E bastato meno di mezzo secolo per moltiplicare
allinfinito gli
irriducibili inferni che si allargano dal Sahara fin quasi ai mari
che preludono al sesto continente.
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Era terra di conquista per il colonialismo europeo. Oggi è
un continente che gronda sangue. Dal Corno dAfrica alle sponde
del Kivu e a quelle del Tanganika, dal Golfo di Guinea alle foreste
dellIturi e dellUganda, le lotte di potere e le guerre
per il controllo delle ricchezze del sottosuolo continuano a dilaniare
il gigante moribondo che si allarga di fronte al Sud dItalia.
Si accende appena una fragile speranza in Congo, quando in Liberia
e in Burundi ricominciano i massacri. Kinshasa fibrilla, Monrovia
è investita dalla furia dei miliziani del Lurd
(Liberians united for reconciliation and democracy), che rovesciano
un numero apocalittico di colpi di mortaio.
A Bujumbura i ribelli hutu del Fnl (Forze nazionali
di liberazione) colpiscono le città dalle colline e spediscono
plotoni di bambini-soldati allo sbaraglio nei quartieri del centro.
Ovunque incombe il rischio colera: le popolazioni non riescono a
raggiungere neanche i cimiteri per seppellire i cadaveri che ingombrano
le strade, mentre in decine di migliaia gli sfollati cercano scampo
negli ospedali, nei campi sportivi, nelle chiese. Ma nessun edificio
è sicuro. La morte è in agguato dietro ogni angolo.
E allangolo opposto è in agguato unarma automatica.

La mappa dei Paesi subsahariani colpiti da terrorismi, da conflitti
armati, da guerre civili e da forti tensioni è molto complessa,
e coinvolge, oltre agli interessi per le materie prime, anche il
campo degli odi tribali e religiosi, che finiscono per distruggere
alla radice le già debolissime strutture economiche delle
diverse regioni. Alcuni esempi: guerre civili, con alcuni colpi
di Stato, e comunque con conflitti in corso, riguardano la Mauritania,
la Guinea, la Sierra Leone, la Liberia, la Costa dAvorio,
il Togo, il Burkina Faso, il Congo, la Repubblica democratica del
Congo, il Ciad, il Camerun, il Niger, il Sudan, il Ruanda, il Burundi,
la Somalia. Attività terroristiche sono dispiegate in Tanzania
e in Kenya. Tensioni fra Paesi interessano lEritrea e lEtiopia,
larea Uganda-Ruanda-Burundi, larea Niger-Nigeria-Camerun.
In Senegal nessun governo è riuscito a mettere fine alla
ribellione indipendentista nella regione di Casamance, che trova
appoggi in Gambia e rende insicuro lintero territorio. Nella
Repubblica democratica del Congo i morti sono stati due milioni
e mezzo, e centinaia di migliaia i profughi: è stato definito
il bilancio della prima guerra mondiale africana; le straordinarie
ricchezze del suolo (diamanti, smeraldi, uranio
) suscitano
gli appetiti dei Paesi confinanti, e non soltanto di questi. La
sanguinosa instabilità in Mauritania rivela la fragilità
di fondo di un Paese in cui beduini e afro-mauritani (discendenti
dagli schiavi) si odiano con una ferocia inaudita.

In Nigeria, cioè nel Paese più popoloso dellintero
Continente Nero, le regioni del Nord hanno rimesso in circolazione
la Shariah, la legge islamica, mentre nel sud le immense ricchezze
petrolifere sono nelle mani dei militari e di una classe politica
profondamente corrotta. In Sudan da oltre quarantanni un conflitto
oppone le popolazioni animiste e cristiane del sud al nord musulmano;
Khartoum impedisce larrivo degli aiuti internazionali nelle
regioni che sono in pugno alla guerriglia, che ha provocato milioni
di morti. In Burundi, come nel Ruanda, popoli hutu e tutsi si affrontano
dal 1962, ma ci sono anche scontri allinterno delletnia
tutsi; i genocidi si alternano senza soluzione di continuità.
In Somalia i signori della guerra hanno praticamente cancellato
ogni forma di Stato, dando origine a unanarchia che continua
a provocare stermini reciproci fra etnie militarizzate, contro le
quali nulla ha potuto persino lintervento dellOnu. In
Liberia, centro di traffici di armi e di riciclaggio di denaro sporco,
oltre che di contrabbando internazionale di pietre preziose, si
organizzano le formazioni mercenarie che fomentano la guerriglia
in Costa dAvorio e nelle zone diamantifere della Sierra Leone,
con decine di migliaia di civili selvaggiamente massacrati, torturati,
mutilati.
La lotta per la spartizione dei giacimenti di gemme e di minerali
rari è allorigine di molte guerre e guerriglie. Il
monopolio della commercializzazione dei diamanti, detenuto per quasi
tutto il Novecento dalla De Beers, si è sfaldato con luscita
dellAustralia e della Russia dalla Central selling organization
di Londra, il cartello dominato dal colosso sudafricano. E i traffici
clandestini hanno ripreso quota. Ad Anversa affluiscono ogni anno
3 miliardi di dollari di diamanti di contrabbando, sui quali lHoge
Raad voor Diamant (listituto di controllo dellindustria
diamantifera belga) ha in passato chiuso gli occhi. Tra il 1994
e il 1998 la Liberia, accreditata di una produzione annuale di 130
mila carati, ha esportato in Belgio più di 31 milioni di
carati, in gran parte provenienti dalla Sierra Leone. In Angola,
negli anni Novanta, i diamanti hanno consentito alla guerriglia
delle formazioni dellUnita di acquistare armi per 4 miliardi
di dollari.
In Congo la corsa allo sfruttamento delle miniere ha innescato una
guerra civile che ha provocato milioni di profughi e di vittime
e ha spinto Angola, Zimbabwe, Namibia, Uganda, Ruanda e Burundi
ad inviare truppe per accaparrarsi i tesori dellex Zaire.
Nel Kivu e nella provincia dellIturi i disordini etnici sono
fomentati dalla lotta per il controllo dei giacimenti di coltan
(columbite-tantalite), una sabbia nera ricca di ossidi di niobio
e di tantalio utilizzata nella fabbricazione dei circuiti dei computer,
dei videogames, dei telefoni cellulari e nellelettronica davanguardia.
Aerei di compagnie-ombra, pilotati da mercenari russi e kazaki,
fanno la spola tra Goma, Kisangani e Kigali, trasportando centinaia
di tonnellate di coltan, che subito dopo viene esportato in diversi
Paesi europei o in Sudafrica.

Anche dietro la guerra civile che da oltre un decennio insanguina
il Burundi (sei milioni e mezzo di abitanti, uno dei Paesi più
poveri del mondo) si celano inconfessabili interessi economici.
Più di 300 mila morti e oltre un milione di profughi non
hanno ancora scoraggiato le mafie politiche e militari implicate
nel traffico clandestino delloro che dal Kasai e dalle altre
regioni congolesi approda sulle rive del lago Tanganika. Da qui,
a bordo di piroghe, raggiunge Bujumbura, dove i comptoir dei commercianti
godono delle agevolazioni fiscali accordate nellambito di
una zona franca. Trasformato in lingotti col sigillo della Banca
nazionale, loro finisce in qualche banca svizzera, dopo tortuosi
peripli negli aeroporti di Singapore, Bruxelles, Parigi, Francoforte
e Amsterdam. Ma sul lago transitano anche armi e munizioni destinate
ai ribelli e allesercito regolare, cioè agli hutu,
che rappresentano l85 per cento della popolazione, esclusi
dal potere politico fin dallindipendenza dal Belgio nel 1962,
e ai tutsi, meno del 15 per cento, che da sempre occupano i posti
chiave nellesercito e nellamministrazione.
Ovunque è il regno dei baby killer. Sono i bambini analfabeti,
imbottiti di anfetamine (la kanyanga, acquavite di mais,
o il songo, birra di sorgo e banane, accompagnano leroina
assunta dagli adulti), resi insensibili alla sofferenza dagli orrori
di cui sono quotidianamente testimoni. Costoro maneggiano con gran
disinvoltura il machete e le armi automatiche, diventando spietati
strumenti di morte, mentre le squadracce militari al soldo di chi
le paga meglio godono di unimpunità pressoché
assoluta e consumano rappresaglie di inaudita violenza.
E ovunque è linferno dellAids, che si va diffondendo
in misura esponenziale, mentre due grandi fasce sono interessate
da fenomeni altrettanto letali: la desertificazione, che coinvolge
vasti territori dal Mali al Burkina Faso, al Niger, al Ciad e alla
Repubblica Centroafricana; e la carestia, che nellarea occidentale
interessa la Liberia, la Sierra Leone e la Mauritania, mentre in
quella orientale si sviluppa dalla Repubblica Centroafricana allUganda,
allEtiopia, al Kenya e alla Somalia. Qui i baby killer hanno
non solo licenza di uccidere, ma anche di saccheggiare, insieme
con i mercenari e con le bande armate che li ritengono combattenti
perfetti perché ubbidiscono ciecamente agli ordini, sono
agevolmente manovrabili, non hanno alternative alla fame.
In queste condizioni, è evidente che soltanto lAfrica
mediterranea conosce relative condizioni di stabilità e anche
di benessere. Limmagine che si profila per il resto del Continente,
forse escluso il Sudafrica, con i Paesi contigui, tuttavia anche
questi percorsi dalle fibrillazioni ribelliste, è quella
data dalla presenza degli inglesi in Sierra Leone e dei francesi
in Costa dAvorio, con forze militari dintervento che
somigliano troppo da vicino ad una ricolonizzazione.
LEuropa meridionale, e il Sud italiano in particolare, deve
fare i conti con questo stato di cose: campo di lavoro sterminato,
ma conteso da gruppi politico-economici e militari per le sue ricchezze
ancora quasi intatte, il Continente Nero, tranne rarissime eccezioni,
non conosce democrazie, non costruisce economie, non garantisce
progetti di sviluppo per reciproche collaborazioni. Le sue sono
guerre atroci, ma sostanzialmente ignorate dai mass media. Unici
ponti di collegamento sono le organizzazioni non governative e le
missioni che vi operano in condizioni di assoluta precarietà.
Eppure, negli anni Sessanta, quando si raggiunsero le indipendenze
dal colonialismo europeo, una grande speranza aveva acceso questo
gigantesco cuore di tenebra. E bastato meno di mezzo secolo
per moltiplicare allinfinito gli irriducibili inferni che
si allargano dal Sahara fin quasi ai mari che preludono al sesto
continente.
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