Ma davvero
è pensabile che
unarmata così
imponente
si affidasse alle
indicazioni e alle strategie paesane
di portaordini che si muovevano a dorso di mulo?
Coll.:
D. Manti
F. Gerosi
B. De Nicola
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Ci voleva
un amico
aldo bello
Non avremmo mai avuto la possibilità di consultare e pubblicare
alcune lettere indirizzate ad Ercole Ugo DAndrea, se non ci
fosse stato limpegno di un amico, nostro e di Apulia:
voglio dire di Salvatore Masciullo, che frequentò Ercole
Ugo a lungo, e ne contrastò affettuosamente il suo essere
schivo, appartato, quasi umilmente alieno per innata timidezza
e interiore vocazione alla solitudine alla confusione di
lingue e di comportamenti di una società che fa di tutto
uno spettacolo, unesibizione, una sovraesposizione intenzionale.
Nessuno di noi riesce più a contare i sodalizi creati da
Masciullo non soltanto in terra salentina, le sue capacità
di relazione e di frequentazione, il suo proporsi come punto di
riferimento di interessi i più vari (dalla ricerca di testimonianze
preistoriche alla fotografia). Tutti dobbiamo in qualche modo essergli
grati per lazione stimolatrice, propositiva, che continua
a svolgere senza apparire, senza rivendicare paternità, che
pure gli spettano.

Come in questo caso: il progetto di render note delle lettere scritte
a DAndrea risaliva al tempo in cui Ercole Ugo era ancora tra
noi. Il poeta era condizionato dalla sua naturale ritrosia, Salvatore
era tutto preso dalla sua funzione di grimaldello pronto ad aprire
gli scrigni più complicati e più riottosi. Il confronto
si interruppe perché venne meno linterlocutore. Il
progetto però restò in piedi non solo come modo di
dimostrare che ci sono state (ci sono) intelligenze salentine in
contatto permanente e sintonico con intelligenze di regioni lontane,
ma anche come strumento di conoscenza di universi poetici altrimenti
negletti e lasciati in coni dombra che non ci onorano.
Credo che la pubblicazione di altre lettere indirizzate ad Ercole
Ugo potrà proseguire, se gli eredi dei diritti dautore
lo consentiranno. Il materiale conservato dalla moglie del poeta,
signora Silvana Sambati, è semplicemente immenso e altrettanto
semplicemente rilevante. Tra i fogli delle corrispondenze sono conservati
i segreti della scrittura, i giudizi preventivi e consuntivi di
sodali di spicco, le intuizioni folgoranti poi tradotte in poesia,
le confessioni di un uomo e di uno scrittore che coniugavano fragilità
umana e forza creativa, la prima intesa come dubbio perenne e timore
dellapprendistato maieutico, la seconda come manifestazione
di uninvenzione appagata, di una creatività attinta.
Ripeto: ci voleva un amico per cominciare ad esplorare questa miniera
diamantifera. Ci voleva proprio lui, Salvatore, con la sua generosa
propensione allo scavo a tutto campo e al culto del bello. E, remoto
comè da accademie, circoli e salotti, scusate se non
è poco.
Luomo dentro il poeta
Non è senza significato pretendere di conoscere nel profondo
luomo oltre che il poeta, scavare nella vita e nellesperienza,
dove spesso si ritrovano le inspiegabili ragioni del discorso poetico.
Andare oltre la poesia per entrarvi più a fondo, raccogliere
e interpretare testimonianze vive tra quanti lo conobbero e gli
furono amici, recuperare quei fogli scritti ai quali non sempre
si attribuisce valore di documento e che invece sono preziosi strumenti
per capire e comprendere.
Mi son messo dunque alla ricerca di eventuali fonti che potessero
giustificare tanti stati danimo e motivi ricorrenti nelle
liriche: la tristezza e il pessimismo, lautunno, la notte,
la fede sicura e vacillante, il senso dellattesa per qualcosa
che potrebbe accadere, la caducità delle cose umane, lo spazio
domestico fatto di luoghi, di cose e di persone, ponte tra il Salento
e la terra dAbruzzo, la madre, figura sempre presente e motivo
ultimo della poesia e dellesistenza...
La ricerca di questa documentazione non è stata infruttuosa;
son venuti fuori un diario della madre scritto durante gli anni
della guerra, lintroduzione di Ercole a una raccolta di descrizioni
dei luoghi dAbruzzo, cartoline come le definisce
il padre Romolo, autore delle stesse, e una grande quantità
di lettere pervenute da poeti e uomini di cultura amici di Ercole,
amorevolmente raccolte dalla madre Elena, alla quale evidentemente
non sfuggiva la loro importanza.
La lettura di questi documenti è appassionante; probabilmente
potrà risultare utile a quanti conservano interesse per la
poesia del poeta galatonese.
Sentiamo qualche passo del diario della madre: «Nevicava.
Il freddo, il vento penetravano nelle ossa. Poveri figli miei! Aurelio
piangeva: non voleva, non poteva camminare. Limpeto del vento
era forte, il nevischio accecava. Ercolino, con un paio di zoccoletti
mal fatti, faceva pena».
Ecco lepisodio del tedesco a Pescasseroli: «Quando giungemmo
alle porte di Pescasseroli, eravamo mezzo morti. Dovevamo scendere
dal carretto: si doveva entrare in paese senza dare allocchio.
I bambini piangevano, lividi, sfiniti. Una sentinella tedesca ci
fermò: non volle lasciarci passare. Mi sentii impazzire.
Pregai, imprecai, urlai. Il soldato, forse impietosito, ci lasciò
andare».
Ecco altri punti in cui si fa riferimento al poeta:
«
Penoso dormire in un bugigattolo, in un letto formato
da due brande militari, in cinque persone: io, Rita, Ercolino, Aurelio
e mia suocera
Vivere le giornate senza pane e sentire gli
strilli di Ercolino, il pianto di Aurelio che lo chiedono!».
La signora Elena chiede in prestito del denaro e compra del prosciutto
per poterlo scambiare con grano: «Sono andata con Ercolino
in una casa dove due tedeschi bevevano felici, assediati da tanta
gente che aspettava con carichi di roba squisita
Tre ore in
quella casa! Grida, imprecazioni, preghiere
Il mio prosciutto
era troppo fresco, purtroppo: quindi, niente grano. Stanca, digiuna,
avvilita, me ne sono tornata a casa con Ercolino che, povero figlio,
nellattesa, aveva ricevuto un sasso sullocchio, tirato
da un demonio di tedesco».
Ancora: «
Ercolino aveva un paio di zoccoletti che gli
lasciavano i piedini quasi scoperti
».

La famiglia DAndrea, diretta per oltre un anno dalla signora
Elena, grazie al suo coraggio e al buon Dio, riuscirà a superare
le bombe, le mitragliate, le violenze e a ritornare alla vita normale
dopo un rocambolesco viaggio in un treno dove le persone erano ammassate
come merci, ma nessuno di loro badava a questo particolare. La meta
era Galatone, la città salentina dove la famiglia si sarebbe
finalmente ricomposta.
Taranto. Brindisi. Nardò.
«Qui un carro agricolo [
] ci portò a Galatone.
Ci fermammo tutti in casa di nonna Maria, dove zio Attilio
provvide a rifocillarci.
Ansante e commossa, arrivò mia madre.
Piangeva di gioia.
Giunse Romolo, trafelato e incredulo.
Il nostro incontro non so descriverlo, non posso descriverlo,
lo lascio immaginare».
|
Il diario appassiona chi lo legge, si scorre tutto dun fiato.
La signora Elena, pur non avendone alcuna intenzione, dimostra insieme
alla sua nota sensibilità di donna e di madre una grande
capacità di scrittura.
E da dire inoltre che anche in una triste occasione la signora
Elena vive il ruolo della madre, preoccupata che i figli sappiano
trarre insegnamento da tutte le vicende della vita. Si augura che
le terribili sofferenze valgano a consolidare lamore reciproco
e per la loro madre.
Il diario della madre Elena
La signora Elena è figura centrale nellesistenza oltre
che nella poesia di Ercole Ugo DAndrea. Prima e ultima ispirazione,
riferimento fondamentale e metro di confronto per ogni cosa o persona.
Ci viene presentata come donna forte, laboriosa, che ha sempre qualcosa
da fare, che ha un pensiero per tutti, che soffre per tutti e che
sa trovare sempre le parole giuste per rasserenare, comprendere,
giustificare.
Donna pratica, tutta per gli altri, che per sé non ha cure
né attenzioni, la classica donna del Sud, nata per dare,
per donarsi.
Questa donna è amata profondamente, presa a modello ideale
di vita, cantata dalla prima allultima lirica, idealizzata
quasi creatura celeste ed eterna.
Una storia ci può far meglio comprendere la genesi e lintensità
di questo amor filiale.
La storia ci è raccontata dalla madre di Ercole, che, forse
per dare sfogo alla disperazione che leggeva negli occhi dei figli,
laveva pazientemente appuntata sui fogli di un quaderno.
«Oggi la piena del dolore e dellangoscia è
tale da non poter reggere. Le lacrime amare sono più
forti di me e cedo al bisogno che da tempo sento di scrivere.
E Pasqua. Dove sarai, Romolo mio? Sette lunghi e tremendi
mesi son passati senza sapere nulla di te, di mia madre, dei
miei fratelli. Quanto tempo passerà ancora in questa
straziante situazione? Pasqua di guerra, la quarta Pasqua
di guerra, ben più tremenda delle precedenti, però.
Pasqua in paese forestiero, in casa daltri, da sfollati,
con la minaccia di essere scacciati anche da qui, lamarezza
per tutto quello che manca.
Ricordi... Quanti amari ricordi!
».
|
Così si apre il diario, che poi ripercorre per buona parte
in flashback le vicissitudini della famiglia sino a quel momento
per poi procedere nella parte finale in diretta.
Nel maggio del 1943, a causa degli eventi bellici, il padre Romolo,
che è militare in finanza a Brindisi, crede opportuno trasferire
la famiglia in luogo sicuro: quale più sicuro del suo paese
natale, Civitella Alfedena, nascosta allinterno del Parco
Nazionale dAbruzzo? E così che Ercole, Aurelio,
Rita e la madre raggiungono i posti che erano e saranno quelli delle
ferie e delle vacanze... quellanno giunte in anticipo.
Il sig. Romolo era certo che la guerra sarebbe arrivata nel Salento,
e infatti ci arrivò, ma non avrebbe mai immaginato che essa
sarebbe arrivata, e come, anche nello sperduto paesino dAbruzzo.
Dopo qualche settimana, infatti, la famigliola cominciò a
sentire il rombo delle bombe, sempre meno lontano, sempre più
sinistro. Si combatte al Macenone, cade il fascismo, si bombarda
presso San Lorenzo, a Roma.
Arrivano in Abruzzo altri parenti, le bombe si fanno sempre più
vicine... larmistizio.
«La sera dellotto settembre facevo lezione ad
Ilario. Irruppe nella stanza pallida, cerea mia cugina Melina.
Piangeva: E finita la guerra... La pace... Larmistizio!...
Sembrava impazzita.
Corsi in cucina e vi trovai mio fratello Giovanni e mio cugino
Don Antonio. Tornavano dal dopolavoro, dove avevano sentito
il comunicato radio.
Sì, larmistizio
larmistizio!
Fuori si gridava. Le campane suonavano a festa. Non riuscivamo
a parlare. Piangevamo, e non di gioia.
Quali sarebbero state le conseguenze di quellarmistizio
chiesto per risparmiare nuovi lutti allItalia?».
|
Tutto finito, dunque? Macché, i guai cominciano adesso.
Agli occhi di Ercolino si presentano colonne di soldati italiani
«che giungevano attraverso le montagne stanchi, affamati
la gente accorreva al loro arrivo e offriva da mangiare... poi soldati
inglesi, russi, polacchi, nordafricani... E giunsero i tedeschi».
Vide soldati feriti, carri armati, soldati tedeschi, arroganti,
violenti, sentì che derubavano quella povera gente delle
povere cose che aveva, portare via galline, conigli, maiali, pecore,
mucche
Vide la disperazione della gente, la paura, il terrore
di fronte a quei soldati cattivi e brutali: uno di loro gli tirerà
una pietra in un occhio e lo lascerà ferito.
Sentì gli spari e le bombe vicino casa, dovette correre da
una parte allaltra alla ricerca di rifugio e protezione: accanto
alla madre, intrepida per necessità, ad Aurelio, piccolo
e sofferente, a Rita, silenziosa nella sua precoce maturità.

«Caddero le prime bombe
Due ore durò il
bombardamento
molte erano state le vittime ad Alfedena...
Quando si sentivano gli aerei si tremava. Leco lontana
delle cannonate ci rendeva sempre più tristi; i bombardamenti
continui, e non lontani, alimentavano la nostra paura».
|
Molti sono i passi in cui la signora Elena descrive episodi di
guerra e di terrore, per lei e per i tre piccoli figlioli.
Ercolino patì la fame, gli stenti, il freddo, mal coperto
e con sandaletti ai piedi tra le intemperie e il gelo della montagna,
soprattutto la paura, il terrore, le lacrime e il coraggio della
madre, che iniziava a costituirsi come quella presenza e quel riferimento
sicuro e protettivo. Era sufficientemente grande per capire e troppo
sensibile per non restare scosso, forse traumatizzato da eventi
che avrebbero segnato anche persone più grandi e più
mature. Visse condizioni di estrema precarietà, in alcuni
momenti non ebbe neppure una casa o un riparo.
Il diario si conclude con queste parole, che la signora Elena chiude
tra due parentesi:
(«Forse un giorno i miei figli leggeranno quanto ho scritto.
Lo facciano con amore e mi ricordino con sincero affetto. La mamma»),
Galatone 27 luglio 1944.
Il rischio che quelle pagine non potessero essere lette, a causa
del loro cattivo stato, dai figli e da nessun altro cè
stato; a scongiurarlo è servita laltrettanto amorevole
cura della sorella di Ercole, Rita, la quale ha pazientemente copiato
tutte le pagine del diario.
DAndrea e Betocchi
La corrispondenza tra DAndrea e Betocchi va dal 1966 fino
al 1985. Il giovane poeta salentino invia lettere, riviste salentine,
biglietti augurali per le festività natalizie o pasquali
o per i compleanni e gli onomastici del poeta. Questi ringrazia
e ricambia; nonostante la crescente confidenza, Betocchi si rivolge
col lei per un periodo molto lungo; soltanto negli ultimi
anni compare il tono più confidenziale.
Le lettere di Betocchi sono molto cordiali, affettuose, generose
di consigli e di esortazioni; vi traspare un animo sensibile e aperto
ai problemi degli altri, in questo caso del nostro poeta, troppo
presto assalito da crisi esistenziali, forse anche dipendenti dalla
grave malattia che lo sorprende giovanetto, appena diplomato.
Lesperienza poetica resterà il primo motivo della corrispondenza.
DAndrea si rivolge a Betocchi chiamandolo maestro,
gli invierà singole liriche e libretti, ogni sua pubblicazione,
perché ne riceva un giudizio spassionato e critico. La stessa
cosa farà con gli altri amici poeti e letterati e, in particolare,
con Macrì, suo conterraneo, Luzi, Ramat.
A Betocchi si rivolge pure per richieste di qualche appoggio presso
case editrici, in considerazione delle continue difficoltà
nel vedersi pubblicare i libretti, per consigli e notizie su concorsi
di poesia.
Il poeta fiorentino è sempre sincero, leale, gli rappresenta
le difficoltà nel rapporto con gli editori, gli suggerisce
quelli capaci e onesti, si interessa presso editori amici.
Il rapporto si fa progressivamente più intimo, affettuoso,
didascalico. Betocchi manifesta il suo animo e i suoi sentimenti,
raccoglie i disagi psicologici ed esistenziali, confessa i suoi,
suggerisce, ammaestra, consiglia, rimprovera con forza, come un
buon padre di famiglia, scuote lignavia del giovane e lo incoraggia
a dare senso e direzione alla sua vita.
La lettera del 29 dicembre 1968 è molto dura. Gli scrive
in risposta ad una lettera che giunge a Betocchi mentre sta per
partire per Bordighera per una breve vacanza; porta la lettera con
sé.
Ecco cosa risponde: «[...] E una lettera che mi addolora
e per le tue vicende private e per il modo, che non mi piace, con
cui ti comporti rispetto ad esse. Intanto la faccenda della laurea.
Il tuo dovere morale era di riuscire a superare lesame di
latino e quindi laurearti. [
] Smettila con la delicatezza
verso te stesso: e non credere che laccusarti [
] sia
una prova di correttezza morale. E, invece, una scappatoia
per scusarti. La via dello scusarsi non serve nemmeno alla poesia:
tu sei fregato anche come poeta se prima di tutto non cerchi di
combattere a muso duro le tue debolezze [
]».
Più avanti: «E se non vuoi dare lesame di latino,
vai a fare il manovale piuttosto che far stampare i libri di poesia
a spese di tuo padre. [
] Tu devi dare lesame di latino
e laurearti: poi rifatti vivo». Come dire, se non farai quello
che ti dico, e che è tuo dovere fare... non farti più
sentire.
Nel corpo della lettera Betocchi inserisce quattro versetti di Rimbaud,
che resteranno impressi nella coscienza di Ercolino:
|
Oisive jeunesse
à tout asservie,
par délicatesse
jai perdu ma vie. |
Latteggiamento duro e deciso di Betocchi era sicuramente
quello che ci voleva per stimolare Ercolino e infatti di lì
a non molto supera lesame di latino, chiude la tesi sul primo
Verga e si laurea.
Scrive a Betocchi, il quale, molto soddisfatto, riallaccia volentieri
il dialogo epistolare e riprende a dargli consigli utili: «[
]
Ho pensato alle consolazioni che ne avrà avuto il tuo babbo,
la tua mamma
e son più contento di averti scritto quella
letteraccia di sei mesi fa che di quelle, non molte, poesie di qualche
significato che ho scritto. Ma anche la letteraccia non sarebbe
servita a nulla se tu non avessi avuto la stoffa delluomo
capace di reagire [
]».
Ed ecco il consiglio: «[
] Pensa ora a ottenere le sistemazioni
che meritano il tuo titolo [
] Pensa a dare concorsi, esami,
quel che occorra: poi inizierai gli studi che faranno tanto piacere
a Luzi, a me, a chi ti vuol bene».
Molto importanti, tra laltro, alcune lettere in cui Betocchi,
al quale Ercolino chiede di rinfocolargli la fede che si è
attenuata, dichiara di averla persa lui stesso e di non potergli
essere daiuto.
Dicevo che la poesia è il contenuto principale della corrispondenza
e del sodalizio che si crea tra i due poeti. Betocchi è forse
la persona, insieme a Macrì, maggiormente chiamata in causa
per la prima produzione poetica. DAndrea dedica a Betocchi
e alla famiglia Spazio domestico, dove, tra laltro, si legge
un verso del poeta fiorentino: Ahi! questo mondo è
casalingo..., allinizio della parte prima.
Alcune liriche sono poi dedicate ad amici poeti: a Luzi (Far
versi), a Macrì (Questo non batter dali),
a Lisi (Tra ombra e luna), a Bargellini (Il palpito
che a notte), a Comi (Non ho che questo cuore).
A Betocchi è dedicata anche Bruna sorella del 1966, del Betocchi
è la prefazione a La porta delle pecore.
Questi tre volumetti risentono molto del Betocchi: ce lo dice lo
stesso poeta che non manca di segnalarlo a DAndrea. Nella
lettera del 13 settembre 1966 così infatti scrive Betocchi:
«La poesia che mi hai mandato è graziosa e finissimamente
scritta, ma a parer mio è troppo Betocchiana, specie del
Betocchi Altre poesie».
Nella stessa lettera si fa riferimento alla pubblicazione imminente
di un altro libello (Spazio domestico) e si leggono questi giudizi
su altri autori salentini: «Oreste Macrì [
] il
più grande salentino del nostro secolo [
]», «Comi
vostro patriarca [
]».
A DAndrea offre utili consigli: «Leggi i russi, gli
inglesi e gli americani, rifuggi dalla imitazione del Betocchi!!
Lascia il Petrarca e Mallarmé ai fiorentini: tienti a Dante,
Manzoni e Campanella (e Michelangelo, Jacopone)». Perché
questi consigli? Vuole forse che acquisti maggiore concretezza,
senso di realtà, attenzione alle cose, alle persone, alle
storie degli uomini...
Nella prefazione a La porta delle pecore evidenzia leccessivo
sentimentalismo di DAndrea e la chiusura entro i confini delluscio
di casa, anche se rileva una certa capacità di espressione
dei sentimenti e, forse, qualche accenno di superamento delluscio
di casa.
Nella lettera del 23 aprile 1970 Betocchi gli comunica le sue difficoltà
nel trovargli una casa editrice per la pubblicazione di Ozi e negozi.
Gli fa sapere di apprezzare gran parte delle poesie incluse nel
libretto. Le migliori, gli dice, sono oltre a quelle della prima
parte, anche Il fiore dellincontro, Pur
se da questo scrimolo di luce, Auguri per linverno
e Mesto frutto. Gli dichiara di trovar belle anche Come
antica stampa, Stagioni e linfanzia, Mia
nonna, Una lumachina, La pazienza ti monda,
Mamma di latte e di cielo.
Gli consiglia di partecipare col libro ad un concorso di poesia
che ritiene particolarmente adatto, il concorso-premio di poesia
R. Gatti (2 agosto 1971).
Betocchi mostra di apprezzare la spontaneità e la genuinità
di DAndrea al quale riconosce una vocazione naturale di poeta;
teme però che finisca per sacrificare la sua natura, correndo
dietro a topoi e stilemi di altri poeti e territori. Nello stesso
tempo lo incoraggia ad allargare gli orizzonti dellispirazione
al di là dellambiente familiare e degli affetti più
vicini.
Intravede probabilmente in DAndrea la stoffa del
cantore della patria salentina che deve scoprire e possedere un
altro Comi, il «García Lorca del Salento».
Nella lettera del 3 agosto 1972 gli scrive: «[
] fossi
in te, starei più vicino a sentir Macrì che non a
leggere i poeti fiorentini Betocchi e Luzi perché [
]
tutte le volte che tu ti rifai alle formule e agli stilemi di Betocchi
o di Luzi [
] tu cadi in divagazioni rispetto al tuo reale
consistere di poeta. Un consistere che non è soltanto quello
dello spazio domestico, ma io direi assai di più [
]».
Betocchi pensa «[
] a un fondamento popolare e magico
cristiano salentino otrantino [
]», «[
] il
García Lorca del Salento: non voler essere un mediocre imitatore
daltra e diversa poesia».
Qualche giorno dopo (lettera dell8 agosto 1972): «Avevo
già letto il tuo fascicoletto ed espresso il mio parere [
]
E un parere che ti prende un poco a spintoni ma che cerca
per il tuo bene di riportarti nella orbita che ti è propria
e che il buon Oreste ha voluto chiamare spazio domestico:
io ti ho parlato invece di quellaltro spazio che consiste
nella tua piccola patria [
]».
Linvito ad essere originale, fedele a se stesso, espressione
poetica della sua terra, è continuo. Si ripete nella lettera
del 22 agosto: «Resto invece dellopinione, che è
anche quella di Macrì [evidentemente i due poeti parlavano
spesso tra loro di DAndrea], che se hai una fedeltà
da osservare, e nella quale ti potrai affermare, è quella
della tua naturalità salentina. Naturalmente a patto che,
come tu giustamente dici, tu possa conseguire a traverso di quella,
o meglio toccare attraverso di quella un juanramonismo universale».
Gli consiglia di tenersi vicino a LAlbero: «Qualcosa
che io vedo, nei tuoi riguardi, come era Il Frontespizio
per me». Si augura che i gerenti della rivista
comprendano limportanza di «allevare nelle proprie pagine
un nuovo poeta e nutrito dal sangue di quella terra dove la rivista
è nata e cresciuta».
In unaltra lettera (26 luglio 1971) Betocchi si era fermato
a parlare largamente di poetica sullabbrivo di Ozi e negozi.
In questa lettera non è parco di appunti critici e di consigli:
«La tua poesia di Ozi, negozi balzella proprio così,
così verde e luminescente, e a palpiti, specie nella prima
parte che va fino a pag. 48: con un sentore [
] più
libero che nella seconda [
]», però «tu
vi mescoli sentire toscano e pugliese [
] il senso di non bene
accordato deriva [
] dal fatto che la tua bruciante confessione
mette al fuoco legna tua verde e legna mia secca insieme».
A pag. 12 del libro (poesia 2) rileva scarsa attenzione allo stile:
«[
] saper dire [
]», che non è il
«[
] saputissimo tuo (pag. 54, sorrise / di lor
divelta grazia ) che è certo un manierismo letterario
decadentistico». La prima parte, che va fino a pag. 48, è
più fresca e più sorprendente, da pag 48 in poi è
«poesia più compiuta».
Nel mese di maggio 1981, dopo un lungo silenzio di DAndrea,
rimproverato dal poeta fiorentino in un biglietto del 7 marzo, viene
pubblicato Bellezza della madre, che Ercole invia a Betocchi.
Il suo giudizio è entusiastico. Ecco come si esprime nella
lettera del 10 giugno 1981: «[
] Ho letto di un fiato,
e poi riletto trovandolo il più bello dei tuoi libri. Bellissimo
poi nella parte ultima, che ha il bel titolo del libro intero, ma
anche perché è proprio in questultima parte
che tu rinunziando a certi vezzi tuoi personali [
] della prima
parte [
] ti esprimi più concretamente cercando appunto
la tempra della poesia nel concreto della esistenza, e negli affetti
prossimi [
] Con lei [la madre], e il fratello e la sorella,
la tua poesia si costruisce saldissima. A parte il fatto che anche
la poesia a pag. 32 [X - Qui dove ogni pietra è fiore]
e altre simili della parte iniziale sono squisite».
Lultima lettera porta la data del 12 gennaio 1985. Mi sembra
opportuno riportarla integralmente:
«Caro DAndrea,
ho ricevuto verso la fine del mese di dicembre la tua affettuosissima
del 19 dicembre, piena di comuni ricordi, fra i quali, famosissimo
per entrambi, quello di Mario Luzi, che per te e per me è
un grandissimo poeta e amico.
Vedo che il mio ricordo anche nel tuo bigliettino è
completato dal rammentare la mia fotografia sorridente che
ti consola come si usava un tempo.
Spero che avrai visto lultimo stupendo libro di Mario
Luzi sulla prosa italiana e che te ne nutrirai.
Abbi dunque tutti gli auguri più affettuosi per lanno
nuovo e per le tue imprese che debbono ricollegarsi alle comuni
letture ed affetti.
Un abbraccio dal tuo Carlo Betocchi».
|
La breve lettera, scritta a macchina su cartoncino, precede di
un anno la morte del poeta, che si spegne nel 1986 ad ottantasette
anni di età. Viene a mancare a DAndrea forse lo spirito
a lui più congeniale.
[lettera dattiloscritta]
50121 Firenze, 23 Aprile 1970
Borgo Pinti 61
Caro e imbronciatissimo Ugo dAndrea
perché non
potrai non essere imbronciato dopo avermi scritto, nientemeno che
in data 31 Marzo, una lunga e bellissima lettera come quella che
accompagnava Ozi, Negozi, ed avere atteso, finché
non riceverai questa, almeno 25 giorni! Io, per altro, non ti avevo
affatto dimenticato, e sempre con struggimento, pensavo a questa
risposta da darti: ma, ahimè, è la vita che si dimentica
di me, a volte mi lascia nellignavia, sebbene il peggio sia
che lignavia semmai consegue alle difficoltà che
sembra fatto apposta! si fanno più fitte proprio ora
che vorrei pensare tranquillamente alla dolce morte, mentre invece
non mi danno pace, i guadagni falcidiati (e bastavano per vivere
alla meglio), il lavoro in pericolo... ma lasciamo andare e veniamo
dunque a te.
Il peggio che devo dirti è che il tuo sogno di vedere stampato
Ozi, Negozi da parte di Vallecchi, e sia pure a tue
spese, è del tutto irrealizzabile. Ne ho parlato con Pampaloni,
con Righi, che sono poi i reggitori della baracca a cui sè
ridotta lantica e gloriosa Vallecchi: e del resto io avevo
al riguardo lesperienza di casi precedenti. Non pubblicano
a spese dellautore (non lo aveva mai fatto nemmeno il Vallecchi
schietto); se non nel caso di Enti che propongano volumi celebrativi
o altro, in ogni caso mai poesie. Per il Gabinetto Vieusseux pubblicarono,
a spese della istituzione, certi volumi che contenevano tutti i
dati bibliografici delle prime edizioni francesi di cui era in possesso
la famosa biblioteca. Ora, a spese delle Terme di Montecatini, pubblicano
una bella guida della Valdinievole
eccetera eccetera.
Consigli per un altro editore? Non saprei come darteli. Gli editori
che pubblicano, anche con molte riserve, a pagamento, son tutti
più o meno di credito maculato proprio da questa loro arrendevolezza
a un certo interesse non troppo controllato. Fra i tanti, chi scegliere?
forse De Luca di Roma. Ma allora non saprei davvero se non ti convenisse,
pagare per pagare, rivolgerti alla Libreria Editrice Fiorentina.
Nel senso che dal De Luca romano, quello che si occupa dei libri
di poesia è poi Lucchesi; e le sue predilezioni non credo
che possano andare a un libro come il tuo, come dice Luzi,
di betocchiana modestia nel suo discorrere. Mentre, sia per
questa ragione, sia anche per la prefazione di Luzi, forse troveresti
buona accoglienza, e magari prezzo decente, dalla Libreria Editrice
fiorentina. E pensa che fu proprio questa la editrice degli ultimi
e più fulminanti libri del pugliese Fallacara, di cui Oreste
Macrì ha proprio ora raccolto gli inediti, presentandoli
con una splendida prefazione. Pènsaci; leditore sarebbe
forse un poco appartato; ma non per chi sa (è vero che non
sono molti), chi sono io; e pertanto metterebbe molto volentieri
locchio sul solo e miracoloso discepolo che il Betocchi (come
una specie di Germain Nouveau riapparso) ha avuto da vivente tra
i poeti italiani. Ti dico la verità... che ero quasi fiero
di essermi salvato dagli aficionados imperversanti prima intorno
a Ungaretti, poi a Montale, poi a Luzi: mi pareva che ciò
fosse segno che dalla mia strada non sandava alla letteratura
(come non ci si va dagli Inni Sacri del Manzoni, mentre ci si va
dai Canti del Leopardi
). Bene: a me piacciono gli Inni sacri:
sono infatti poesie al servizio del popolo: e il popolo non si risolverà
mai in letteratura...
E tu, difatti, sei costruito in quello strano panno di uno che non
si sa se voglia far poesia o altro, un non definibile altro. Diciamo
subito che il titolo mi è piaciuto molto; e molto la presentazione
di Luzi. Poi vedo che ti sei rifatto da unepigrafe betocchiana
e sei passato ad una dedica a tuo padre e a tua madre, che anche
mè stata cara. Poi cè la lunga sequela
delle poesie della doverosità, ovvero del tuo impegno morale,
che Luzi ha tanto bene descritto. In questo settore le mie scelte
vanno alle poesie V-VI-X-XI-XV-XVI-XIX-XX-XXI-XXVIII-XXXII-XXXV-XXXVIII.
Poi ci sono le poesie dallAg. 69 al Febb. 70, dove la
più bella mi sembra la poesia Pur se da questo scrimolo
di luce. Apprezzo Il fiore dellincontro
che sembra a mezzo tra me e Luzi, e ti ringrazio della dedica sulla
poesia che segue (A ogni passo festeggi la morte), che tuttavia
mi sembra meno ben riuscita: altre poesie che segnalo di mio gusto
sono Auguri per linverno e Molto frutto.
Infine siamo alle Prime. Non vorrei farti dispiacere
dicendoti che tra queste sono le poesie che leggo più volentieri:
come la bellissima Come antica stampa e poi Stagioni
e linfanzia, Mia nonna, Una lumachina,
La pazienza ti monda, Mamma di latte e di cielo.
Sono in parte le poesie de La bruna sorella, libro a
me dedicato nel 66, prima de La porta delle pecore,
appunto stampata dalla Editrice Fiorentina con la mia presentazioncella...
Ma per oggi intanto ti lascio e ti abbraccio, sorpreso come sono
a tradimento dalla fine del foglio, e dallora che si fa tarda.
Scrivimi tue nuove considerazioni e ricordami ai tuoi. Carlo Betocchi
[lettera dattiloscritta]
50121 Firenze, 26 Luglio 1971
Carissimo DAndrea,
ebbi le tue, come sempre affettuose, dell8 e del 18 Luglio,
alla quale ultima ha fatto seguito la bella edizioncina di OZI,
NEGOZI: che ti ringrazio di avermi mandato con una dedica altrettanto
affettuosa. Formiamo una bella coppia, noi due, con lunico
maestro che, come tu dici, sarei io, e lunico allievo che,
come dico io, sei tu: una coppia singolare che, in fondo, hai inventato
tu stesso, e che magari è anche la più curiosa delle
tue invenzioni: dove io sono come uno di quei bruchi luminosi che
stan fermi su un greppo, vagamente luminosi come infatti saddice
alla mia vita ormai stanca, e tu invece una luccioletta che gli
vaga e saltella dintorno. Un piccolo sistema campagnolo, fuor
delle grandi galassie e dei conosciuti universi. Cè
anche da dire che la tua poesia di OZI, NEGOZI balzella proprio
così, così verde e luminescente, e a palpiti, specie
nella prima parte che va fino a pag. 48: con un sentore, in tutta
questa prima parte, più libero che nella seconda, quale alle
narici infantili era quella dei verdi prati e campi notturni quando
susciva destate, coi nostri genitori, verso i freschi
e dolcissimi umidori di quelle notti. Notti sorprendenti poiché
la natura era la stessa, era quella dei campi dove avevamo scorrazzato
nel meriggio, conoscendone tutti i cantucci, e senza mistero alcuno.
Ma la sera, invece, gli stessi luoghi erano pieni di cose sospese,
di cose taciute, di cose nascoste, tanto che avevamo bisogno, ogni
tanto, di riattaccarci alla mano della mamma. Dunque diciamo che
fino a pag. 48 i tuoi OZI siano ricchi di tanta oscura e misteriosa
verdezza; ma insieme, anche, di tanta confusione quale appunto era
allora, nellumida notte odorosa, la nostra trepidanza infantile.
Letterariamente parlando potrebbe anche dirsi poi che questa confusione
ha probabilmente una sua specifica natura: che dovessi dirla io,
per quel che può credersi alla mia scarsa chiarezza di critico,
potrebbe anche consistere nel fatto che tu vi mescoli sentire toscano
e pugliese, tradotto in un dettato qualche volta stranito dagli
echi toscani nella difficoltà pugliese di praticarli proprio
con tutta la naturalezza duno che sia sempre stato sullArno.
Mettiamo il caso: pag. 38: Mai sempre avventurato, distante / di
quel che ami
: di o da? Ovvero, pag. 51: quelli taffido,
che tu sei più da me. Ovvero, pag. 81: del primo
venerdì di mese. Ho notato alcune quisquilie per dirti
però che al lettore che son io stride e stona che a pag.
38 non si dica da, che a pag. 51 non si dica da più di me,
e che a pag. 81 non si dica venerdì del mese: e la cosa reca
un disagio che è simile a quello delle stecche che avviene
di sentire qua e là da unorchestra già di per
se stessa scarsa e non bene accordata. Ora, nel tuo discorso poetico
fino a pag. 48, il senso di non bene accordato deriva (forse per
me solo) dal fatto che la tua bruciante confessione mette al fuoco
legna tua verde e legna mia secca insieme: che è leffetto
delle tue fervorose letture dei miei versi: dalla qual cosa ti avevo
sempre detto di guardarti; ed avviene che in quella specie di casalingo
falò io veda un lingueggiare scarso di vampe tra molto fumo:
col quale fumo non voglio dire leggerezza delle cose dette, ma piuttosto
frequente oscurità. Che è, daltra parte, la
innocente ed affettuosa rappresentazione della tenera naturalezza
tua. Ed inoltre, perché non cercare di evitare crudi urti
e ripetizioni di consonanti prossime come addirittura nei tre primi
versi della poesia 2 a pag. 12? La tua poesia cercatela altrove
/ casa tua tuba silenzio e disamore / a causa tua
. Leffetto
di lettura è orrendo quando si incontra un casa tua
tuba che poi si ripete in un a causa tua: e non
credere, Andrea mio, che le ragioni della poesia possano mai dimettere
queste segretissime quisquilie del saper dire
: un saper dire
che per altro non deve cadere nel saputissimo tuo (a pag. 54) sorrise
/ di lor divelta grazia che è certo un manierismo letterario
decadentistico.
La seconda parte, anche se non ha quel sorprendente odore e confusione
di campo notturno con unanima che ci annaspa dentro, è
tuttavia poesia più compiuta. Ma a questo punto il cattivo
giudice che son io non sa più che cosa scegliere, se la pulizia
e il nitore specie delle poesie prime, da pag. 63 in poi, o tutto
quello che precede. In fondo quella pulizia da pag. 63 in poi è
anche studiatamente letteraria, spesso: mentre quel fascio di sarmenti
messi tutti a bruciare insieme fino a pag. 48 ha più del
naturale, nel suo confuso. Che non sono un critico si vede di qui:
che qui mi fermo, e non decido nulla. Solo che ti segnalo le pagine
da me preferite: anzi cito i numeri delle poesie, cominciando dal
n. 4 a pag. 14: 7, 11, 12, 13, 16, 18, 19, 20, 21 (un vero hai-kay),
22, 31, 37: passo ora alle pagine: 52, 53, 55 e poi tutte le poesie
da pag. 59 a 90 con riserva per le poesie a pagg. 69, 76, 80. Alla
poesia di pag. 89 (Far versi) ho scritto accanto: Saba. Mè
sembrato che ce ne fosse un gradevolissimo ricordo. E grazie della
poesia a me dedicata: dove io ho trovato che la parte migliore comincia
da: qui mi sia dato solo ricordare.
Eccoti un letterone magari fastidioso: ma che non potrai dire superficiale.
Tale è laffetto che ha per te il tuo vecchio
Betocchi
[sul margine sinistro del foglio, a penna, di non facile lettura]
Appena avrò notizie di un premio adatto te lo segnalerò.
Ci sarebbe stato il Premio Gatti, a Bologna, ma la data del tuo
libro ne lo esclude.
[lettera dattiloscritta]
Firenze, 3 Agosto 1972
Carissimo Ugo,
mi fece molto piacere la tua visita fiorentina e anche molto piacere
di aver conosciuto quel tuo fratello che mapparve simpaticissimo
anche perché scusa la schiettezza completamente
libero da ipoteche poetiche. Infatti io sono così violentemente
cacciato dalla mala sorte nel pentolone della prassi che mi sembra
di aver perduto perfino i primi elementi del far poesia, a cominciare
dalla voglia. Però quando le leggo mi pare di capirne ancora
qualcosa. E, fra laltro, avendo ricevuto Lalbero
(che deve essere un tuo affettuoso pensiero e anche dellottimo
Donato Valli), debbo dirti che mi sono fermato ammiratissimo sulla
stupenda poesia di Alfonso Gatto: al quale ne scriverò in
modo particolare. Bizzarre assai le conversazioni fra Paradiso e
Inferno del mio carissimo Pierri. Ma per venire a te ti dirò
che ho riletto qui anche il pezzo di Macrì che ti riguarda
e che avevo già letto nellestratto da te ricevuto:
molto estroso, simpatico e interessante; come altri pezzetti estrosi
del Macrì e benissimo azzeccati ho visto nello stesso numero
de Lalbero. Per venire alle tue poesie son qui
a dirti che, in fondo, non cè dubbio sulla tua capacità
di originale poesia: ma, fossi in te, starei più vicino a
sentir Macrì che non a leggere i poeti fiorentini Betocchi
e Luzi perché, tutte le volte (e in queste poesie che mi
hai lasciato capita sovente nei riguardi di Luzi), tutte le volte
che tu ti rifai alle formule e agli stilemi di Betocchi o di Luzi
(qui sono piuttosto fitte le ripetizioni da Luzi, vedi poesie I,
II, VII, X, e altre minori che trascuro), tu cadi in divagazioni
rispetto al tuo reale consistere di poeta. Un consistere che non
è soltanto quello dello spazio domestico, ma io direi assai
di più perché, leggendoti con molta passione, mavvedo
che la tua fantasia è legata a un fondamento popolare e magico
cristiano salentino otrantino nel quale devi rifugiarti con tutta
la tua intensità trascurando qualunque altra sollecitazione
di quella poesia non autoctona e che in fondo non ti è congeniale
che per vizio intellettuale, quale sarebbe la poesia toscana dei
tuoi Betocchi e Luzi. Tu puoi essere, se vuoi, il Garçia
Lorca del Salento: non voler essere un mediocre imitatore daltra
e diversa poesia. Dette rapidamente queste note dopo aver scritto
due righe anche a Tentori che ha ricevuto una tua cartolina ed al
quale ho accennato di questa tua plaquette. Nella quale le poesie
che trovano il mio maggiore consenso sono la III, IV, V, VI (quantunque
un poco oscura), VIII e XIII.
Un abbraccio dal tuo Betocchi
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