Nellultima
poesia pubblicata
è racchiuso il senso di una vita divisa fra autodafé
e implorazione che gli sia insegnata ledenica perduta grazia
dei fiori
e dellacqua.
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Stefano Coppola (Roma 1951-Lucca 1982), prima di Poesie scelte,
edizione e studio introduttivo di Oreste Macrì, Piero Manni
Editore, Lecce 1992, pp. 126, è stato un poeta inedito e
ignoto. Figlio di padre salentino (Waldemaro, primario chirurgo),
di Lucugnano presso Tricase di Lecce, e di madre perugina (Anna
Maria Baioletti). Infanzia nei luoghi paterni, poi emigrato con
la famiglia a Pisa, a Roma, a Lucca.
Determinante per la sua poesia lanagrafe originaria: «La
terra salentina, in parte di sangue e interamente delezione,
costituisce il fondamento iconico-familiare, naturale-paesistico,
di costume e artistico architettonico e pittorico, dogni sua
immaginazione, sì da inserire subito la poesia di Coppola
nella costellazione dei nostri maggiori poeti conterranei: Comi,
Pierri, Bodini, Pagano, DAndrea e Salvatore Toma in lingua;
Gatti, Caputo e De Donno in vernacolo; da restringere a Bodini,
Pagano e Toma nellaspetto maudit del processo creativo-scrittorio;
nel quale lesasperato, barocco ed espressionista elemento
esistenziale (distruttivo e salvifico), quanto più è
liberato, tanto più tempera al confine di rottura lelemento
propriamente estetico-formale».
Solitaria e irrelata la sua esperienza di poeta, specchio di un
isolamento interiore drammatico e di una dissociazione coscienziale
irrisolta. A trentanni, al culmine di unesistenza non
più sopportata, si suicida.
Del bellissimo e talvolta, non insolitamente, arduo Studio introduttivo
di Macrì nel quale un pensiero analogico e prelinguistico
tenta di esaurire i messaggi formali della poesia, cogliendone al
tempo stesso gli archetipi generazionali rileverò
i momenti nodali con opportune citazioni e riduzioni sintetiche.
Una singolarità metodologica della struttura complessiva
di questo Studio sta nellinconsueta elaborazione dellinformazione
biobibliografica e filologico-editoriale allinterno del discorso
critico-esegetico.
Si tratta di procedimento dettato dal carattere lirico-autobiografico
delle 355 carte, comprensive di 232 componimenti poetici, lasciate
dal poeta. Tale carattere è presente sia nei testi di più
evidente configurazione versificatoria sia in quelli più
propriamente extrapoetici, diaristici ed epistolari.
Gli apparati informativi e descrittivi dei testi assimilati al discorso
critico-esegetico sono ripartiti in tre capitoli, di cui un primo,
biografico; e altri due, filologico-editoriali.
Nel primo, Notizia biografica. La libreria, successivo alla premessa
progettuale, qui accennata allinizio, in relazione alle testimonianze
dellautore sulle sue origini salentine, Macrì riprende
la sua ben nota ed efficace formula della dimora vitale
come radice primaria di poesia, sottolineando i valori di paese
e di casa «sepolcrizzati per troppo amore, come
a giacere con essi in eterno, quasi la culla-bara di Quevedo: desiderata
culla [...] gli incubi di mio padre / mia madre / morti [...]
(B2, 3). Motivo, questo, del Pascoli rurale-funerario e del cegliese
Gatti, che si proietta specialmente nella nonna paterna quasi fidanzata,
Maria Teresa Baglivo, pure essa soprattutti lucugnanese».
La contestazione studentesca del 1968-69 risulta interiorizzata
come radicale rivolta trans-ideologica, «ben oltre la sfera
capitalistica-industriale, teologico-dogmatica, etica e di costume
delle mostruose metropoli», e stranamente coincidente con
la rivolta contro la stessa natura umana segnata dal peccato originale
(urlava [...] / il Dio della mia infanzia crocifisso,
26); da cui «il rientro nel rifugio larico come sconfitta
e rimorso, disponendosi il poeta alla soluzione sacrificale autopunitiva
della propria vita».
Gli appoggi ad autori italiani e stranieri (la libreria)
da Verga e Pirandello... a Ungaretti, Montale, Comi...; da
Stendhal e Baudelaire... a Céline, Cocteau (I ragazzi terribili),
Éluard, Artaud, Camus, Robbe-Grillet, Deleuze...; da Shakespeare
e De Quincey (Confessioni di un oppiomane)... a Virginia Woolf,
Joyce, Dos Passos...; da Goethe, Hoffmann, Schopenhauer, Nietzsche...
a Thomas Mann, Kafka, Newmann (Il diavolo); da Tolstoj, Dostoevskij...
a Solgenitsin, Majakovskij, Pasternak; da García Lorca e
Borges a Neruda e García Márquez... sono assunti
dal Coppola al vissuto personale, per darsi non certo
soluzioni, ma un qualche ordine.
Gli ultimi 25 giorni prima del suicidio, trascorsi in solitudine
totale nella casa materna lucchese, sono il punto di saturazione
di anni di lotta e di abbandono, fra epatite virale, piccolo alcolismo,
droghe leggere, fumo, notti bianche e terrori, frequente microzoopsia
glincubi armati / sopra di me (42), costanti
e ossessivi; ricorrente anche lurlo, munchiano
simbolo espressionistico di rivolta della vittima (3, 13, 15, 26);
in 20, 21, 27 lorrore del proprio corpo cadavere in decomposizione,
rinviante al barocco cupio dissolvi; letterarietà incorporata
anche per il motivo dei vermi in quel decomporsi implacato
(Baudelaire, da Poe e da Hugo; gli scapigliati Boito e Tarchetti);
collegabile il tutto col tema della creazione fonte
di peccato e di male .
Nonostante questa devastazione psicofisica, e subordinazione ad
un altro da sé, «o sosia infernale-notturno»,
con implicazioni simbolico-parodistiche di rivolta e di riscatto
dal «Male» e dalla «Città», si afferma
il tentativo di recupero della «propria creatura naturale
nel suo cavaliere per il Salento, nellangelo,
nel principe divino, nella imago del fanciullo rigenerato
dalla madre eterna, fingendo di cedere, sconfitto, la propria spoglia
mortale»; che è tentativo autoliberatorio, essenziale
per una stessa possibilità di poesia.
Stesso circuito critico-esegetico complessivo nei due capitoli
filologico-editoriali.
Nella Nota filologica la situazione oggettiva e materiale delle
carte dellautore è ricondotta a motivazioni interne,
di natura letteraria, funzionali al loro allestimento editoriale.
In esse non cè traccia alcuna di intenzione redazionale,
e le poche date che vi compaiono si riferiscono a singoli componimenti.
Queste date, e nientaltro, hanno consentito alleditor
una ripartizione delle carte in tre blocchi, e ciascuno di questi
in tre sottogruppi, collocabili entro un periodo di dodici anni,
dal 1968 al 1981, e con produzione più ricca a partire dal
1975. In definitiva, emerge la rappresentazione di un «canzoniere
ininterrotto come di un surreale eluardiano, al punto che lunica
edizione fededegna dovrebbe costituirsi concretamente in facsimile
e completa dellintero testo».
Nei Modi della scrittura. Criterio di edizione si conclude il precedente
discorso sullinterconnessione fra critica letteraria
qui riferita allinterpretazione dei modi della scrittura
e finalità editoriali.
In premessa è definito il significato neutro
del termine componimenti, «in quanto conativamente si eguagliano
tutti nel comune afflato espressivo-riflessivo», e tutti si
trasformano in spettacolo, come in un retablo, o in un teatro danima,
secondo vocazione musicale-teatrale evidenziata in sede biografica
(studi e pratica di regia cinematografica, specialmente).
Questo «comune afflato» esclude la versificazione metrica,
traducendosi in versificazione ritmico-epigrafica, con segmentazione
libera attraverso gli accapo, presente in ogni tipo di scrittura
continua, anche nelle lettere.
Si precisa così il carattere di «canzoniere ininterrotto»,
assimilato alla «Poésie ininterrompue» francese
e inglese, «dinnovazione e fusione espressionista e
surrealista sul tronco tradizionale naturalista e simbolista fino
alla Beat Generation [...]».
38 (119)
vedi come sè fatto pallido
vedi pure che non è più lui
dispera
solitario cavaliere a cavallo
sopraggiungeva ridendo
nel labirinto delle mie intenzioni
se ne andava e appariva
in una trama di segni sconclusionata
in un uliveto di terra rossa
nellaria tremante di caldo
pazientemente ricercava
i frammenti del mio futuro
disperso nei secoli della polvere
e dei mucchi dossa
sè fermato alle cisterne assolate
cercando nello sfacelo delle pietre
i segni corrosi del passato
fra colonne di tufo solitarie
e muri di confine
sè fermato nellaria vuota
di fichi polverosi
di dimenticati filari di eucalipti
di aranceti inselvatichiti
afferrato da ununghiata dolce
di malinconia
saddentrava nelle dimore che erano
state di calce
sera perso a volte negli angoli dombra
nel ronzio opaco di mosche
che nuvolavano dalle pareti
seguendo i muri che rovinavano
i muri assolati di lucertole
è giunto a dimore naufragate
nel caldo delle cicale
del caldo sopore di roseti selvatici
di scale interrotte
ha lasciato il cavallo pieno di polvere
nelle grandi stalle come chiese
o abbandonato dietro un muro
e dolcemente è penetrato
nelle stanze fresche scure
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nelle stanze bianche dove svolavano
le gazze
dolcemente ha atteso un segno dassenso
a volte sè perduto nei giardini
ascoltando lacqua delle fontane inaridite
sotto le pergole devastate
di notte nei giardini
appariva bianco
contro i muri bianchi di luna
nellombra dei limoni
sembrava smarrirsi lui stesso
per quel suo aspetto di fantasma
animava la notte recitando
sospeso al fragile filo della mia esistenza
sordo allevidenza che mi diceva
indegno ignaro qual ero di tutta quella
rovina
le finestre incorniciate di rovi
erano aperte ai respiri della notte
guardinghi i gechi salgono sui muri
si fermano ad aspettare
i balconi si parlano sottovoce
angiolini barocchi
si rallegrano tutti
fiori rossi si inanellano fra quei riccioli
lo spazzino sordo sgrana il suo rosario
di pensieri alle stelle
nella piazza custodita da due file di
oleandri
agli occhi vuoti delle finestre
sono saliti rami di fico
sè seduto su una cornice di pietra
ai margini di uno sterpeto di grilli
curvando il capo
e sotto quellaltalena di terrazze
ha chiuso gli occhi
lalba lo trovava addormentato
sotto unala di fresco
nel panico della luce incerta
la notte abbandonava sudari
lasciando unaria profonda
daliti caldi e di sangue
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Si tratta di modi della scrittura speculari a componimenti-variazioni
su temi della natura, del tempo, dellamore, della morte...,
sempre mancanti di titoli, con rare maiuscole, e rare varianti e
rari versi soppressi, con un continuo scrittorio ora mutante in
versi ora al contrario, con spazi interstrofici e capoversi di chiara
«intenzione concreta-musicale».
Di qui la difficoltà editoriale di separarli e numerarli,
e lopinabilità, per quanto ridotta al minimo, dellautonomia
delle 53 poesie scelte, indicate con numero dordine, seguìto
tra parentesi dal corrispondente numero dordine assegnato
alle carte dellautore (come nei Frammenti lirici di Rebora).
Ermeneuticamente importanti le poche date, annotate a volte con
lora accanto al giorno. Macrì vi coglie quel «complesso
esistenziale» (lhic et nunc) chegli presupponeva
nel sentimento poetico contemporaneo per i suoi Esemplari del 1941
(anche Contini su Primato poneva la filosofia esistenzialista
a sostrato dellermetismo). Sicché nella poesia di Stefano
Coppola «riscontriamo la caduta dellessere nellesistente
e la dolorosa risalita allessere nellinfinito circolo
nicciano-heideggeriano».
Lultimo, e più ampio, capitolo, Temi. Il seme e la
verità. Pietas e rivolta. La puella-mater,
sviluppa e approfondisce limpostazione critico-esegetica dei
primi tre, in accordo profondo del critico con loggetto del
proprio studio, quindi in più sperimentata e radicale conoscenza
del testo. E di nuovo in gioco la già prefigurata dimora
vitale: paesaggio salentino e correlative transunzioni naturalistiche
e umane.
A questo paesaggio si naturalizza, infatti, con reciprocità
di valori, la famiglia del poeta: la madre umbra, mediata dalla
figura della nonna paterna, di «ceppo ancestrale-tellurico
e di costume cristiano-pagano», cui si unisce la domestica,
«donna-capra come la lupamannara Gurù di Landolfi,
la brutta e innocente Maria, che era la servante, au grand
coeur di Stefano».
Radice e nutrimento di poesia la «terra dinfanzia;
consustanziale il mare [...] immote per sempre le immagini lariche»:
un Salento spettrale rivisitato, «come in un ritorno in vita
senza tempo», dal fantasma del solitario cavaliere a
cavallo o terza persona del poeta. In questa rivisitazione
il «vissuto si riscatta dal suo tempo, si oggettiva, si separa
dallio, diventa inattingibile, inconoscibile; lio stesso
è uno sconosciuto [tu mi guardi / fanciullo
/ piccolo bimbo / con occhi stupiti / pieni di pena / e non mi riconosci,
8]; il passato dinfanzia è riposto in casse profonde
coi suoi mantelli [...] i veli e il sipario [...] le maschere
e gli scenari». Dice il poeta: Ad ogni slancio
una superficie indefinibile / racchiude una sostanza intatta / le
parole si allontanano [...] come se [...] ogni cosa si rifiuti /
chiudendosi dietro vetri trasparenti e istoriati (B2, l).
Si continua in queste evocazioni salentine la lezione dei poeti
della terza generazione, intesi al recupero delle dimore vitali
(in essi Macrì riconosce un suo Novecento neoromanticamente
rigenerato, sublime su ogni moda manieristico-puristica e sperimentale-neoavanguardistica):
Etruria di Caproni, Luino di Sereni, Siena di Luzi, Ciociaria di
De Libero, Parma di Bertolucci, Pistoia di Bigongiari, Salerno di
Gatto, Montemurro di Sinisgalli, Langhe di Pavese, Lecce di Bodini
e Pagano...; si continua, particolarmente, la «stasi sepolcrale
di Bodini (case di calce, case addormentate, grotte pitagoriche,
morta in Puglia, la vita colore della morte, anime parlate
e disegnate, e verbi sepolti)», la quale «preserva le
vite amate delluomo e della natura, maestro Alfonso Gatto
nel simbolo del titolo Morto ai paesi».
Straordinarie verifiche mi pare si possano trovare nei seguenti
componimenti poematici:
30 (Gli Hibiscus rosa), eluardiana litania enumerativa delle creature
e delle cose di un Salento fuori del tempo, in visionario eccesso
damore;
32 (Nelloasi dove mia madre mi nutrì nella luce dorata),
auto-analisi, poetica e poesia, di un desiderio che non mi
avrebbe abbandonato: condizione negativa e destino, che gli
simprime come un marchio e lo costringe a cercarne
il senso per tutta la vita, desiderio di quando non si desidera
più, neovaleryano vento che sale, memoria
antichissima che sale;
38 (Vedi come sè fatto pallido), vasta infravisione
di un Salento remoto, generativo dei frammenti del mio futuro,
il quale non ha riscontri più alti in altri poeti salentini,
e nella stessa contemporanea poesia della Heimat (forse si può
meglio rammentare un pittore di eccezionale inconscia potenza evocativa
come Chagall, soprattutto per quella sua levitata iconografia del
paese dorigine, assai vicina alle figurazioni di danza,
gioco, volo, ricorrenti nel visionarismo
salentino del Coppola);
50 (Guardare mia madre), scherzo neocrepuscolare di rara felicità
autoliberatoria su di un passato desiderato e vissuto per assurdo
(pensare alla Puglia / ai begli uliveti / alle distese di
luna / al barone morto / ai baroni sopravvissuti // andare da mia
nonna a dirle che è / giovane ed io non sono suo nipote /
a dirle che la cavallina bianca è / morta / andare in camera
mia a piangere tutti / i morti che ci saranno // [...]).
Sradicato dalla terra salentina, emigrante in esilio, il poeta
sappella «alla madre naturale-civile che lo rigeneri,
identificata con la Mater salentina, coi simboli del vestiario usato,
animalini, fiori, bambini, un eterno dorato nella memoria incalzata
dal desiderio del ritorno».
Si è al limite regressivo pascoliano-crepuscolare, precario
e fragilissimo di fronte allinsorgere di una rimbaudiana coscienza
negativa (Una rigida lama mha spaccato in due
il mio lucifero e il mio angelo che non potranno più riunirsi
, 53; e si veda la lettera di Rimbaud a P. Demeny del
15 maggio 1871: «Car JE est un autre»).
Lossessione coscienziale, radicalistico-nichilistica, attraversa
lintero canzoniere, ne costituisce la tragica modernità,
tra sentimento di colpa per un involontario peccato originale e
sentimento di violenza e di caos della società e della storia
(altra cosa il «terrorismo neoavanguardistico gregario e trasformistico,
con le dovute eccezioni e palinodie»). Macrì, per questa
coscienza che dirompe e frantuma spesso la forma musicale-coreografica
del poema, richiama inoltre archetipi della crisi vociana: Rebora,
Jahier, Serra, Michelstaedter, Boine, con il loro appello alla vita,
contro e oltre limiti e convenzioni della letteratura.

Ma decisiva è pure la difficile risalita alla verità
dallo «sfacelo di tutte le certezze» (piano inclinato
/ curvatura profonda imbuto dove si raccoglie il cielo / giù
dove divengo pietra e ho paura / dove risalire è un
attimo e un tempo interminabile [...], 43), agli impossibili
positivi della felicità e della bellezza,
o «positivi con paradosso ontologico garantiti dalla stessa
impossibilità di realizzarli». Anche la nozione di
Dio passa al vaglio della coscienza, che abolisce ogni teologia
del Dio rivelato, per una fede da reinventare attraverso la non-fede.
Sinsiste su questa centralità del seme
dellanima, o seme duna bellezza
e di inattese visioni, «dal di dentro della catastrofe,
delluragano dei sensi e dei sentimenti perduti»;
ne è frutto «larchetipo del fanciullo regale
liberato e liberatore da tutti i negativi infernali, sociali, familiari»,
simile al «divino fanciullo di Sandro Penna, che a sua volta
risale allonofriano nellinfanzia eterna del suo
Regno».
Essenziale questo «afflato cosmico-seminale», distruttivo
e insieme teso alla rigenerazione, per capire il metaforismo della
parola di Coppola: il materico-semantico naturale e umano e relativa
reciprocità animistica, arieggianti «il facile canto
surreale e umor nero del movimento punk (scuote lira
del vento / collurto schiumante dellacqua / e il fragore
tetro lo scoglio / nero grido di pianto / e di rabbia bagnato dallo
/ scroscio di rabbia / e di pianto del cielo [...])»;
ed essenziale per capire il già osservato «sviluppo
poematico ametrico e aritmico, quindi fonosimbolico-allitterativo
per investimento musicale della materia verbale consenziente con
la corporea-animica», soprattutto se si considera che «lintento
è un incantamento o nenia alla imago della mater-puella»
(Tagliate le mie vene / e del sangue / fatene fiori / per
la mia bambina [...] rubate [...] tutti i colori / dei miei occhi
/ e fatene fiori [...] che sorrida / con le mie ossa / fatene coralli
[...] fate delle mie dita / farfalle [...] del mio tempo fate /
ignari pesciolini azzurri / e se unanima di me trovate / fatene
per lei / vi prego un aquilone, A2, 59).
Certi esiti di «delirio materico-animistico», specifici
della «frantumazione cosmica del secondo Novecento»,
sono sincronizzati con il «surreale-informale di Bigongiari
e Zanzotto», in comunanza di «mistero ontologico»
permanente «dietro lapparente sperimentalismo delle
neoavanguardie», non escluso il «Bodini di Metamor nel
proprio àmbito dellermetismo meridionale» [dita
[...] ossa (A2, 77), occhi [...] bocca (A2, 87), cellule morte [...]
gusci di lumache / morte (A2, 98), vorrei [...] possedere [...]
grandi mani / su cui scorra la terra (A2, 82), essere tutto occhi
(A2, 86), lago / discreto di lacrime (A2, 89), un mare di vermi
/ di mani e dunghie / spezzate (A2, 90), a scaglie della mia
pelle [...] nudo [...] il mio corpo è un simulacro fragile
svuotato (A2, 99), la mia anima di stoffa [...] sottovetro / difesa
dai tarli [...] singiallì la seta / e lanima
saccartocciò / come una foglia (A2, 113)].
In questultimo paragrafo si procede per riprese continue della
struttura dualistica interna, immanente e assiologica, del canzoniere
(negativo esistenziale e storico e positivo della rinascita impossibile).
Ne citerò, in parte riassumendole e reinterpretandole, le
ultime variazioni.

«Esplicitamente alla fine del poema informale, ma lungo la
sua traiettoria di sfaldamento e catastrofe in relitti, lantica
spossata madre terra, incarnazione naturale dellarchetipo
materno, dalla sua rugosa crisalide rinasce corporalmente nella
bambina sempre emergente in tutto il canzoniere coppoliano
dalla morte e dal nulla: il tuo corpo leggiero in un vestito
di fiori [...] nellacquamarina della notte / e le piume gialle
morbide silenziose / le delicate piume rosa della tua pelle»
(è il tratto della «pietas larica-filiale» che,
rispetto alla poesia europea maudite ed esistenziale, fa la differenza
di quella italiana, e in particolare di quella meridionale di Bodini
e Pagano, Pierri e Cattafi).
Nellultima poesia pubblicata (C1b2, 7) è racchiuso
il senso di una vita divisa, come una bilancia metafisica,
fra ricorrente autodafé (sangue dun peccato che
non ho commesso) che direi di razionalistica spietatezza
autoanalitica, ma, pur a questo suo modo, rinviante ad un remoto
condizionamento antropologico-culturale di salentina matrice cattolico-barocca
e implorazione che gli sia insegnata ledenica perduta
grazia dei fiori e dellacqua, fra il mio
lucifero e il mio angelo che non potranno più riunirsi.
Condizione, questa, di radicale contraddizione, la quale, benché
comporti la condanna della creazione e il rifiuto
della storia, paradossalmente «cerca di salvare le
creature del Signore nella loro singolarità, ognuna
per sé, puri enti» (affrancate dallimpostura
del biblico-cristiano Signore della creazione), con un ritorno di
«mistero ontologico» (che connoterei in assoluto senso
naturalistico), di «aspirazione alla grazia essenziale
della cosa in sé», e di «rendimento di
grazie per questa bilancia», della quale il poeta
non senza metafisica ironia dubita di esser degno.
Il libro si chiude con questa poesia a versetti, dinformale
esemplarità, testamentariamente rappresentativa di una moderna
coscienza dissociata, tanto più irrisolta quanto più
esigente e alimentata di primarie verità impossibili; e lascia
intravedere una nuova frontiera di poesia, un attingimento della
parola creatura e della parola cosa oltre
ogni contaminazione conoscitiva, storicamente attivo rivelandosi
ancora il mito otto-novecentesco delleterno ritorno.
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