Esistono
precedenti di
confronto pubblico e di tolleranza
nei confronti
delleterodossia anche nei Paesi musulmani, mondo arabo
incluso.
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La democrazia è per lo più considerata una possibilità
di ragionamento collettivo e di processo decisionale pubblico: una
forma di governo attraverso il confronto. Il voto è,
in prospettiva, solo un elemento in un quadro molto più ampio.
La democrazia ha origine assai prima dellaffiorare di pratiche
rigidamente definite e precisamente collocate. Un tributo va certamente
reso al potente ruolo giocato dal pensiero occidentale moderno,
collegato allIlluminismo europeo, nello sviluppo delle idee
liberali e democratiche. Le radici di queste idee generali, però,
possono essere rintracciate in Asia e in Africa, così come
in Europa e in America.
La convinzione che la democrazia sia unidea intrinsecamente
occidentale è spesso ancorata alla pratica del
voto nellantica Grecia, in modo particolare in Atene. Questo
è certamente un primato, ma il salto logico che porta a sostenere
la natura tipicamente occidentale oppure europea
della democrazia genera soltanto confusione. Il problema sostanziale
concerne la suddivisione del mondo in categorie prevalentemente
razziali, attraverso le quali lantica Grecia è vista
come parte integrante ed esclusiva di una tradizione europea
riconoscibile.
Nellambito di questa prospettiva classificatoria, non pare
affatto difficile considerare i discendenti dei Goti o dei Visigoti
come i legittimi eredi della tradizione greca (sono tutti
europei), mentre si fa fatica a prendere atto dei legami intellettuali
tra greci e antichi egizi, iraniani e indiani, malgrado linteresse
che gli stessi antichi greci mostrarono nei confronti di questi
ultimi (piuttosto che dei Visigoti).

Unulteriore difficoltà riguarda il fatto che il confronto
pubblico fiorì, certamente, nellantica Grecia, ma lo
stesso accadde anche in altre civiltà antiche. Alcuni dei
primi incontri pubblici specificamente volti a dirimere le controversie
ebbero luogo in India, a partire dal VI secolo prima di Cristo,
nei cosiddetti consigli buddhisti, nei quali i sostenitori
di differenti punti di vista si riunivano per discutere le loro
divergenze dopinione. Limperatore Ashoka, che nel III
secolo prima di Cristo ospitò il più grande di questi
consigli nella capitale Pataliputra (oggi Patna), tentò anche
di codificare e di promuovere quella che deve essere stata una delle
prime formulazioni di regole per il pubblico dibattito: una primitiva
versione delle Roberts Rules of Order del XIX
secolo.
Allo stesso modo, la cosiddetta Costituzione dei Diciassette
articoli, redatta dal principe buddhista Shotoku nel 604 in
Giappone, insisteva, in uno spirito molto simile a quello della
Magna Charta di sei secoli successiva: «Le decisioni
relative a importanti questioni non dovrebbero essere prese da una
sola persona. Dovrebbero essere discusse da più individui».
Esistono precedenti di confronto pubblico e di tolleranza nei confronti
delleterodossia anche nei Paesi musulmani, mondo arabo incluso.
Quando nel XII secolo il filosofo ebreo Maimonide fu costretto ad
emigrare da unEuropa intollerante, trovò rifugio nel
mondo arabo e andò a ricoprire una posizione di prestigio
alla corte dellimperatore Saladino, al Cairo.
Per citare un altro esempio, quando nel 1600 per decisione del tribunale
dellInquisizione leretico Giordano Bruno venne bruciato
sul rogo a Roma, Akbar, il grande imperatore Moghul dellIndia
(nato e morto musulmano), aveva appena ultimato il suo progetto
di codifica legale dei diritti delle minoranze, tra i quali rientrava
la libertà di religione per tutti.
Akbar istituì inoltre ad Agra quello che fu forse il primo
gruppo di discussione multireligioso, nellambito del quale
ebbero luogo incontri regolari tra induisti, musulmani, cristiani,
giainisti, ebrei, parsi e persino atei, per discutere i punti e
le ragioni delle loro differenti opinioni e per capire in che modo
convivere.
E lIraq, allora? Sarebbe un errore tentare di servirsi dei
problemi immediati del Paese per rinnegare la generale possibilità,
oltre che la necessità di democrazia a Baghdad. Daltro
canto, uninterpretazione ristretta e meccanica della democrazia
sta costando a questo Paese un alto prezzo. Se è vero che
le recenti elezioni sono state accolte con molto calore, è
anche vero che in assenza di un dialogo adeguatamente aperto e partecipativo
il processo elettorale è stato, come previsto, improntato
a formule etniche e religiose. Siamo di fronte a un problema analogo
in Afghanistan, dove si punta tanto sulle riunioni di capi tribali
e sui consigli religiosi e non sulla promozione, più faticosa
ma anche criticamente rilevante, di incontri aperti e generali.
Tra i requisiti della democrazia rientra lo sviluppo delle opportunità
di un confronto pubblico partecipativo. Questo significa promuovere
i diritti civili, tra i quali la tutela da arresti arbitrari (e,
naturalmente, dalla tortura), insieme con lassicurazione di
strutture destinate agli incontri pubblici e la possibilità
di una maggiore libertà dinformazione. È importante
assecondare, piuttosto che ostacolare, lo sviluppo delle identità
non settarie di donne e di uomini e la riaffermazione dellautostima,
ad esempio degli iracheni in quanto iracheni. Il primo passo consiste
nel pervenire ad una più lucida comprensione della natura
del governo attraverso il confronto.
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