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Si chiama
secondo alcuni impropriamente Costituzione europea.
E in realtà è un testo lungo, complesso, spesso compromissorio,
a volte anche ambiguo, sempre teso tuttavia a garantire una supremazia
etico-politica francese nella cornice dellEuropa renana
che Parigi ha costruito negli anni, in asse con la supremazia economico-finanziaria
della Germania.
Non cè dubbio: la Francia ha fatto e disfatto, nel
tempo, lEuropa. Non sorprende, dunque, il fatto che in questo
Paese si sia dibattuto a lungo sulla Magna Charta dellUnione.
Solo che la grande disputa ha avuto, e continua ad avere, qualcosa
di singolare: è bifronte, quindi non è facilmente
afferrabile. Da una parte disvela quella che è una riluttanza
antica: la ripugnanza a sacrificare lo Stato-nazione, latavica
reticenza del Regno francese a dissolversi nellImpero europeo;
una reticenza che risale allImpero romano e poi al successivo,
germanico Sacro Romano Impero. È il volto vecchio, e stantio,
dellattuale suo antieuropeismo.
Al tempo stesso, le dispute hanno aspetti avanzati, nel senso che
la maggior parte di coloro che hanno votato no alla Costituzione
si è definita comunque europeista, non ha messo in questione
lesistenza dellUnione, vuole solo dire la sua sulle
politiche che lEuropa in quanto tale favorirà, e forse
anche sulle funzioni (la forza eccessiva, o la debolezza, in ogni
caso i condizionamenti) della moneta unica continentale: sullessere
o non-essere dellUnione, nulla sembra ostare.

Allora: il comportamento schizoide degli elettori transalpini è
caratteristico della Francia, ma simultaneamente ci appartiene e
ci rispecchia. Vuol dire che i popoli europei sono ad un bivio:
da un lato sono prigionieri del mito che fonda lo Stato-nazione;
dallaltro si comportano come se lEuropa esistesse già
perfettamente organizzata, come se esistesse un unico dèmos
continentale, ununica popolazione con identità ben
definita, mentre in realtà esiste e agisce una variegata
Europa dove cittadini e nazioni sono uguali di fronte alla legge,
ma restano diversi. Il dèmos europeo non ha nulla di omogeneo,
tranne le (negate) radici religiose e quelle culturali, artistiche
e civili, che hanno esercitato nei secoli uninfluenza universalista.
Il modello non è più lo Stato-nazione, ma lImpero:
non lImpero moderno dell800-900, e neppure lImpero
egemonico sognato dalla grandeur franco-renana, ma lImpero
cosmopolita, che si dà regole ma non ha un solo comando centrale.
In esso, lidea napoleonica o la strategia gollista non hanno
alcuna ragion dessere, perché il senso nazionale non
coincide più con gli interessi di un unico Stato. È
la seconda grande separazione che lEuropa dovrà compiere,
per fronteggiare la propria violenza. Dopo aver separato lautonomia
dello Stato dallantica supremazia della Chiesa con il Trattato
di Westfalia, adesso tocca separare lo Stato dalla nazione.
Ecco intanto le grandi date che hanno segnato il percorso della
storia continentale, dal Sacro Romano Impero ai nostri giorni.

800.
Alle spalle della Costituzione cè una lunga marcia
europea, che parte dal giorno in cui Carlo Magno venne incoronato
a Roma. Carlo era un analfabeta e governava popoli rozzi, abbrutiti
dalle invasioni barbariche, dominati da baroni rapaci e faziosi.
Ma nel momento in cui papa Leone III posò sulla sua testa
la corona imperiale, lEuropa provò un sentimento di
orgogliosa identità romana. Diviso in molti Stati
e separato dalla costa meridionale del Mediterraneo, lImpero
sopravviveva nelle coscienze e nella memoria della sua piccola classe
dirigente. Lidea di Impero continuò ad essere da allora,
nel bene e nel male, unidea-guida della storia del Vecchio
Continente.
1275. Nel XIII secolo lEuropa
cominciò a crescere impetuosamente. Mentre Parigi e Milano
divenivano metropoli europee e Bologna una grande città universitaria,
le Repubbliche italiane e le città fiamminghe cominciarono
ad estendere i traffici nelle due direzioni dellEuropa settentrionale
e del Levante.
Protagonisti di questo straordinario capitolo di storia europea
furono i mercanti: uomini ambiziosi, avidi di denaro, spregiudicati,
ma anche timorati di Dio, coraggiosi, curiosi.
Al modo di Ulisse nel poema dantesco, erano spinti dallirrefrenabile
desiderio di infrangere le barriere che separavano lEuropa
dal resto del mondo. Marco Polo, ospite della corte del Gran Khan
dal 1275 al 1292, fu il simbolo più illustre della loro grande
epoca. Con lui lEuropa si dimostrò capace di adattare,
assorbire e imitare le culture più lontane.
1492. La scoperta dellAmerica
non fu soltanto una straordinaria avventura. Fu anche unoperazione
politica, religiosa, economica, finanziaria. Per conquistare il
Nuovo Mondo scesero in campo, con tutta la potenza di cui disponevano,
i banchieri genovesi. LEuropa voltava le spalle al Mediterraneo
per affacciarsi sullAtlantico, ma lo faceva con il denaro
di una Repubblica marinara italiana. Da allora, come ha scritto
Fernand Braudel nella sua opera sul capitalismo, lEuropa ebbe
sempre una città-banca capace di favorire con le sue transazioni
i disegni imperiali delle maggiori Potenze. La parte venne recitata
in epoche diverse da Venezia, Genova, Anversa, Amsterdam, Londra,
molto prima di approdare, in questi decenni, a New York.
1527. Nell800 d.C. un
Papa aveva incoronato a Roma un Imperatore. Il discendente di Cesare
e il Vicario di Cristo divennero da quel momento i due volti complementari
dellidentità europea, i supremi reggitori dellEuropa
imperiale. Ma vi furono molte occasioni, da Canossa in poi, allorché
i due poteri cercarono di sopraffarsi, ricorrendo alle armi della
guerra e a quelle della scomunica. Di tutti i dissidi che turbarono
i rapporti fra lImpero e la Chiesa, il sacco di Roma fu il
più clamoroso e traumatico. Poco meno di un secolo prima
Costantinopoli era caduta nelle mani dei turchi. Ora la capitale
del Cristianesimo cadeva nelle mani di una masnada di lanzichenecchi
teutonici, in parte protestanti, al servizio di un Imperatore cattolico.
1571.
Divisa dalle contrastanti ambizioni dei suoi Principi e dalla diversa
confessione religiosa dei suoi popoli, una parte della Cristianità
non esitò a servirsi dellImpero Ottomano in molte circostanze,
per meglio nuocere ai suoi nemici in Europa. Ma vi furono casi in
cui la percezione di un pericolo comune riuscì a creare grandi
coalizioni. A Poitiers, per esempio, con lepopea di Carlo
Martello. A Lepanto, quando, il 5 ottobre 1571, una flotta cristiana
comandata da Don Giovanni dAustria, ma forte di un importante
contingente veneziano, vendicò lumiliazione di Costantinopoli
che i turchi avevano espugnato nel 1435. I vincitori non sfruttarono
il successo, ma misero un limite allespansione dellImpero
Ottomano nel Mediterraneo.
1673-1683. Nella grande corsa
dellImpero Ottomano al Nord, i Balcani furono il ventre molle
dellEuropa. I turchi risalirono lungo la penisola, occuparono
lUngheria, si spinsero fino alla Polonia meridionale e misero
per due volte lassedio a una capitale imperiale dellOccidente:
Vienna. In tutte e due le occasioni furono costretti a ritirarsi.
Nel 1683 la città, cinta dassedio dal primo esercito
regolare del mondo, quello degli ex cristiani islamizzati da bambini,
i valorosi Giannizzeri, fu salvata da unarmata tedesca e polacca
al comando di due generali europei, Carlo di Lorena e Jan Sobieski.
Minacciata nel cuore stesso dellImpero, lEuropa cristiana
aveva difeso le proprie frontiere mitteleuropee e nello stesso tempo
aveva inferto un colpo mortale allImpero degli Osmanli.
1643-1648. La Cristianità
rappresentava lidentità spirituale dellEuropa.
La Cristianità divisa, dopo la Riforma e la Controriforma,
creò frontiere che attraversavano il territorio e la società
dei singoli Stati. La grande crisi, dopo le molte guerre di religione
degli anni precedenti, esplose nelle terre germaniche del Sacro
Romano Impero e generò un sanguinoso conflitto che durò
trentanni e inflisse più lutti e sofferenze alle popolazioni
civili, di quante ne provocò alle stesse truppe combattenti.
Da questa lunghissima guerra civile europea nacque, con i Trattati
di Westfalia, lo Stato moderno.
1798-1799. Dopo le complesse
vicende della Rivoluzione francese, si registra lascesa di
Napoleone. Il Bonaparte voleva invadere lEgitto per colpire
lImpero britannico in India. La spedizione fallì, ma
produsse, come accade spesso nella storia, una stupefacente serie
di risultati imprevisti. Cambiò il design degli arredamenti
europei; suscitò una straordinaria passione archeologica
per il Levante; aprì la fase dellespansione europea
nel Continente africano, dando inizio allepoca del colonialismo;
soprattutto, cominciò la grande crisi del mondo islamico,
diviso fra il desiderio di modernizzazione, suscitato dallesempio
europeo, e il ritorno alla tradizione religiosa.
1814-1815. Anche Napoleone,
come Carlo Magno, Carlo V e Filippo II, aveva un grande disegno
europeo. Dopo il naufragio delle sue ambizioni, gli Stati vincitori
a Waterloo e la Francia, riuniti a Vienna sotto labile regia
di Metternich e di Talleyrand, cercarono di sostituire lImpero
con una nuova forma di unità europea: il Concerto delle
Potenze. Per evitare che una di esse cercasse di dominare
su tutte le altre, un Direttorio, con la partecipazione della Russia,
sarebbe stato da quel momento una sorta di Consiglio di Sicurezza
ante litteram del Vecchio Continente.
1848. Il Concerto delle Potenze
era fondato sullimplicita presunzione che sia i re sia gli
imperatori fossero cugini, membri di una stessa famiglia, tutti
egualmente interessati ad assicurare la buona gestione del Continente
di cui erano comproprietari. Ma nel 48 i popoli
mandarono allaria questa sicumera e divennero da quel momento
protagonisti della politica europea. I re, da quellanno in
poi, non regnarono soltanto per grazia di Dio. Furono
costretti ad esercitare il loro diritto sovrano anche in nome
del popolo. E nel caso che perdessero una guerra, come sarebbe
accaduto più volte nel corso dei decenni seguenti, il popolo
poteva costringerli ad abbandonare anche definitivamente il trono.
1870. La storia dei rapporti
tra lo Stato italiano e la Chiesa è una lunga sequenza di
guerre, battaglie, dissidi, scismi, scomuniche. La Breccia di Porta
Pia e lingresso dei bersaglieri a Roma il 20 settembre 1870
venne percepito dalla Chiesa, in un primo momento, come la peggiore
delle umiliazioni subite nel corso della sua lunga storia. Negli
anni seguenti, invece, dimostrò di essere un evento provvidenziale.
La Chiesa smise di essere un potere temporale e divenne da quel
momento la più grande potenza spirituale: non più
soltanto europea, ma mondiale.
1919. I Trattati di Versailles,
alla fine della Prima guerra mondiale, tentarono di sostituire il
Concerto delle Potenze delle nazioni europee e di estenderlo
anche ad altri continenti. Questi tentativi fallirono per due ragioni
di fondo: in primo luogo, gli Stati Uniti, dopo avere imposto agli
alleati la costituzione della Società delle Nazioni, rifiutarono
di farne parte; in secondo luogo, i vincitori trattarono i vinti
con straordinaria durezza e in tal modo crearono le condizioni perché
scoppiasse il Secondo conflitto mondiale. Nel 1919 non fu firmato
un trattato di pace. Fu siglata una tregua che sarebbe stata brutalmente
violata ventanni dopo.
1938. Lincontro quadripartito
di Monaco tra Daladier, Chamberlain, Hitler e Mussolini rappresentò
lultima speranza di un Direttorio europeo, nellinteresse
della pacifica convivenza tra i popoli del Vecchio Continente. Fallì
perché uno dei giocatori, Adolf Hitler, voleva per sé
il dominio dellEuropa e considerava quellaccordo soltanto
un inutile «pezzo di carta». La guerra scoppiò
un anno dopo e provocò la distruzione dellintera Europa.
Poco meno di sei anni dopo, lEuropa umiliata e rimpicciolita
sarebbe stata occupata da due grandi Potenze extraeuropee: gli Stati
Uniti dAmerica e lUnione Sovietica.
1957. LEuropa rinasce
pazientemente (e miracolosamente) alla fine degli anni Quaranta.
Ricostruiti dal Piano Marshall, ammaestrati da quelle che vennero
di fatto definite due grandi guerre civili continentali dei decenni
precedenti, alcuni Paesi europei (Francia, Germania, Italia, Belgio,
Olanda, Lussemburgo) cominciarono a costruire una nuova istituzione.
Al posto dellImpero, del Concerto delle Potenze, del Concerto
delle Nazioni e del Direttorio, nacque la Cee, la Comunità
economica europea. Come nell800 d.C., anche nel 1957 latto
di nascita venne firmato a Roma, in Campidoglio, luogo sacro allImpero
Romano.
1989. Sino alla fine degli anni
Ottanta, la metà orientale dellEuropa sembrava irrimediabilmente
separata dalla sua metà occidentale. Ma improvvisamente,
non appena la marea sovietica cominciò a ritirarsi dalle
terre conquistate, i Paesi dellEuropa Centro-Orientale ritrovarono
la loro storia, la loro identità culturale e religiosa, insieme
con la libertà di decidere il loro destino. Sono i Paesi
che nel maggio 2004, riuniti nella Città Eterna, sono entrati
a far parte dellUnione europea, e sono quelli che nei prossimi
anni firmeranno il Trattato di adesione. Chissà: forse un
qualche Imperatore Romano, dallalto del suo Olimpo-Paradiso,
osserva le sequenze di scene con compiacimento. E con malcelato
orgoglio.
I grandi dibattiti
Sottoscrivendo la Costituzione il 29 ottobre 2004 a Roma, i leader
europei hanno impegnato la propria volontà politica e anche
la propria reputazione, dicendo ai cittadini elettori: questo è
il testo sul quale abbiamo a lungo lavorato e nel quale crediamo.
Sconfessarlo, sarebbe stato come ammettere di essersi sbagliati
o illusi.
In sostanza, più che una vera e propria Costituzione è
una sorta di nuovo Trattato. Aperta da un preambolo e chiusa da
una serie di protocolli, di allegati e di dichiarazioni, conta ben
448 articoli, divisi in quattro parti. La prima (articoli 1-60)
contiene le disposizioni di carattere costituzionale: definizione,
obiettivi e competenze dellUe. La seconda (articoli 61-114)
incorpora la Carta dei diritti fondamentali dellUnione
proclamata a Nizza nel 2000. La terza (articoli 115-436) riguarda
le politiche Ue e gli strumenti per applicarle. La quarta (articoli
437-448) comprende le disposizioni finali per linterpretazione
e lapplicazione del testo. In realtà, la Costituzione
vera e propria include 114 articoli, che non son pochi, anche se
sono meno ad esempio dei 139 che compongono la Costituzione
italiana.

Questa lunga sequela di articoli cozza con lintento di dare
ai cittadini europei un Trattato costituzionale (e forse
laggettivo stesso ha fuorviato le aspettative) semplice. Sebbene
il testo sia una summa che include e sostituisce tutti
i Trattati esistenti, da quelli di Roma del 1957 a quello di Nizza
del 2001. Qualcuno, daltronde, voleva stralciare la parte
terza, che è la più voluminosa e complessa. Ma i governi
non lo hanno consentito, perché è quella che enuncia
nel dettaglio le politiche europee nei diversi settori, dal commercio
alla concorrenza: togliendola, si sarebbero dovuti mantenere in
vita i cinque Trattati precedenti.
Lo schiaffo della bocciatura franco-olandese, per quanto legato
a dinamiche politiche e a problemi interni, ha messo lEuropa
alle corde, profilando il rischio di unimpasse di lunga durata.
Di qui, il gran dibattito, con le domande che possono dar luogo
a risposte variegate: il no è stato alla Costituzione,
oppure al metodo con cui è stata scritta? Oppure allEuropa
che è stata costruita finora? O a quella che si vuole costruire?
Si è rifiutata lEuropa dei tecnocrati, oppure quella
dei governi?
LUnione non è una semplice Lega fra Stati e il Trattato
costituzionale non è un semplice accordo internazionale.
Piuttosto è lespressione di una Comunità di
Stati, di popoli e di diritti elargiti ai cittadini, diritti che
sono garantiti oggi dallo stesso Trattato: nessun atto comunitario
e nessuna legge interna possono contraddirli.
La percezione più diffusa, però, è quella che
identifica lEuropa con burocrazia e dirigismo:
è lEuropa senzanima paventata dai
cittadini più sensibili e dalle classi colte del Vecchio
Continente, che reclamano altri obiettivi, diversi, oppure paralleli
ma non subordinati rispetto a quelli utilitaristici dei burosauri
continentali. A questi obiettivi è stato dato il nome di
identità (eccolo laltro grande dibattito
in corso), anche se identità è parola non sufficientemente
politica, e rischia di essere troppo carica di emozioni individuali.
E la diatriba intorno alla difficile integrazione dellIslam
in Europa è parte di questo dibattito: le radici del Continente
sono in massima parte legate al Cristianesimo gli Stati e
i diritti delluomo si sono formati sotto il potente influsso
cristiano con apporti enormemente più modesti del
mondo musulmano e di quello ebraico, dal Rinascimento alle Guerre
balcaniche.

Intanto, cosè che gli europei stanno cercando, senza
avere il coraggio di parlarne apertamente? Stanno cercando di capire
quali debbano essere i confini politici (e non solo) della nuova
Europa, e che cosa significhi esattamente, per questa Europa che
si sta costruendo, fissare un confine. Il confine infatti
non è solo un limite che si dà alla propria espansione
territoriale. Non è neppure un semplice solco tracciato sulla
carta geografica. Chi lo definisce fonda uno spazio di appartenenza
politica, culturale, etica, religiosa. E dentro questi spazi ha
il modo di separare i poteri, di esercitarli, di rispettarli, di
metterli in rapporto con il diritto sia interno sia internazionale.
Ribadiamo alcuni concetti. Per molti secoli, la frontiera delimitava
due entità simultaneamente: una nazione e uno Stato, una
collettività etnica e le istituzioni politiche che la collettività
aveva scelto per se stessa. Proprio questo è radicalmente
cambiato nellidea di confine che i fondatori dellUnione
si son fatti dal dopoguerra.
Il confine dellUnione introduce, come abbiamo già detto,
una seconda separazione nella storia europea, dopo quella
facilitata dallevoluzione del Cristianesimo tra religione
e politica. Il potere illimitato degli Stati, per essersi totalmente
identificato con le singole nazioni, ha finito col generare immani
catastrofi belliche nei secoli scorsi, amputando il potere dinfluenza
mondiale del Continente. È quello che si è voluto
superare, dopo il 1945, ed è per questo che ora abbiamo diversi
livelli di sovranità non solo nazionali, ma anche
europei non più coincidenti con le nazioni di ieri.
Questo trasferimento di sovranità non è stato ancora
compiuto, ed è il motivo per cui lEuropa non ha ancora
un autentico confine, ed ha una statualità solo in formazione.
Lo smarrimento degli europei di fronte alla domanda di Ankara è
in realtà uno smarrimento degli europei su se stessi: è
perché ancora non sanno come vogliono distribuire le future
sovranità nazionali ed europee, è perché ancora
non hanno deciso listituzione che vogliono divenire, che essi
esitano a dare risposte. Più che interrogare la Turchia,
è se stessi che gli europei dovrebbero interrogare, senza
più indugiare. Tutti sono chiamati ad uscire dallequivoco:
chi vuol percorrere la via dellUnione politica; chi si guarda
dal varcarla e tuttavia la tiene aperta, come la Francia; chi vuol
chiuderla, come lInghilterra; chi la vuole loose, cioè
scalcagnata, o sconnessa, politicamente non forte né autonoma,
ma solo uninforme zona di libero scambio, come gli Stati Uniti.
Ecco laltro grande dibattito aperto.
Lingresso della Turchia aprirebbe allEuropa spazi di
azione cruciali. Ankara vive parte in Europa e parte in Asia, e
il peso che possiede è imponente, nel Caucaso, nel Vicino
Oriente e in Asia Centrale. UnEuropa che volesse contare nel
mondo potrebbe avvalersi di questa formidabile marca di confine,
e da questo punto di vista è vero quel che sostengono i fautori
delladesione: includendo Ankara, lEuropa potrebbe fare
quel che lAmerica non fa, verso il mondo musulmano. Potrebbe
rafforzare e sostenere lIslam moderato, per meglio isolare
quello integralista; potrebbe scongiurare il conflitto di civiltà
tra Islam e mondo cristiano, alimentato dalle nostalgie califfali
per lantica e perduta potenza musulmana, una nostalgia che,
manifestandosi (piuttosto presuntuosamente) contro il Grande
Satana, unAmerica troppo (pre)potente e irraggiungibile,
in realtà (nel profondo) ha come obiettivo immediato lEuropa,
la riconquista dellEuropa con la cancellazione dellonta
di Lepanto e di Vienna.
«Dobbiamo tornare padroni di al-Andalus», nome che i
musulmani avevano dato alla Spagna al tempo del loro dominio sulla
penisola iberica: è il ritornello che riecheggia nelle moschee
fondamentaliste, secondo le quali letà delloro
che vide convivere in pace maomettani, cristiani ed ebrei tornerà
grazie alla debolezza rinunciataria del Cristianesimo e alla forza
determinata dellIslam.
E cè chi, in Spagna e altrove nel Continente, a questa
convivenza pacifica ci crede. Infatti, tra i miti storici più
tenaci, cè quello dellidillio trireligioso durante
loccupazione araba, durata 781 anni (dal 711 al 1492). Ma
lo storico-filosofo-teologo madrileno César Vidal, con il
suo best-seller La Spagna di fronte allIslam, da Maometto
a Bin Laden, smonta questa tesi.
Scrive Vidal: allinizio del 700 gli islamici erano già
padroni di Catalogna, Valencia e Aragona. Il regime si caratterizzava
per la ferrea divisione tra i vincitori musulmani e il resto della
popolazione. I vinti, cristiani o ebrei, che osavano resistere,
erano sottomessi al suhl, che nel peggiore dei casi
significava luccisione dei maschi e la schiavitù di
donne e bambini. Chi si arrendeva, invece, otteneva lo ahd,
cioè lautonomia amministrativa e la pratica della propria
religione, che tuttavia pena la morte non poteva predicare.
Risultato della pacifica convivenza, inoppugnabili documenti
storici alla mano: decapitazioni di resistenti, schiavitù
dei prigionieri di guerra, deportazioni in Nord Africa, islamizzazione
forzata, città a ferro e fuoco.
«Durante il X secolo, al-Andalus diventa il centro del commercio
degli esseri umani in Occidente. A differenza del Cristianesimo,
lIslam non solo non condanna la schiavitù, ma la considera
moralmente lecita e fonte legittima di guadagno economico».
Il Califfo di Cordova Abd ar-Rahman disponeva di 10 mila schiavi:
3.700 maschi e 6.300 femmine. Abu Amir Muhammad ben Amir al-Maafii,
detto Almanzor (il Vittorioso), celebre per avere avviato i lavori
dello splendido palazzo di Medina Azhara a Cordova, sgozzava personalmente
i nemici in pubblico, e seguiva alla lettera il jihad di Maometto:
seminare il terrore tra chi non si sottomette al Corano, come accadde
alla ribelle Barcellona, martoriata nel 985.
I massacri nella Spagna araba proseguirono senza soluzione di continuità
anche quando al-Andalus si frammentò in 27 regni. Nel 1195
Yaqub ridichiarò la guerra santa. Cristiani ed ebrei dovettero
subire la conversione forzata, venne proibito lalcol, vennero
bruciati libri. Fino a che nel 1212 gli invasori, attaccati dagli
insorti esasperati, subirono la prima sconfitta colossale a Navas
de Tolosa; nel 1236 perdettero Cordova; Isabella di Castiglia e
il marito Ferdinando dAragona liberarono lultimo ridotto
arabo, il regno di Granada, nel 1492. «Non era e non è
possibile la convivenza con lIslam, il cui cuore è
il jihad», conclude Vidal. Ma al-Qaeda non si è dimenticata
di al-Andalus: non a caso ne ha lamentato la perdita in un comunicato
diffuso dopo l11 settembre di New York: a più di 500
anni dalla resa della rossa fortezza dellAlhambra, e due anni
e mezzo prima dell11 marzo della strage alla stazione di Madrid.
Dalla parte degli infedeli
Tema da svolgere: Ricchezza magna... nobile... lo studio
è utile per te, per la tua famiglia, per la tua città...;
e potrai comparire in tutte le terre del mondo e innanzi a qualunque
signore, e diventerai uomo dove saresti un zero senza lo studio
(San Bernardino da Siena, 1380-1444).
Traccia svolta da Hind Haddad, seconda classe di un Istituto Professionale
romano:
«Se studi, lo fai per te, non per me o per qualcun altro:
questa è la frase che mia madre mi ripete almeno due volte
al giorno, ma ormai ci sono avvezza. Nella mia famiglia, solo a
mia madre è stato concesso di finire gli studi, fino alluniversità,
perché le altre zie dovevano sposarsi, fare i figli e servire
i loro mariti. Questo è il destino delle donne arabe; per
fortuna mia madre era molto ribelle e ha voluto continuare gli studi
fino a realizzare il suo sogno, quello di diventare segretaria dazienda.
Ed è per questo che apprezzo molto i suoi consigli, anche
se pretende che io faccia la donna araba in Europa! Mia madre è
sempre stata una maniaca dello studio, ma purtroppo non ho avuto
la fortuna di ereditare questa magnifica dote. Ora che vivo in Italia
ho capito che lunica arma che ho è lo studio. Fin da
quando ero piccola mamma mi diceva che sarebbe stato lo studio a
salvarmi dalla nostra cultura, chiusa e allantica:
quella degli Arabi!
Io non voglio negare le mie origini, anzi sono strafiera
di essere araba, però mi rattrista il fatto che tutta la
colpa sia attribuita alla religione. LIslam non dice che le
donne devono servire i mariti e basta, anzi la figura femminile
è molto importante nella vita familiare, non per niente si
dice che dietro ogni grande uomo cè una piccola
donna.
Lo studio è severamente proibito alle donne, che sono ritenute
incapaci di capire gli affari degli uomini. Ancora oggi
in Africa, e non solo, cè un numero elevatissimo di
persone analfabete, soprattutto donne. È anche per questo
che non ho la minima idea di rinunciare allo studio, una risorsa
che qui purtroppo non è molto apprezzata. Ma io voglio continuare
a dimostrare a tutti che anche una donna araba può avere
una carriera brillante. Lo studio è una fonte indispensabile
nella vita.
Ci sono dei bambini che devono camminare ore ed ore per arrivare
a scuola e i genitori, aggravando la situazione, non danno loro
la possibilità di continuare. Uno di questi episodi lo ha
vissuto mia nonna, che si è dovuta sposare a undici anni:
ha avuto tre figli, aveva quattordici anni quando ha avuto mia madre.
Non vorrei mai vivere unesperienza così crudele. Questi
sono solo alcuni dei problemi che hanno le donne arabe, e che devono
essere risolti. Oggi mi preoccupa molto sentire gente che si lamenta
e inveisce contro il mondo, pensando di essere dentro guai minimi.
Minimi rispetto a quelli delle donne arabe. Riflettiamoci, gente!».
Eppure
lEuropa è la sua storia. E la storia dEuropa
non è la storia di ununica idea, di una tradizione
monolitica. Come ha scritto Dario Antiseri, non è la storia
di una prigione mentale. È piuttosto la storia talvolta
dolorosa, talvolta impazzita della provincia del mondo che
ha conosciuto la fioritura più varia e più ricca di
idee (buone e cattive) spesso in contrasto tra loro. È la
storia di una tradizione in cui nascono, si sviluppano, si incontrano
e si scontrano più concezioni filosofiche del mondo e più
visioni religiose della vita, svariate proposte etiche e politiche.
Ed è proprio questo ciò che distingue lEuropa
e la sua storia dalla storia delle altre civiltà e culture.
La nostra civiltà ha scritto Karl Popper è
la migliore perché è la più capace di autocorreggersi.
Si autocorregge perché guidata dalla ragione critica
e, perché critica, questa ragione è anche tollerante.
Ragione critica, pluralismo, rispetto delle diversità, sono
elementi che, in una storia anche travagliata, hanno contribuito
a delineare i tratti dellidentità europea. Una consapevolezza,
questa, che va da Strabone, il quale parlava dellEuropa come
di «una nazione dai cento volti», a Santo Stefano, il
Re dUngheria, il quale nei Monita ai suoi eredi faceva presente
che «unius linguae uniusque moris regnum fragile est»,
giù giù sino a Jacob Burckhardt. Questo grande storico,
in una lezione tenuta allUniversità di Basilea, così
parlava dellEuropa: «Vi è una cosa che non dobbiamo
desiderare, perché labbiamo a nostra disposizione:
è lEuropa in quanto focolaio, nel contempo vecchio
e nuovo, con una vita dai mille aspetti, luogo di nascita delle
più ricche creazioni, patria di tutti i contrasti che sono
riassorbiti nella sua unità».
E, sulla linea di Burckhardt, più vicino a noi, Albert Einstein:
«Lideale umanitario dellEuropa appare veramente
e indissolubilmente legato alla libera espressione delle proprie
opinioni, allo sforzo verso lobiettività di pensiero
esente da considerazioni di puro tornaconto, e allincoraggiamento
delle differenze in materia di idee e di gusti. Queste esigenze
e questi ideali rappresentano la natura dello spirito europeo».
Pur con i suoi problemi, quella occidentale è la società
più libera e più umana che la storia abbia mai conosciuto.
È il luogo, per dirla con Robert Nozick, «in cui la
gente è libera di associarsi volontariamente per perseguire
e tentare di attuare la propria visione di una vita bella in una
comunità ideale, ma in cui nessuno può imporre agli
altri la propria visione utopistica».

E proprio contro questa società aperta e tollerante si è
scatenata ancora una volta la barbarie terroristica, di un terrorismo
che non trova nessuna giustificazione diversa dalla follia di violenti
assetati di sangue.
Ma la società aperta, nella consapevolezza che il prezzo
della libertà è leterna vigilanza, è
ben giustificata nella lotta più decisa contro latavismo
di tutte le tribù terroristiche, capaci soltanto
di inzuppare la terra di sangue innocente.
Il passato come alibi
Dimenticando che i Cristiani nel Vicino Oriente (prima che venissero
quasi del tutto cancellati dai maomettani) erano molte decine di
milioni al tempo in cui quelle regioni erano tuttaltro che
intensamente abitate, e che la città di Gerusalemme, entro
le cui mura non potevano stare né musulmani né ebrei,
era solo ed esclusivamente cristiana, gli imam continuano a considerare
le Crociate tuttaltro che acqua passata. Londa di guerrieri
e di pellegrini, di cavalieri e di straccioni, di formazioni regolari
e di armate brancaleonesche, di predicatori e di avventurieri che
ha agitato per qualche secolo il Mediterraneo, continua a starci
sul collo come un esercito di fantasmi. Il Presidente americano,
dopo l11 settembre, ha parlato di crociata contro
il terrorismo islamico. Osama bin Laden ha sempre parlato di «guerra
contro i nuovi crociati» (e gli ebrei).
Le Crociate sembrano dunque essere memoria storica che non passa,
vecchio che incombe, e radice dellodierno conflitto che oppone
Occidente e Islam. Un falso, o nel minore dei casi una strumentale
forzatura: sia perché le Crociate paradossalmente rappresentarono
anche un tumultuoso momento di incontro e di scambio tra le due
civiltà mediterranee; sia perché i più grandi
semi di odio furono gettati non tanto tra musulmani e cristiani,
quanto fra cristiani stessi.
La più traumatica fra le Crociate non fu la prima, che portò
nel 1099 alla conquista di Gerusalemme, ma la quarta, che culminò
nel 1204 con la presa e la devastazione di Costantinopoli: una Crociata
dei cristiani latini contro i cristiani greci, un conflitto tra
fratelli nella fede, come disse Giovanni Paolo II nel
2001, battendosi il petto davanti allarcivescovo ortodosso
di Atene. Fu, questo, lultimo dei grandi mea culpa di Papa
Wojtyla, che già prima aveva chiesto perdono, appunto, per
le Crociate, sollevando perplessità più o meno velate
tra molti cardinali, non ultimo dei quali Ratzinger. Vergogna o
epopea? Grande momento di fervore religioso o testimonianza di fanatismo?
Nobile impresa cavalleresca o aggressione armata dettata da interessi
economici?
La questione resta aperta, come del resto ha dimostrato il recente
film sulle Crociate di Ridley Scott, che ha riaperto le polemiche
con la sua rappresentazione a tinte fosche dei crociati e il suo
elogio del Saladino. Ci sono gli opposti estremismi, con quelli
che ritengono che una linea di continuità leghi il celebre
condottiero musulmano a Osama bin Laden, e gli altri, che rinnovano
la Leggenda nera dei crociati sanguinari e avidi, tenuta
a battesimo dagli illuministi francesi del Settecento.
Certamente, le Crociate non furono tutte uguali. E, daltra
parte, lo stesso concetto di Crociata è vago e discusso anche
nei testi degli storici. Franco Cardini, uno dei maggiori esperti
dellargomento, sostiene che i crociati erano un po come
il borghese gentiluomo di Molière, che scriveva
in prosa senza saperlo. Anche i crociati erano crociati senza saperlo.
La nozione di Crociata, infatti, è più che altro uninvenzione
a posteriori, nata soprattutto per legittimare la lotta contro lImpero
Ottomano, a partire dagli anni del Rinascimento. Nel Medioevo le
varie spedizioni in Terra Santa, che si susseguirono a decenni di
distanza, non apparivano in realtà come un progetto unitario,
né erano contrassegnate da un nome unico.
Tutto iniziò nel novembre 1095 a Clermont, dove papa Urbano
II incitò i feudatari che si scannavano fra di loro sul suolo
europeo a rivolgere le armi contro i musulmani, sotto il cui tallone
erano caduti i cristiani dOriente. Lappello fu accolto
da una serie di prìncipi: Ugo di Vermandois, fratello del
re di Francia; Goffredo di Buglione, duca della Bassa Lorena; Roberto,
duca di Normandia, fratello del re dInghilterra, e altri ancora.
Unalta aristocrazia scrive Cardini che era in
crisi, falliti di lusso alla ricerca di unoccasione per rifarsi.
Dietro costoro, partì una massa di diseredati col cuore infuocato
da predicatori e profeti. Una schiera disordinata attraversò
lEuropa sterminando le comunità ebraiche delle città
renane e danubiane, riuscendo a riprendere Gerusalemme nel luglio
1099, con roghi anche per i cristiani del luogo, che pare stessero
bene con i fedeli di Allah. Tuttavia ciò che derivò
fu la nascita di un nuovo mondo: i Regni Cristiani di Terrasanta,
durati per due secoli, fino al 1291, quando, incalzati dai musulmani,
i crociati abbandonarono San Giovanni dAcri, ultima loro roccaforte.
In quei Regni gli occidentali impararono ad apprezzare le delizie
della vita e della cultura araba (servizi igienici, tappeti, raffinatezze
architettoniche), a loro volta eredità del mondo bizantino.
Scriveva il cronista Fulcherio di Chartres:
«Ecco che noi, che fummo occidentali, siamo diventati orientali.
LItalico e il Franco di ieri è divenuto un Galileo
o un Palestinese. Chi laggiù era povero, qui per grazia di
Dio ha ottenuto lopulenza; chi non aveva che qualche soldo,
qui possiede dei tesori; chi non godeva neppure di un modesto possesso,
qui si vede padrone di una città intera. Perché dunque
tornare, dal momento che abbiamo trovato un tale Oriente?».
Le Crociate sono state viste da alcuni come primo esempio di colonialismo
europeo. Un delizioso pamphlet dello scrittore Amin Maalouf qualche
anno fa raccontava Le Crociate viste dagli Arabi e lo sgomento degli
indigeni di fronte a invasori tanto rozzi e arretrati. Daltra
parte, non mancarono momenti di felice convivenza. I cavalieri templari,
ad esempio, che anche nel film di Scott rappresentano il paradigma
del crociato sanguinario, tendevano in realtà, quando potevano,
ad avere buoni rapporti con i musulmani. Il cronista ed emiro di
Damasco Osama ibn Mundiq non mancava mai di visitare a Gerusalemme
quelli che chiama «i miei amici templari», i quali gli
apprestavano un angolo della loro chiesa perché potesse pregare
Allah. I templari, del resto, erano anche grandi banchieri e, da
bravi uomini daffari, non controllavano sempre la religione
dei loro clienti. I templari furono poi sterminati, ma non dai musulmani,
bensì dal cristianissimo re di Francia, Filippo il Bello,
che mal tollerava la loro potenza politico-economica e che dopo
le stragi si impossessò delle loro enormi ricchezze.
Le Muse inquietanti
Uso e abuso del mito, nella figura del crociato evocata dal cinema
e nella letteratura. Cè Brancaleone da Norcia, prototipo
del crociato straccione, avido e infingardo, interpretato da un
geniale Vittorio Gassman e raccontato da Mario Monicelli in Brancaleone
alle Crociate. Ma cè anche il valoroso Riccardo Cuor
di Leone, eroe cristiano immortalato da Walter Scott, lautore
di Ivanhoe, nel suo romanzo Il talismano. Benché lo stesso
Scott conosca poi lo stereotipo del cavaliere templare infido e
crudele. E, aprendo il capitolo dei Templari, il più celebre
ordine cavalleresco di Terra Santa, si rischia di arrivare molto
lontano: al mistero del Santo Graal, di cui secondo alcune leggende
i Templari sarebbero stati custodi, come racconta (per eredità
culturale esoterica) pure Dan Brown nel suo Codice Da Vinci.

Insomma, anche nella letteratura e nel cinema il mito dei crociati
presenta molte facce, eroiche e fosche. È così almeno
dalla tassiana Gerusalemme liberata. Ma è forse il caso del
Saladino, leroe della riscossa islamica in quello scacchiere,
uno dei più istruttivi riguardo alluso e allabuso
del mito delle Crociate. Presso i nazionalisti arabi del XX secolo,
il Saladino è diventato leroe delleterna lotta
contro i cristiani e gli occidentali: persino Saddam Hussein ne
aveva fatto un personaggio centrale della sua propaganda politica.
Peccato che il Saladino non fosse arabo, ma curdo, e se fosse stato
vivo nel XX secolo Saddam lo avrebbe fatto gasare. Viceversa, ancora
di recente cè chi ha protestato perché in un
manuale scolastico italiano il Saladino è stato definito
«saggio sovrano» (le figurine Perugina di tanti anni
fa lo avevano definito feroce), imputando la definizione
allinfluenza della propaganda della sinistra. Solo che già
Dante, nel IV dellInferno, lo pose tra gli spiriti magni,
celebrandone la generosità anche nel Convivio. Il mito positivo
di Salah ed-Din attraversa poi tutta la cultura occidentale, da
Boccaccio, che ne fece il protagonista di una novella del Decamerone,
fino al settecentesco Nathan il Saggio, di Gotthold Ephraim Lessing,
nel quale il condottiero curdo è simbolo di tolleranza.
(Piccole storie, accanto a quella maggiore. I cristiani di Terrasanta
amavano molto i turbanti. I cavalieri in genere indossavano il burnus,
la lunga veste di seta tipica degli arabi. La kefiah veniva invece
portata dai crociati in battaglia, sopra lelmo.
La mattina del 15 luglio 1099 il cronista Raimondo di Aguilers visitò
la Spianata del Tempio a Gerusalemme, conquistata il giorno prima
dai crociati. Muovendosi a fatica tra i cadaveri musulmani, notò
che il sangue gli arrivava alle ginocchia.
In Terrasanta i crociati scoprirono la comodità dei bagni
privati. Ad Antiochia, splendida metropoli di origine greca, un
sistema di condutture portava lacqua nei palazzi. A Gerusalemme
funzionava ancora perfettamente la rete fognaria costruita dai Romani.
Il lusso della vita in Terrasanta scandalizzava spesso i pellegrini
che venivano dallEuropa. A tavola comparivano rarità
come i piatti di porcellana fine, importati dallEstremo Oriente.
E nelle case si faceva largo uso di tappeti, quasi del tutto sconosciuti
in Occidente.
Al lusso era collegata una fama di licenziosità. Come testimonia
il caso di Paschia de Riveri, disinibita moglie di un commerciante
di tessuti di Nablus, che intorno al 1080 divenne amante del Patriarca
di Gerusalemme, Eraclio, un ecclesiastico rozzo e semianalfabeta:
la chiamavano Madame la Patriarchesse.
Un altro caso scabroso, pochi anni dopo. Boemondo III, detto il
balbuziente, principe di Antiochia, ripudiò la moglie
greca perché aveva perso la testa per una bella cortigiana
di Antiochia. Venne scomunicato dal Patriarca Aimery per adulterio.
Ma il fatto più grave era un altro: Sibilla, lamante,
faceva la spia per conto del Saladino.
Alla conquista della Terrasanta seguì larrivo in Occidente
di diversi generi alimentari. È stato calcolato che, nei
secoli XII e XIII, quasi tutto lo zucchero consumato in Europa fosse
prodotto nelle fabbriche del Vicino Oriente cristiano. Sulle tavole
dei ricchi italiani comparvero anche frutti rari provenienti dalla
Palestina, come la melagrana).
Il
grande studioso inglese Steven Runciman concludeva così
la sua monumentale Storia delle Crociate: «Furono un episodio
tragico e distruttivo. Cera tanto coraggio e così poca
lealtà, tanta devozione e così poca comprensione;
ideali elevati erano insozzati da crudeltà e cupidigia. La
guerra santa stessa non fu altro che un lungo atto di intolleranza
compiuto nel nome di Dio». Giudizio eccessivo, e francamente
ingeneroso verso quei cavalieri, anche perché a definire
ladri i veneziani che fecero la Quarta Crociata ci pensò
lo stesso Papa dellepoca, Innocenzo III.
Ma se le Crociate non sono state una vera e propria guerra di religione,
perché una certa cultura si ostina a considerare la presenza
cattolica nel Vicino Oriente come frutto di unoperazione imperialista?
Perché esiste una pervicace lettura di tipo protestante,
per un verso, e quindi anticattolica, e laicista per altro verso,
che ormai vuol far giocare una parte sgradevole (Crociate, Inquisizione,
Caccia alle streghe...) al mondo cattolico. Scrive Franco Cardini:
«Il mondo cattolico non si sa difendere, è fatto di
persone, alcune delle quali coltissime, ovviamente, ma nel complesso
storicamente e culturalmente molto debole: riesce a stare solo sulle
difensive, non conosce la propria storia, altrimenti certi tentativi
di calunnia, anche se appoggiati da potenti mezzi mass-mediali,
verrebbero respinti immediatamente e cadrebbero fra laltro,
comè giusto che cadano, nel ridicolo. Quindi tutte
queste cose non sono ingenue. Sono in parte frutto di ignoranza,
per tanta parte promossa, mantenuta, manipolata. Di questo lo spettatore
del film Crociate dovrebbe essere cosciente».
Così come dovrebbe esserlo leggendo il Codice Da Vinci di
Brown, un thriller a sfondo mistico-esoterico diventato un caso
che ormai travalica la sfera letteraria, visto che lex docente
di lingua inglese, con flemmatico sprezzo del ridicolo, ritiene
di poterci svelare un certo numero di misteri, dicendo la sua sul
Santo Graal e sui segreti dei Templari, e di poterci chiarire la
vera natura di Cristo: una cosuccia su cui da millenni discutono
i teologi e si convocano Concilii.
La prima pagina del Codice esibisce unorgogliosa premessa:
«Tutte le descrizioni di documenti e rituali segreti contenuti
in questo libro rispecchiano la realtà». Quale realtà?
Quali documenti? Si sospetta che la realtà sia unaltra:
Brown ha orecchiato testi a cui non si è mai personalmente
accostato. Ad esempio: il romanziere parla dei Vangeli Eretici scoperti
nel 1945 in Egitto, a Nag Hammadi, documenti di antiche comunità
cristiane in cui si accennerebbe al matrimonio fra Cristo e Maria
Maddalena. Sarebbe questo, secondo Brown, il «Santo Graal
cercato invano per secoli»: la verità segreta, loriginario
lato femminile del Cristianesimo che il turpe complotto
maschilista della Chiesa tiene nascosto da millenni.
Un personaggio del romanzo butta lì, con ostentata noncuranza:
«Ogni esperto di aramaico può spiegare cosa dicono
i rotoli di Nag Hammadi». Si resta impressionati: ma quante
cose conosce Brown: i rotoli egizi, laramaico
Peccato
che i testi di Nag Hammadi non siano rotoli di papiro, e tanto meno
siano scritti in aramaico. Sono 13 libri in lingua copta. Morale:
il narratore non sa neanche di che cosa sta parlando. Dunque, sbaglia
anche chi paragona il Codice al Nome della rosa, libro che aveva
coniugato il giallo, la riflessione teologica e lerudizione
medievalistica: a differenza di Brown, infatti, Umberto Eco sapeva
bene di cosa parlava. Mentre sono numerosissime le amenità
che emergono grazie al lavoro di Bart Ehrman, studioso di Cristianesimo
antico, che ha pubblicato La verità sul Codice Da Vinci,
libro che fa le pulci al best-seller, svelandone tutti i macroscopici
errori storici.
Gioco facile, quello di Ehrman. Quando Brown, attraverso un personaggio
del romanzo, sostiene che i cristiani non credevano alla divinità
di Cristo fino al Concilio di Nicea (325 d.C.), dimostra di non
aver letto nemmeno linizio del Vangelo di Giovanni («In
principio era il Verbo»). Più sottile il gioco su altri
elementi. Per esempio, i rotoli del Mar Morto ritrovati in
una grotta di Qumram, nel deserto di Giudea cavallo di battaglia
di tutti gli appassionati di misteri e di grandi corbellerie teologico-archeologiche.
Brown è convinto che essi, scoperti nel 1947, contengano
anche testi cristiani, mentre sono tuttaltra cosa, puri e
semplici testi giudaici. E qui forse lautore del Codice ha
orecchiato le ipotesi di alcuni studiosi, i quali ritengono di avere
individuato nella Grotta 7 un deposito di testi cristiani,
tra i quali una versione del Vangelo di Marco. Ipotesi di studiosi,
appunto: ma che nelle mani di Brown diventano elementi della storia
segreta del Cristianesimo!
Al di là della grossolana trama di Brown, il punto è
che ormai cè sempre più gente convinta che Gesù
abbia sposato Maria Maddalena, o che lImperatore Costantino
abbia eliminato dolosamente il lato matriarcale del Cristianesimo.
La fiction si sta sostituendo alla storia? Non è un fenomeno
isolato. Scendendo nel profano, cè chi crede che la
guerra di Troia si sia svolta in Finlandia, per via di un saggio
simpaticamente fantasioso (Omero nel Baltico, dellitaliano
ingegner Vinci) finito sulle prime pagine dei giornali e negli scaffali
delle librerie. Né si tratta di un fenomeno nuovo. Si era
verificata la stessa cosa alla fine dellImpero Romano: quando,
mettendo insieme storia e leggenda, si spiegava tranquillamente
per esempio che Alessandro Magno aveva trovato la
fonte delleterna giovinezza.
Leggere Brown? Si scelga in piena libertà. Anche se forse
è preferibile leggere le pagine del Concilio di Nicea, degli
epici scontri tra Ario e Atanasio, delle vicende dei docetisti e
dei patripassiani, della descrizione delle dottrine segrete degli
gnostici. È tutto più avvincente del feuilleton browniano.
Con
Westfalia, nel 1648, i cristiani sottoscrissero la pace che
affermava il principio: Mai più guerre di religione. Lo sconvolgimento
creato dalla Riforma aveva inaugurato quello che è stato
definito il «secolo di ferro»: guerre religiose in Germania,
guerre civili in Francia, rivoluzioni in Scozia, in Inghilterra,
in Olanda, persecuzioni e roghi ovunque, e infine, col tentativo
di imporre lassolutismo absburgico e la confessione cattolica
allImpero tedesco, limmane carneficina della Guerra
dei Trentanni, che come una sorta di gorgo finì con
lattrarre e travolgere quasi tutti gli Stati europei, dalla
Svezia allItalia, dalla Spagna alla Boemia, dalla Francia
alla Danimarca. Un vero e proprio carnaio, fatto non solo di sanguinose
battaglie, di città devastate e saccheggiate, di violenze
dogni genere sulle popolazioni inermi, ma anche del loro inevitabile
seguito di diffusa miseria, di atroci carestie, di terribili pestilenze.
Grandi monarchie fino allora egemoni, come la Spagna, ne uscirono
prostrate, cancellate dal novero delle grandi Potenze europee. Lunità
dellImpero vagheggiata dalla casa dAustria tramontò
per sempre, e la frammentazione politica tedesca raggiunse il culmine,
aprendosi dapprima allespansione francese, e poi alla crescente
egemonia prussiana, fino alla proclamazione del Reich nellOttocento,
con incalcolabili riflessi per la storia continentale, mentre la
crisi ottomana apriva agli Absburgo nuove possibilità di
espansione a sud e ad est, anchessa destinata a conseguenze
di lunga durata. Con la pace di Westfalia, uscita di sicurezza dai
bagni di sangue per le vie della politica, e non della teologia,
il pluralismo cristiano europeo nel suo insieme uscì definitivamente
consolidato. In Europa si aprì una nuova stagione, incentrata
sullo strapotere che la sconfitta dei vicini aveva regalato a Luigi
XIV di Francia, e sulla inarrestabile ascesa dellInghilterra,
cui la Glorious Revolution del 1689 avrebbe saputo dare la stabilità
politica perduta nei drammatici conflitti interni delletà
stuartiana.
Oggi, nel momento in cui il Cristianesimo è evidentemente
sotto attacco, merita rifarsi a quegli straordinari cristiani, a
quelle grandi anime religiose che proprio in nome della propria
fede non avevano cessato di evocare un Cristianesimo tollerante,
evangelico, consapevole dellimpossibilità di forzare
le coscienze, come oggi dovrebbe essere per tutte le altre fedi,
soprattutto per quelle meno predicatorie e più determinate
e aggressive.

Sono secoli che il Cristianesimo ha deposto le armi della conquista,
non è più avanguardia di esploratori e scopritori
in nome e per conto di sovrani e di Imperi, è portatore di
un messaggio di pace e di fratellanza in tutte le latitudini planetarie.
Altro che crociati! E non è un caso che proprio dopo Westfalia
si aprì una stagione culturale che annoverò, fra gli
altri, gli Spinoza, i Locke, i Bayle, padri fondatori di quella
modernità occidentale cui si potrà anche
rinunciare, ma senza illudersi che ciò possa essere esente
da prezzi altissimi. Agli altri, (alle loro frustrazioni determinate
dalla caduta di antiche grandezze, al tramonto di antiche culture
letterarie e scientifiche, e via di seguito), lalibi di un
Cristo armato che non è nostro contemporaneo. A noi, invece,
il Cristianesimo come passaporto per la nuova Europa.
(Oltre a Brown, ha fatto subito discutere il film Passione, di Mel
Gibson. Era già accaduto con Il Vangelo secondo Matteo, di
Pier Paolo Pasolini: ma è stato scritto questo
nacque e visse come belluria e ornamento di unanima di poeta,
senza mai incontrare la politica e la storia. Era cinema dautore,
cioè una deviazione intimista della linea editoriale
dei polpettoni biblici alla Cecil B. De Mille.
Passione è in un contesto del tutto diverso. Scrive Giuliano
Ferrara che un tempo Hollywood divorava e digeriva la religione,
mentre ora la religione, il Cattolicesimo radicale di
cui parla lo scrittore Vittorio Messori, sta per divorare Hollywood:
«La religione è diventata la nostra angoscia quotidiana,
si sente [
] il suo artiglio nella carne febbricitante dei
tempi [
]. La religione è dovunque come concetto e rebus
geopolitico, ma con il film di Gibson arriva nel tempio universale
del cinema come racconto materiale, come dettaglio e dolore fisico
cotto nel sangue del Risorto, non più metafora e sublimazione
governabili nella foresta dei simboli. Colpa, punizione, salvezza,
espiazione fanno parte da sempre dellimmaginazione giudaico-cristiana,
ma come dottrina o catechismo, come fede popolare, come liturgia
e amministrazione cerimoniale delle feste comandate. Altro è
il racconto realista [
]».
«Una forte immaginazione produce levento», aveva
scritto Montaigne. Fatto è che la nostra sembra unepoca
di grande risveglio religioso: allora loperazione colossale
messa in piedi con questa Passione carnale, coniugata con le immense
folle in attesa della processione e della Via Crucis (Pasqua 2004,
con Papa Wojtyla) ha innescato un corto circuito di proporzioni
ancora incalcolabili, e ha intercettato una nuova e nello stesso
tempo antichissima dimensione dellesistenza umana: quella
di ascoltare una storia vera, con un linguaggio contemporaneo
che non ha escluso né laramaico né il latino
che nessuno conosce più, ma che tanti, moltissimi affascina
ancora. Lavvenimento è radicalmente riprodotto, ed
è una bomba emozionale. Cristo può parlare agli europei
senza riserve.
E parla al cuore la colonna sonora del testo filmico. Per lautore,
Maria è una madre che canta una ninna-nanna mentre suo figlio
sale sul Golgota e cade tre volte sotto il peso della Croce. Gli
parla come se fosse un bambino: Dont cry, my little
one, (non piangere, mio piccino), if you should fall my hands will
cradle you, (se cadrai, le mie mani ti culleranno).
John Debney è lautore della musica di Passion: 39 anni,
californiano, cattolico, e prolifico compositore di colonne sonore.
Sue le note che accompagnano fior di commedie, film dazione
e cartoons (da Spiderman 2 a Corsari, a Scorpion king, a Le follie
dellimperatore). Poi, come un fulmine a ciel sereno, gli capita
di far parte di un progetto che dà una sferzata alla sua
vita, umana e professionale. Il film di Mel Gibson, appunto. La
musica è stata presentata in prima mondiale a Roma, allAccademia
di Santa Cecilia, il 6 luglio scorso: The Passion Symphony, sette
movimenti, eseguiti dal coro, da una vocalist, dallorchestra
tradizionale e da un solista per i fiati; ma anche da
strumenti etnici, scoperti attraverso lo studio della musica ebraica
antica e dellarea medio-orientale: tamburi Taiko e Tom tom,
chitarre Oud di origine turco-circassa, flauti Duduk. I sette movimenti
diretti da Debney racchiudono tutti i temi principali del film,
da Raising the Cross a Jesus is carried down, fino allaulica
Resurrection. E, tra questi, anche Mary goes to Jesus, dedicato
al rapporto tra la Madre e il Figlio.
Per il tema della ninna-nanna, Debney ha rivelato che lo trovava
uno dei più difficili da scrivere, perché non riusciva
a trovare la chiave giusta, fino a quando una mattina si era svegliato
con una musica in testa, ed era proprio una ninna-nanna: la voce
di una madre che parla con un figlio che, sebbene divino, è
comunque il suo bambino. E parte di quel bambino afferma
Debney è ancora in lui, mentre affronta la tortura
e la morte. Così come in Maria-madre cè la partecipazione
al sacrificio, che solo una musica sublime può interpretare,
comunicare: «Lidea del sacrificio è meravigliosa
[
]. Ho attraversato momenti di difficoltà, durante
i quali la fede mi ha sorretto e mi ha aiutato. Ho pregato sempre
per riuscire a fare del mio meglio. Anzi, la mia fede è cresciuta
ed è diventata molto più forte. Con Gibson volevamo
raccontare la storia fisica della Passione, con un intento preciso,
mostrare a tutti che esistono delle possibilità, è
questione di scelte. Esperienza macerante e stupenda: ho provato
una gamma infinita di emozioni: mi sono sentito a tratti affranto,
in altri momenti il mio spirito invece si sollevava, perché
cerano in gioco significati profondi nella storia che stavamo
raccontando: il peccato, la pietà, il perdono. [
] Sicché
Passion è la fede, la mia fede»).
Le chiamano eresie letterarie,
e non sono né uniche né rare e meno che mai appartengono
soltanto ai nostri giorni. Al di là del Codice, infatti,
cè tutta una schiera di romanzieri postmoderni che
riscrivono a modo loro la rivelazione evangelica. Fermiamoci ai
primi cinque anni (circa) del Terzo millennio. Si va dal thriller
a sfondo cristologico Ultimo testamento, di Philip Le Roy, al Vangelo
secondo Pilato, del francese Eric-Emmanuel Schmitt, che mostra un
Gesù molto dubbioso sul suo ruolo di Messia, (peraltro stranamente
pubblicato in Italia dalleditrice San Paolo), ai bizzarri
romanzi di Andrew Masterson (lultimo si intitola Il Secondo
Avvento): qui è protagonista Joe Panther, alias Yehoshua
Ben Pantera, uno spacciatore di droga convinto di essere il figlio
di Maria (non più Vergine) e di un legionario romano. Il
recente thriller di Matilde Asensi, Lultimo Catone, è
uninchiesta sulla Croce di Cristo. Mentre Le Roy rielabora
il tema chiave di Brown, cioè il matrimonio tra Gesù
e la Maddalena: Le Roy immagina che Cristo, morto serenamente a
settantanni, amorevolmente curato dalla sua consorte, abbia
lasciato un testamento che duemila anni dopo scatena una ricerca
segnata da intrighi e ammazzamenti. E si può aggiungere Il
patto, di Edmondo Lupieri e Linda Foster, dove uno scienziato si
propone di clonare Gesù, a partire dalle tracce di sangue
presenti sulla Sacra Sindone.
Certo, da sempre esistono romanzi che hanno rielaborato fantasticamente,
e spesso con irriverenza, la vita di Cristo. Motivi di base, spesso,
gli stessi di oggi, compresi i presunti amori carnali del Messia.
Nel 1929 D.H. Lawrence pubblicava The man who died, che conteneva
anche la storia damore tra Gesù e una sacerdotessa
di Iside. Non molto tempo dopo, Michail Bulgakov metteva mano al
suo capolavoro, Il Maestro e Margherita, straordinaria divagazione
tra la Mosca bolscevica e la Gerusalemme di Ponzio Pilato. Nel 1959
il greco Nikos Kazantzakis scriveva Lultima tentazione, romanzo
splendidamente visionario, dal quale Martin Scorsese trasse un film
controverso, incentrato su un Gesù che rifiuta di morire,
per mettere su famiglia con la solita Maria di Magdala. E si arriva
fino al Vangelo secondo Gesù, di José Saramago, del
1992. Di che parla? Di Cristo e della Maddalena
Laspetto più curioso di questa letteratura commercial-cristologica
è che si ispira di frequente a testi eccentrici o poco noti.
Abbiamo detto che i due principali filoni fanno riferimento ai Vangeli
gnostici scoperti in Egitto e ai Manoscritti del Mar Morto. Specifichiamo
che i primi sono da sempre legati a comunità cristiane eretiche,
mentre i secondi sono stati prodotti nellambito della setta
giudaica degli Esseni.
Sono testi che, se oggetto di riflessione da parte di studiosi seri,
hanno una loro importanza, come nel caso del recente volume mondadoriano
su Le parole dimenticate di Gesù, a cura di Mauro Pesce,
che attinge largamente ai Vangeli non canonici nel raccogliere tutti
i detti attribuiti al Messia.
La conoscenza che i romanzieri hanno di questi testi è filtrata
da una letteratura pseudo-scientifica che ha i suoi massimi esponenti
in due giornalisti, Michael Baigent e Richard Leigh. Il loro libro
su Il Santo Graal ha influenzato direttamente Brown, mentre un altro
libro, I misteri del Mar Morto, (Marco Tropea), è direttamente
responsabile di unaltra serie di corbellerie. In un caso e
nellaltro si pretende che i testi siano tuttora tenuti nascosti,
mentre ne esistono pregevoli edizioni, comprese traduzioni italiane
in tascabile.

Per i Manoscritti si sostiene che il Vaticano avrebbe cercato in
tutti i modi di impedirne la pubblicazione, perché il vero
Gesù si svelerebbe in quei testi come un semplice profeta
della setta essenica. È ovvio che chi sostiene questa tesi
non ha mai letto i Manoscritti del Mar Morto, peraltro terribilmente
frammentari, oltre che noiosissimi. E chi attribuisce i ritardi
della loro pubblicazione a interferenze della Chiesa di Roma evidentemente
non ha mai provato a fare ledizione critica di migliaia di
frammenti scritti in ebraico, in aramaico e in greco.
Le speculazioni romanzesche sui Vangeli gnostici e sui testi del
Mar Morto appartengono a una sottocultura, soprattutto americana,
che potrebbe essere seppellita con una sonora risata. Andando magari
poi a rileggersi il vertiginoso e provocatoriamente blasfemo romanzo
di Gore Vidal, In diretta dal Golgota (1992): dove si immagina che
un virus del computer abbia confuso la storia e le epoche, di modo
che Gesù risulta nato a Las Vegas, e le troupe televisive,
in grado di viaggiare nel tempo, si contendono la diretta della
crocifissione. Vien da pensare alle celebrazioni mediatiche per
la morte di Giovanni Paolo II, commemorato nei salotti televisivi
da tuttologi e attricette. Siamo proprio sicuri che i veri attentati
alla serietà del messaggio cristiano vengano soltanto dai
poveracci alla Brown?
(«Se non diventerete come donne,
non entrerete nel Regno dei cieli!». Chi lo dice? Gesù,
ovviamente, in un Apocrifo del II secolo conosciuto come Vangelo
di Maria Maddalena. E a questo testo, circa la presunta relazione
tra Gesù e Maria di Magdala, fanno riferimento almeno altre
tre opere apocrife che, nellera apostolica e patristica, hanno
conosciuto alterne fortune: il Pìstis Sophìa,
il Trattato sullinfanzia di Gesù secondo
Tommaso e il testo gnostico detto Vangelo di Filippo.
Che fossero testi di fantasia, e con seconde e terze intenzioni
incorporate, ce lo dicono le stesse fonti storiche, visto che la
polemica contro le presunte verità che gli Apocrifi racconterebbero
è già presente in numerose lettere di San Gerolamo
e di altri Padri della Chiesa. I quali rivolgono accuse, a volte
anche molto veementi, contro gli ambienti rabbinici ritenuti, già
allora, autori di testi menzogneri.
Nel corso dei secoli la tesi è stata rilanciata più
volte, poiché essa sarebbe confermata da affermazioni polemiche
e anticristiane presenti nei diversi trattati del Talmud.
La verità storica, però, obbliga a tener conto anche
della responsabilità dellambiente cristiano post-apostolico:
ambiente eterodosso, che pose a dura prova lintegrità
della fede e dellinsegnamento di Cristo. Almeno uno dei testi
apocrifi a cui si è accennato, quello attribuito allapostolo
Filippo, è stato scritto dai giudeo-cristiani ebioniti. Altri
testi apocrifi vennero redatti da cristiani gnostici, altri ancora
da cristiani docetisti.
Nei primi tre secoli, la matrice culturale ebraica era forte e vigorosa
anche dentro le comunità cristiane. E, come osserva Elena
Lowenthal nel suo Eva e le altre, la parola storia
in ebraico è un plurale femminile: toledot significa
generazioni. Ed Eva, sempre in ebraico,
significa presente. La donna è ciò che
fa nascere il presente, che gli dà corpo e anima. Luomo,
da Adamo in poi, è colui che dà nome alle cose.
Se Dio ha affidato questo compito allinizio del mondo, Cristo
a chi ha affidato il compito? Il Vangelo di Maria Maddalena
si apre proprio sui discepoli in pianto per la morte di Gesù
e terrorizzati per le loro vite. Pietro invita Maddalena a raccontare
i suoi ricordi su Gesù e invece la donna racconta quanto
il Maestro risuscitato le avrebbe detto in una visione percepita
per mezzo della mente. Pietro e Andrea la contestano, dichiarandola
bugiarda. Mentre un apostolo sconosciuto, di nome Levi, la difende
e contribuisce alla sua vittoria dialettica. E quindi Maddalena
può andare per le strade del mondo ad annunciare il suo Vangelo.
In realtà, le cose non sono andate proprio così. Sono
stati Pietro, Andrea e gli altri apostoli a insegnare e a predicare
la Parola al nuovo popolo di Dio).
La Croce come bersaglio
Quelli diretti a Gerusalemme li chiamano palmari, in
memoria del giorno dellingresso di Gesù nella città
santa, tra folle che portavano palme come simboli di pace; romei
sono detti quelli diretti a Roma; e mi pare che i pellegrini che
si mettono in viaggio verso il terzo grande centro penitenziale,
in Galizia, Santiago de Compostela, li chiamino francigeni,
dal nome del tracciato stradale percorso: di preferenza, litinerario
classico Aquisgrana-Parigi-Orléans-Bordeaux-Roncisvalle,
rotta anche di intensi scambi commerciali e culturali, che contribuì
alla nascita delle canzoni di gesta e al ciclo di Carlo Magno e
di Orlando.
Santiago è SantJacopo, ovvero San Giacomo Maggiore,
sepolto (si narra) in una tomba romana a Iria Flavia, scoperta nel
IX secolo su indicazione di una stella (campus stellae, campo di
stella, da cui Compostela). I maomettani ne devastarono la cattedrale
nel X secolo. Il culto del fratello di Giovanni Evangelista esplose
al tempo della Reconquista, e non a caso: il primo apostolo martirizzato
era definito Matamoros, ammazza-saraceni, e nellatto di battersi
contro i musulmani è ritratto in una scultura della cattedrale
composteliana. Unimmagine che ferisce la sensibilità
dei fedeli dellIslam, ospiti-lavoratori da quelle parti, e
che per questo si intende mandare in esilio, chiudendola in un sotterraneo,
in nome della tolleranza (unilaterale) di tutte le fedi e del relativismo
compromissorio delle gerarchie cattoliche locali.
Atteggiamento non diverso da coloro i quali, dalle nostre parti,
reclamano di mandare in soffitta (dalle scuole, dagli uffici pubblici,
e poi magari dalle nicchie montane o dai crocicchi campestri, e
via dicendo) i Crocefissi, simboli che offenderebbero gli occhi
e la coscienza di chi cristiano non è e non si professa;
o da coloro i quali minacciano di far saltare in aria la basilica
di San Petronio, a Bologna, perché raffigura tra gli affreschi
un Maometto allInferno.
Stagione davvero complessa, quella che stiamo vivendo. Per chi ha
davvero a cuore la fede cristiana, lannuncio dellEvangelo
e il suo coniugarsi con la convivenza civile, le domande si fanno
oggi particolarmente scottanti. Anzi, ce nè forse una
sola, brutale nella sua essenzialità: «Cristo ha un
futuro? In altre parole: Colui che viene chiamato così rimarrà
come una figura importante dellumanità, o qualcosa
di più, o invece scomparirà per ridursi a vestigia
di ciò che è morto?». Questo si chiede Maurice
Bellet nel suo La quatrième hypothèse. Sur lavenir
du Christianisme, partendo dalla constatazione che il Cristianesimo,
quindi lannuncio di Cristo, quindi, in un certo senso, Cristo
stesso, sono minacciati di estinzione. E questo acuto osservatore
interno alla fede cristiana, con la sua rara capacità
di provocazione, delinea quattro ipotesi per lavvenire del
Cristianesimo. La prima non fa che prendere atto della scomparsa
del fenomeno cristiano: «Il Cristianesimo scompare e, con
esso, il Cristo della fede [
]. Se ne va. Svanisce. È
indolore. Non ci si pensa neanche più»; restano delle
tracce: monumenti, opere darte, forse qualche elemento dellinconscio
collettivo e un nucleo consistente di adepti
La seconda ipotesi delinea una dissoluzione: lapporto di valori
evangelici entra a far parte del patrimonio comune dellumanità
come un anello di una tradizione più grande, una componente
di un sistema di pensiero, e nulla più: «Gesù
può anche trovarvi un posto, come nel pantheon indù».
La terza ipotesi è che il Cristianesimo continui, attraverso
una dialettica fatta di conservazione, di restaurazione e di aggiornamento,
in cui opzioni anche opposte Bellet cita Pio IX e Giovanni
XXIII, canonizzati insieme permangono «interne a uno
stesso tuttuno, fondamentalmente invariato».
Cè chi, a questo punto, si chiede se non si stia facendo
strada unipotesi che Bellet non delinea come tale, ma che
in un certo senso raccoglie elementi della sua seconda e terza prospettiva
e che, da tempo presente nel mondo anglosassone e del Nord Europa,
sta prendendo piede anche in Paesi come il nostro: quella di un
Cristianesimo visto innanzitutto come cultura di un popolo, coniugato
come religione civile che assicura il ricompattarsi
della società e che si ammanta di evidenti risultati culturali.
Una presenza cristiana che apparirà sempre più come
declinazione dellequazione Cristianesimo uguale Occidente.
Va riconosciuto che oggi la politica avverte il bisogno di utilizzare
il codice religioso e pertanto è pronta al riconoscimento
dellutilità sociale della religione. È un atteggiamento
senza dubbio estraneo alla grande tradizione cattolica, ma che di
fatto viene incoraggiato per nostalgia di una riedizione del mito
della Cristianità e salutato come necessario per la nostra
società sempre più frammentata e smarrita.
Infine, la quarta ipotesi: qualcosa conosce inesorabilmente la fine,
«qualcosa muore e non sappiamo fin dove questa morte scende
in noi». È la fine di un sistema religioso, legato
alletà moderna dellOccidente da un rapporto di
interdipendenza. Ma con questa morte si arriva come a un capolinea,
dove non si sa se la ripartenza sarà verso il peggio o verso
il meglio: lunica cosa che si sa è che questo dipende
in massima parte da noi. E allora linterrogativo brutale:
Cristo ha un futuro? rimane, ma assume i connotati
di una domanda ricca di speranza: in questo luogo di un nuovo inizio,
in questa sorta di Ground Zero, «lEvangelo può
apparire come Evangelo, cioè la Parola, appunto, inaugurale,
che apre lo spazio di vita? Il paradosso è grande, perché
lEvangelo è vecchio
Ma forse il tempo delle cose
capitali non è retto dalla cronologia; forse la ripetizione
può essere ripetizione dellinaudito».
Ecco: un Cristianesimo che riesca a parlare al cuore di ogni uomo,
facendogli intravedere che la morte non è lultima parola,
potrà essere un canto, una voce sempre più ascoltata.
Ma questo richiede che i cristiani si esercitino ad essere quelle
sentinelle della libertà, della giustizia e della pace che
Papa Wojtyla più volte evocò nella sua chiaroveggenza
sul futuro del Cristianesimo nel mondo.
Il
Grande Problema, quello sul quale tutto si fonda, sul quale
la Chiesa intera sta o cade, è la verità del Vangelo,
la certezza che Dio non solo ha parlato, ma si è incarnato
in Gesù di Nazareth, ed è la convinzione che Cristo
continua il suo cammino nella storia. È la nostra fede di
cristiani, la fede nella sua pienezza e nella sua ortodossia, nel
suo scandalo e nella sua follia, per usare
le parole di Paolo. E proprio questa paradossalmente e drammaticamente
oggi è la vera sfida non solo per il Cattolicesimo,
ma per tutto il Cristianesimo.
Citiamo Vittorio Messori: «Il dubbio ha sempre insidiato i
credenti, ma ora lerosione della certezza della verità
del Credo sembra avere raggiunto ogni livello ecclesiale. Se tanti
uomini e donne di Chiesa rifiutano di essere testimoni del Sacro
per trasformarsi in operatori sociali; se ci parlano
sempre e solo delle miserie delluomo cui porre rimedio e mai
delle grandezze di Dio da contemplare; se alla carità hanno
sostituito la solidarietà e limpegno sociale alla preghiera,
è perché il Gesù vivo nellEucarestia
si è ridotto ad un profeta della tradizione ebraica che annunciava
pace, solidarietà, dialogo. Il concentrarsi di tanto Cattolicesimo
sui problemi del mondo, e solo su quelli, corrisponde allaffievolirsi
della credenza nellAldilà, della speranza nella vita
eterna».
Mentre la fede «evapora in umanesimo, in buonismo, in solidarismo
politicamente corretto», la Chiesa è sembrata
in questi anni priva di sufficienti anticorpi che reagissero. Lapologetica,
vale a dire lesposizione e la difesa delle ragioni della fede,
è stata abbandonata, si è mascherato quanto ne rimane
sotto il nome di teologia fondamentale. Incalza lo scrittore
cattolico: «È singolare (e rattristante, per un credente),
ma linsidia maggiore è venuta e viene da certa intellighenzia
clericale. Viene da certi esegeti che triturano i Vangeli sino a
renderli un coacervo di frammenti di origine incerta e sospetta,
dove la sola cosa da prendere sul serio sarebbero le note del biblista;
viene da certi storici da seminario che delle vicende della Chiesa
danno letture di tale settarismo negativo da rivaleggiare con quelle
della storiografia anticlericale ottocentesca; viene da certi teologi
che dissolvono i dogmi come fossero ormai indegni di cattolici
adulti; viene da certi liturgisti, accaniti nel cancellare
dai riti tutto ciò che contrasti con il loro illuminismo
da intellettuali e sappia di devozione popolare».
Ecco, aggiunge Marcello Pera, presidente del Senato: a mandare in
catalessi lEuropa è stato questo relativismo, che è
il narcotico più potente. Si tratta dellidea che «le
tradizioni, le culture, le civiltà abbiano tutte lo stesso
valore e non possano essere giudicate con un metro comune. Ma se
si accetta questidea, cioè che luna vale laltra
e ha gli stessi diritti dellaltra, non vi è più
verità in alcuna tesi, perché ciascuna si giustifica
da sé». Ne discende che, se una cultura o civiltà
combatte laltra, questaltra non ha i mezzi neppure per
reagire perché deve riconoscere che anche la prima ha i suoi
buoni argomenti: «Contro questidea relativista, che
è penetrata anche nella teologia cristiana, Benedetto XVI
si è strenuamente battuto, con ragione».
E infatti questo Pontefice, che tanti vorrebbero immaginare al pianoforte
mentre suona Mozart, mentre è, sì, al pianoforte,
ma a suonare Wagner, (non è forse il Parsifal la pagina più
cristiana della letteratura europea?), ha scritto in Senza radici:
«LOccidente non ama più se stesso. LEuropa
sembra svuotata dallinterno, come paralizzata». Per
di più, la cultura relativistica europea è incoerente,
perché mentre predica che tutte le culture hanno la stessa
dignità, finisce per attribuire ad alcune più valore
di altre, rovesciando spesso le gerarchie tradizionali. Come ha
scritto il Papa tedesco: «Nella nostra società attuale,
grazie a Dio, viene multato chi disonora la fede di Israele e chi
vilipende il Corano. Se invece si tratta di Cristo e di ciò
che è sacro per i cristiani, ecco che allora la libertà
dopinione diventa il bene supremo». Si vuol dire che
lOccidente è migliore dellIslam? Esattamente,
anche perché «lIslam non ha ancora prodotto società
civili, Stati, istituzioni e cultura dei diritti che siano uguali
a quelli occidentali e altrettanto desiderabili per milioni di persone».
Fu cristiana larte che unificò culturalmente e spiritualmente,
il Vecchio Continente. Una selva di chiese e di cattedrali sorse
rigogliosa in ogni angolo dEuropa: dopo le catacombali pietre
paleocristiane, e dopo quelle cristiane venute alla luce del
giorno in seguito alleditto costantiniano, lo stile romanico
si diffuse con caratteri regionali in Italia, e con più spiccata
identità nel Mezzogiorno francese, precedendo il gotico,
che oltre che nel nostro Paese conobbe una vasta diffusione nel
Centro e nel Nord della Francia, nella Germania (passando poi nellEuropa
centro-orientale) e nella Penisola Iberica. Col Rinascimento, e
con la ripresa di canoni fondamentalmente classici, le chiese cristiane
crearono e diffusero unaltra nobiltà architettonica
despressione e di forma. Il Sei e il Settecento, col fasto
della chiesa cattolica manifestato con lo stile barocco, esaltarono
ovunque lo spirito universale dellarchitettura sacra. Seguirà
letà moderna, nuove caratteristiche si diffonderanno
con essa, toccando spesso i limiti delle risorse tecniche, estetiche
ed espressive, che ne definiscono di continuo le varie esigenze
materiali e spirituali.
Si propagherà anche così quel concetto fondamentale
di civiltà cattolica, di cui il diverso prestigio
darte e di fede di tante nostre chiese e basiliche e cattedrali
ha offerto in ogni periodo testimonianze dincomparabile eloquenza.
Dalle pietre alle tele, alle pale, ai marmi. A conti fatti, ha vinto
la Vergine Maria, quella che era stata attaccata brutalmente dalla
Riforma, che intendeva spogliarla della gloria che Le spettava.
Gli artisti che reagirono, dopo il Concilio tridentino, vollero
Maria bellissima nella dolcezza (come Madre del Bambino), nella
malinconia (come partecipe del martirio del Figlio), e nellabbandono
alla Volontà che redime (come «Vergine e Madre, figlia
del tuo Figlio»). Perciò si rifecero alla testimonianza
di Dionigi lAreopagita, che dopo aver visto la Madonna a Gerusalemme
aveva scritto: «Un tale splendore, un così soave profumo
emanavano da lei, che il mio corpo e la mia anima non potevano sopportare
una tale felicità». Fu larte pittorica della
Controriforma che esaltò la Devozione del Rosario,
una catena che unisce la terra al cielo, che precedette le raffigurazioni
della Vergine nellatto di schiacciare la testa del serpente,
simbolo della vittoria sulleresia. Risaliva al XII secolo
la prima celebrazione (da parte della Chiesa di Lione) della festa
dellImmacolata Concezione. Ci sarebbero voluti quattro secoli,
prima che gli artisti fossero attratti da questo tema (in Italia,
primo fu il Domenichino, nel Duomo di Napoli).
Da una allaltra generazione, ai quattro capi del pianeta,
ovunque venne piantata la Croce, il genio molteplice, limmensurabile
talento dellartista ha affidato allespressione plastica
il compito di fornire alla nostra fede il sostegno delle immagini
concrete. Diciannove secoli fa, sulle pareti delle catacombe, ignoti
fedeli dallanimo pieno di fervore cominciarono ad evocare,
sotto specie umana, il Volto Unico, quello del Cristo, e da allora
non cè Paese, secolo o razza che non abbia voluto aggiungere
un anello alla misteriosa catena, che vorrebbe porci in contatto
con il Cristo che è per eccellenza intangibile. Basta sfogliare
le pagine dun qualunque testo, in cui siano rappresentate
tutte le epoche e i generi della figurazione artistica, per rendersi
conto fino a qual punto la nostra civiltà occidentale, come
ha scritto Daniele Rops, «dipenda dallispirazione del
Cristianesimo».
Se gli artisti non si fossero trovati davanti a temi del genere,
se non esistessero, nel museo immaginario delle nostre opere predilette,
né Annunciazioni né Natività né Crocifissioni
né Resurrezioni né Ascensioni, e così via,
non è che mancherebbe soltanto qualcosa al quadro estetico
della nostra civiltà: in realtà, essa non esisterebbe,
o sarebbe abissalmente diversa da quella che siamo abituati ad amare.
Meraviglioso è che questa specie di eterna fioritura artistica,
che perdura anche nel cuore arido della nostra società contemporanea,
non sgorghi da alcuna fonte ben definita. Il Volto dalle mille espressioni,
che i capolavori della pittura e della scultura ci offrono, e che,
da un popolo allaltro, da unepoca allaltra, sempre
si rinnova, non si basa su alcun ispirato archetipo originario,
e neanche su alcuna solida tradizione. La fisionomia del Nazareno
ci è ignota, anche se ciascuno di noi la interpreta a modo
proprio al cospetto della Sindone o del lino della Veronica. Dobbiamo
dunque rassegnarci: storicamente parlando, non sappiamo quale fosse
il Volto carnale assunto, per farsi uomo, dal Verbo di Dio: lo hanno
confermato i Padri della Chiesa, lo ha ribadito SantAgostino.
Nei Vangeli, lunico passo nel quale se ne parla è quello
della Trasfigurazione e del suo glorioso messaggio sul Tabor: «Al
di là delle sembianze mortali del Figlio dellUomo,
per i messaggeri del Verbo era il Dio in gloria quello che appariva».
E in fondo, questa mancanza di basi storiche è, per i cristiani,
mirabile ed esaltante, perché così sanno in modo indiscutibile
che ciascuno dei volti, nei lineamenti del quale un grande artista
ha voluto evocare il Dio vivente, è opera solo di quel misterioso
slancio interiore, nel quale il genio creatore si incontra con unautentica
ispirazione spirituale.
Crisi o rinascita?
La stessa scelta del nome, le sue prime parole, gli incontri
e i viaggi programmati sembrano confermare che è il Vecchio
Continente ad essere in cima ai pensieri del nuovo Pontefice. Daltra
parte, in Europa, nonostante i numeri riguardanti coloro che professano
la religione cristiana, palesemente si avverte una crisi religiosa.
Ci chiediamo: esiste e si diffonde una contrapposizione tra laicismo
e Cristianesimo?
In qualche modo, la risposta laveva data lallora cardinal
Ratzinger nella sua ultima conferenza tenuta tra i benedettini di
Subiaco un giorno prima della morte di Giovanni Paolo II. Ratzinger
aveva affermato che lEuropa aveva sviluppato una cultura che,
in modo sconosciuto allumanità, esclude Dio dalla coscienza
pubblica. E questo avviene perché, secondo la cultura illuminista
e laicista, le radici cristiane non possono entrare nella definizione
dei fondamenti dEuropa perché sarebbero radici morte,
che non fanno parte della sua identità.
Per capire se davvero le radici cristiane dellEuropa sono
morte o sono state soffocate dalla cultura illuminista, oppure se
ci sono germogli di rinascita, abbiamo ascoltato monsignor Aldo
Giordano, segretario generale delle Conferenze Episcopali Europee,
e il pastore Luca Negro, responsabile per la comunicazione della
Conferenza delle Chiese Europee.
Giordano disegna preliminarmente una mappa dei cattolici in Europa:
«Se guardiamo alla Grande Europa, quindi integriamo anche
i Paesi che non fanno parte dellUe, ci sono circa 560 milioni
di cristiani. Dunque, la grande maggioranza è cristiana.
Per la metà, esattamente 285 milioni, sono cattolici. Ci
sono i grandi Paesi cattolici del Sud Europa, e pensiamo allItalia
e alla Spagna, al Portogallo e alla Croazia e alla piccola Malta,
ma anche alla stessa Francia; e ci sono grandi Paesi cattolici al
Centro Europa, come la Polonia e la Slovacchia; o Paesi di tradizione
cattolica, che però hanno subìto la grande ondata
della secolarizzazione, in particolare il Belgio e lOlanda,
ma anche lIrlanda. Inoltre, ci sono Paesi nei quali i cristiani
sono divisi in due confessioni, come la Germania con i cattolici
e i luterani, o la Svizzera con i cattolici e i riformati. E altri
Paesi ancora, nei quali i cattolici sono in assoluta minoranza,
come nelle Scandinavie, dove i cattolici sono lo 0,1 per cento,
oppure nella Russia, dove sono lo 0,0-e-qualcosina per cento, al
modo della Bulgaria e della Grecia.
Particolare la situazione dellEst europeo, perché sotto
lateismo di Stato ovviamente era difficile far vivere anche
la realtà della fede, mentre adesso le Chiese si stanno riorganizzando.
Invece è in atto un processo inverso nei Paesi del Centro
Europa, nel Benelux, nella stessa Svizzera, e in Francia, aree già
segnate dalla crisi, dalla critica di una certa cultura, dallinflusso
di una certa società, da un certo laicismo e anche da un
certo liberismo.
Ma ci sono anche alcune regioni nelle quali il Cattolicesimo si
distingue per qualità e per vitalità: quelle in cui
si è conservata una tradizione religiosa cattolica, cioè
un legame della Chiesa con il popolo, con una presenza della Chiesa
a livello culturale e sociale, con uno sforzo costante di valorizzazione
di persone preparate».
Negro: «Le radici cristiane dellEuropa sono morte,
vive o soffocate? Direi che non sono né morte né soffocate,
io le vedo come radici vive. Il problema è di capire quali
sono i frutti che portano queste radici. Quindi personalmente tenderei
ad insistere più sul cercare di valutare la bontà
di quei frutti che in qualità di cristiani possiamo offrire
al nostro Continente. Per questo non sono molto daccordo sul
fatto che una certa cultura illuminista porti alla negazione delle
radici cristiane dellEuropa, nel senso che ci sono anche delle
grosse responsabilità delle Chiese stesse. Credo che la divisione
delle Chiese e le loro guerre di religione abbiano sicuramente fatto
sì che in qualche modo soprattutto nei Paesi che hanno vissuto
fortemente questo genere di conflitti si sia preferito lasciare
in un angolo, cioè mettere nel privato la fede. Quando critichiamo
il laicismo, dobbiamo anche capire le cause storiche di questo vero
e proprio scandalo che hanno vissuto i cristiani, rispetto al modo
con cui hanno visto professare la fede.
Daltra parte, non vedo oggi un ruolo del Cristianesimo così
negato. È vero che nella discussione sulle radici cristiane
e sulla loro menzione nella Costituzione europea le Chiese non lhanno
spuntata. Ma lhanno spuntata da un altro lato, perché
larticolo 52 di quella Carta costituzionale riconosce esplicitamente
il ruolo delle Chiese e prevede che lUe mantenga un dialogo
regolare e trasparente con esse. Questa, secondo me, è una
grande vittoria, che non è stata sottolineata a sufficienza.
Per me è più importante del fatto che nel Preambolo
non siano citate le radici cristiane. Dio non deve entrare nella
vita pubblica: e ciò determina una crisi di identità
dei cristiani? Non è che io sia eccessivamente ottimista,
ma diciamo che come protestante non mi preoccupo tanto del ruolo
di Dio nella vita pubblica, mentre mi preoccupo molto delle responsabilità
che abbiamo in quanto cristiani nella vita pubblica, e mi preoccupo
della testimonianza che come cristiani possiamo dare. Ed è
vero che su molti temi abbiamo difficoltà a dare una testimonianza,
ma è pure vero che su molte tematiche forse abbiamo anche
posizioni diverse. Ad esempio, su alcune importanti questioni etiche
le Chiese sono divise al loro interno e fra di loro».
Ma quali sono i Paesi nei quali maggiore è la crisi dei
cattolici? Da un capo allaltro dellEuropa giungono segnali
dallarme; persino nella cattolicissima Spagna
i rapporti tra Stato e Chiesa sono tesi.
Giordano: «Quello spagnolo è un caso un po particolare,
perché si tratta di un Paese nel quale cè una
tradizione cattolica, probabilmente una tradizione che non ha avuto
la possibilità di maturare rispetto ai nuovi problemi, ed
è rimasta chiusa nel proprio mondo e nella propria storia,
mentre aveva davanti la presenza di una società democratica,
una società laica che ha trovato la Spagna un poco impreparata.
Ciò vale anche per lOccidente, come per lEst
europeo: luno e laltro si sono trovati allimprovviso
di fronte a questa sfida. Crollato il Muro di Berlino, bisogna posizionarsi
dentro una cultura che tende fondamentalmente ancora a privatizzare
la religione. In qualche Paese dellEst non si è ancora
arrivati ad avere unintesa, ad esempio, tra Stato e Chiesa.
Pensiamo alla Cechia, o, più vicina a noi, alla Slovenia.
Dove poi cè una tradizione di scarso rapporto tra Stato
e Chiesa, come in Germania e in Francia, succede che si creino delle
incrinature a causa di certi cambiamenti di leggi, anche con conseguenze
riguardo alle finanze della Chiesa; e, per il caso della Francia,
dove cè una laicità che la Chiesa francese non
interpreta come una condizione di per sé negativa, di fronte
a nuovi problemi, (come il dibattito sul velo o sui musulmani, ecc.),
si è visto che questo modello di laicità non sembra
essere più allaltezza dei tempi.
E a proposito della crescente presenza musulmana in Europa: questa
ha creato la domanda sullidentità. Al cospetto di unaltra
religione, di unaltra cultura, ci si chiede a voce sempre
più alta: Chi siamo noi? . E che dire poi dei
Paesi del Nord e dei loro dissensi col Vaticano? Forse questi dissensi
sono appartenuti ad una certa generazione, quella degli anni Settanta
e Ottanta, quando prevalevano certi elementi, più ideologici,
più critici, che sentono lurgenza di sottolineare gli
aspetti più democratici della Chiesa, gli aspetti più
caratterizzati dellautonomia. Anche sul sacerdozio femminile
e sul celibato si discute ancora, ma ai dibattiti prendono parte
ormai solo persone da sessanta anni in su, non essendo questi i
problemi che fanno decidere se appartenere o meno alla Chiesa. I
giovani oggi sono più legati a domande di fondo, cercano
dove cè una sorgente di senso».
Negro: «A me risulta che in Paesi come la Germania non sia
una questione di generazioni. Inchieste e statistiche dicono che
un bel po di cattolici sono favorevoli al sacerdozio femminile,
anche perché in qualche modo sono stati abituati per decenni,
per esempio, al fatto che la donna possa anche predicare in molte
situazioni che vedono la presenza di pochi preti. E quindi la Chiesa
cattolica avrebbe avuto grosse difficoltà se non ci fosse
stato questo contributo delle donne anche alla predicazione e alla
presidenza di celebrazioni liturgiche.
Ma quali sono le frontiere di maggiore allarme per il mondo protestante?
Monsignor Giordano citava alcuni Paesi in cui si vive una forte
secolarizzazione. Più o meno, dal punto di vista del Protestantesimo,
sono gli stessi, dallOlanda alla Svizzera, alla stessa Germania,
dove le chiese sono abbastanza vuote. Poi ci sono alcuni Paesi dellex
blocco dellEst, come la Cechia. Quindi, grosso modo, il problema
della secolarizzazione è presente ovunque.
Un tema che mi piace menzionare è la sfida, per noi protestanti
specificamente, della nostra difficoltà di parlare ai giovani,
in particolare nella liturgia, nel culto. Ecco: forse il culto protestante
risponde meno del culto cattolico ai nuovi linguaggi cui sono abituate
le giovani generazioni. Il nostro culto è incentrato su lunghe
predicazioni e ci sono pochi gesti, si è molto intellettuali,
razionali, sicché credo che dobbiamo lavorare molto per fare
invece in modo che il nostro culto parli anche ai giovani, che oggi
sono abituati ad essere molto interattivi, dunque rifiutano di star
fermi per unora ad ascoltare qualcuno che parla.
Il mondo anglicano sembra essere nella crisi più profonda.
Le chiese anglicane sono semivuote di fedeli. È un problema
di secolarizzazione complessivo della società britannica,
che ha perso molto unidentità cristiana con una politica
di accoglienza positiva di milioni di immigrati. Il rispetto per
culture, religioni, tradizioni diverse ha stemperato la presenza
cristiana. Due esempi: le processioni del Venerdì Santo non
esistono, dunque non si manifesta apertamente e pubblicamente una
fede; negli ultimi anni sono scomparsi gli auguri con le cartoline
postali natalizie, che non vengono più inviate neanche dalle
grandi società, dalle grandi agenzie, e ci si giustifica
dicendo che pare brutto nei confronti delle altre religioni. Lultimo
censimento con la domanda a quale religione si appartenesse, e con
risposta volontaria, è stato fatto nel 2001, e il 71 per
cento degli inglesi ha affermato di identificarsi nella confessione
cristiana: dovrebbero essere circa 40 milioni di persone; ma sappiamo
che, ad esempio, la partecipazione alla Messa la domenica è
scarsa, al punto che già un anno fa si è registrato
il sorpasso della presenza nelle moschee rispetto a quella nelle
chiese. Se pensiamo che i musulmani in Gran Bretagna sono poco più
di due milioni, si capisce come la partecipazione alla Messa sia
molto bassa, tanto che a Manchester lanno scorso la diocesi
anglicana ha organizzato un programma in cui davano anche un biglietto
con le preghiere della settimana, e, insieme, una barretta di cioccolato,
per ringraziare i fedeli presenti. Ridicolo! Ma, di più,
sconsolante».
La crisi evidente nel Regno Unito attraversa le confessioni evangeliche
e luterane del Nord Europa. Invece i valdesi sono in buona ripresa.
Come si spiega questo fenomeno?
Negro: «Direi che essere una chiesa di minoranza in un certo
senso facilita le cose, perché si ha una maggiore coscienza
dellidentità. Sulla crisi delle Chiese scandinave,
avendo visitato per motivi di lavoro le Scandinavie molte volte,
avrei dei dubbi, nel senso che laddove le Chiese sanno muoversi,
sanno trasformare la liturgia, rendendola più attraente
per i giovani, sono seguite, e gli edifici sacri non sono poi così
vuoti».
Cè un risveglio di fede in qualche parte dEuropa?
Emergono segnali di vitalità della Chiesa cattolica nel Vecchio
Continente?
Giordano: «In Europa cè un dato di fondo che
si rimette in ricerca, sono anche gli schiaffi della Storia, dall11
settembre allo tsunami, o anche con la recente morte del Papa: sono
eventi che hanno fatto rinascere esplicitamente la domanda di spiritualità.
Una domanda che coinvolge soprattutto le giovani generazioni, che
ci riserveranno sicuramente delle sorprese, perché da una
parte sembrano indifferenti, ma dallaltra stanno cercando,
nel senso che si interrogano e interrogano. Si pensi a Paesi laici,
proprio come la Francia, dove lesperienza del catecumenato
sta aumentando a vista docchio. Si pensi anche a realtà
ecclesiali nuove, come i movimenti, le associazioni, le comunità,
che sono un lievito formidabile.
Altro elemento di rinascita cattolica: la crescita della comunione
nella Chiesa. Io lavoro nel Consiglio delle Conferenze Episcopali
in Europa, un organismo che lega le attuali 34 Conferenze. Dieci
anni fa cera un muro di incomprensione tra lEst e lOvest
europei. Adesso non è più così, siamo veramente
ununica famiglia; abbiamo alcuni problemi diversi, ma siamo
davvero ununica Chiesa cattolica. Si tenga conto che la società
chiede sempre più alla Chiesa una posizione autorevole sulle
questioni etiche. E la Chiesa cattolica è ascoltata su questi
temi, perché cè la percezione che le problematiche
che abbiamo (pensiamo al campo della vita legato alla biotecnologia)
sono enormi, e richiedono un punto di riferimento. Io vedo anche
in certi Paesi, come in Inghilterra, che la Chiesa cattolica, sebbene
minoritaria rispetto a quella anglicana, su questi temi è
molto ascoltata dallopinione pubblica. NellEst europeo
siamo usciti da una situazione in cui la Chiesa era costretta alla
clandestinità, e cominciamo a vedere una generazione che
pian piano si forma per essere presente nella società, per
essere presente nel pubblico, per essere presente nel mondo della
cultura. Anche qui è stato interessante vedere la collaborazione
che esiste fra i Paesi occidentali e quelli orientali: le Chiese
dellOccidente, con le loro ricchezze, con i loro mezzi, hanno
aiutato le Chiese dellEst, continuano ad aiutarle, e nello
stesso tempo hanno accolto molti doni: pensiamo alle tradizioni
spirituali, alle tradizioni liturgiche, alle tradizioni simboliche
dellEst europeo».
E nel mondo protestante?
Negro: «È difficile dire piuttosto qui o piuttosto
là. Io vedo un risveglio là dove le Chiese sono impegnate
nel movimento ecumenico, cioè là dove non pensano
a crescere da sole, ma piuttosto a come insieme si possa evangelizzare
questo nostro Continente, che effettivamente è un poco scristianizzato.
Beh, sotto questo profilo credo che ci siano molte esperienze belle
di missione ecumenica, di Chiese che camminano insieme e insieme
cercano di parlare agli uomini e alle donne dellEuropa contemporanea».
Il mondo ortodosso sembra vivere un periodo di rinascita, come
fosse sbocciato alla luce dopo loscurità imposta dallideologia
marxista. Per esperienza diretta, abbiamo verificato che è
vero che le chiese ortodosse sono stracolme, soprattutto durante
le feste tradizionali, come Natale, o Pasqua, o negli altri grandi
appuntamenti della liturgia. Per il resto, è possibile notare
le stesse scene che vediamo nelle chiese cattoliche o protestanti
europee. Alcuni dati, per testimoniare in qualche modo questo rinascimento
della religione pur tra mille contraddizioni, e nel vortice di una
società russa sempre più materialista. Dunque: il
75 per cento dei russi è ritornato alla fede nel 1988, anno
in cui Gorbaciov rese libera la pratica religiosa. Oggi, i battezzati
sono più di 40 milioni, su oltre 140 milioni di russi, e
lo stesso Putin racconta di aver ricevuto il battesimo in segreto
per merito della sua religiosissima nonna materna.
Poi cè la ricostruzione, la ristrutturazione del patrimonio
delle chiese, perduto nei decenni del comunismo staliniano. Nell88,
data di riferimento, le chiese rimaste erano cinquemila, mentre
oggi sono trentamila, e i monasteri, elementi molto importanti per
lortodossia, erano dieci, mentre ora sono più di trecento.
Il problema del finanziamento di chiese e conventi era stato dibattuto
già ai tempi di Eltsin e aveva suscitato qualche polemica,
perché ambienti della gerarchia religiosa erano stati sfiorati
da scandali finanziari legati ad alcuni benefìci e a commerci
agevolati affidati al Patriarcato. Adesso il mondo ortodosso si
finanzia innanzitutto con pochi contributi dello Stato che vengono
iscritti nella voce Conservazione dei beni e del patrimonio
culturale, poi con limmenso mercato del sacro, oltre
che con lintenso sviluppo turistico nelle chiese e nei monasteri
che circondano Mosca, con il cosiddetto Anello dOro.
Pochi i contributi dei fedeli, in gran parte povera gente.
Ma cè nel Vecchio Continente un futuro per il Cristianesimo?
Negro: «Io sono convinto che ci sia, e come elemento positivo
vorrei citare un processo che è stato appena avviato da noi
come Conferenza delle Chiese Europee, insieme al Consiglio delle
Conferenze Episcopali Europee: stiamo mettendoci in via per la Terza
Assemblea Ecumenica continentale, che si svolgerà a Sibiu,
in Romania, nel 2007, sul tema La luce di Cristo illumina
tutti. Speranza di rinnovamento e di unità in Europa.
Sarà unassemblea nel corso della quale cercheremo proprio
di riflettere sulle nostre responsabilità, per dare dei valori
a questEuropa. Rivitalizzazione delle radici cristiane in
Europa: può essere implementata dallattività
di un Benedetto XVI che ha uno sguardo molto attento allEuropa?
Ecco, questa è la nostra speranza, anche perché questo
Pontefice è non solo un grande teologo, ma anche un profondo
conoscitore del mondo protestante. Di conseguenza, da questo punto
di vista, si hanno delle aspettative senzaltro positive».
I nuovi martiri
È nel nome di Cristo che ancora oggi, mentre 15-20 milioni
di musulmani sono stati definiti «la più massiccia
quinta colonna presente in Europa», i cristiani sono perseguitati
da chi teme, o addirittura disprezza la Croce. Licona del
San Sebastiano trafitto, dipinto da Andrea Mantegna, è il
drammatico emblema di 40 milioni di vittime della persecuzione contro
la Chiesa nel XX secolo: ancora adesso 160 mila persone allanno
sono uccise a causa della loro fede cristiana, e malgrado questo
continuo massacro intellettuali, media, università, politici
vilmente tacciono.

Di fronte ai nuovi perseguitati, poche voci. Quella
di Lévi-Strauss: «Ho cominciato a riflettere, in un
momento in cui la nostra cultura aggrediva le altre culture, di
cui perciò mi sono fatto testimone e difensore. Adesso ho
limpressione che il movimento si sia invertito e che la nostra
cultura sia sulla difensiva di fronte alla minaccia islamica. Di
colpo, mi sento etnologicamente e fermamente difensore della mia
cultura».
Poi, quella di Galli della Loggia, per il quale davvero il Novecento
appare «il secolo del martirio». Comè potuto,
e può ancora oggi accadere che di fronte al gran fiume di
sangue cristiano la nostra cultura abbia così scarsa memoria
e consapevolezza? Risponde Galli della Loggia: «Nellemisfero
settentrionale del pianeta se si prescinde dallanticlericalismo
massonico che celebrò i suoi fasti liberticidi nel Messico
è soprattutto al fenomeno totalitario che va attribuita
la massima responsabilità delle persecuzioni anticristiane.
Il materialismo biologico del nazionalsocialismo e il materialismo
storico del marxismo (portato al parossismo nella versione bolscevico-leninista)
hanno rappresentato i due più massicci attacchi teorici che
storicamente siano stati mai portati a qualunque prospettiva fondata
sulla trascendenza, in particolare a quella cristiana. Radicalmente
ateistici per la loro scaturigine dottrinale, nazismo e comunismo
sovietico hanno poi sviluppato tale scaturigine in due costruzioni
socio-politiche impregnate di unoppressione statolatrica avvezza
a non arretrare di fronte a qualsivoglia violenza».
Discorso diverso per lemisfero meridionale. Nel sud del mondo,
i fattori decisivi sembrano essere stati due: «Il primo e
più importante, laffermazione, sulle ceneri del colonialismo,
di un gran numero di statualità indipendenti governate da
élite, le quali non solo avevano in genere uno sfondo culturale
estraneo a quello cristiano, ma verso tale sfondo [
] nutrivano
quasi sempre una comprensibile ostilità. Sicché in
molti casi si è rivelata, e tuttora si rivela troppo forte
per queste élite la tentazione di procurarsi il consenso
loro necessario rimestando il fondo limaccioso dellintolleranza
verso la religione dei passati dominatori».
Altro fattore non trascurabile: «Il venir meno del ruolo
protettivo nei confronti del Cristianesimo e dei cristiani in genere
al quale le Potenze europee dalla Russia alla Francia
si sentivano un tempo obbligate in forza della loro storia: dellessere
cioè degli Stati cristiani, vale a dire fondati su un nesso
identitario decisivo tra religione e dimensione pubblica [
].
Di questo attacco, sviluppatosi più o meno silenziosamente
nel tempo, ci siamo accorti solo dopo il terribile scoppio dell11
settembre. Solo dopo quella data ci siamo accorti [
] che il
Cristianesimo è stato, è, tra le principali vittime
dello scontro, e dunque, forse con sorpresa di molti, abbiamo scoperto
ancora una volta che quando la storia addensa le sue tempeste e
ci interpella sulle questioni ultime, allora la nostra risposta,
la verità che decide di cosa siamo, non può che essere
nel segno di quella Croce sulla quale, duemila anni fa, fu inchiodato
un ebreo che diceva di essere figlio del Dio di Abramo».
Legislazioni restrittive in Francia. Approvate nel 2001 misure
drastiche nei confronti di alcune comunità religiose, fra
cui SantEgidio e lOpus Dei. In Russia il visto dingresso
è vietato ai missionari. I partiti social-comunisti al potere
in alcuni Stati impediscono il libero esercizio del culto. La Corea
del Nord giustizia i cristiani. Il Vietnam perseguita i montagnard
cristiani. In Cina 90 milioni di cristiani vivono sotto lincubo
della repressione religiosa. Ultime notizie risalenti al 2002: scomparsi
33 tra vescovi e preti. Paesi in cui prevalgono le discriminazioni
fondate sulla legge islamica: in Sudan (soprattutto nella regione
del Darfur) negli ultimi ventanni sono stati uccisi due milioni
di cristiani; in Arabia Saudita è vietato celebrare messe
e costruire chiese; persecuzioni sono allordine del giorno
nellarcipelago indonesiano (particolarmente nelle Molucche)
e nelle Filippine; migliaia di morti in Nigeria e in Kenya a causa
di conflitti tra musulmani e cristiani; missionari uccisi nella
Repubblica democratica del Congo. Aree induista/buddista: persecuzioni
buddiste nel Nepal e nello Sri Lanka dove, dal 2001, sono in corso
attacchi armati contro chiese cattoliche e protestanti; persecuzioni
induiste contro i missionari in India.
Silenzi tombali di progressisti, terzomondisti e affini delle nostre
latitudini.
E intanto il Capo del Grande Satana, il Presidente americano,
rappresenta in pubblico la sua fede cristiana, prega e nomina Dio
nei grandi discorsi strategici, sebbene lAmerica, a differenza
dellEuropa, non sia Paese di Concordati, ma Paese in cui il
muro di separazione tra religione e politica è alto e robusto.
Però agli americani, dice Giuliano Ferrara, dalla Casa Bianca
al piccolo ranch del Midwest, dalla comunità protestante
conservatrice della East Coast agli evangelici e ai rinati cristiani
del Sud e dellOvest, da sempre interessa la libertà
di credere, la libertà della religione come concetto opposto
alla libertà laicista dalla religione.
E non si tratta di una forma di devozionalismo subalterno ai ministri
del culto, né di unideologia bigotta: in America, «per
ragioni profonde, legate allidentità del Nuovo Mondo,
si è sempre fatto così». Fu nel nome della fede
cristiana che fu vinta la più grande delle guerre culturali
dellOttocento, lemancipazione dei neri dalla schiavitù.
Labbandono del Medioevo (che lIlluminismo semmai completò,
ma non poté cancellare) ha portato la politica europea a
negare ogni riferimento alle radici cristiane, come invece insistentemente
chiedeva Wojtyla, insieme con una minoranza di laici. I francesi
e gli altri (quelli presi a schiaffoni dal voto negativo sulla farraginosa
Costituzione varata) hanno preferito dare spazio ai Concordati,
ma hanno lasciato fuori lEuropa cristiana come eredità
culturale, come sedimento di spiritualità stratificatosi
nel tempo accanto ad altri affluenti del modo di essere europei.
Dice ancora Ferrara: «Sospetto [
] che questo respinto
dagli elettori sia il vecchio volto europeo, e che un nuovo pensiero,
non già oscurantista bensì più libero e laico
nel senso profondo del termine, si stia facendo largo».
Cristo, dunque,
va oltre. Non si ferma al XXI secolo.
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