La politica estera americana trova più
facile
confrontarsi con le categorie del bene e del male
piuttosto che con i sottili calcoli dei Consigli dei
ministri europei.
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Gli attacchi allAmerica dell11 settembre 2001 hanno
scosso dalle fondamenta il concetto di sovranità che fin
dal Trattato di Westfalia del 1648 ha sorretto la legittimità
del sistema internazionale. I suoi princìpi fondamentali
attribuivano alla politica estera il ruolo di prerogativa di nazioni
immaginate come pari fra loro e tenute a non interferire nelle rispettive
politiche nazionali. Con l11 settembre il mondo è entrato
in una nuova era, nella quale organizzazioni private ed esterne
al sistema statale si sono dimostrate capaci di minacciare la sicurezza
nazionale e internazionale con attacchi a sorpresa. La polemica
in corso sulla necessità della prevenzione è un sintomo
dellimpatto di questo mutamento. Alla base cè
il conflitto tra la nozione tradizionale di sovranità e ladattamento
richiesto dalla tecnologia moderna e dalla natura della minaccia
terroristica.
A mio parere la prevenzione è inseparabile dalla guerra contro
il terrorismo, ma i casi in cui deve essere attivata richiedono
unanalisi attenta e il dialogo nazionale e internazionale.

La base di Osama bin Laden era sul territorio di uno Stato sovrano,
ma i suoi obiettivi trascendevano la sfera nazionale. Elementi addestrati
e altamente specializzati erano stati infiltrati in tutto il mondo,
alcuni nei territori dei più stretti alleati dellAmerica,
altri persino allinterno della stessa America. Godevano di
supporto finanziario e logistico da parte di un certo numero di
Stati e soprattutto da parte di privati evidentemente non controllabili
dai rispettivi governi di appartenenza. Le loro basi di addestramento
erano dislocate in diversi Paesi, ma solitamente in aree non controllate
e non controllabili dai governi nazionali, come nello Yemen, in
Somalia, o magari in Indonesia.
In questo scenario, il sistema internazionale basato sulla sovranità
dei singoli Stati era messo sotto scacco da una minaccia transnazionale
che doveva essere combattuta sul territorio di diversi Paesi, per
questioni che trascendevano il concetto di interesse nazionale.
Minacciando direttamente gli Stati Uniti, i terroristi si erano
garantiti sul fatto che la battaglia si sarebbe svolta secondo le
regole imposte dalla speciale natura dellAmerica. Perché
lAmerica non ha mai pensato a se stessa semplicemente come
a una nazione tra le altre. Il suo ethos nazionale si esprime come
una causa universale perché identifica la chiave di volta
della pace nellespandersi della democrazia. La politica estera
americana trova più facile confrontarsi con le categorie
del bene e del male piuttosto che con i sottili calcoli sulla convenienza
nazionale delle diplomazie dei Consigli dei ministri europei. In
Europa le voci critiche che si rifanno al pensiero più tradizionale
accusano gli americani di avere reagito in modo eccessivo perché,
fondamentalmente, il terrorismo per loro è un fenomeno nuovo:
gli europei negli anni Settanta e Ottanta lo sconfissero senza bandire
crociate planetarie.
Ma il terrorismo di ventanni fa era di tipo differente. Lo
praticavano solo cittadini del Paese in cui avvenivano gli atti
di terrorismo (o, nel caso dellIra, in Gran Bretagna, appartenenti
a un gruppo che avanzava particolari rivendicazioni). Benché
alcuni gruppi ricevessero aiuti da servizi segreti stranieri, le
loro basi si trovavano nei Paesi in cui agivano. Le loro armi per
lo più erano adatte soltanto ad attacchi individuali. Per
contro, l11 settembre i terroristi operano su base mondiale,
sono motivati, più che da una specifica rivendicazione, da
un odio generalizzato e hanno accesso ad armi che possono ben supportare
la loro strategia di uccidere migliaia di persone, e anche più.
Subito dopo l11 settembre questa sostanziale differenza svanì
nello shock generale, che fece aprire gli occhi a molte nazioni
sullimportanza degli Stati Uniti come garanti della stabilità
internazionale nel senso tradizionale del termine. Gli aspetti di
polizia e di intelligence internazionale della lotta al terrorismo
cioè quelli più compatibili con il principio
della cooperazione fra Stati sovrani ricevettero un appoggio
pressoché universale da parte della comunità internazionale.

Poiché lattacco agli Stati Uniti era stato lanciato
dal territorio di uno Stato sovrano, la guerra contro al Qaeda e
i talebani in Afghanistan registrò un consenso molto diffuso
e ottenne piena collaborazione. Ma, avviata a conclusione loperazione
afghana, la fase successiva della campagna contro il terrorismo
era destinata a porre laccento su come affrontare la minaccia
di un evento, piuttosto che la sua manifestazione. Allepoca
del Trattato di Westfalia erano gli spostamenti degli eserciti a
far presagire il pericolo, ma oggi la moderna tecnologia al servizio
del terrore non concede avvisaglie e gli esecutori svaniscono nellattuazione
stessa dellattacco. Ne discende che, se si profila la seria
prospettiva di una minaccia terroristica dal territorio di un Paese
sovrano, una certa opera di prevenzione compresa lazione
militare è parte integrante dellallerta. E gli
Stati che ospitano i covi dei terroristi o i loro centri di addestramento
non possono invocare il concetto tradizionale di sovranità,
perché la loro integrità nazionale è stata
preventivamente violata dai terroristi. Ed è a questo punto
che il tema della prevenzione in senso lato si fonde inevitabilmente
con quanto riguarda lIraq.
Porre le regole per la prevenzione non è cosa che si possa
risolvere da soli. Come nazione più potente al mondo noi
abbiamo gli strumenti per sostenere i nostri punti di vista. Ma
abbiamo anche lo speciale obbligo di basare le nostre scelte politiche
su princìpi che trascendano limposizione del potere
del più forte. Un ruolo di leadership mondiale richiede laccettazione
di alcuni vincoli anche sulle proprie azioni, per far sì
che gli altri compiano sforzi analoghi. Non è nel nostro
interesse, né in quello del mondo, aprire la strada a regole
che garantiscano a ogni Stato un diritto insindacabile di prevenzione
contro ciò che valuta soggettivamente come una minaccia alla
propria sicurezza. Di conseguenza, il tema della prevenzione dovrebbe
far parte di un serio sforzo di consultazione, al fine di stabilire
princìpi generali che le altre nazioni possano trovare condivisibili.
Certo, la consultazione non è una pozione magica per tutti
i mali: alcuni obiettano che è solo un espediente per procrastinare
la decisione. E, alla resa dei conti, gli Stati Uniti si riservano
il diritto di intervenire da soli. Ma è molto diverso se
lAmerica agirà da sola come ultima risorsa, invece
che per una preferenza strategica. Soprattutto, una volta che il
Presidente statunitense abbia annunciato la sua decisione e fatto
sì che lAmministrazione si esprima con una sola voce
e senza ambiguità, è difficile credere che i nostri
più leali alleati potranno gettare a mare mezzo secolo di
Alleanza atlantica.
Troppo, nei commenti europei in proposito, è pilotato dalle
politiche nazionali. La preoccupazione degli americani non dovrebbe
essere liquidata con accuse di avventurismo ed è improbabile
che lo sia, una volta che lorientamento degli Usa sia chiaro
e le pressioni elettorali europee si siano acquietate.
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