Non è difficile
individuare alcuni punti di contatto tra la riflessione bodiniana
e
i dipinti di Gabrieli: il senso di tragica dispersione nel
nostro paesaggio,
il conflitto tra terra e cielo. |
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La mostra delle opere pittoriche di Luigi Gabrieli, organizzata
dall’Amministrazione comunale di Matino nelle sale del Palazzo
marchesale “Del Tufo” dal 18 al 25 gennaio 2004, è
stata un’occasione importante per riaprire il discorso su
uno degli artisti più rappresentativi del Novecento salentino.
Un artista che non è conosciuto ancora come meriterebbe e
non ha ricevuto nemmeno un’attenzione adeguata da parte della
critica. Manca infatti a tutt’oggi, a dodici anni dalla sua
scomparsa avvenuta nel 1992, uno studio accurato sulla sua opera,
sulla quale esistono soltanto brevi interventi giornalistici (recensioni
e qualche altro articolo), oltre che le presentazioni in catalogo
alle poche mostre personali allestite. Proprio per questo motivo
nel 1990 mi provai a delineare le tappe principali del suo itinerario
pittorico sulla base della documentazione offertami dallo stesso
Gabrieli, che in quel periodo ebbi l’opportunità di
conoscere e di frequentare. Ma ovviamente è necessaria una
ricostruzione storica e critica della sua attività artistica
durata oltre sessant’anni, attraverso una “lettura”
attenta delle opere, delle quali si dovrebbe procedere anche a un
preciso inventario.
In questa occasione quindi mi limiterò a ripercorrere brevemente
alcune di queste tappe, mettendo in relazione l’opera di Gabrieli
con l’ambiente culturale salentino e con alcuni dei suoi più
noti esponenti. E non posso non prendere le mosse naturalmente proprio
dal suo primo periodo, che va grosso modo dalla fine degli anni
Venti agli inizi dei Quaranta. Gabrieli, nato a Matino nel 1904,
aveva studiato prima presso la Scuola d’Arte “G. Pellegrino”
di Lecce e poi presso l’Istituto d’Arte di Firenze,
dove ebbe come maestro Aldo Carpi, futuro insegnante e dal secondo
dopoguerra anche direttore dell’Accademia di Brera di Milano.
A Firenze che, insieme con Napoli e Roma, è stato uno dei
centri di riferimento per gli artisti salentini della prima metà
del ‘900, nel 1927 conseguì la licenza del Corso superiore
e l’anno seguente l’abilitazione all’insegnamento
delle materie artistiche. Dal 1929 al ‘33 insegnò come
collaboratore di Geremia Re nella Scuola d’Arte di Lecce,
avendo come allievi, tra gli altri, Mino Delle Site e Lino Suppressa.
Il suo esordio in campo nazionale avvenne nel 1929, allorché
partecipò insieme a Re e a Temistocle De Vitis, alla Mostra
del Sindacato laziale di Roma. Negli anni seguenti prese parte anche
ad altre mostre sindacali: a Firenze (1933), a Lecce e a Rovigo
(1934).

Questo primo periodo però non è legato completamente
all’ambiente salentino. Nel 1933 infatti, per motivi di lavoro,
è costretto a trasferirsi a Sulmona, dove insegna fino al
‘36 e dove nel ‘34 allestisce la sua prima mostra personale.
Nel 1936 un nuovo trasferimento, sempre per gli stessi motivi, a
Castelmassa, in provincia di Rovigo, dove ha modo ugualmente di
farsi conoscere e apprezzare in un’altra personale tenuta
nel 1938. In questi anni Gabrieli, stando alle poche testimonianze
critiche rimasteci, aderisce al “Novecento”, cioè
alla corrente pittorica più avanzata (insieme al Futurismo,
ma sul versante opposto) di quel tempo, che nel Salento, d’altra
parte, aveva i suoi autorevoli rappresentanti proprio in Geremia
Re, Temistocle De Vitis, Mario Palumbo e Michele Massari. E questo
significa che il giovane artista di Matino rifiuta quell’attardato
verismo tardottocentesco di derivazione napoletana che pure aveva
numerosi seguaci nella sua terra (basti pensare a Michele Palumbo,
al coetaneo Gaetano Giorgino e a tanti altri).
Nel 1943 ha inizio una nuova fase, forse la più fervida e
significativa, della carriera artistica di Gabrieli, che quell’anno
ritorna nel Salento e riprende a insegnare nella Scuola d’Arte
di Lecce, dove resta fino al 1960, contribuendo a formare numerosi
artisti salentini, alcuni dei quali si sono imposti poi in campo
nazionale, come Ercole Pignatelli, Fernando De Filippi e Salvatore
Esposito. In questo periodo egli partecipa a quel generale moto
di rinnovamento delle arti e delle lettere salentine, promosso da
un gruppo di scrittori, pittori e scultori che avevano trovato nella
loro terra la fonte principale d’ispirazione per le proprie
opere. Un gruppo che costituiva una vera e propria “coiné
poetico-pittorica”, e che riuscì a inserire arti e
lettere salentine in un contesto nazionale. Di questo drappello
di punta, composto, fra gli altri, da Geremia Re e Vittorio Bodini,
Lino Suppressa e Aldo Calò, Vittorio Pagano e Nino Della
Notte, Luciano De Rosa e Antonio D’Andrea, Giovanni Bernardini
e Cosimo Sponziello, Luigi Gabrieli fece parte integrante, anche
se a causa del suo carattere, schivo e riservato, e delle personali
vicissitudini, resterà sempre in una posizione un po’
defilata.
E a questo proposito conviene fare un’osservazione. Gabrieli,
nato nel 1904, appartiene alla seconda generazione dei pittori salentini
del ‘900, insieme a Temistocle De Vitis, Pippi Starace, Gaetano
Giorgino, tutti del 1904 e Mario Palumbo (1905). La prima è
stata quella di Geremia Re e Vincenzo Ciardo, i due maestri riconosciuti
della pittura salentina del ‘900, nati entrambi nel 1894.
La terza generazione, quella di Della Notte, Carlo Barbieri e Fernando
Troso (1910), Roberto Manni (1912), Delle Site (1914), Suppressa
e Sponziello (1915). Era quindi più anziano di questi ultimi,
che operarono (alcuni fuori regione) soprattutto dal secondo dopoguerra
distinguendosi nel panorama della pittura pugliese. Ebbene, Gabrieli,
nonostante questa differenza generazionale, si può considerare
uno di loro, in quanto si fece conoscere e apprezzare negli stessi
anni, nelle stesse manifestazioni e nelle stesse sedi di esposizione.
Da rilevare che dal secondo dopoguerra e fino a tutti gli anni Cinquanta
Lecce vive il suo momento di maggiore vivacità in campo culturale.
Riviste letterarie, spesso di rilievo nazionale, da “Libera
Voce” di Cesare e Federico Massa all’“Albero”
di Comi, dall’“Esperienza poetica” di Bodini al
“Critone” di Pagano al “Campo” di Lala,
Bernardini e Carducci, continue mostre d'arte, manifestazioni di
grande livello come le Celebrazioni salentine e il Premio Salento
fanno di Lecce una vera cittadella di scrittori e pittori, una “piccola
Montmartre”, come venne definita. E Gabrieli, che pure faceva
ogni giorno il pendolare tra Matino e il capoluogo provinciale,
si trovava ad operare proprio in questo ambiente culturale così
stimolante, pur nella sua perifericità.
Nel 1946 dunque si presenta per la prima volta davanti al pubblico
leccese, esponendo ventisei opere, tra oli, tempere e disegni, in
una mostra personale allestita nei locali dell’Associazione
della Stampa, che probabilmente, da quello che è dato di
capire dal cataloghetto, è stata più una sorta di
consuntivo del primo periodo che l’inizio del nuovo o comunque
ancora qualcosa di intermedio tra le due fasi (ma questa impressione
è ancora tutta da verificare, come dicevo prima, attraverso
un esame diretto delle opere).
Nella breve nota introduttiva al catalogo Franco Silvestri, che
è stato il critico più fedele dell’artista salentino,
coglieva acutamente, già da allora, una delle principali
caratteristiche della sua pittura nell’attenzione rivolta
al dato paesaggistico, non in funzione di una mera descrizione naturalistica
ma con evidenti esiti di trasfigurazione lirica. Silvestri vedeva
anzi sintetizzate, nei paesaggi, le “migliori qualità”
di Gabrieli:
Specie nel paesaggio mi pare di vedere una perfetta sintesi delle
migliori qualità del nostro pittore: un senso acutissimo
della composizione e del taglio, un equilibrio di valori cromatici
che non lascia mai adito ad arbitrarie soluzioni o inframmettenze,
nato com’è ai fini di una creazione di rapporti tonali
e quindi di atmosfera, un vigore di disegno che costituisce una
delle più pregevoli caratteristiche.

La personale del '46, che venne recensita su alcuni giornali locali,
impose definitivamente all’attenzione dell’ambiente
culturale leccese il nome di Gabrieli, tanto è vero che qualche
anno dopo Vittorio Bodini, tracciando un profilo delle arti e delle
lettere in Puglia, lo citava, insieme a Sponziello, definendo questi
pittori «due paesaggisti delicati che ha la provincia verso
il Capo di Leuca». E subito dopo aggiungeva che Gabrieli,
anche se «quasi sconosciuto», era il «più
sensibile interprete d'un paesaggio muto e difficile com’è
il nostro».
Questo riconoscimento assume ancora più valore ove si pensi
che Bodini in quel periodo andava riflettendo anch’egli sul
paesaggio salentino. Nella prosa Pitagora è uno delle nostre
parti infatti offriva un’originalissima interpretazione della
sua terra come metafora esistenziale, prendendo spunto proprio da
una serie di osservazioni sul paesaggio pugliese nella pittura dell’800-900.
Ebbene, non è difficile individuare alcuni punti di contatto
tra la riflessione bodiniana e i dipinti di Gabrieli di quegli anni,
quali, ad esempio, il senso di tragica dispersione delle cose presente
nel nostro paesaggio («Volgiamo gli occhi in giro e vediamo
cose separate su una campagna piena di malavoglia, creatura accidiosa
dalle braccia inerti...»); la presenza di un cielo opprimente
che «come un enorme coperchio [...] grava e schiaccia egualmente
il filo d’erba e l’ulivo, la torre aragonese diroccata,
i muri sgretolati, i fichi d’India che seguono la linea di
antiche divisioni catastali»; il conflitto tra terra e cielo,
«i due antagonisti del paesaggio», che «si pongono
ripettivamente come il temporale e l’astorico», con
il cielo (il “non-essere”) che, invertendo i tradizionali
rapporti, assume il ruolo di protagonista nel paesaggio pugliese.
E a un certo punto scriveva: «E’ “ciò che
non si vede” che bisogna dipingere di questo paesaggio. Cominciamo
ad insinuare il sospetto che non si possa fare di esso altra pittura
che metafisica».

Una frase come questa sembra adattarsi benissimo a certe opere
di Gabrieli, nelle quali sembra di cogliere appunto un senso metafisico
nella raffigurazione del paesaggio salentino. E non sarebbe difficile
nemmeno rintracciare precise affinità tra la sua pittura
e alcune immagini poetiche di Bodini. Mi limito a queste due, tratte
entrambe dalla Luna dei Borboni: «Tu non conosci il Sud, le
case di calce / da cui uscivamo al sole come numeri / dalla faccia
d’un dado» (Foglie di tabacco, 1); «Cade a pezzi
a quest’ora sulle terre del Sud / un tramonto da bestia macellata.
/ L’aria è piena di sangue, / e gli ulivi, e le foglie
di tabacco, / e ancora non s’accende un lume» (Foglie
di tabacco, 5 ).
D’altra parte, che Bodini fosse particolarmente interessato
a Gabrieli è confermato da un breve scritto, che resta senza
dubbio il più acuto e penetrante a lui dedicato, composto
in occasione di una collettiva svoltasi in una galleria di Galatina
nel 1954. In questa paginetta, che costituisce anche uno splendido
esempio di prosa poetica, Bodini offriva una suggestiva interpretazione
dell’opera di Gabrieli, descrivendo l’atmosfera angosciosa,
carica di attese e di incombenti minacce, tipica dei suoi paesaggi.
E si noti anche come qui compaiano le stesse immagini poetiche che
sono state citate prima:
La pittura di Luigi Gabrieli è chiusa in sé come
una dolce isola un po’ testarda, dove non approdano inquietudini
teoriche o compiacenze di mestiere. Benché più volte
la sua materia pittorica sfiori un gusto raffinato, abbiamo il sospetto
che questo confine egli non voglia varcarlo, per non compromettere
in soluzioni estetiche il disadorno oggetto del suo sogno. Sicché
quasi parrebbe che Gabrieli cammini in punta di piedi nei suoi quadri,
dai quali, equilibrato in attonite atmosfere, ci guarda il suo Salento,
in una versione intima, ma non perciò meno persuasiva. Chi
voglia ritrovarlo cammini un po’ a ritroso in se stesso, attraversi
il confine dell’adolescenza, nelle sgomente attese dei sottoboschi,
sulla terra color sangue all’ora del tramonto, con gli ulivi
che non stormiscono e un pezzetto di casa bianca che appare e scompare
fra i tronchi, non sai se amica o nemica. La malinconia che s’aggira
fra queste immagini come un fumo è Gabrieli, è il
lento segreto dei suoi occhi. Se Ciardo ci ha scoperto di questa
misteriosa terra del Capo l’ardente fissità, l’arido
disordine, nei momenti migliori Gabrieli ce ne rivela la profondità
dei silenzi nell’avanzare cauto dell’ombra, dove annegano
gli ultimi gridi ossessivi del cuore.
Nel 1954 ha luogo anche la seconda personale leccese di Gabrieli.
Nella galleria del “Cin Cin”, dove nei mesi precedenti
si erano svolte le mostre di Suppressa, Mario Palumbo, Roberto Manni
e Nino Della Notte, e che era allora la sede, per così dire,
“ufficiale” della migliore arte salentina, il pittore
di Matino espose ventidue opere, tra oli e tempere, presentato in
catalogo proprio da Lino Suppressa, che, com’è noto,
ha svolto anche una notevole attività di critico d’arte.
E qui, dopo aver sottolineato «la forza drammatica e [...]
disperata delle sue raffigurazioni», metteva in rapporto l’arte
di Gabrieli con la sua inquieta e tormentata natura e con le vicende
di un «tragico quotidiano che a volte l’ha zittito e
a volte infuriato». Anche per questo, scriveva Suppressa,
la «verità» dei paesaggi esposti non stava «su
un piano di identificazione toponomastica, ma su quello di una realtà
che trascende i limiti della geografia per sconfinare nelle regioni
dello spirito».
Con lo pseudonimo di Ossip, l’artista leccese tornava a riflettere
sulla mostra di Gabrieli in un articolo su “Voce del Sud”,
soffermandosi più specificatamente sugli aspetti formali
della sua pittura, per la quale richiamava modelli antichi e recenti
(«la maestosa primitività trecentesca di un Lorenzetti»
e «il ricordo di certa lontana metafisica di Carrà
riscopritore di Giotto»).
Nel 1956 si presenta a Gabrieli un’occasione importante per
farsi conoscere anche fuori dai confini del Salento. E’ invitato
infatti ad esporre a Bari in un’altra sede prestigiosa, la
galleria del “Sottano”, diventata ormai «lo specchio
ideale di tutti i genuini valori della pittura pugliese».
In questa mostra Gabrieli espose venticinque opere ordinate da Gustavo
D’Arpe e Franco Silvestri, che presentandolo di nuovo in catalogo,
a distanza di dieci anni dalla prima personale leccese, annunciava
una «rigogliosa stagione creativa», incentrata sul «colloquio
profondamente lirico col paesaggio del Sud, di un Salento veramente
scoperto, visto per la prima volta come una dimensione dell’anima,
come un modo di essere ed un atto di fede». Alla fine del
suo scritto Silvestri, confermando in un certo senso il giudizio
già espresso da Bodini, definiva Gabrieli «un originale
e forse non superato interprete del paesaggio salentino».
Oltre che in mostre personali, Gabrieli, per tutti gli anni Cinquanta,
è impegnato anche in numerose manifestazioni artistiche di
rilievo nazionale, svoltesi fuori e dentro la regione, nelle quali
va mettendosi in luce come uno dei migliori esponenti della pittura
pugliese. Tra queste ricordiamo, in particolare, il Maggio di Bari,
la rassegna d’arte più importante del Meridione, nella
quale si fecero conoscere tanti pittori salentini che spesso vennero
anche premiati (ricordo, tra questi, Suppressa, Sponziello, Della
Notte, Troso). Vittorio Pagano, a questo proposito, in un articolo
del ‘52, sottolineava con compiacimento l’affermazione
dei pittori leccesi nella seconda edizione di questa rassegna e,
più avanti, citando anche Gabrieli tra coloro che cedevano
«a un morbido incanto impressionistico», sosteneva che
tutti quanti «si tengono fedeli al colore ed al senso della
nostra terra, al calore ed al fremito della nostra anima».
Nel 1956, nella sesta edizione del “Maggio”, a cui prende
parte ininterrottamente dal 1952 al 1962, Gabrieli ottiene una “segnalazione”
che però, a giudizio del critico ufficiale della “Gazzetta
del Mezzogiorno”, Oronzo Valentini, avrebbe dovuto essere
un vero e proprio premio. Valentini si spinse anzi a tal punto,
in quella occasione, da parlare, senza mezzi termini di un’evidente
ingiustizia commessa dalla Giuria nei confronti dei pittori salentini,
«ad alcuni dei quali – scriveva – ancora una volta
(così come accadde anche negli anni scorsi) è stato
negato un riconoscimento che certo gli spettava». E più
avanti, facendo esplicitamente il nome di Gabrieli, così
continuava: «Che dire dei “segnalati”? Gabrieli
(Sala B, 159), con il suo “paesaggio” di meditata e
suggestiva impostazione cromatica, di forte efficacia, si domanderà
se al mondo v’è giustizia».
Nel 1956 il pittore salentino partecipa anche alla VII Quadriennale
d’arte di Roma, la principale manifestazione artistica italiana
insieme con la Biennale di Venezia, con un Paesaggio pugliese, che
veniva così descritto da Luigi Flauret: «E’ la
nostra tipica campagna dal colore ruggine, sparsa di alberi di ulivo,
luminosa nel meriggio infuocato da un sole accecante e grande alla
Van Gogh».
Ma in questi anni egli è presente anche in alcune rassegne
regionali che proponevano all’attenzione di critica e pubblico
i migliori artisti salentini e pugliesi. Tra queste ricordiamo la
Mostra degli Artisti salentini contemporanei, svoltasi a Bari, nel
Castello Svevo, nel 1954 e la Mostra di pittura e scultura salentina,
tenutasi a Lecce, nel Sedile, nel ‘56. Qui Gabrieli presentò
due dipinti, Alberi spogli e Case tra gli alberi, che fecero così
scrivere a Gustavo D’Arpe:

L'impressionismo di Gabrieli si attarda nei panorami della Puglia.
Il raccordo dei colori felicemente inventati da un pennello ricco
di umori fa di Gabrieli un paesaggista eccezionale. Tra rossi, bleu
e grigi, egli racconta la storia antica, barbara e civile della
quale gli alberi e i campi furono protagonisti e testimoni. Un’accorata
bellezza calda e duratura consegna il nostro panorama ai suoi misteri.
Nel 1958 e nel 1960 Gabrieli partecipa ancora a due mostre collettive
di artisti pugliesi svoltesi alla galleria “Taras” di
Taranto. Nella prima, intitolata “Artisti pugliesi operanti
in Puglia”, presenta cinque Paesaggi, che, secondo il critico
tarantino Franco Sossi, «danno evidenza ad una predilezione
per le tonalità mantenute su registro basso, cupo, che indica
massa, volume e atmosfera». Nella seconda, “Artisti
pugliesi contemporanei”, espone tre opere, in cui, a giudizio
di Nerio Tebano, l’artista matinese dimostrava che la sua
pittura era «calata nel clima civilissimo di una cultura nazionale
non d’accatto».
Negli anni Sessanta e fino al 1974 Gabrieli è profondamente
assorbito dai nuovi, gravosi impegni scolastici: nel 1961 è
incaricato della Direzione dell’Istituto d’Arte di Poggiardo;
dal ‘61 al ‘74 è prima direttore incaricato e
poi titolare dell’Istituto d’Arte di Parabita. Comunque
anche in questi anni continua la sua solitaria ricerca pittorica
che giunge fino alla sperimentazione astratta e informale, ancora
tutta da studiare. E anche qui non si può non mettere in
relazione questo suo lavoro con gli analoghi esperimenti condotti
più o meno negli stessi anni da altri pittori salentini come
Della Notte e Suppressa.

In anni più recenti sono da segnalare ancora la partecipazione
di Gabrieli a varie edizioni del Premio Primavera di Foggia, dove
ha ottenuto spesso premi e riconoscimenti, e una personale svoltasi
a Gallipoli nel 1988, nei locali del Joli Park Hotel, organizzata
dal Rotary Club di Gallipoli. Ma in realtà, dopo l’esaltante
stagione degli anni Cinquanta, Gabrieli si andò progressivamente
isolando, rinunciando quasi completamente a ogni contatto col pubblico
e con la critica, verso cui non nascondeva la sua diffidenza. Da
allora quindi rarissime sono state le occasioni per poter ammirare
le opere di questo artista, che continuò a lavorare però
fino agli ultimi tempi, giungendo, nella raffigurazione del paesaggio
salentino, che è rimasto il suo tema costante, se non esclusivo,
a esiti di straordinaria essenzialità e penetrazione. Ricordo
certi paesaggi degli ultimi anni (oli e tempere), che hanno perduto
qualsiasi connotazione realistica per diventare puri luoghi mentali,
veri e propri luoghi dell’anima.
Anche per questo non posso concludere il mio intervento se non auspicando
vivamente un’ampia mostra antologica, che ricostruisca criticamente
e documenti tutte le varie fasi dell’attività artistica
di Gabrieli. Sarebbe, questo, il modo migliore per rendere omaggio
a un pittore che all’arte ha dedicato tutta una vita.
Luigi Gabrieli
Il pittore dei crepuscoli
Erede testamentario della famiglia Gabrieli, il frate minore padre
Giuseppe Marsano ha donato al Municipio di Matino 65 opere di Luigi
Gabrieli, che daranno origine ad una pinacoteca intitolata allartista,
che fu docente di decorazione pittorica presso varie scuole italiane,
e in seguito direttore dellIstituto dArte di Parabita,
(anche questo destinatario di un altro gruppo di quadri).
Fu, Gabrieli, spirito innovatore, antiaccademico, sempre teso alla
ricerca di soluzioni espressive moderne, per una concezione dellarte
come esternazione dellinteriorità e della visione creativa
affinata dalla sensibilità individuale. Remoto da scuole
e da maestri, perfezionò la propria pittura sul
campo sperimentale, lungo un percorso dinamico che trascorse dal
figurativo (idealizzato nei paesaggi naturali e umani che gli offriva
la terra natia) allastratto assoluto dellultimo periodo
della sua vita (interpretato da colori intensi, quasi sempre di
fortissimo impatto comunicativo, come metafora dellesilio
e della consapevole autoemarginazione).
Dipinse anche per questo i momenti emblematici delle solitudini
esistenziali, i crepuscoli, le albe e i tramonti, che riteneva «attimi
di poesia, di alta poesia», alieni ad ogni contaminazione
dei gridi, delle voci, dei gesti. E fu, coerentemente, uomo schivo,
estremamente riservato, di poche ma profonde amicizie, sempre messe
a prova di affinità elettive, e mai sfiorato da interessi
materiali.
«Con Palumbo, Ciardo, Re, Sponziello, Della Notte ed altri»,
scrive di lui Franco Ventura, «anche Gabrieli faceva parte
di quella costellazione di artisti salentini che ben oltre i confini
della nostra provincia fecero conoscere la creatività e i
fermenti culturali dellarte meridionale del Novecento».
Trascriviamo qui, in sintesi, gli interventi svolti in occasione
della mostra delle 65 opere nella sala consiliare del Palazzo Marchesale
matinese.
Finalmente possiamo dire di aver raggiunto
un traguardo: lesposizione delle opere pittoriche del prof.
Luigi Gabrieli, donate allAmministrazione Comunale da padre
Giuseppe Marsano.
Liter era iniziato nel 2001 per linteressamento del
sen. Costa, ed era proseguito dallallora sindaco, dr. Cosimo
Romano, al Commissario straordinario, dr. Umberto Guidato, che aveva
realizzato un catalogo con lillustrazione delle opere donate.
Gli illustri ospiti, della cui presenza ci onoriamo, parleranno
dei valori artistici di Gabrieli. Personalmente, ho cercato di farli
conoscere oltre il nostro territorio: grazie allorganizzazione
di questo evento, abbiamo inviato in gran parte dItalia dépliant
e inviti, e abbiamo creato un sito Internet che finora ha registrato
centinaia di accessi. Stiamo inoltre pensando a una riedizione del
primo catalogo, che contenga anche gli atti dellincontro di
questa sera. Così come vi è un forte impegno per la
realizzazione della pinacoteca, che consentirà agli amanti
dellarte di conoscere e apprezzare le opere pittoriche di
Gabrieli.
Ringrazio tutti per la fiducia accordatami.
Antonio Costantino
Assessore ai Beni Culturali
Ritengo di non sbagliare se affermo
che per la prima volta vengono ufficialmente portati a conoscenza
dellintera popolazione lopera, il lavoro, la cultura
di un nostro concittadino, mentre è stata lasciata ad altri,
enti o privati, liniziativa volta a ricordare persone, opere,
avvenimenti, che per un motivo o un altro sono stati volutamente
dimenticati. Così facendo, cosa si tramanda ai nostri figli
e nipoti? il vuoto, il dimenticatoio? Mi permetto di
chiedere: quanti di voi conoscono le opere di Raffaele Gentile?
chi era il maestro Luigi Romano? o Eriberto Scarlino? quali sono
stati i Soci fondatori della Banca di Matino, o dellattuale
Cooperativa? chi ha amministrato Matino, e che cosa ha realizzato?
E potrei continuare... Ricordo tutto questo agli anziani come me,
perché possano addolcire le lacrime nella tenerezza dei ricordi;
ma nel contempo mi rivolgo ai giovani e meno giovani, perché
sappiano quali frutti cogliere dalle antiche radici.
Cultura è, sotto il profilo soggettivo, maturazione interiore
della persona, crescita della capacità di interpretare il
mondo e di orientare la propria azione. Cultura è la ricerca
e lapprofondimento della conoscenza, ed è anche qualificata
comunicazione di tale conoscenza. La cultura, listruzione,
i giovani, le pari opportunità, il rapporto tra società
civile e istituzioni, sono argomenti che devono essere affrontati,
per dare coerenza ai nostri ideali. La cultura è patrimonio
dellumanità, e può e deve viaggiare senza limiti
o confini, grazie alle nuove tecnologie e alle moderne forme di
comunicazione.
Ho avuto la fortuna e il privilegio di conoscere Gabrieli fin dal
lontano 1945, quando, giovane studente liceale, prendevo il treno
per andare a Lecce a studiare: lo stesso treno che prendeva il Maestro,
per andare nel capoluogo ad insegnare. Mi parlava spesso di Pignatelli,
che rivedo dopo tanti anni; mi citava anche Antonio Massari, Fernando
De Filippi, Lino Suppressa, lo stesso professor Giannone, che ora
lo ricorda insieme con noi. Dal 60, succedendo a mio padre,
divenni medico della famiglia Gabrieli. Ma, soprattutto, amico e
confidente. Lunga, intensa, sincera amicizia: anche nel senso di
rispetto, di disinteresse, di vera scuola come esempio di comportamento,
di confronto, di superamento delle differenze di visione, di reciproca
legittimazione professionale. Sicché spesso mi accompagnava
nel mio lavoro, si parlava di tutto e di più: mai una disillusione,
un tradimento, una scorrettezza. Sempre tanta umanità e tanta
dedizione verso il prossimo.
Riuscii a organizzargli una mostra a Gallipoli, nell87, presso
il Rotary Club, al quale donò tre opere, poi messe allasta,
col ricavato inviato alle Suore Missionarie di Asmara per larredamento
di un ambulatorio medico-chirurgico. In segno di riconoscenza, il
R.C. gli offrì il Paul Harris, che è il
più alto riconoscimento rotariano nel mondo, e il suo nome,
ogni anno, sarà ricordato.
Coltivò un ideale di raccoglimento, di silenzio, di solitudine,
di meditazione; fu un profeta di serenità e di pace; fu umile
e umanissimo. Mi ripeteva spesso che la buona pittura è fatta
di sudore e di fatica, di pennelli sporchi, ripuliti e consumati.
Amava le tinte forti, i colori drammatici rosso e nero, che meglio
esprimevano i suoi stati danimo, i pensieri, i desideri, gli
affanni che conoscevo bene. Mi diceva: dipingere è facile,
oggi tutti dipingono; fare arte non è facile, larte
è componente essenziale per fare la storia, ed è questo
che mi spaventa. Conoscevo le oltre 220 opere di Gabrieli, compresi
gli studi e le prove dautore, fra
le quali andrebbero annoverate le Odalische che sono
esposte qui.
Concludo ricordando un capoverso di uno dei tanti saggi scritti
da Franco Silvestri, che lo conobbe da vicino, e che mi sembrano
in perfetta assonanza con quanto io penso di questo Maestro matinese.
Scriveva Silvestri: «Ciò che sorprende nella pittura
di Gabrieli è la drammaticità del suo colloquio espressivo
con il paesaggio, vissuto con levidente e sofferta ricerca
di una sintesi formale e rivolto ad una visione cosmica, di omerica
tragicità, articolata in un discorso cromatico dimpianto
costruttivo grandioso.
Serafino Giannelli
Medico personale e amico di Gabrieli
Era uomo umile e schivo, buono danimo,
sensibilissimo e acuto; lo sguardo emanava una forza interiore da
quegli occhi di un colore indefinito che mutavano improvvisamente
come il cielo. Parlava, centellinando le parole, e, qualunque fosse
lesordio del suo dire, inevitabilmente si finiva toccando
la sua concezione dellarte, del suo modo di fare pittura.
Comunicante con lufficio di Direzione [della Scuola dArte
di Parabita, N.d.R.], cera una celletta, come in un antico
convento: lì dipingeva preso dal sacro furore dellarte,
usando con mano sapiente, con tocchi ora misurati ora nervosi, il
pennello e la spatola. Il fare artistico era preghiera: scorci di
paesaggi di campagna rossastri, quasi infuocati, su cui gravava
lafa di piena estate, nature morte, autoritratti, nudi femminili,
e, nellultimo periodo, crocifissioni alla maniera di Dalí.
E difficile rievocare le componenti della sua pittura, anche
se Gauguin, Van Gogh, Munch e Picasso sono i più vicini al
suo sentire. Alternava momenti di apparente serenità ad altri
di angustia interiore, di lotta; il sudore imperlava la sua fronte
spaziosa; le sopracciglia cespugliose ed arruffate mettevano in
evidenza i suoi occhi, che sprigionavano una luce intensa; uno sguardo
ora truce, ora bieco, ora dun bambino. E poi il sorriso sornione.
La sua ultima opera doveva essere più bella delle altre,
ma amata come le altre, come si amano i propri figli. Nelle sue
mani sapienti il pennello era qualcosa di magico: pochi tocchi per
lessenzialità; ma quanta fatica e sofferenza! Era questo
il suo linguaggio per esprimere le emozioni davanti al cielo infinito,
alla sua terra, davanti alle piccole e grandi cose della vita, che
lasciano il segno nellanima.
Leredità che lascia al nostro Istituto è significativa,
perché le dieci importanti opere su carta e tela che le sorelle
dellArtista hanno donato per il tramite di padre Giuseppe
Marsano testimoniano una vivacità culturale aperta a novità
e sperimentalismi; per meglio valorizzare queste testimonianze,
le abbiamo esposte nella Sala docenti, che abbiamo intitolato al
Maestro scomparso; è viva, perché la sua eredità
passa nella vita dei suoi numerosi allievi, che si sono diplomati
allIsa di Parabita sotto la sua guida e che si sono poi inseriti
nel mondo del lavoro; è ancora viva perché questa
sua eredità opera ogni giorno nella sua scuola attraverso
lazione educativa e culturale di quei docenti che, diplomatisi
durante la sua Direzione, vi sono tornati poi come docenti formatori,
con evidente sua intima gioia e gratificazione. Se monumento vuol
dire memoria e ricordo, è proprio questa leredità
più vera che il Maestro lascia, la memoria di un artista
espressionista, profondamente umano, eclettico e sempre aperto a
novità e sperimentalismi, come testimoniano ogni giorno le
opere custodite presso il nostro Istituto, così cariche di
echi e di richiami allarte informale e materica.
Giuseppe Metti
Dirigente Isa Parabita
Il Maestro ci abbraccia con tutte le
sue opere esposte sui tre lati di questa grande sala. Questa sera
provo la stessa emozione e partecipazione di quando a Parigi ho
assistito ai funerali del grande pittore George Braque.
Ho conosciuto Gabrieli allIstituto dArte di Lecce nellanno
scolastico 1951-52, e da quel momento è stato il mio
maestro di pittura. Le diverse tecniche di pittura su carta, su
tela, sui muri dellaula, sullaffresco, sul concetto
di espressione e di uso dei materiali, lo spazio della tela, i colori,
ci venivano insegnati dal Gabrieli con grande interesse e professionalità.
Nel gennaio 54 la lezione fu impostata sullanalisi del
testo e delle illustrazioni a colori di un libro sullopera
di Picasso. Nella verifica dei colori, della composizione, delle
diverse illustrazioni, Gabrieli ci confermò la necessità
della libertà di espressione e di informazione. Stranamente,
erano occasioni nelle quali il dipingere, la tecnica, il mondo poetico
di ognuno di noi, diventavano diritti di libertà di opinione,
libertà di ricevere e comunicare informazioni artistiche
per superare il limite e la mancanza, in quel periodo, delle esposizioni
di arte contemporanea nella città di Lecce. Ci indicava un
metodo di lettura delle recensioni delle mostre darte sui
quotidiani, si dovevano frequentare le biblioteche, dove purtroppo
non si trovavano mai i cataloghi delle mostre darte, che vivacizzavano
la vita culturale delle altre città italiane. Il fermento
culturale e artistico si manifestava a Roma, Milano, Venezia, Torino.
«A Milano cè la mostra di Picasso e ci sarà
quella di Modigliani. A Roma ci sono la Galleria dArte Moderna,
la Cappella Sistina di Michelangelo, le stanze di Raffaello...».
Erano sempre indicazioni, informazioni; era la costruzione costante
della curiosità artistica. E anche se non conoscevamo molte
città italiane, né Londra, né Parigi, ci sentivamo
internazionali, con la certezza che dovevamo conoscere
di fatto tutti questi avvenimenti artistici.
E dal maestro Gabrieli che per la prima volta ho sentito parlare
dellAccademia delle Belle Arti di Brera. E sempre con le illustrazioni
del catalogo di Picasso ci spiegava come il corpo umano era disegnato,
dipinto, costruito con una profonda conoscenza dellanatomia
artistica e che questa materia veniva insegnata nelle Accademie
di Belle Arti. Non a caso da decenni sono titolare della cattedra
di Anatomia Artistica alla milanese Accademia di Brera.
Spero di avere più documenti e cataloghi che illustrino la
sua opera di pittura. E in questa serata commemorativa mi sembra
che ci siano tutte le premesse per rendere un giusto riconoscimento
ai grandi meriti artistici ed umani del mio maestro Luigi Gabrieli.
Maestro Salvatore Esposito
Allievo di Luigi Gabrieli
Per risalire con la memoria a quello
che per me resta ancora il professore, nonostante siano
passati tanti anni, non devo fare uno sforzo eccessivo. Parlo del
1956-57, quasi mezzo secolo fa. Gabrieli era docente allIstituto
dArte di Lecce. Insegnava in quello che allora si chiamava
Professionale, allinterno dei corsi di Pittura
Decorativa. Vale la pena fare una breve parentesi per ricordare
un tipo di scuola che oggi non esiste più, cancellata dalla
Media unificata. AllIstituto dArte allora
si andava a undici anni, dopo le elementari. La scuola media era
annessa allIstituto e comprendeva i normali programmi più
i laboratori, che erano appunto quelli di pittura, scultura, arte
dei metalli, lavorazione del legno e ceramica. Io ero in un collegio
dove il direttore era lo stesso dellIstituto dArte.
Per una convenzione, quasi tutti erano destinati a continuare gli
studi appunto in questa scuola. La maggior parte venivano assegnati
alla lavorazione del legno e a quella dei metalli, probabilmente
perché significava acquisire un mestiere. Causa la mia costituzione
fisica, allora abbastanza gracile, fui il primo di quellIstituto
ad essere iscritto alla sezione di Pittura.
A undici anni ho quindi cominciato a lavorare con i pigmenti. Ricordo
dei grandi recipienti di vetro contenenti tutte le gamme dei colori
conservati gelosamente in un armadio a vetri. Le chiavi le avevano
i professori Gabrieli e Giorgino, questultimo docente di Laboratorio,
anche lui valente artista, che conosceva tutti i segreti di un artigianato
tuttofare, tipico nel Sud, che riproponeva il concetto di bottega,
legato alla tradizione del primo Novecento. I colori venivano stemperati
e stesi sul muro, in verticale, cosa non facile, soprattutto allinizio.
Si cominciava con i finti marmi, finti stucchi, finte cornici. Gli
orari erano anomali, si andava avanti sino alle 6 di sera.

I due docenti si completavano. Gabrieli era estroso, creativo,
ci mostrava i libri di Picasso, ci invitava a vedere quel che succedeva
al di fuori del Salento, ci parlava delle nuove esperienze, delle
nuove tendenze. Giorgino ci aiutava a realizzare i progetti, a mettere
in pratica le idee. Non ricordo i rapporti che intercorrevano tra
i due docenti, che rappresentavano due linee didattiche diverse,
due modi di affrontare i problemi dellarte, ma certamente
nutrivano un reciproco rispetto.
Vittorio Bodini era capitato a Lecce per qualche anno, assegnato
a Storia dellarte. Legò immediatamente con Gabrieli,
che accompagnava spesso il poeta nei laboratori, ad esaminare i
nostri lavori e a discuterne con noi. Era la prima volta che dei
docenti si confrontavano con gli studenti in modo orizzontale, ponendosi
sullo stesso livello e accettando il confronto. Abituati ad una
scuola sostanzialmente autoritaria, la cosa ci stupiva ma soprattutto
ci entusiasmava. Cominciavamo finalmente a sentire che potevamo
oltrepassare gli schemi, superare il concetto della copia dal vero,
rappresentare le emozioni. Fu un momento felice, nonostante la giovane
età, fummo particolarmente fortunati, docenti di quel livello
non si trovavano facilmente forse neanche nelle Accademie.
Sempre insieme a Gabrieli organizzarono una galleria permanente,
scegliendo i migliori lavori degli studenti. Si passava praticamente
dal concetto di decorazione a quello di ricerca, dal muro alla tela.
Cominciavamo a comprendere le capacità espressive di un segno
o di una macchia.
Gabrieli parlava molto, aveva un tono apparentemente tranquillo,
ma nello sguardo si sentiva una forza capace di trasmettere qualcosa
che in quei momenti non riuscivo ancora a definire. Parlavamo vicino
alle nostre opere, ma anche osservando le riproduzioni dei dipinti
dei Maestri, i cataloghi delle mostre nazionali e internazionali,
le riviste darte. Grazie a lui cominciammo a porci problemi
di critica, a comprendere che la stessa opera poteva avere più
forme di lettura e che occorreva mettersi continuamente in discussione.
Mentre Giorgino cercava di correggere e intervenire anche manualmente
sullopera, Gabrieli nutriva una specie di rispetto, la sua
mano scorreva sul lavoro solo per indicare le varie fasi, i possibili
interventi, e semmai suggeriva, indicava, ma stava a noi intervenire,
modificare e quindi ricominciare la verifica. Era un atteggiamento
critico nuovo per noi.
Ricordo i suoi lavori, soprattutto i paesaggi con la terra rossa
e gli ulivi contorti, gli accostamenti coraggiosi del verde tormentato
degli alberi, con il rosso tendente al bruno della terra. Altri
dipinti mi ricordavano gli impasti di Soutine, mentre le teorie
di figure statiche, immobili, risentono della fissità dei
mosaici bizantini. Cè certamente anche una sorta di
accettazione passiva, tipica di una realtà rurale e contadina,
che non si manifestava nel movimento del lavoro ma nellimmutabilità
di una serie di presenze molto vicine ad unattesa senza speranza.
Spesso mi sono domandato quale influenza abbia avuto la poesia di
Bodini su Gabrieli. Quando mi capita di pensare al Salento, in quei
rari momenti di nostalgia che prendono un uomo che vive lontano
dalla sua terra da oltre quarantanni, non posso non pensare
ai dipinti di Gabrieli. Agli ulivi secolari contorti, alle macchie
di terra, alle pietre, ai vigneti, agli strani colori delle case
coloniche tinteggiate da una mano incerta, ma proprio per questo
più vere e reali. Forse Gabrieli è stato il più
autentico cantore del Salento, linterprete più amaro.
Ed è per questo che gli voglio ancora bene.
Maestro Fernando De Filippi
Allievo di Luigi Gabrieli
Luigi Gabrieli è stato una presenza
fondamentale allinterno dellIstituto dArte Giuseppe
Pellegrini di Lecce, mia città natale; Istituto che
frequentai dal 1951 al 1953, anno del mio definitivo trasferimento
a Milano.
Oggi, a distanza di oltre mezzo secolo, mi si chiede di far luce
su questo unico e indimenticabile personaggio, dal quale tutti abbiamo
attinto sapienza professionale, perché soltanto da lui in
quegli anni abbiamo appreso tutto ciò che in seguito ci è
servito per iniziare a percorrere la nostra strada.
Gabrieli riuniva in sé tutte le caratteristiche e le virtù
per inculcare nella sensibilità di noi, pittori in erba,
quanto di più istruttivo e permanente si poteva.
Cinquantanni sono un po troppi per ricordare nei minimi
particolari fatti e personaggi che vissero tali esperienze, ma confesso
che Gabrieli apparteneva a quella eletta schiera di maestri che
hanno dato una forte identità al nostro recente passato.
Ancora oggi, nel mio studio milanese, spero di poter produrre una
serie di paesaggi salentini come quello che mi donò nel 1960,
che ho di fronte a me, in camera da letto, e che raffigura un oliveto
con due minuscole case e un cielo di struggente malinconia. Queste
straordinarie atmosfere spesso mi fanno pensare che senza quella
poesia, e senza quelle doti naturali presenti nel Dna, non è
e non sarà mai possibile fare Arte.
Maestro Ercole Pignatelli
Allievo di Luigi Gabrieli
Dobbiamo essere grati a padre Giuseppe
Marsano, nostro concittadino, dellOrdine dei Frati Minori
di Assisi, da qualche anno distaccato presso la diocesi di Nardò-Gallipoli.
Dobbiamo esserlo perché, essendo stato destinatario per testamento
di tutti i beni della famiglia Gabrieli, alienate le parti immobiliari
in favore di iniziative sociali, ha voluto infine donare alla città
di Matino 65 opere del maestro Luigi Gabrieli. Questa scelta, che
mi ricordava quella analoga che aveva dato origine, a Parabita,
alla pinacoteca intitolata al maestro Enzo Giannelli, mi fu comunicata
per lettera da padre Marsano; a mia volta, interessai il sindaco
dellepoca, dottor Cosimo Romano, il quale decise di utilizzare
per lantologica di Gabrieli una o più sale del palazzo
dei marchesi Del Tufo, sede del Consiglio comunale. La notizia fu
resa pubblica nel corso della manifestazione per il Premio
Matino, alla quale erano presenti oltre mille persone.
Oggi, nel centenario della nascita di Gabrieli, come ci ha ricordato
uno degli oratori intervenuti in questo incontro, il maestro Ferdinando
De Filippi, che insieme con i maestri Ercole Pignatelli e Giuseppe
Esposito è stato allievo del nostro illustre concittadino
nella Scuola dArte di Lecce, la nuova Amministrazione, in
sintonia con quella scorsa, conferma la volontà di dar vita
alla Pinacoteca, che ricorderà a tutti la professionalità,
le qualità pittoriche creative, il commovente amore di Gabrieli
per la sua e nostra città.
Rosario Giorgio Costa
Senatore della Repubblica
Gentili signore, signori, illustri
relatori, autorità, concittadini tutti, ho il piacere di
porgerVi il saluto dellAmministrazione Comunale di Matino,
che è ben lieta di inaugurare, in questa sede, la Mostra
delle opere pittoriche del prof. Luigi Gabrieli, illustre concittadino
vissuto nella nostra città dal 1904 al 1992.
Questa manifestazione si inquadra in un contesto più ampio
che vede tutta lAmministrazione Comunale impegnata nellopera
di rilancio della immagine della Città di Matino, particolarmente,
nel segno di una necessaria attenzione verso coloro che hanno meritoriamente
segnato la cultura artistica della nostra comunità, la cui
memoria appartiene, oggi, ad un pubblico molto più vasto
di quello che si possa immaginare.
E se, in alcuni settori, strettamente legati allespletamento
di iter burocratici particolarmente lunghi e complicati, il risultato
finale tarda ancora a manifestarsi allocchio impaziente del
cittadino, nellambito culturale già qualche risultato
è percepibile! Grazie infatti allattività sinergica
di vari assessorati, da un anno a questa parte, gli appuntamenti
socio-culturali si susseguono, con crescente partecipazione popolare
che dimostra di apprezzare particolarmente le iniziative finalizzate
alla valorizzazione di artisti locali: Matino vanta infatti musicisti,
poeti, uomini di scienza, pittori, artisti vari, noti e meno noti,
per i quali, forse, si è fatto poco o niente!
Le espressioni artistiche hanno sempre avuto strette relazioni con
lambiente circostante: larchitettura, per esempio, la
scultura, la musica, la pittura...
Lartista ha un rapporto diretto con lambiente in cui
vive e questo avviene soprattutto nelle sperimentazioni moderne
del Novecento. Larte non è, però, un prodotto
automatico dellambiente in cui si esprime ma, a volte, è
elemento di forte stimolo nel processo di caratterizzazione formale
dello stesso ambiente. Gli artisti sono straordinari catalizzatori
del clima culturale del proprio tempo ed in alcuni casi anticipano
espressioni artistiche molto successive.
Luigi Gabrieli ha avuto una capacità espressiva non comune:
tante sono infatti le sue opere raffiguranti proprio lambiente
a lui circostante, la sua terra messapica, la sua Matino.
Ma tutte opere concepite per essere comprese, in una originale rappresentazione
artistica, fortemente influenzata dallesperienza vissuta allinterno
delle Istituzioni scolastiche.

La figura del Gabrieli è da inquadrarsi in un ambito di
tutto rilievo tra i maggiori artisti della nostra terra, intellettuale
autentico di quella salentinità testimoniata con determinazione
e coraggio nel più generale scenario culturale italiano.
Ebbene, noi pensiamo che la mostra inaugurata questa sera non costituisca
un traguardo, ma piuttosto linizio di un lungo ed interessante
cammino che ci porti, attraverso un approfondito studio delle opere
del prof. Gabrieli, a conoscere la sua personalità, il suo
stile, il suo pensiero e da qui, il clima culturale matinese nel
primo Novecento e la sua evoluzione; pensiamo che attraverso il
cammino che vogliamo intraprendere con laiuto e con il contributo
di tutti, ivi compreso quello degli illustri relatori di questa
sera, si possa creare interesse culturale intorno a Matino, intorno
ai suoi uomini del passato e del presente, intorno alle sue immense
potenzialità, per una inarrestabile crescita della nostra
Città!
In conclusione, sento il dovere di ringraziare:
la stampa per lattenzione che ci ha riservato;
le associazioni culturali che operano sul territorio, lassessore
ai Beni Culturali, lassessore alla Cultura e gli altri colleghi
assessori, non per quello che hanno già fatto, ma per quello
che faranno;
il prof. Giannone, il prof. De Filippi ed il Prof. Pignatelli
per aver accolto linvito ad esser presenti questa sera, dando
così lustro alliniziativa promossa dallAmministrazione
Comunale;
il dott. Aldo Bello, per la inesauribile disponibilità
dimostrata nei confronti di Matino e dei Matinesi;
e Voi tutti per linteresse che avete dimostrato con
la Vostra gradita presenza.
Desidererei infine che ognuno traesse, da questo incontro, un ulteriore
motivo di passione e di amore verso il nostro Paese, condizione
necessaria per incentivare quel senso di appartenenza e di speranza
in un futuro migliore.
Luigi M. Provenzano
Vice Sindaco di Matino
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