aryabhata, Varahamihira e Brahmagupta.
Gli archivi cinesi attestano che in questo periodo svariati astronomi
e matematici indiani occuparono posizioni elevate allinterno
del Dipartimento per lastronomia della capitale cinese. Uno
di essi, Gautama, oltre a diventarne presidente, fu anche autore
di un classico della letteratura scientifica cinese dellVIII
secolo, il grande compendio dellastronomia Kaiyvan Zhanjing.
Senza i contatti stretti con i religiosi buddhisti, gli astronomi
indiani mai sarebbero andati in Cina, ma le loro opere in ogni caso
non possono essere ritenute contributi al buddhismo.
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