Sul terreno della pace non ci sarà mai
un fischio
finale che chiuda la partita:
bisognerà sempre giocare ulteriori tempi
supplementari.
don Tonino
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«La pietra rigettata da quelli che presumevano di costruire
è stata posta come chiave di volta dal Signore: ed è
miracolo agli occhi nostri» (Salmo 117). Di questo miracolo
fu capace don Tonino Bello nella sua vita e nella sua missione episcopale:
guardare, sullesempio di Gesù, alle pietre di scarto
rendendole chiavi di volta: a voi che non fate la storia,
diceva a voi che non contate agli occhi degli uomini
ma che siete grandi agli occhi di Dio, deve essere data lopportunità
di diventare cittadini, e questa non è una concessione magnanima
ma una questione di giustizia. Audiant et laetentur recitava, non
a caso, il suo stemma episcopale: «Ascoltino gli umili e si
rallegrino».
A dieci anni dalla morte si spense il 20 aprile 1993
la sua figura si impone luminosa per quella umiltà divenuta
regola di vita e per limpegno ardente a favore della pace,
intesa come convivialità delle differenze e portata
avanti senza accettare compromessi, animato da una gioiosa intransigenza
che lo spinse lui, fiaccato dalla malattia a Sarajevo,
per una difficilissima testimonianza nel teatro della guerra del
Golfo.

Mons. Antonio Bello (ma a lui piaceva essere chiamato semplicemente
don Tonino) nasce ad Alessano nel Capo di Leuca il 18 marzo 1935.
E ordinato sacerdote nel 1957 e il 10 agosto 1982 viene eletto
vescovo della diocesi di Molfetta e lo rimarrà fino alla
morte. Dal 1985 ricoprì la carica di presidente nazionale
di Pax Christi.
Sui tortuosi sentieri della storia don Tonino avanzava con passo
risoluto e deciso, senza tentennamenti: «Non abbiate paura!
Non lasciatevi sgomentare dalle dissertazioni che squalificano come
fondamentalismo lanelito di voler cogliere nel qui
e nelloggi della Storia i primi frutti del Regno»
dichiarò,
in occasione del raduno dei Beati costruttori di pace,
allArena di Verona.
Parlava da profeta, don Tonino: quel vescovo, che poco aveva dellufficialità
della gerarchia, agiva da lucida sentinella che, scrutando lorizzonte,
riesce a cogliere prima degli altri lo spuntare dellalba,
sin dalla prima stella del mattino. Sempre attento e rigoroso nella
denuncia, non ha esitato, lui per primo, a sporcarsi le mani nel
presente, a smussare gli spigoli delle contraddizioni che via via
emergevano, a fare concretamente accoglienza, mettendosi in gioco
più di tutti gli altri.

Limpegno per le grandi battaglie civili e umanitarie (si
pensi alla protesta contro lipotesi del trasferimento dei
caccia F16 nella base di Gioia del Colle o allappassionata
adesione al cartello Contro i mercanti di morte che
portò, nel 1990, allapprovazione della legge 185 sul
commercio delle armi) non lo distolse dal guardare allo sfrattato,
al malato o al disoccupato che incontrava quotidianamente sulla
sua strada. Fu eccezionale interprete di quella teologia del
volto che vuol dire incontro e accoglienza dellaltro,
di chi si sente pietra di scarto ed è relegato
ai margini della quotidianità e della storia.
Avvertiva in maniera decisiva che la Chiesa, per adempiere meglio
alla sua missione, doveva essere chiesa del grembiule,
cioè chiesa dedita al servizio umile e fraterno, capace di
chinarsi sulle piaghe delluomo.
Di tutti gli avvenimenti riusciva a cogliere lessenza più
intima e profonda, a trovare soluzioni, a sperimentare nuove vie
di dialogo e di tolleranza.
Intuizione, profezia e coraggio nel proporre una pace mai disgiunta
dalla giustizia, una pace che si epifanizza anche nelle pieghe più
nascoste della storia, fatta di piccoli gesti e grandi sacrifici:
«Chi scommette sulla pace deve sborsare in contanti monete
di lacrime, di incomprensione e di sangue. La pace è il nuovo
martirio a cui oggi la Chiesa viene chiamata». Ed è
questa una lezione di grande efficacia per i pacifisti
di oggi, per chi pensa di realizzare la pace agitando solo bandiere
e slogan nelle piazze.
Don Tonino, a causa della sua dirompente carica profetica, suscitò
non pochi imbarazzi e reazioni perplesse nella Chiesa italiana di
quegli anni: se, da un lato, la gente comune lo amava, vedendo in
lui un modello cui ispirarsi, le gerarchie ecclesiastiche più
volte presero le distanze da quel vescovo al quale rimproveravano
ingenuità o spregiudicatezza, accorgendosi di quanto fosse
arduo seguirlo sul sentiero della speranza.
Vengono in mente le parole che Mons. Mincuzzi pronunciò il
30 ottobre 1982, rivolto a don Tonino, da poco nominato vescovo:
«Per quanta mitezza e discrezione potrà mettere Tonino,
dovrà annunciare le beatitudini, condannare la violenza,
la possibilità di manipolazione delle masse; sarà
malvisto e non avrà consolazioni neppure da coloro che gli
appartengono». Parole puntualmente confermate dal tempo.
Se lazione era il fine della sua missione, la parola ne costituiva
il mezzo più efficace: dai suoi scritti vibra leco
della profezia, e non di rado le sue pagine, toccanti e provocatorie
insieme, assumono tonalità poetiche, di un lirismo delicato
e, a tratti, struggente.
Abile tessitore di un linguaggio ricco di metafore e di audaci giochi
di parole quando doveva annunciare la pace e indicare le vie concrete
per raggiungerla: «La pace è una meta sempre intravista,
e mai pienamente raggiunta. La sua corsa si vince sulle tappe intermedie,
e mai sullultimo traguardo. I labbri delle conquiste non combaceranno
mai con quelli dellutopia, e il già non
si salderà mai col non ancora».
Alla prova dei fatti, come al vaglio del tempo, la storia, oggi
impegnata sul terreno della convivenza pacifica dopo lundici
settembre e dopo le mattanze quotidiane del terrorismo internazionale,
dà ragione delle sue prese di posizione e degli orizzonti
intravisti.
La convivialità delle differenze o la chiesa
del grembiule rimangono lettere semplici, eppure efficacissime,
nellintricato alfabeto della pace. Consapevoli, come ci ha
ricordato lui stesso, che «Sul terreno della pace non ci sarà
mai un fischio finale che chiuda la partita: bisognerà sempre
giocare ulteriori tempi supplementari».
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