Ci furono sempre, nelle parole di questo Papa,
una sincerità e una coerenza che non si trovavano in altri
critici di quel comunismo.
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Lho avuto dapprima antagonista e poi interlocutore nei sei
anni in cui fui presidente dellUnione Sovietica. Ci combattemmo,
poi capimmo che le nostre posizioni non erano poi tanto distanti.
Ora che non cè più, posso dire che nella storia
della Chiesa ci sono stati pochi Papi così longevi come Giovanni
Paolo II, e così importanti, per avere attraversato unintera
epoca di eccezionali cambiamenti non da spettatori ma da protagonisti.
È questo un dato specialissimo, niente affatto scontato,
perché gli eventi, da soli, non rendono grande chi li vive.
Soltanto chi sa interpretarli e vi si immerge lascia un segno nella
storia.

Wojtyla ebbe una visione profondamente umanistica che gli consentì
la scelta per la dignità dellindividuo. In tutti i
sensi. Durante gli anni del suo pontificato, dal Vaticano sono venute
parole diverse, a seconda delle fasi storiche e politiche, ma forte
e costante è sempre stata la denuncia della gravissima situazione
dingiustizia e di diseguaglianza che affligge il mondo moderno:
il fatto che miliardi di individui siano e rimangano afflitti da
tanta sofferenza, povertà, fame, assenza di lavoro, e, quindi,
da oppressione politica e dalla sistematica violazione dei loro
diritti umani più elementari.
Certo, questo Papa fu un implacabile accusatore del comunismo. La
sua critica dellassenza di libertà individuali nel
sistema politico sovietico fu giusta. Io stesso, che pure vi ero
nato e cresciuto, ero giunto a conclusioni analoghe e, proprio per
questo, mi ero impegnato a riformarlo. Ma ci furono sempre, nelle
parole di questo Papa, una sincerità e una coerenza che non
si trovavano in altri critici di quel comunismo: cioè Giovanni
Paolo II denunciava la mancanza di libertà dovunque si manifestasse,
nel comunismo ma anche nel capitalismo. Per questa ragione fu osteggiato
dalle potentissime congreghe dei vincitori della guerra fredda.
Ho avuto occasione di definire questo Papa un impolitico,
nel senso che andava diritto per la sua strada, senza badare più
di tanto alla diplomazia: prima, durante la lotta contro il marxismo,
poi nella denuncia del materialismo capitalista.

Bene: credo che questo Pontefice, che pure aveva tratti di totale
intransigenza, sia stato al fondo un politico realista. Richiamare
lattenzione del mondo sui suoi problemi più urgenti,
tutti improcrastinabili, era realismo e lungimiranza. Cosa ben diversa
dal realismo di piccolo respiro dedicato a chiudere le falle e a
risolvere meschini interessi di breve momento. La sua attenzione
al Terzo Mondo, al debito che lo schiaccia in misura crescente,
ne è la prova. In queste condizioni non può esserci
sviluppo e, quindi, non può esserci pace, perché
come disse subito dopo l11 settembre «non può
esserci pace senza giustizia». È lo stesso principio
che lo aveva guidato nei suoi appelli e nella sua azione per la
pace in Medio Oriente e per la soluzione della crisi tra lo Stato
dIsraele e lo Stato di Palestina.
Dopo il 1989 Wojtyla e io ci siamo incontrati in diverse occasioni
e, ogni volta, ho avuto la conferma che luomo che mi era di
fronte aveva una chiara consapevolezza della drammaticità
delle sfide del mondo contemporaneo. Del resto, fin dal primo contatto
avevo provato fiducia, istintivamente. E credo che sia stata una
comprensione reciproca. Certo, eravamo diversi, con percorsi di
vita che più differenti non avrebbero potuto essere. Eppure
e questo non cessa di stupirmi ancora oggi io e lui
eravamo giunti agli stessi approdi nel giudizio sulluomo.
Forse, chissà, in questa convergenza giocava il fatto che
entrambi fossimo uomini dellEst.
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