La ricerca
della felicità può
risolversi solo
in unideologia
totalitaria se le componenti
egoistiche vengono mascherate
o trasfigurate.
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Fin dai giorni di Aristotele, la felicità è stata
lo scopo ultimo di ogni teoria politica. La filosofia aristotelica
specialmente nella forma cristiana ad essa data dallo scolasticismo
di Tommaso dAquino era prudente abbastanza da dichiarare
che lultima et perfecta beatitudo poteva essere raggiunta
solo nel regno dei cieli. Nel nostro mondo terreno, si riteneva
realizzabile poco più che linstaurazione di un insieme
ragionevole di leggi, una cornice al cui interno gli uomini potessero
trovare la propria felicità come esseri sociali.
Era questa, nonostante le sue grandi ambizioni teologiche, una filosofia
umile, nel senso di consapevole dellesistenza di limiti. La
dottrina della beatitudine ultima fu secolarizzata (e banalizzata)
dalla scuola moderna dellutilitarismo, la cui nascita coincide
con laffermazione di Jeremy Bentham, secondo il quale tutti
gli uomini sono «soggetti [
] al dominio di due padroni
e signori, la pena e il piacere» e vorrebbero sfuggire alla
prima. Il principio della massima felicità per il maggior
numero divenne linevitabile pietra di paragone con cui
la filosofia politica saggiava la politica stessa.
Nonostante la banalità dei suoi assiomi fondamentali (chi
non vuole che la gente sia felice?), lutilitarismo non era
una filosofia umile: non poteva cioè accontentarsi di lasciar
le persone libere di realizzare le proprie idee di felicità
allinterno di una cornice aperta di regole astratte. Queste
potevano solo consentire la felicità, non certo garantirla:
gli assiomi benthamiani, pertanto, resero moralmente imperativo
un intervento che andasse al di là delle regole medesime.
In pochi anni, la storia mostrò come gli utilitaristi radicali
dei primi dellOttocento pur sostenendo tesi del tutto
liberali in materia di commerci si volgessero allo statalismo
in quasi ogni altra sfera della politica. Nella seconda metà
del secolo, di fatto, abbandonarono anche il loro iniziale liberismo
in economia. Gli scritti più tardi di John Stuart Mill sono
molto istruttivi sul punto.

Lidea che la felicità personale sia realizzabile con
lapplicazione di leggi è apertamente totalitaria. In
quanto tale, non troverebbe probabilmente molti sostenitori come
fondamento ultimo e integrale di un sistema completo di governo.
È per questo che sono state usate con notevole successo altre
giustificazioni di base per il totalitarismo. Si possono ricordare,
a tale proposito, il socialismo e il nazionalismo. Al giorno doggi
sembrerebbe che sia lambientalismo ad esser diventato di moda
fra gli intellettuali più inclini al totalitarismo. Ci toccherà
forse, nei prossimi decenni, di assistere alla nascita di uneco-dittatura.
E tuttavia nella sostanza il successo di queste e simili ideologie
si spiega in larga misura con le attese irrazionali di una superiore
felicità, che si sarebbe in qualche modo potuto imporre,
una volta e per sempre. Chiaramente, è così che stanno
le cose per quanto riguarda il socialismo; ma anche il nazionalismo
ha la propria contorta logica utilitarista, poiché dulce
et decorum est pro patria mori, come dicevano gli antichi, riecheggiando
Orazio.
La ricerca della felicità, a quanto sembra, può risolversi
solo in unideologia totalitaria se le (inevitabili) componenti
egoistiche vengono comunque mascherate o trasfigurate. Tale mascheramento
parrebbe richiedere che si operi una qualche distinzione fra piaceri
nobili e piaceri bassi; e questo, benché
lidea, lo si deve riconoscere, fosse stata respinta dai primi
utilitaristi.
Il vero pericolo, dunque, non è il totalitarismo esplicito
del passato. È piuttosto il totalitarismo strisciante, quel
totalitarismo pragmatico a cui lutilitarismo offre
le migliori basi ideologiche. E le offre perché lidea
utilitarista dellincrementare il piacere personale è
per un verso molto ampia, e si presta agevolmente ad essere materializzata
sotto specie razionale; per altro verso, invece, non contiene alcuna
chiara proposta in merito allordine politico che si presume
capace di garantire la massima felicità.
È stato questo il problema fin dallinizio, quando lutilitarismo
era per così dire ancora in culla. Latteggiamento utilitarista
verso il valore della libertà offre un buon esempio al riguardo.
Negando la validità della tesi di Locke, formulata in termini
di diritti di libertà, per la quale la libertà stessa
è un diritto fondamentale di cui ciascun individuo gode come
parte del diritto alla proprietà di se stesso, nel 1789 Bentham
scrive che la libertà può esistere solo come particolare
«privilegio, immunità o esenzione». E coerentemente
continua: «In corrispondenza dunque al numero infinito di
tali libertà, vi è il numero infinito delle variazioni
ammesse [
] dalle condizioni del dominio. Tali variazioni,
è evidente, possono in Paesi differenti essere infinitamente
diverse».
Nessuno potrebbe affermare che quanto sopra citato consenta la formulazione
di un ideale coerente circa i limiti etici di un qualunque regime
politico. È arduo anzi sostenere che, in questi termini,
vi sia qualcosa che ai politici non sarebbe consentito di fare.
Quasi tutti i problemi dei nostri attuali governi democratici possono
essere fatti risalire a queste asserzioni.
In primo luogo, in tutti i governi moderni coesistono elementi liberali
ed elementi illiberali, selezionati in maniera arbitraria. Ovviamente,
e nonostante tutte le dichiarazioni costituzionali sul punto, da
nessuna parte la libertà è vista come inalienabile
diritto di nascita della nostra specie. Può essere concessa
qui e sottratta là. In certi casi, è consentito perseguire
la propria idea di felicità (benché per chi ricerca
il proprio piacere risulti quasi impossibile scoprire un terreno
di caccia che non sia iperregolato); ma in aree sempre più
numerose lo Stato si impegna a fondo nel tentativo di dettare ai
singoli quali siano i loro interessi obiettivi in quella
direzione.
In secondo luogo, la tendenza alla crescita del settore pubblico
diventa inevitabile e irrefrenabile. Per lutilitarismo di
Bentham non esiste alcunché di simile alla felicità
collettiva. «Linteresse della comunità allora
è che cosa? la somma degli interessi dei diversi
membri che la compongono. È vano parlare dellinteresse
della comunità senza aver compreso che cosè
linteresse dellindividuo». Per una volta, lutilitarismo
mostra il profilo marcatamente liberal-individualista del suo credo.
Poiché tale profilo, tuttavia, non è intrinsecamente
connesso con un ordine politico liberale, fondato sui limiti naturali
del potere, le conseguenze di questo (altrimenti benvenuto) individualismo
sono sostanzialmente fatali. Quando i governi agiscono in nome della
felicità della gente possono servire solo gli interessi parziali
di individui o di gruppi definiti. Se la massimizzazione della felicità
diviene un imperativo morale e politico, il governo sfugge inevitabilmente
a qualunque controllo. Leconomia politica moderna lo ha confermato.
Gli economisti della scelta pubblica, come il Premio Nobel James
Buchanan, hanno analizzato con strumenti economici i processi e
le istituzioni politiche. E, così facendo, hanno infranto
il mito che uno Stato democratico moderno serva lidea del
bene comune: in pratica, queste teorie sostengono che lambizione
egoista alla rielezione nutrita dai parlamentari è di per
sé sufficiente a mettere lo Stato alla mercé dei gruppi
di interesse alla ricerca di rendite. Se si vuole una spiegazione
del perché i deficit pubblici, semplicemente, non vengano
ridotti, perché la tassazione sia un onere sempre più
gravoso, perché anche le più assurde regolamentazioni
in favore di certi gruppi e i più superflui sussidi non possono
essere toccati ebbene, questa è la risposta.
La scuola economica della scelta pubblica ha suggerito ladozione
di nuove e più rigide regole costituzionali, tali da impedire
ai governi di espandere la propria sfera di attività e di
promuovere interessi particolari. Lidea parrebbe eccellente,
benché poi possano sorgere immensi problemi pratici nel passaggio
alla realizzazione. A chi toccherebbe instaurare le nuove regole,
se non a quegli stessi politici inevitabilmente fuorviati dalle
regole vecchie? La creazione di nuovi, funzionanti assetti costituzionali
ha avuto il massimo successo là dove è avvenuta a
seguito di una vera e propria rivoluzione, oppure, come nella Germania
del secondo dopoguerra, dopo il totale collasso dellordine
politico precedente. Non mi sentirei di raccomandare né luna
né laltra soluzione.
Resta vero, però, che gli argomenti di molti economisti politici
contemporanei puntano nella direzione giusta: puntano, cioè,
a qualcosa di diverso dalle incomplete teorie dello
stato finale che per così lungo tempo hanno costituito le
basi della politica, ed escludono che lutilitarismo debba
indurci a tentare di rendere le persone più felici per via
di legge.
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