Tra Rinascimento
e Barocco si poté assistere ad una fioritura magnifica,
davvero
eccezionale,
di compositori
e di musicisti.
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Da molti secoli in Puglia, e più precisamente a Taranto,
c’erano state figure di primissimo piano, veri e propri geni
musicali, scopritori di fatti ancora non del tutto esplorati, che
ampia eco avrebbero ottenuto nelle epoche successive. Primo fra
tutti, Archita; ma poi anche Filolao e Dinone: costoro offrirono
un contributo notevole alla teoria della formazione musicale ellenica,
dando corpo ai principii di Pitagora nello stabilire i vari rapporti
numerici degli intervalli nei tre generi musicali diatonico, cromatico
e infine enarmonico, con una particolare attenzione specialmente
a quest’ultimo.
Ma fu più di chiunque Aristodemo, insieme con il suo allievo
Cleonide, a portare al più alto livello e alla maggiore conoscenza
la dottrina musicale greca, che in Magna Grecia ebbe sempre una
notevole diffusione. Non meraviglia, pertanto, il fatto che gli
autori pugliesi dei secoli seguenti abbiano potuto e saputo ben
profittare di un’eredità antica e molto ricca, se è
vero, com’è vero, che proprio la penisola salentina,
insieme con la Sicilia e con la Calabria, abbia dato vita a quel
triangolo mediterraneo che, come è stato già sottolineato,
ha messo a disposizione la quasi totalità delle flessioni
meliche, dei moduli ritmici e degli stilemi formali ai compositori
di tutta l’Europa già a partire dal Medioevo, e fino
a tutta l’epoca d’oro che va dal Cinquecento al Settecento.

E questo non accadeva per caso. In questa parte della Penisola,
infatti, vivevano e operavano popolazioni italiche che avevano accolto
e fatto proprie, nell’avvicendarsi delle diverse epoche, culture
arabe e bizantine, culture turche e normanne e provenzali, e di
esse si erano profondamente intrise, pur senza mai staccarsi dall’humus
originario, del quale soprattutto si nutrirono, elaborandolo con
schietta, spontanea semplicità. E questo fu fenomeno unico
nel Vecchio Continente, e in particolare in quelle regioni rivierasche
che, gravitando sul Mar Mediterraneo, avevano avuto rapporti culturali
diretti e più costanti con l’Ellade.
Fu in particolare la lunga permanenza dei Bizantini nella parte
meridionale della Puglia ad influenzare profondamente, intridendole
anche della propria sensibilità artistica, le popolazioni
salentine. E valga ad esempio il contesto della pittura basiliana,
variamente diffusa, sparsa, ma presente in tutto il territorio,
fino ai confini settentrionali dell’antica Messapia, ove fanno
storia a sé, solo di recente rivalutata, le vere e proprie
tebaidi diffuse tra Massafra e Mottola, e nelle città e paesi
di quei circondari. Così come valgano le pareti affrescate
in chiesette, eremi e grotte del versante costiero del Basso Adriatico,
rifugi di monaci espulsi dal Vicino Oriente dall’Isaurico
e dalle sue persecuzioni iconoclaste.
Così, dunque, tra Cinquecento e Settecento, vale a dire tra
Rinascimento e Barocco, si poté assistere ad una fioritura
magnifica, davvero eccezionale, di compositori, di musicisti le
cui opere, sebbene ancora oggi ai più ignote o scarsamente
conosciute, non sono davvero seconde ad altre, che sicuramente hanno
conosciuto miglior fortuna. Lontananza della provincia dai centri
propulsori dell’economia e dalle corti che potevano dispiegare
opera di mecenatismo? Passione musicale coltivata sebbene fossero
rare le figure dei committenti? Schiera di musicisti ed esecutori
tutti in egual misura geniali, spiriti anticipatori ma dispersi
fra aree della Penisola più disposte all’accoglienza
e all’ascolto come affinamento dello spirito? Con ogni probabilità,
tutte queste cose insieme, in diversa misura, ma per analoghi destini,
che si proiettano fino ai nostri giorni.
Gli autori di polifonie, infatti, (dalle villanelle alla canzonetta,
dai madrigali alle polifonie sacre), e quelli di musiche strumentali
trovano tuttora poco spazio non soltanto nelle esecuzioni nelle
sale da concerto, ma anche nei saggi, negli studi, nella valorizzazione
critica e nella stessa filologia sperimentale, che pure da qualche
tempo va tanto di moda. Tranne, ovviamente, in alcuni casi degni
di gran lode. Eppure, come è stato scritto, si tratta di
opere di notevole equilibrio contrappuntistico, di una freschezza
immediata realizzata con raro gusto e con estrema linearità
delle parti e con chiarezza delle melodie.
Limitandoci alla citazione di alcuni fra i tanti che contrassegnarono
quest’epoca, dobbiamo ricordare almeno i leccesi Vincenzo
Stella, Antonio Baseo e Pietro Migali, il casaranese Francesco Rigliaco,
i copertinesi Bernardino Mega e Donato Antonio Ventura, il galatinese
Pasquale Cafaro, il Malcarne di Montesardo, Benedetto Serafico di
Nardò, Michele De Lipari di Gallipoli…
Insieme con altri, questi raffinatissimi compositori diedero lustro
a un’epoca, la caratterizzarono con un’identità
che il Salento non avrebbe realizzato più di uguale spessore
e caratura. Sono i testimoni, oggi muti, di una civiltà come
sintesi di culture emerse da comuni radici ellenico-mediterranee
che senza dubbio influenzarono maestri continentali, tendenze musicali
anche successive, soluzioni originali negli sviluppi della musica
moderna.
Ragioni di più, tutte queste, per tornare a rileggere i loro
spartiti, per far tornare d’attualità e rivalutare
in fruitori sensibili e in ascoltatori appassionati un patrimonio
unico, quanto negletto.
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