«Se il
Cristianesimo
se ne va, se ne va tutta la nostra
cultura. E allora
si dovranno
attraversare molti secoli di barbarie».
Thomas S. Elliot
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Era il V secolo, unepoca di massima crisi, quando si verificarono
due fenomeni che determinarono una grande trasformazione storica
in Europa: le migrazioni germaniche, con insediamenti stabili che
si costituirono in regni romano-barbarici; e la fine del paganesimo,
con il graduale trionfo del Cristianesimo. La nuova religione ebbe
una doppia funzione. Intanto, essendo la religione del Libro, cioè
una religione dotta, poteva utilizzare le componenti della cultura
classica, conquistando le élites; e simultaneamente, per
la sua stessa natura, era attenta alle realtà locali, alle
loro origini e radici popolari che rafforzava con lalfabetizzazione
latina. Fu il Cristianesimo a tramandarci la cultura classica. E
il latino resterà ancora per molti secoli la lingua viva
dei dotti, anche quando le lingue volgari nacquero alla scrittura.
Questo aspetto ebbe un alto valore per le saghe e le leggende che,
una volta affidate alla tradizione orale, vennero allora fissate
in testi scritti, conoscendo una straordinaria fioritura, proiettata
fino a noi (si pensi, ad esempio, al Parsifal di Wagner).

Sul versante storico-politico, il momento aurorale si ebbe nel
Seicento, quando il monaco Colombano, in una lettera a Gregorio
Magno, parlò di «tutta lEuropa» per deprecarne
il disfacimento: per la prima volta lEuropa veniva citata
come unità etico-culturale, non più come pura e semplice
espressione geografica.
Verrà in seguito letà dellImpero Carolingio,
percepito dagli intellettuali del tempo come rinascita europea di
Atene e di Roma. Scrivendo a Carlo Magno, Alcuino auspicava la fondazione
di una nuova Atene, «oserei dire più bella dellantica.
Infatti, in quanto nobilitata dallinsegnamento di Cristo,
la nostra supererebbe tutta la sapienza dellAccademia».
E altri intellettuali identificarono in Aquisgrana, capitale dellImpero
di Carlo, la Terza Roma.
Dunque, già nel tramonto delluniverso antico, subìto
dai contemporanei come una tragedia irreparabile, possiamo intravedere
la nascita di un mondo diverso, caratterizzato da un altro segno
spirituale che sarà determinante: la centralità del
Cristianesimo nel processo di formazione dellEuropa. Senza
il Cristianesimo, noi non avremmo questa Europa.

Che cosa significa essere europei? Per dare una risposta, a lungo
elusa assieme alla stessa domanda, occorre tornare in pieno XVIII
secolo e interrogare Montesquieu, il quale, nelle sue Riflessioni
sulla monarchia universale in Europa, così definì
il Vecchio Continente: «Non è altro che una nazione
composta di molte nazioni». E aggiunse: «Ognuna di esse
ha bisogno dellaltra». E infine rincarò la dose,
a futura memoria dei suoi spocchiosi concittadini, degli altezzosi
inglesi e di coloro i quali allepoca erano prussiani e che
poi sarebbero diventati tedeschi: «Lo Stato che crede di accrescere
la propria potenza con la rovina di quello confinante di solito
si indebolisce insieme con esso». Nel secolo successivo, invece,
Nietzsche il cui superuomo era profondamente europeo
considerava lEuropa alla stregua di una propaggine asiatica.
Se tutti fossero tornati senza indugio alla Grecia classica, dove
fu creata la nostra anima, e dove lEuropa imparò a
ragionare, molte cose sarebbero state più chiare. E la prima
è che la teoria delle idee di Platone rappresentò
una sorta di Magna Charta ante litteram della spiritualità
europea. Il filosofo, pur non potendo affrontare con la nostra mentalità
i grandi problemi, ha lasciato in eredità al nostro pensiero
gli strumenti per risolverli. E questi strumenti si incentrano (sulla
lezione di Socrate) nella mentalità speculativa dellEllade,
sulla quale è basato tutto ledificio dellOccidente.
Ha scritto Husserl: «LEuropa spirituale ha un luogo
di nascita in una nazione [...]. Questa nazione è lantica
Grecia del VII e del VI secolo a.C.».
In quellarco di tempo ci fu linizio della geometria
e della medicina scientifica, e ci fu lampliamento delle conoscenze
della fisica e dellastronomia; e sempre intorno a quegli anni
si arrivò a definire, con Platone, con Aristotele, con Plotino,
che cosa fosse luomo. Stiamo parlando non della Grecia pagana
amata da Nietzsche, ma di un immenso laboratorio spirituale che
preparò, fra laltro, il percorso storico del Cristianesimo.
A questo punto si innestò la nuova realtà, senza la
quale sarebbe impossibile capire lEuropa: il Cristianesimo,
appunto. Se nel Fedone platonico lanima si trova
nel corpo come in una cella, nel Vangelo di Giovanni Dio si incarna:
quel logos che aveva signoreggiato sul sapere ellenico assume le
nostre sembianze, e lanima può rispondere con la vita
allamore divino che lha creata. In questa rivoluzione
cè lorizzonte delluomo europeo.

Ultimo innesto, quello che stiamo vivendo: il predominio della
scienza e della tecnica. I greci inventarono luna e laltra,
dalluna e dallaltra noi cominciamo a difenderci, anche
se la nostra vita è ormai inconcepibile senza la loro presenza.
Laltra domanda è: lEuropa è qualcosa che
si può unificare? Risponde il filosofo ceco Jan Patocka:
«Dobbiamo innanzitutto comprendere che essa è un concetto
che si basa su fondamenti spirituali». Ciò spiega perché
Platone sia un punto di riferimento morale per lOccidente.
Senza di lui, una visione come quella del sofista Trasimaco non
avrebbe trovato, prima di Cristo, alcun ostacolo. Allinizio
della Repubblica platonica, Trasimaco offre una definizione
tutta politica e disincantata della giustizia: «E lutile
del più forte». In originale: «Ton kreittonos
xympheron». Platone la combatterà con tutto il vigore
della sua intelligenza. Forse oggi alcuni non riescono più
a capire chi dei due avesse ragione. Ma debbono comunque ammettere
che il cuore europeo, grazie anche al Cristianesimo, batte ancora
per Platone. E probabilmente proprio per questo quasi tutti i Padri
della Chiesa furono platonici; e anche per questo schiodare un crocefisso
da unaula scolastica imbarazza molti laici e tutti coloro
i quali hanno contratto debiti con Platone, prima ancora dei cattolici.
Scandalo vuol dire impedimento, inciampo in una pietra, insidia,
ed è sempre uno sconvolgimento della coscienza, della sensibilità
e della moralità che viene suscitato da atti contrari agli
usi di un popolo, da gesti che mettono in discussione le leggi non
scritte del suo decoro. Sempre è una tribolazione per chi
viene provocato oppure offeso, e nello stesso tempo è anche
un avvertimento, una prova che impone di verificare con umile puntiglio
lautenticità e la profondità delle proprie convinzioni,
la veridicità della propria moralità, il valore di
costumi sedimentati nei secoli.
Allora: lo scandalo di Cristo crocefisso è qualcosa che ci
fa ancora riflettere, e penare, oppure è qualcosa che ha
perso per strada il suo significato trascendente, trasformandosi
in un feticcio o in un vacuo orpello? LOccidente che siamo
prima di chiunque noi, e solo in subordine il mondo anglosassone,
wasp, scandinavo, nellignoranza indotta dallimperante
economicismo sa che cosa è stato il Cristianesimo, che cosa
ha veramente significato la Croce nella nascita dellidea di
Europa?
Se lo sa, se lo percepisce, sia pure in maniera vaga, non si deve
stupire che sia divenuto così vitale, per coloro i quali
hanno a cuore una più chiara definizione di quel che siamo,
iscrivere nella Costituzione dEuropa le sue più autentiche
radici, e comunque il suo retaggio. Lo studioso (e nostro collaboratore)
Khaled Fouad Allam, europeo di origine musulmana, lo ha scritto
con parole molto semplici: «LEuropa è debitrice
verso il Cristianesimo [...]. Come accogliere laltro, se si
nega se stessi? Come saldare un patto fra le comunità, se
lEuropa rifiuta di riconoscersi? Lincontro è
possibile solo se si è consapevoli delle proprie radici».
Ed è stato un pensatore laico come Popper ad asserire che
si deve alla tradizione cristiana il valore attribuito alla coscienza
di ogni singolo individuo: «Per un umanitario, e soprattutto
per un cristiano, non esiste uomo che sia più importante
di un altro uomo [...]. E riconosco che la gran parte dei nostri
scopi e fini occidentali, come lumanitarismo, la libertà,
luguaglianza, li dobbiamo allinfluenza del Cristianesimo».
E perciò davvero impossibile dare torto a Thomas S.
Elliot quando scrive: «Se il Cristianesimo se ne va, se ne
va tutta la nostra cultura. E allora si dovranno attraversare molti
secoli di barbarie».
Se è così struggente il desiderio di indicare il Cristianesimo
in quella Costituzione, è perché oggi, nella società
materialista del consumismo, esso ci appartiene in maniera ambigua?
E perché, come non si stanca di ripetere Giovanni Paolo
II, lEuropa «sembra vivere come se Dio non esistesse»?
Il problema è che della Croce non si dimentica soltanto lo
scandalo del Dio-uomo inchiodato per colpa dellumanità.
Si dimentica anche la profonda laicità religiosa, che è
nel messaggio ordinario del Cristo, sebbene le complicate vicende
storiche del mondo abbiano imboccato spesso strade opposte. Allinizio
la Croce è stata simbolo di laicità, e non soltanto
perché si doveva «dare a Cesare quel che è di
Cesare, e a Dio quel che è di Dio». La stessa figura
del Cristo vivente, crocefisso e risorto, fissa per sempre una separazione
fra regno della terra e del cielo. Lui solo, straordinariamente
e fino alla fine dei tempi, occupa quel punto dove cielo e terra
si congiungono, impedendo la fusione sacrilega tra il politico e
il religioso. Poi, per sempre, la separazione dei poteri sarà
la realtà verso cui lEuropa tende, sia pure ripetutamente
sbandando: fin dal Medioevo, fin da quando, nel 494, papa Gelasio
affermò che una cosa è il trono del mondo e unaltra
il trono del cielo: luomo di Dio è superiore nelle
cose superiori (spirituali), ed è inferiore nelle cose inferiori
(temporali).
La separazione non è stata ancora attinta nel mondo ebraico
né in quello musulmano, mentre è lautentico
fondamento dellEuropa. Questo vecchio Continente è
in realtà il più Nuovo, perché non respinge
la laicità. Se, anzi, la afferma con forza, è anche
perché il Cristianesimo la giudica legittima (Lumen
Gentium e Gaudium et Spes sono le encicliche di
riferimento) e soprattutto atta a preservare dal duplice rischio
del laicismo ideologico e dellintegralismo settario. Perché
opporsi, allora, al riferimento identitario nella Carta Costituzionale
dei Venticinque? Non è un po come allinearsi alla blasfema
richiesta di strappare dalle pareti «quello scheletro rinsecchito
di un ebreo suicida»?
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