Partecipando
a “Coppula Tisa” abbiamo voluto
raccogliere
e rilanciare una sfida che è
culturale ed
economica allo stesso tempo.
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Ricordo bene il giorno in cui Edoardo Winspeare venne in banca
per parlarmi di “Coppula Tisa”, della sua lucertola
salentina, che, come ebbe a ripetermi più volte nel giro
di pochi minuti, «non demorde e continua ad adunare il suo
esercito di volontari per difendere la bellezza del paesaggio salentino».
Rammento pure le sensazioni che avvertii mentre Winspeare continuava
ad espormi il suo progetto con quello slancio, quella passione,
quell’entusiasmo che lo rendevano, almeno così mi sembrava
in quei momenti, sempre meno progetto e sempre più una sorta
di moderna “chiamata” alle “armi” per combattere
una guerra, beninteso incruenta, contro «il brutto oggettivo,
conclamato e irrimediabile. Il brutto-brutto, insomma: il brutto
senza appello e senza speranza».
Dinanzi a questa “chiamata” le mie reazioni furono due.
La prima – più epidermica e pragmatica – mi suggeriva
di salutare l’interlocutore e la sua utopia, ringraziandolo
della parentesi onirica che mi stava dando “e a gratis”
(anch’io so parlare in dialetto), prima di tornare ad occuparmi
di “cose concrete” in maniera concreta, come si vuole
da chi lavora in banca (a ciascuno il suo!) e come d’altronde
pretendevano le persone che nella stanza affianco aspettavano il
loro turno per entrare e sedersi al posto di Edoardo e trattare
i loro “travaij”.
A mano a mano però che Edoardo mi parlava della sua lucertola,
la reazione iniziale cominciò a diminuire fino a scomparire
e ad essere sostituita da un’altra certamente più buffa
e surreale. Guardavo Winspeare, che continuava a “tormentarmi”
con la stessa caparbietà della sua lucertola e lo stava facendo
talmente bene che ad un certo punto cominciò ad assumere,
mentre parlava, le sembianza del lucertolone con la “coppula
tisa”, con la visiera rialzata, simbolo di quei “cafoni”
fieri, arditi, cocciuti che non vollero piegare mai la testa ai
soprusi, alle angherie, alle ingiustizie; di quei “cafoni”
che non si rassegnarono, che non abbassarono la visiera delle loro
“coppule” sin sotto gli occhi, per continuare a “vedere”,
a camminare a testa alta.

In altri momenti della conversazione le parole di Edoardo mi sembravano
quasi riecheggiare un bando cavalleresco: madama “Bellezza”
chiama alle armi quanti vogliono combattere la buona battaglia sotto
le sue insegne.
Voglio rassicurarvi, non mi sento, né mi sono mai sentito,
un novello oplita, ma quelle descritte sono sensazioni (durate pochissimo
ma di forte intensità) che mi piace proporvi, prima di chiarire
il senso e la portata della partecipazione di Banca Popolare Pugliese
a “Coppula Tisa”.
In breve, le ragioni della nostra adesione al progetto di “acquistare
ecomostri per distruggerli”, vanno ricercate innanzitutto
nel DNA della nostra Banca : “popolare” e “pugliese”.
In quanto “popolare” e “pugliese”, Winspeare
si è rivolto a noi, piuttosto che ad altre banche, che avrebbero
potuto, almeno in ipotesi, sostenerlo come noi e, forse, più
di noi in termini economici.
In quanto “popolare” e “pugliese” la nostra
banca ha deciso di sposare l’iniziativa, non attraverso una
sponsorizzazione o un’adesione a distanza, come si usa oggi,
ma attraverso una condivisione che è innanzitutto culturale:
vogliamo che i nostri figli abbiano un Salento integro e bello così
come lo abbiamo conosciuto. Partecipando a “Coppula Tisa”
abbiamo voluto infatti raccogliere e rilanciare una sfida che è
culturale ed economica allo stesso tempo: dobbiamo dimostrare di
aver capito non solo con l’intelletto (la cosa di per sé
non è difficile) ma con gli atti e i comportamenti assunti
da ciascuno di noi quotidianamente che l’integrità
e la bellezza del territorio costituiscono la più grande
capitalizzazione delle nostre risorse, in primo luogo di quelle
turistiche.
E la Banca? Anche questa occasione ci è propizia per “esporci”
in prima linea nel supportare lo sviluppo economico locale con un’attenzione
particolare a quella imprenditoria sana, in grado di coniugare crescita
economica e rispetto del territorio, della sua storia, delle sue
tradizioni.
E’ in questa direzione che va collocata l’iniziativa
della Banca, che si affianca a tante altre, così come attesta
il nostro Bilancio sociale per la responsabilità
etica e sociale nella gestione d’impresa, giunto ormai alla
quinta edizione.
Non mi nascondo, ovviamente, i limiti e i vincoli dell’iniziativa.
Innanzitutto, “Coppula Tisa” non aspira a eliminare
tutto il brutto che c’è, ma solo ad attuare alcune
iniziative dimostrative ad alto contenuto simbolico (distruggere
per ricostruire, non è forse il ciclo della vita?), che destino
quanti dormono o sonnecchiano (sia nel pubblico che nel privato).
Gli interrogativi non sono pochi. Una volta esaurito lo slancio
iniziale, che contrassegna queste iniziative, saremo capaci di “gestire”
le fasi successive di inevitabile riflusso? Per quanto tempo bisognerà
raccogliere fondi per acquisire i “mostri” da eliminare?
Che cosa fare dei luoghi ripuliti? E così via.
A queste (e ad altre) domande, “Coppula Tisa” è
chiamata a rispondere e lo farà nella misura in cui ne sarà
capace. L’importante è che l’iniziativa contribuisca
a smuovere le coscienze. I vincoli e i limiti non sono pochi, ma
riusciranno ad impedire che le intenzioni si tramutino in azioni?
Io credo di no, e lo credo perché è nei limiti e nella
“stranezza” di “Coppula Tisa” che sono racchiusi
la forza e il valore simbolico dell’iniziativa.
«Credo, quia absurdum», direbbe Ezra Pound. «Credo,
perché assurdo», ma quante volte l’assurdo è
diventato realtà? Edoardo col suo modo di fare e di dire
apparentemente scanzonato pone interrogativi seri: «La Bellezza
salverà il mondo come ricerca d’armonia e d’amore»
(Dostoevskij)? Per quanto mi riguarda, non so rispondere. Ma se
la Bellezza, da sola, non riuscirà a salvare il mondo, “sento”
che potrà parteciparvi enormemente.
Da uomo “pratico”, sono d’accordo con Winspeare
quando dice che è «complicato indagare e accertare
cos’è bello e cosa invece è brutto, e particolarmente
temerario approfondire la differenza fra bello e brutto, tema che
infatti implicherebbe dispendiose riflessioni…». Non
voglio rubare il mestiere a filosofi, teologi o intellettuali, vorrei
però, non sapendo definire in positivo i tratti della Bellezza,
proporre quanto è “Non-Bellezza”, attraverso
una frase pronunziata da Lenin: «E’ l’ora in cui
non è più possibile sentire la musica, perché
la musica fa venire desiderio di accarezzare la testa ai bambini,
mentre è venuto il momento di tagliargliela». Dal suo
punto di vista Lenin aveva indubbiamente ragione. Tra il bello e
il bene esiste un legame misterioso, inafferrabile, ma indistruttibile.
Ed è per questo che evidentemente soprattutto i regimi totalitari
ci hanno regalato le architetture più orrende della storia.

Con “Coppula Tisa” vogliamo fare il contrario di Lenin.
Vogliamo continuare a “sentire la musica” e a non aver
paura del desiderio di “accarezzare la testa ai bambini”.
Si tratta, per dirla con Edoardo, di «lottare contro la volgarità
dilagante e il contemporaneo cinismo per recuperare l’Incanto
perduto», per riscoprire la Bellezza, non solo la Bellezza
circoscritta dai canoni accademici o relegata nell’atmosfera
irreale dei musei, ma la Bellezza sparsa, come un polline, nei petali
della vita, nei gesti, negli sguardi e nelle parole, nei volti,
negli oggetti, nelle case, nelle strade, nel trascorrere incessante
della vita quotidiana. Una bellezza incarnata. Una Bellezza dalla
quale potrà nascere un nuovo umanesimo per illuminare le
nostre tenebre.
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