Gli imprenditori
genovesi si resero conto che non
esistevano
in Genova marinai capaci di manovrare quel tipo di navi nelle difficili
traversate
oceaniche.
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Mentre i Paesi Bassi sviluppavano la loro politica commerciale
planetaria, lItalia prendeva tra il 1494 e il 1555 una gran
mazzata, divenendo tragico teatro di battaglia tra Francesi e Spagnoli.
Ma si era ripresa abbastanza bene e la seconda metà del Cinquecento
può ragionevolmente essere definita una sorta di estate di
San Martino delleconomia italiana.
Col Seicento, però, sopraggiunse il cataclisma definitivo.
Ai primi di quel secolo, lItalia settentrionale era ancora
una delle aree più sviluppate dEuropa. Tre generazioni
più tardi, lintera Penisola era una terra sottosviluppata,
prevalentemente agricola, importatrice di manufatti ed esportatrice
di prodotti agricoli, dominata da una casta di potenti proprietari
agrari che avevano ricacciato in secondo piano gli operatori mercantili,
manifatturieri e finanziari. Col Seicento si chiude così
un ciclo che aveva avuto inizio nel secolo X, aveva raggiunto il
picco nel secolo XIII, aveva visto il Paese mantenere buone posizioni
nei secoli successivi, e poi precipitare, appunto, nel secolo XVII.
Come spiegare questo collasso italiano? Tradizionalmente, gli italiani
riversavano la colpa delle loro sventure sugli altri. Si citavano
gli effetti dello spostamento delle linee di traffico dal Mediterraneo
allAtlantico per via della scoperta delle Americhe e dei traffici
con il Lontano Oriente, o alternativamente imputavano la caduta
agli effetti della dominazione spagnola e ai modi di vita spagnoleschi
assorbiti dalla società dellepoca. Questo tentativo
di scaricare sulle spalle altrui la responsabilità delle
proprie disgrazie non regge. Anzitutto, si può provare che
lo spostamento delle vie di traffico fu fenomeno più tardo:
ancora per quasi tutto il XVII secolo i prosperi Paesi del Nord
trafficavano più con le aree del Mediterraneo che con le
Indie Orientali e Occidentali. Quanto agli effetti della dominazione
spagnola, largomento potrebbe valere per Milano, ma non tiene
per Venezia e per Firenze, che non furono mai occupate dalla Spagna.
E allora?

Il fatto fondamentale di cui bisogna soprattutto tener conto è
che la prosperità e il benessere italiani si basavano sullesportazione
di beni e servizi (bancari, assicurativi e di trasporto marittimo).
LItalia è sempre stata povera di materie prime. Se
voleva vivere con un buon tenore di vita, era costretta ad esportare.
E ancora ai primi del Seicento prodotti e servizi italiani trovavano
largo esito sui mercati dEuropa, dAfrica e del Vicino
Oriente. Venezia esportava nei Paesi mediorientali circa 25 mila
pannilana allanno. Genova esportava tessuti serici per oltre
due milioni di lire genovesi del tempo. Firenze esportava tessuti
di lana, tessuti auroserici in Spagna, nel Nordafrica e nel Vicino
Oriente, e Milano esportava tessuti di lana, tessuti auroserici,
armi e armature in Germania. Però, a partire dalla fine del
Cinquecento Firenze, e a partire dal 1620 circa Milano, Genova e
Venezia videro le proprie esportazioni crollare. Genova alla fine
del XVII secolo esportava panni serici per meno di mezzo milione
di lire allanno. Venezia alla stessa epoca non riusciva più
ad esportare nel Vicino Oriente che un centinaio di pannilana allanno.
Che cosera accaduto?

Una delle ragioni del crollo delle esportazioni fu che alcuni dei
Paesi tradizionali importatori di prodotti italiani entrarono in
crisi per ragioni varie e di conseguenza il loro potere dacquisto
diminuì. Vaste province della Germania vennero devastate
dalla Guerra dei Trentanni (1618-1648). La Spagna entrò
in una tragica fase di declino economico. Il mercato turco sprofondò
in un ciclo di involuzione e di dissesto. Tutto questo non era colpa
degli italiani.
Ma il crollo delle esportazioni italiane dipendeva largamente anche
da altri fattori, di cui gli italiani portavano piena responsabilità.
La ragione prima del crollo delle esportazioni italiane consisteva
nel fatto che le merci e i servizi italiani non erano più
competitivi sul mercato internazionale per quanto riguardava i loro
prezzi. In altre parole, le merci e i servizi italiani si vendevano
a prezzi troppo elevati. Perché?
Anzitutto, gli italiani continuarono a produrre merci di ottima
qualità, ma costosi e superati dalla moda. Olandesi e Inglesi
che si erano resi conto dellemergere di ceti nuovi avevano
invaso il mercato con prodotti di massa; cioè pannilana più
leggeri, dai colori sgargianti, e soprattutto che costavano molto
meno dei prodotti tradizionali, destinati soprattutto ai ceti elevati.
Il potere e il conservatorismo caratteristici delle corporazioni
in Italia bloccò i necessari mutamenti tecnologici e di qualità
che avrebbero potuto permettere alle aziende italiane di competere
con la concorrenza straniera. In secondo luogo, in Italia i salari
erano più elevati che allestero e non erano compensati
da una maggiore produttività del lavoro. Infine, il carico
fiscale sopportato dalle aziende italiane pare sia stato molto più
elevato del corrispondente carico che pesava sulle aziende straniere.
Prodotti eccellenti ma démodé, alti salari ed elevata
pressione fiscale significavano costi di produzione elevati, che
a loro volta significavano prezzi più elevati, che a loro
volta significavano perdita di competitività sul mercato
internazionale. Così le esportazioni di manufatti crollarono.
Daltra parte, ci fu uno spostamento della domanda estera che
richiese sempre meno manufatti italiani e volle sempre più
prodotti agricoli, soprattutto olio e vino.
Sotto la pressione della mutata domanda estera lItalia, da
Paese trasformatore di materia prima ed esportatore di manufatti
e servizi, divenne un Paese eminentemente agricolo di baroni e contadini
che esportava soprattutto prodotti del settore primario. Si salvò
in parte il settore serico: lo sviluppo delle manifatture di seta
a Lione e in Inghilterra bloccò le esportazioni di tessuto
di seta italiani, ma gonfiò la domanda di filati di seta
italiani. Le filande di seta rappresentarono un punto di resistenza
delleconomia italiana, che si manterrà pressoché
inalterato fino a tutto lOttocento.
Cè comunque un episodio significativo che vale la
pena di raccontare in questa triste storia. Nel corso del Cinque
e Seicento ebbero gran voga e fortuna le grosse compagnie commerciali,
che ottennero dai rispettivi governi il monopolio dei traffici con
una determinata area geopolitica. Tra questi colossi, primeggiarono
la Compagnia inglese delle Indie Orientali, autorizzata
nel dicembre 1600 dalla regina Elisabetta col nome The Governor
and Merchants of London trading into the East Indies, e la
Compagnia olandese, la VOC, nata nel 1602. Abbagliati
dagli enormi profitti conseguiti da questi due colossi, gruppi di
imprenditori costituirono analoghe compagnie in altri Paesi dEuropa:
nacquero così, tra le altre, la Compagnie française
des Indes e la Compagnia danese delle Indie.

In Italia, alcuni imprenditori genovesi tentarono la stessa impresa.
Nel 1647 veniva creata a Genova la Compagnia genovese delle
Indie Orientali, con un capitale di 100 mila scudi. Costituita
la società sulla carta, gli imprenditori si scontrarono con
una realtà locale sottosviluppata che non poteva reggere
al gioco. Anzitutto, non si trovarono a Genova cantieri che sapessero
costruire le navi adatte alla navigazione oceanica del tipo usato
dalle compagnie inglese e olandese. I genovesi dovettero quindi
ordinare due navi ai cantieri di Texel, in Olanda. Lordinativo
dovette esser fatto in tutta segretezza, perché in Olanda
era proibito costruire navi di tipo olandese per potenze straniere.
Comunque, ottenute le due unità, gli imprenditori genovesi
si resero conto che non esistevano in Genova marinai capaci di manovrare
quel tipo di navi nelle difficili traversate oceaniche. Furono costretti
quindi a far ricorso allingaggio di un equipaggio olandese.

Sciolti questi nodi, che dimostravano ormai quanto lItalia
fosse arretrata rispetto alle maggiori potenze europee, le navi
salparono da Porto Ligure il 3 marzo 1648, ma portoghesi e olandesi,
di norma nemici acerrimi, si accordarono per eliminare sul nascere
un possibile concorrente, e il 26 aprile 1649 una piccola flotta
olandese catturò le navi genovesi e le condusse come preda
a Batavia.
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