Il decreto uscito dalle urne è uno schiaffo
non solo al primo ministro svedese, ma anche
allEuropa,
che si vede
sbattere la porta in faccia.
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Il no di Stoccolma ha deluso lEuropa. Ma la sconfitta delleuro
al referendum svedese lancia un importante monito a Bruxelles. «Ha
vinto la paura» è stato il commento a caldo di Prodi,
presidente della Commissione europea. Hanno prevalso lorgoglio
scandinavo, il timore di perdere il controllo della moneta e di
non poter più decidere nulla. E, ancora, il terrore di un
aumento generalizzato dei prezzi, di vedere infine il proprio welfare
messo a repentaglio.
Le possibilità di vittoria erano scarse, è vero. Ma
il fronte del sì ha sperato sino allultimo in una rimonta,
confidando sulleffetto solidarietà sullonda dellomicidio
del ministro degli Esteri Anna Lindh, pugnalata a morte mentre faceva
la spesa in un grande magazzino a tre giorni dal voto.
Il gesto di un folle ha gettato il Paese nel panico. E la Svezia
sotto choc ha affrontato gli ultimi giorni di una campagna referendaria
che sin dallinizio da quando il primo ministro socialdemocratico
Goran Persson a novembre 2002 aveva indetto la consultazione
dava il fronte del no in leggero vantaggio. Si confidava sulla grande
mobilitazione del mondo politico, sullalleanza che vedeva
fianco a fianco esponenti socialdemocratici al governo con partiti
dellopposizione battersi per la moneta unica. Sullappoggio
non indifferente dato al grande progetto europeo da parte del mondo
economico e del business. Altre volte la Svezia aveva cambiato orientamento
in corsa, quando ormai sembrava non ci fosse più niente da
fare. Come era accaduto lo stesso Persson lo ricorda bene
e lo ha portato più volte ad esempio per non perdersi danimo
ed esortare i suoi a non arrendersi anche dopo la proiezione dei
primi exit poll nel 94, quando si trattò di
votare per entrare nellUnione. Nessuno allora se lo sarebbe
aspettato. Eppure, alla fine la Svezia disse sì allEuropa.

Ma, anche se il risultato uscito dalle urne svedesi è importante
per tutti gli europei e avrà sicure ricadute sul futuro dellUnione,
è bene ricordare che ora le cose sono un poco diverse dal
referendum del 94. Adesso, infatti, non è lintegrazione
europea ad essere messa in discussione. La Svezia, ormai, la sua
scelta lha fatta e non intende tornare indietro. Anzi. Con
il tempo, infatti, gli svedesi saranno costretti ad accettare leuro.
E scritto nei trattati di adesione allUnione e anche
se formalmente non è stata ancora fissata la data
e lesito del referendum non fa che rinviarla ulteriormente
prima o poi la moneta unica è una scelta obbligata.
Non come Danimarca e Gran Bretagna gli altri due Paesi rimasti
fuori da Eurolandia che ancora non hanno preso impegni e
anzi guardano con sollievo il risultato svedese. E, se i danesi
avevano già bocciato leuro nel 2000, al contrario Tony
Blair guardava con fiducia al voto di Stoccolma, nella speranza
di poter indire un referendum in Gran Bretagna prima della fine
del suo attuale mandato.
Il decreto uscito dalle urne, dunque, è uno schiaffo non
solo al primo ministro svedese che, legando la sua immagine alla
campagna per leuro, ha rischiato così di perdere credibilità.
Ma anche allEuropa, che al primo test da quando la moneta
unica è stata adottata dai Dodici si vede sbattere la porta
in faccia. Lo stesso Blair si trova ora costretto a rimandare a
data da definirsi ogni possibile sogno di traghettare presto anche
Londra allinterno del patto di stabilità e crescita
fissato a Maastricht. Quel patto che imposto allora dai Paesi
più grandi ai piccoli per entrare nelleuro ha
finito col diventare uno dei motivi che hanno spinto la Svezia a
tirarsi fuori dal progetto della moneta unica.
Sono la Germania e la Francia le maggiori responsabili del gran
rifiuto svedese, si è sentito ripetere più volte allindomani
del referendum. I due Paesi, infatti, con un rapporto deficit-Pil
che supera il 4 per cento, rischiano di sfiorare il limite del 3
per cento imposto dai parametri di Maastricht.
Né le cose vanno meglio per lItalia. Tutti segnali
di allarme non solo per i Paesi di Eurolandia, ma anche per i dieci
nuovi membri che stanno per mettere piede nellUnione, o per
chi come appunto Svezia, Danimarca e Gran Bretagna non ha ancora
abbandonato definitivamente il sogno della moneta unica.
I conti in rosso di Francia e Germania ha denunciato Goran
Persson allindomani del voto hanno frenato la corsa
della Svezia verso leuro. Troppo grosso il rischio per la
fiorente economia svedese, che oggi tira molto di più di
quella dei Paesi di Eurolandia. Troppa la paura di veder compromessa
quellimmagine di isola felice, che solo lassassinio
del ministro degli Esteri ha messo in discussione. La Svezia, infatti,
è il Paese con i più aperti capitalisti esistenti
che ha realizzato il migliore dei socialismi possibili. Gli svedesi
hanno il più basso tasso di analfabetismo, i bambini più
sani e gli anziani più longevi. Da tempi lontani le battaglie
per la parità hanno raggiunto i maggiori successi. Metà
governo e metà Parlamento sono al femminile e questo si riflette
sulla legislazione a tutela delle lavoratrici. Le neomamme possono
restare a casa per 18 mesi all80 per cento del salario. Gli
asili nido sono tanti e gratuiti e le svedesi le donne che lavorano
di più fuori casa. Tutti traguardi raggiunti da tempo, che
vedono il Paese allavanguardia in Europa.
Se a questo si aggiunge che non esiste nella politica svedese la
tradizione federalista di alcuni Paesi del continente, né
leader o intellettuali ispirati da Adenauer, De Gasperi, Schuman,
Spinelli i padri dellEuropa non è poi
così difficile capire le ragioni del no.
I nemici delleuro temevano che la moneta unica avrebbe impedito
alla Svezia di amministrare leconomia nazionale secondo le
sue convenienze. Né volevano che la Bce decidesse per loro
tassi di interesse e di inflazione. Perché affidare, infatti,
il loro stato assistenziale al beneplacito di Bruxelles? Daltro
canto, i fautori delleuro sono consapevoli che questo è
ormai una realtà. Gli investimenti internazionali, una volta
terminata questa lunga fase di stagnazione, andranno infatti laddove
la moneta unica offre maggiori garanzie. E la Svezia, restandone
fuori, ferma ai margini di Eurolandia, rischia di perdere peso e
influenza politica allinterno della Ue. Proprio quelle capacità
dinfluenza che il Paese aveva mostrato di possedere nel corso
dellultima presidenza di turno dellUnione, poco tempo
fa. Rischia, infine, lisolamento. Tanto più in un momento
come questo in cui, con la Conferenza intergovernativa ancora in
corso, aperta a Roma il 4 ottobre con il compito di stilare la nuova
Costituzione dellUnione, diventa essenziale mostrare di avere
voce in capitolo. Soprattutto di fronte ai nuovi dieci membri dellEst
che stanno per unirsi e che, sebbene preoccupati dai deficit di
Francia e Germania, si mostrano entusiasti di entrare a far parte,
con il tempo, anche del progetto della moneta unica.
Un progetto che richiede loro, è vero, ancora degli anni.
Molti di essi non potranno, infatti, adottare leuro prima
del 2009 o del 2010, perché sono ancora lontani dai parametri
di Maastricht, ma non per questo meno entusiasti di mettere piede
in Europa. Come dimostra lenorme affluenza alle urne e il
67 per cento dei consensi con cui lEstonia seguita
a ruota una settimana dopo dalla vicina Lettonia ha detto
sì allEuropa, lo stesso giorno in cui la Svezia bocciava
la moneta unica. Un atto di fiducia, dunque, nei confronti dellUnione,
proprio mentre gli svedesi hanno scelto di rimanere abbracciati
stretti alla loro identità: a quella combinazione di neutralità,
terzomondismo e Stato assistenziale che non ha simili in Europa.
«La nostra gente pensa ci siano altri modi per essere in contatto
con i Paesi europei ha ammesso in unintervista re Gustavo,
in visita a fine ottobre in Italia, per inaugurare a Roma la mostra
su Cristina di Svezia attraverso la politica o leconomia.
Alla base del voto ci sono vari motivi che rimandano alla nostra
storia. La Svezia non è mai stata coinvolta in conflitti
e guerre, quindi molti pensano se la possa cavare da sola. Noi siamo
un Paese lontano e in fondo non ci sentiamo così tanto parte
dellEuropa. Abbiamo uneconomia forte e pensiamo di poter
fare da soli». Parole dure, che arrivano a poco più
di un mese dallesito referendario dritte al cuore dellUnione.
Di certo, la sconfitta alle urne brucia ancora alla leadership politica
che si batte per lEuropa. Il rifiuto degli svedesi non sembra
prestarsi ad equivoci. Una lezione dura, dunque, da accettare. «Non
abbiamo spiegato alla gente tutti i vantaggi del sì. Non
siamo riusciti a convincere gli svedesi che dallingresso nelleuro
cera solo da guadagnare, sia dal punto di vista economico
che politico. Ora ci vorranno anni prima di riaprire il dibattito.
I cittadini restano ancora troppo lontani dallUnione».
La stessa Margot Wallström, commissario europeo per lAmbiente,
una delle tre donne che compariva accanto ad Anna Lindh nei manifesti
della campagna per leuro che tappezzavano le città,
ha ammesso gli errori.
Il risultato del referendum è ancora una volta il sintomo
di uno scollamento esistente tra lestablishment politico ed
economico e il resto della popolazione. Il segno di un diverso sentire
nei riguardi del grande progetto europeo. Ma leuro, come ha
ricordato Jean Paul Fitoussi, è soltanto un capro espiatorio.
Le vere colpe risiedono altrove. Il problema, infatti, oltre e ancor
più che economico, è politico e psicologico.
La moneta unica ha provocato ovunque laumento dei prezzi,
è vero. Ma la diffidenza verso leuro di cui
il voto svedese può essere visto come la punta di un iceberg
ha origini politiche. Il vero problema della costruzione
europea che la gente comune percepisce ogni giorno di più
è proprio il deficit di democrazia. Le decisioni che riguardano
i singoli Paesi vengono spesso prese altrove, a Bruxelles. Con processi
che il cittadino medio fatica a capire. I governi nazionali devono
adeguarsi alle regole europee, vissute come diktat. E questEuropa,
di cui molti ignorano i meccanismi, non ha certo una faccia simpatica:
blocca le procedure, lega le mani ai governi nazionali, legittimamente
eletti dai cittadini. Luomo della strada non conosce i nomi
né i volti dei commissari europei. Perciò di fronte
ai no di Bruxelles sente irritazione. Ma la responsabilità
di questa percezione è in gran parte degli stessi governi
nazionali. E spetta a loro adesso darsi da fare, invece di lamentarsi
e dare tutte le colpe allUnione.
Lidea stessa di Europa è avvolta da un velo opaco,
che la rende poco comprensibile e ancor meno appetibile ai cittadini.
E questo il vero senso del voto scandinavo e della crescente
disaffezione che serpeggia anche nei Paesi che aderiscono alla moneta
unica.
La lezione svedese ha, dunque, molto da insegnare ai Paesi dellUnione.
Ai Dodici di Eurolandia che, in vista del prossimo allargamento,
dovrebbero mostrarsi nel periodo che intercorre a partire da ora
ancora più pronti a sanare i loro bilanci e rendere così
lUnione un luogo attraente in cui approdare per restare. Come
agli altri due non allineati, in bilico se conservare
la loro autonomia monetaria o lasciarsi attrarre dai vantaggi della
valuta amica. Ma se lorgoglio scandinavo ha finito col distruggere
il sogno di Persson, e con questo lillusione di Blair di ammorbidire
le posizioni degli ancor più euroscettici inglesi, il primo
ministro danese Anders Fogh Rasmussen ha messo subito le cose in
chiaro: «La corona danese è legata alleuro da
anni, mentre quella svedese fluttua libera sui mercati. E quando
i danesi decideranno di tornare a pronunciarsi sulla moneta unica,
lo faranno senza tenere conto di quanto è accaduto in Svezia».
Sembra essere una promessa. Di certo così non la pensano
tutti in Europa.
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