Ha avuto il suo peso, in negativo, laltra
faccia
dellEuropa, la faccia politica, su cui qualche critica è
più che legittima.
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Lo confessiamo, cari lettori: dopo aver appreso i risultati delle
elezioni europee di giugno ci siamo chiesti se non fosse il caso
di cambiar titolo a questa rubrica. Si chiama, da oltre tre anni,
Europa utile. Ma forse ci siamo detti
sarebbe il caso di allungare il titolo, di chiamare il nostro appuntamento
Europa utile, ma sconosciuta.
Alcuni dati e altri elementi delle elezioni europee di metà
giugno rendono infatti legittimo il dubbio che una buona parte dei
455 milioni di cittadini dellUnione europea, o almeno dei
350 milioni che, tra loro, hanno diritto al voto, sappia poco, forse
niente di quanto lEuropa integrata abbia fatto, stia facendo
e prometta di fare per migliorare le loro condizioni di vita. Diversamente
non sarebbe facile capire perché soltanto il 49,1% degli
elettori (pari a poco più di 159 milioni di persone) sia
andato alle urne e perché nei dieci Paesi appena entrati
(dal primo maggio) nellUnione europea la percentuale dei votanti
si sia fermata addirittura al 26,7 per cento. E sarebbero difficili
da capire episodi come limprevista spettacolare affermazione,
in Gran Bretagna, di un partito cosiddetto indipendentista
addirittura schierato per luscita del Paese dallEuropa
comunitaria; e come la mancata elezione al Parlamento europeo di
Valéry Giscard dEstaing, che è un ex presidente
della Repubblica francese e anche fatto che più avrebbe
dovuto interessare agli elettori presidente della Convenzione
europea cui si deve la prima bozza di quella Costituzione dellUnione
finalmente varata, dopo due anni e mezzo di logoranti confronti,
dal Consiglio europeo del 18 giugno.

E singolare, oltretutto, che questo sia avvenuto negli stessi
giorni in cui la Commissione europea diffondeva un opuscolo in cui
molti erano gli argomenti che avrebbero dovuto indurre gli elettori
ad esprimere, con un voto di massa, la loro fiducia e il loro consenso
verso lEuropa. In questo opuscolo, intitolato Puntare alla
crescita. Leconomia dellUE, si ricordava tra laltro
che i primi dieci anni di vita del Mercato Unico (1992-2002) avevano
regalato agli uomini e alle donne dellEuropa comunitaria 900
miliardi di euro di ricchezza in più, pari a 6.000 euro per
ogni famiglia, avevano creato inoltre 2 milioni e 500 mila nuovi
posti di lavoro e, nello stesso periodo, avevano dato a 15 milioni
di persone lopportunità di spostarsi da un Paese allaltro
dellUnione per cercare e trovare un lavoro, per studiare,
per darsi una nuova residenza.
Sono dati che avrebbero dovuto far riflettere molti elettori al
momento del voto. Ma a quanti erano noti tra i 455 milioni di cittadini
dei 25 Paesi e tra i 350 milioni di elettori? A pochissimi, temiamo.
E a pochissimi, temiamo, erano noti altri dati che erano contenuti
nellopuscolo e che avrebbero dovuto, o almeno potuto, condizionare
landamento del voto.
Ad esempio, i seguenti. NellEuropa dellinizio dellintegrazione,
cioè del 1958 (lanno dei Trattati di Roma e della nascita
della Comunità Economica Europea), solo un cittadino su 6,6
possedeva unautomobile, oggi è uno su due. Quarantasei
anni fa sul vasto territorio occupato dai 25 Stati dellattuale
Unione cerano 5 mila chilometri di autostrade. La rete autostradale
odierna dellEuropa comunitaria si estende per 52 mila chilometri.
Da allora (1958) ai giorni nostri (2004) si è moltiplicato
di trenta volte il numero delle persone che, nellUnione, viaggiano
in aereo.
E cè tanto altro, anche di più e di meglio.
LEuropa disunita di quarantasei anni fa soffriva di unagricoltura
in crisi, di unindustria e di un commercio in difficoltà.
Oggi è la seconda potenza economica del mondo (dopo gli Stati
Uniti). Ed è impegnata per diventare la prima entro il 2010
(è lobiettivo posto con la cosiddetta strategia
di Lisbona varata nel marzo del 2000 da un Consiglio europeo
svoltosi nella capitale portoghese). Già oggi 32 tra le 100
maggiori imprese mondiali sono dellUnione Europea. E sono
dellUnione 39 delle maggiori banche commerciali del mondo
e 27 dei marchi internazionalmente più prestigiosi.
Grazie allUnione Doganale prima e al Mercato Unico poi gli
scambi commerciali allinterno dellEuropa comunitaria
e con il resto del mondo hanno beneficiato di crescite spettacolari.
Già nel 1970 il volume degli scambi tra gli Stati membri
dellEuropa Comunitaria si era moltiplicato di sei volte rispetto
al 1958, mentre gli scambi con il resto del mondo erano triplicati.
E successivamente la tendenza alla crescita è continuata.
Nel 1992 le esportazioni dallUnione europea verso Paesi posti
in altre zone del mondo rappresentavano il 6,9 per cento del PIL.
Nel 2002 erano salite all11,2 per cento. Negli ultimi anni
ci sono stati (e speriamo ci saranno ancora) periodi in cui lespansione
delleconomia di molti Paesi europei e dellUnione nel
suo complesso è stata più veloce di quella degli Stati
Uniti.

Leuro, tanto vituperato (anche nel nostro Paese), per certi
aspetti non del tutto senza ragione (sebbene gran parte dei problemi
creatisi con lavvento della moneta unica siano dovuti alla
speculazione), ha oggi una presenza e una forza internazionali (650
miliardi in circolazione mondiale) superiori a quella del dollaro
(620 miliardi). Ha messo in archivio i rischi di cataclismi valutari
sofferti in passato da molte economie europee. Ha permesso la riduzione
dei tassi dinteresse consentendo ai governi di spendere meno
per pagare il debito pubblico e, in taluni casi, anche per attuare
riduzioni fiscali. Ha reso gli investimenti più convenienti
per le imprese e grazie allabbassamento dei mutui
ha offerto a un maggior numero di cittadini la possibilità
di acquistare un appartamento.
Lelenco dei benefici che gli europei hanno avuto e continuano
ad avere dallEuropa non finisce qui. Lopuscolo della
Commissione contiene molti altri dati di grande interesse. E tanti
altri dati ancora i nostri lettori li hanno trovati nel racconto
delle imprese dellEuropa utile che facciamo su queste pagine
da tre anni, documentando e analizzando quanto i programmi dellUnione
europea fanno per la difesa della nostra salute, dei nostri diritti
di consumatori, per battere la disoccupazione, per diffondere forme
di apprendimento lunghe tutto larco della vita, per proteggerci
dalla pubblicità disonesta, per mettere in grado il cinema
europeo di far fronte alla dominante concorrenza americana, eccetera,
eccetera: un lungo, lunghissimo eccetera eccetera che porta, come
risultato totale, a unEuropa utile non grande ma enorme e
con un numero di successi tali da rendere non solo giusto ma doveroso
lapprezzamento.
Eppure, con il voto di giugno questo apprezzamento non cè
stato. Cerchiamo di capire perché è avvenuto. Nelle
campagne elettorali di molti Paesi lEuropa è stata
un titolo sulle schede e sui manifesti e niente o poco di più.
I partiti infatti quasi ovunque hanno chiamato i cittadini a giudicare
non le istituzioni e le politiche dellUnione ma i singoli
governi e le loro politiche nazionali e internazionali. Così
in Italia (dove pure la percentuale dei partecipanti alla consultazione
è stata sostenuta) si è votato pro o contro Berlusconi,
in Germania (punendo il partito del cancelliere Schroeder) contro
la politica fiscale, in Inghilterra (punendo il primo ministro Blair)
contro i costi economici e in vite umane dellalleanza militare
con gli Stati Uniti, in Spagna (premiando il partito del leader
socialista Zapatero) per ribadire il consenso al ritiro delle truppe
dallIraq.
Ha avuto il suo peso in negativo, sintende
anche quella che potremmo definire laltra faccia dellEuropa,
la faccia politica, su cui qualche critica è più che
legittima (a proposito, ad esempio, della sua difficoltà
ad assumere posizioni concordi sulle crisi internazionali), ma della
quale, stranamente, sia la maggior parte dei mezzi di comunicazione
che molti uomini politici tacciono o minimizzano i meriti, primo
tra tutti quello di garantire, da quasi sessantanni, una pace
e una collaborazione solide tra Paesi che come la Francia
e la Germania per secoli avevano cercato la soluzione dei
loro problemi in guerre di sterminio.
Alla diffidenza, solo parzialmente motivata, verso lEuropa
politica si è aggiunta in quasi tutti i dieci Paesi ammessi
nellUnione il primo maggio la paura di dover pagare con pesanti
sacrifici economici la coabitazione con i Paesi che già in
precedenza facevano parte dellEuropa comunitaria. Questa paura
era sostanzialmente infondata. Qualche sacrificio è già
stato pagato dai nuovi membri prima dellammissione nellUnione
e altri dovranno essere accettati nei prossimi anni: con il compenso,
tuttavia, di una crescita del PIL di almeno l1% allanno
e la creazione, entro il 2010, di 300 mila nuovi posti di lavoro.
In definitiva, messi a confronto numeri in rosso e numeri in nero,
si è trattato e si tratta di un discreto affare, con più
vantaggi che svantaggi.
Ma quanti tra gli elettori dei dieci Paesi lo sapevano? E allargando
il discorso alla totalità dei 455 milioni di cittadini e
350 milioni di elettori dellintera Unione europea, quanti,
tra loro, sapevano e sanno che accanto a unEuropa politica
che funziona così così cè unEuropa
utile che funziona bene, anzi ottimamente, e che, dunque, messi
a confronto i numeri in rosso e i numeri in nero, i vantaggi offerti
ai cittadini dallUnione europea sono in maggioranza, in nettissima,
schiacciante maggioranza rispetto agli svantaggi?
Pochissimi, dato che gli opuscoli della Commissione europea arrivano
a qualche migliaio di addetti ai lavori e dato che i dati contenuti
in queste pubblicazioni solo in minima parte e raramente sono riportati
e messi in risalto dai mezzi di comunicazione.
Questa, secondo noi, è la causa principale dellastensionismo
di giugno, anche se non sono da trascurare i contributi che al diffuso
disinteresse per le elezioni europee hanno dato gli stravolgimenti,
a fini di politica interna, del significato del voto e anche le
prevenzioni contro gli insuccessi, o presunti tali, dellEuropa
politica. Ma se così fosse e i motivi per crederlo,
come si è visto, non mancano il danno sarebbe riparabile.
Basterebbe unadeguata, diffusa informazione sullEuropa
utile. Se ci fosse, nel 2009, quando si voterà di nuovo per
il Parlamento europeo, potrebbe finalmente arrivare la corale manifestazione
di apprezzamento e di fiducia mancata questanno.
E, lo sappiamo, più facile a dirsi che a farsi. Ma
proprio per questo occorre impegnarsi al massimo perché la
comunicazione su quanto lEuropa utile ha fatto, fa e farà
raggiunga la gente. Tra le vie maestre per il conseguimento dellobiettivo
(stabilito dalla strategia di Lisbona) del primato mondiale
delleconomia europea è stata indicata la diffusione
della conoscenza. Questa è anche la via maestra da seguire
per far sì che lEuropa utile cessi di essere, per i
cittadini, un oggetto misterioso o quasi.
Con pubblicazioni a più larga diffusione e più accessibili
nel linguaggio, non stancandosi di ottenere il coinvolgimento dei
mezzi di comunicazione, anche della scuola, con iniziative promozionali,
impiegando soprattutto a beneficio dei giovani le
nuove tecnologie, la conoscenza di quanto lEuropa utile ha
fatto o sta facendo deve arrivare allattenzione e al giudizio
della totalità o della grandissima maggioranza dei 455 milioni
di uomini e di donne che risiedono nellUnione europea: per
creare finalmente un diffuso rapporto di fiducia tra cittadini e
istituzioni comunitarie; forse per rendere perfino possibili sollecitazioni
popolari che aiutino o addirittura impongano colpi di acceleratore
agli ancora lenti ritmi di marcia dellEuropa politica.
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