La danza
dei tarantolati gli sembra molto
simile ad una
vecchia danza scozzese chiamata Pillow, che ha molto in comune con
la quadriglia.
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Nelle prime pagine del suo resoconto e racconto del viaggio Nel
tallone dItalia, Martin Shaw Briggs riprende quello che diceva
il poeta gallese Arthur Symons: «Le città sono come
i popoli: fornite di unanima e di un temperamento propri.
Mi sembra che lo spirito di una città si possa rivelare solo
a coloro che lamano o lodiano con particolare emozione.
Ho visitato molte città che mi hanno lasciato indifferente,
forse per qualche incidente durante il viaggio; ma in realtà
non avevano nulla che mi parlasse
Mi sarebbe stato impossibile
scrivere: non avrei trovato nulla da dire. Ma altre città
quanto le ho amate! [
] Sembra che tutte queste città
mi abbiano comunicato qualcosa della loro anima, come i popoli che
ho amato o odiato nel mio cammino per il mondo».
Dunque, non ci sono vie di mezzo. Un luogo può farsi racconto
solo se non è indifferente, se suscita un sentimento di amore
o di odio, se provoca in qualche modo una condizione di vicinanza
o appartenenza, se fa maturare un legame che può anche restare
indecifrato, se lascia una traccia che può anche non rivelarsi,
se si stratifica nella memoria come un vago richiamo, una bruciante
nostalgia.
Forse, Martin Shaw Briggs, Henry Vollam Morton, Janet Ross, George
Berkeley, Frederick J. Hamilton e gli altri viaggiatori inglesi,
quando vennero per la prima volta nel Salento motivati da
interessi spesso tuttaltro che letterari non sospettavano
che questa terra li avrebbe vincolati attraverso un legame tanto
forte da farli sentire parte non solo di essa, ma addirittura della
sua storia.
Martin Shaw Briggs, nato ad Otley, nella contea di York, è
uno dei più noti viaggiatori-scrittori inglesi nel Salento.
Nella sua opera In the heel of Italy; a study of an unknown city,
pubblicata nel 1910, scrive:
La città ha una nobile storia e riveste particolare
importanza nellItalia odierna, pur possedendo inestimabili
vestigia di un lontano passato che risale addirittura alletà
oscura della storia primitiva.
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Si apre così il suo libro, con una descrizione della città
di Lecce, sconosciuta perché gli inglesi non
la conoscevano ancora, in quegli anni. Fu nellaprile del 1907,
quando Briggs venne inviato per la prima volta nel Salento dalleditore
della rivista Architectural Review per studiare i monumenti e i
palazzi della città (giacché Briggs era laureato in
architettura ed esercitava con molto successo) che lo scrittore
rimase profondamente colpito dalle bellezze architettoniche, tanto
da decidere di ritornarvi, semplicemente da viaggiatore, due anni
dopo, nel 1909.
In questa seconda occasione, Briggs raccoglie molto materiale, sia
sul barocco leccese, al quale nel 1913 dedicherà un intero
volume dal titolo Baroque Architecture, sia sulla gente salentina,
sui personaggi illustri del Salento, quali il duca Sigismondo Castromediano,
Antonio Galateo, e sceglie sia di narrare la storia di Lecce e dei
Martiri dOtranto, che di ritrarre, con gusto e con uno stile
molto delicato, alcuni dei piccoli paesi che visita durante il tragitto
che lo conduce da Lecce fino a Santa Maria di Leuca.

La narrazione è molto accurata; Briggs coglie ogni sfumatura
di tutto ciò che vede, dimostrando di saper andare oltre
la superficie esclusivamente paesaggistica e artistica e di incontrare
il vero Sud.
Dunque Briggs è uno di quei viaggiatori-scrittori che racconta
del Salento come se da sempre ne conoscesse ogni particolare. Forse
proprio perché, come diceva Symons, per raccontare di un
luogo è necessario che questo luogo ci parli, ci dica qualcosa;
poi è necessario amarlo, odiarlo, o entrambe le cose.
Amare-odiare, unantitesi che, probabilmente non a caso, ritroviamo
in uno dei maggiori esponenti del panorama letterario salentino,
Vittorio Bodini, nei versi che dicono
qui non vorrei morire dove vivere
mi tocca, mio paese,
così sgradito da doverti amare.
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Martin Shaw Briggs, a mano a mano che prosegue nel suo viaggio
di scoperta e di conoscenza della terra salentina, offre scorci
descrittivi che in molte occasioni sembrano anticipare quelli che,
anni dopo, sarebbero diventati versi straordinari dedicati dai poeti
salentini a questa terra. Ritorna Bodini:
Tu non conosci il Sud, le case di calce
da cui uscivamo al sole come numeri
dalla faccia di un dado
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quando lo scrittore inglese descrive il piccolo paese di Soleto,
dove ciò che più colpisce è
labbagliante candore delle sue case
bianche.
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E poi le
processioni e suffragi
[che] saprono a ventaglio
sulle pagine scure
del nostro giorno
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come scriveva Bruno Epifani, o le
processioni lente ad ogni porta
falbe madonne recano nellaria
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nei versi di Vittore Fiore, nellopera di Briggs costituiscono
il motivo per una descrizione molto accurata e intensa di una processione
in onore di Santa Maria Addolorata:
Apre il corteo una fanfara, segue un ordine di uomini vestiti di
nero coi petti fregiati di emblemi sacri.[
] Il sole torrido
fonde in parte le grandi candele tra le mani di questi uomini, e
cosparge di cera le loro vesti funebri. Segue una gran folla di
donne gravi e silenziose. Rompe questo silenzio il suono della fanfara
che sembra più solenne per lordine in cui è
disposta. Ad un tratto i musicanti suonano una deliziosa fantasia,
certo più allegra di quella musica corale che un maestro
tedesco avrebbe ordinato in tale processione; in cui nulla è
che ricordi la pesante volgarità delle processioni inglesi.
Nellopera In the heel of Italy, Lecce è per Martin
Shaw Briggs «la città costruita in pietra colore oro
che giace in Terra dOtranto», e anche in questa raffinata
descrizione ritroviamo i versi che Bodini dedica a questa città:
Biancamente dorato
è il cielo dove
sui cornicioni corrono
angeli dalle dolci mammelle,
guerrieri saraceni e asini dotti
con le ricche gorgiere.
[
]
Unaria doro
mite e senza fretta
sintrattiene in quel regno
dingranaggi inservibili fra cui
il seme della noia
schiude i suoi fiori arcignamente arguti
e come per scommessa
un carnevale di pietra
simula in mille guise linfinito.
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«Se dunque lapprezzamento consapevole delle bellezze
architettoniche e storiche del nostro paese è davvero notevole
in queste pagine di viaggio», scrive Angela Cecere in uno
dei suoi volumi sui viaggiatori inglesi, «va anche notato
che rispetto al 700 il gusto estetico subisce un mutamento
determinato in larga misura dalle teorie estetiche di Ruskin. [
]
Non più simmetria di forme e bellezza, ma la concezione dellarte
come espressione delle verità e delle emozioni più
alte e più pure che luomo potesse esprimere. Larte
doveva comunicare qualità morali che costituivano lessenza
stessa della bellezza. La piena rivalutazione dellarte normanna
e medioevale fece sì che molti Inglesi si interessassero
a monumenti fino ad allora trascurati: solo nell800 le nostre
splendide cattedrali pugliesi saranno apprezzate per la prima volta,
proprio perché si era prodotta in Inghilterra una differente
sensibilità critica ed estetica».
Tuttavia, già nel 700, il filosofo irlandese George
Berkeley nel suo Viaggio in Italia esprimeva il suo entusiasmo di
fronte allarte decorativa leccese:
La pietra qui si lavora con facilità. Perciò
labbondanza di decorazioni alle facciate delle chiese,
dei conventi, è incredibile. Colonne o pilastri, festoni,
vasi da fiori, puttini, forme di animali si affollano sopra
il fogliame dei capitelli [
] non sono mai stato colpito,
da quando viaggio, come dallinfinita ricchezza degli
altorilievi leccesi, e dalla loro perfetta esecuzione. Non
credo che ci sia unarchitettura simile al mondo.
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Circa due secoli dopo, la dettagliata e lunga descrizione di Berkeley
la ritroviamo nella sintesi straordinaria di due versi di Vittorio
Pagano:
A noi si dona, artefici assolati
una malìa di calme architetture
dove luomo è il pretesto di un poeta
e nello scenario che Tommaso Fiore descrive nel volume Un popolo
di formiche:
Lecce, larmoniosa, è lunica città non
solo di Puglia ma di tutto il Mezzogiorno, in cui i palazzi e le
pietre e le strade e i cortili e le loggette e le finestre e fin
le abitazioni più umili abbiano serbato lantico carattere
storico, spiccatamente artistico. Se la disposizione di essa nei
meandri delle vie, nelle piazzette, nei parchi è medioevale
e normanna, lapparenza è in tutto secentesca e berniniana,
con ricchezza di ornamenti e statue e di motivi architettonici pieni
di effetti pittorici e di stranezze geniali.
Poi, nel 1958, Fernando Manno comincia Secoli fra gli ulivi proprio
con un capitolo dedicato alle pietre, che chiama «maledizione
di sassi»:
Da secoli, da millenni forse i salentini ordinano pietre in città,
ordinano pietre in campagna. E ne hanno fatto i due volti della
loro terra, quello splendido e fulvo della città e quello
faticato e paziente delle campagne.
Immagini significative del Salento ricorrono ancora nel volume di
Henry Canova Vollam Morton, nato a Birmingham nel 1892, giornalista
e redattore del Daily Mail, morto a Londra nel 1978.

La sua opera, pubblicata a Londra nel 1969, sintitola A Traveller
in Southern Italy. Morton scrive:
A Lecce percepii qualcosa di spagnolo nellatmosfera, nella
serietà e nella dignità degli abitanti, nella formalità
dei loro comportamenti e nellarchitettura sofisticata dellambiente
e tutto questo mi riportava alla mente quei posti in cui il Barocco
spagnolo è evidenziato da una pietra morbida come il burro
che, quando si indurisce, diventa dura come lacciaio.
Morton, dunque, nei tratti del barocco salentino ritrova la Spagna:
unimmagine che successivamente comparirà in liriche
e racconti di autori salentini. Nella poesia Sonno del mio
paese, Vittore Fiore scrive:
Ecco, se entri al piano solitario,
di là per sempre il mio paese aspetta,
traverso gli archi tuoi la Spagna cola
un sonno antico lentamente viola.
Unimmagine interiore della Spagna compare in unaltra
poesia di Fiore, Se faremo ritorno:
Oh gli occhi dei braccianti
riservati ai silenzi, alle ventate,
e donne dietro finestre
appena chiuse, con un cuore così
e la Spagna serrata nella gola
dove bruciano chiese vescovili.
Vittorio Bodini, che vive per quattro anni a Madrid, assorbendo
moltissimo della cultura e dellintensità dei paesaggi
spagnoli, tanto da riversare lesperienza spagnola nelle numerose
traduzioni e in alcune straordinarie liriche, in Omaggio a
Gòngora scrive:
Venuto qui non oso domandare
se è piena o vuota la realtà.
Cordova è una dolce tempesta
di bianco verde e nero e in quellaccordo
di calce e di limoni e di freschi cancelli
trovo il mio Sud ma con più aperta coscienza
con più aperta tristezza e più valore.
Nel capitolo dedicato al barocco, Manno sottolinea invece le differenze
tra il barocco spagnolo e quello salentino:
Nel barocco spagnolo cè lempito duna vocazione,
un continente spirituale conteso al demonio [
] Lidea
di bellezza è esclusa, almeno quella che danno i sensi. [
]
Il barocco salentino non ha teologia e tragedia ideali del secolo
che lo produsse. Esso non è pensiero. È senso. [
]
È naturalismo. [
] Se si potesse, allo stesso modo,
creare, come si creano certe mostre retrospettive darte, una
stagione che raccogliesse contemporaneamente frutta e piante del
Salento, avremmo il barocco della natura in ununica mostra
di fichidindia, fichi, mandorle, vendemmia,[
] Così
il barocco salentino si salda alla terra, alla storia, al cuore
del paese, non più pietra, non più arte, non più
opera: una voce del paesaggio. Sangue.
Il panorama descritto dagli inglesi non poteva poi prescindere dal
ritrarre la campagna salentina.
Richard Keppel Kraven, nel volume Tour through the Southern Provinces
of Naples, del 1821, si sofferma sulla bellezza rurale della Puglia.
Osserva i giardini che incontra sul suo cammino, e racconta:
[...] cespugli di mirto ben potati conducevano a porticati ben coperti
di vigne, innumerevoli palme, le più belle che abbia mai
visto in Italia, si stagliavano su un orizzonte di verde, creato
da una rigogliosa vegetazione che nel nostro clima difficilmente
riuscirebbe a crescere fuori da una serra.
E ancora:
[...] i campi sono recintati da muri a secco, e le case, tutte dal
tetto piatto, hanno unapparenza molto vivace per il loro estremo
biancore che spicca sullo sfondo verde dei campi e dei frutteti,
o anche degli estesi uliveti
quasi tutto il territorio è
coperto da ulivi vecchi, probabilmente di 500 anni, sono tutti cimati
ed hanno tronchi come vecchi alberi di salice, ma tanto grandi e
grotteschi quanto le querce di Sherwood.
Sono gli stessi ulivi ai quali Ercole Ugo DAndrea dedicherà
Metamorfosi dellulivo, ai quali Vittorio Pagano
penserà nella sua lirica Questi soliti olivi,
che
sabbarbicano al nudo
sasso, la terra estorcono ai contesi
pascoli, tramortiscono il furore
del giorno nella verde irresistenza
del flusso in cui sadempiono.
Infine, un altro fenomeno attrae in particolar modo lattenzione
di tutti i viaggiatori inglesi, da Briggs a Janet Ross, a Morton,
a Berkeley: il tarantismo, al quale questi autori dedicano interessanti
e documentate pagine esaminandone con estrema precisione ogni aspetto.
È lumanista scozzese Craufurd Tait Ramage, in particolare,
che, durante il suo viaggio nel 1828, rimane così colpito
da questo fenomeno da volerne ricercare le più remote origini.
E nel suo diario intitolato The Nooks and Byways of Italy, in cui
descrive un viaggio compiuto quarantanni prima, riferisce
che il primo scrittore che ricorda il tarantismo fu lArcivescovo
Nicola Perotto di Sassoferrato, vissuto intorno al 1450. Anche se
sostiene che la specie di ragno responsabile di questo fenomeno,
il Phalangium apulum, il cui veleno provoca violente convulsioni,
viene citato prima ancora da Plinio. Quel che è interessante
scoprire nel volume del Ramage, come nota Angela Cecere, è
che la danza dei tarantolati gli sembra «molto simile ad una
vecchia danza scozzese chiamata Pillow (cuscino) e che
ha molto in comune con la nostra quadriglia».

Luigi Corvaglia, in Finibusterre, e Fernando Manno, sempre in Secoli
fra gli ulivi, racconteranno lo stesso fenomeno in maniera non meno
dettagliata rispetto agli autori inglesi.
Ora, gli aspetti di analogie e di costanti tematiche tra le opere
dei viaggiatori inglesi e quelle di alcuni tra i più significativi
autori salentini del Novecento possono costituire una testimonianza
del fatto che gli stranieri abbiano guardato questa terra con una
sensibilità e una profondità tali da consentire di
individuarne i tratti distintivi e connotativi.
In tempi diversi e con differenti culture, inglesi e salentini si
sono ritrovati a dire di paesaggi ed emozioni con parole somiglianti
e, a volte, con la stessa meraviglia e lo stesso stupore.
Probabilmente la ragione sta nella capacità di comprendere
il linguaggio degli esseri e delle cose, dei miti e delle storie,
delle speranze e delle superstizioni, del barocco e dei muri a secco.
Si tratta di «quellidea del dialogo con la terra»,
come scriveva Verri,
che non cambierà mai, che luomo ha stabilito dal tempo
dei tempi, il grosso respiro, il sibilo lungo che si può
udire solo di mattina, mirando nella vastità dei campi, con
accanto sentinelle silenziose gli alberi dargento [...].
Martin Shaw Briggs conclude il suo libro con queste parole:
Venga a visitare queste terre il viaggiatore [
]. Dovunque
egli vada, troverà tra questo popolo semplice la cortesia
e riconoscerà di aver contratto molti debiti di gentilezza.
E quando dovrà ripartire, sia che egli si allontani quando
lalba fuga la nebbia tra le palme e i giardini, o quando il
sole che tramonta illumina con i suoi ultimi raggi la cupola splendente
del Duomo, egli proverà una perenne affezione per la graziosa
Lecce.
Dunque, tornando ad Arthur Symons: si può raccontare di un
luogo solo se lo si ama o lo si odia, se per questo luogo si riesce
a provare un sentimento assoluto, privilegiato. Allora non esisteranno
solo paesaggi geografici ma anche luoghi mentali; esisterà
anche un legame che va oltre il tempo e lo spazio, che permetterà
al viaggiatore, purché attento e sensibile, di vivere questo
Sud, di sentirne la passionalità, la seduzione, il richiamo.
E di trasformare tutto questo in scrittura, nelle immagini di un
verso, nel passo di una prosa.
Se lincontro dei viaggiatori inglesi con il Salento ha motivato
un racconto e un catalogo di immagini che in qualche
caso anticipano cronologicamente alcune figurazioni che di questa
terra hanno dato i nostri Bodini, Pagano, Verri e altri di cui si
è dato qui qualche rapido esempio, allora significa che per
loro il Salento, che in un primo momento può averli emozionati
e stupiti, si è trasformato in un luogo interiore, fino a
farsi oggetto di riflessione, di memoria, e quindi di racconto.
Loro, così lontani e diversi dalla terra e dalla gente salentina,
forse hanno avvertito un senso di appartenenza a questa gente, a
questa terra, anche solo per il tempo che è durato il viaggio,
nella provvisorietà del tempo di un viaggio.
Loro, senza vincoli di sangue e senza stratificazioni di memoria,
probabilmente sono riusciti a rintracciare la struttura originaria,
libera da ogni sovrastruttura, la radice semantica da cui ha origine
una poetica del Salento che perdura in una varietà
di forme e di espressioni. Allora non è improbabile che possa
essere verosimile una suggestione che si ritrova in uno degli itinerari
tracciati in Salento dautore:
Non bisogna esserci nato in questi luoghi. Non bisogna sentire il
mito nellaria che respiri. Non bisogna avere i destini impastatati
con la storia. Non bisogna avere rimpianti, né memoria, né
passioni vecchie e nuove.
Non bisogna conoscere strade e direzioni, né sapersi muovere
tra i vichi ad occhi chiusi, né avere occhi abituati al vorticare
della luce, né un pensiero capace di confrontarsi con le
ombre, con le visioni che partorisce la controra.
Non bisogna aver appreso a sentirsi parte dinfinito guardando
il mare dallo strapiombo di una torre, né pensare a se stesso
come a una delle innumerevoli voci di un racconto, di uno di quei
racconti che frastornano la luna.
Bisogna essere passante forestiero per capire questi luoghi, per
riuscire a riconoscere la mistura di falso e di vero, a discernere
la realtà dallinvenzione, la concretezza dallapparenza,
per sprofondarci dentro e scandagliare il senso che si nasconde
sotto una pietra, nel vuoto superbo di un rosone, nelle leggende
custodite dalle grotte, in un linguaggio che strascica le parole
a cantilena.
Non bisogna aver udito i canti dei carrettieri, né rosari
bisbigliati nella penombra delle chiese, non bisogna aver visto
le anatre stramazzare sulle scogliere, né cavalli e uomini
schiumare dentro i solchi, né tarantate che cercano un sollievo
allossessione nello specchio dacqua di un pozzo di scorpioni.
Non bisogna tutto questo, molto altro che questo, per capire la
terra che adesso attraversi.
Se tu vieni da lontano puoi capire.
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