
Settembre
2001
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Le Giravolte |
aldo
tavolaro - simona giannini - claudio alemanno - vincenzo ampolo -
gianluigi mele - florio santini |
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Tra le sorelle ce nera una, Elettra, che
era la più taciturna ed aveva unaria spiritata e i
capelli molto in disordine.
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Le Plejadi
Le ragazze del cielo
Avevamo dodici anni e un vecchio cannocchiale da marina (che chiamavamo
archibugio) col quale ogni notte guardavamo le stelle.
A diciotto anni ci regalarono un cannocchiale nuovo più potente
e continuammo più felici a guardare il cielo.
Detto tra noi, e solo tra noi, questo giochino lo abbiamo continuato
per tutta la vita. Sintende con veri telescopi, ma questo
è un altro discorso.
Gli oggetti celesti che guardavamo da ragazzi erano le nebulose
(quella dAndromeda, laltra dOrione), i pianeti,
le stelle doppie, gli ammassi globulari (quello dErcole) e
gli ammassi aperti (le Plejadi).
Le Plejadi erano quelle che ci affascinavano di più, daltronde
sin dallantichità avevano sempre affascinato gli uomini
che le avevano chiamate le gallinelle, la chioccia
coi pulcini, il grappolo duva, ma per noi
erano le sette sorelle, figlie dAtlante e Plejone, come ci
aveva insegnato la mitologia.
Quindi gli occhi e la fantasia correvano alle sette sorelle, piuttosto
vivaci, come vedremo, e le guardavamo con insistenza perché
erano belle così piccine e splendenti, circonfuse di un chiarore
lattiginoso che, nelle limpide notti dinverno, appariva più
seducente complice della civetteria delle fanciulle che in quel
chiarore nebuloso pareva si nascondessero.
Ma se noi guardavamo le Plejadi, le Plejadi guardavano noi, perché
si erano accorte della nostra costante ammirazione.
Così una notte una di loro, e non poteva essere che Maja,
si sporse più delle altre, fece un cenno con la mano e disse:
«Salite».
«Saliamo?», chiesi al mio amico che era molto timido
e quello, facendosi rosso, rispose: «Io non voglio venire,
vacci tu». Ed io andai.
Qui occorre dire che io sapevo bene dove mettevo i miei passi, chiunque
altro si sarebbe chiesto: come mi accoglierà il papà
Atlante, che come sappiamo era uno dei Giganti, ma io sapevo anche
che era un astronomo e avrebbe anche potuto avere simpatia per chi
per anni guarda il cielo con amore. Infatti, quando fui su, fu il
primo a venirmi incontro e, sorridendo, disse: Ti conosco,
anche tu sei astronomo.
Mi schermii e risposi: «Spero di diventarlo». «Lo
diventerai», disse, e se ne andò con la solennità
di uno che regge il Mondo sulle spalle.
E qui non poteva non farsi avanti la moglie, Plejone; del resto
un ospite è ricevuto dalle persone più rappresentative
della famiglia e Plejone queste cose le sapeva e, per motivi che
diremo, si dava le arie di gran dama. In effetti era una delle quattromila
figlie di Oceano (come dire che le Plejadi avevano 3.999 zie).
Sempre detto fra noi, Plejone che aveva il complesso di provenire
da una famiglia numerosa era orgogliosa del fatto che tre
delle sue figlie, Maja, Elettra e Taigete, erano andate a letto
con Giove, il capo degli dei, il Presidente della repubblica dellOlimpo,
come se fossero andate a letto con Scalfaro (per fare un esempio).
E non basta, perché Sterope era andata a letto con Marte
e Alcione con Nettuno. Capirete che si trattava delle più
alte sfere della compagine governativa: Marte ministro della difesa
e Nettuno della marina.
Io non voglio insistere negli esempi, ma fate voi gli accostamenti
con lattualità.
Molto verosimilmente Plejone aveva fatto da ruffiana perché
era ambiziosa ed aveva in antipatia la figlia Merope perché
aveva sposato un mortale, Sisifo, che, nondimeno, era re di Corinto.
Questo Sisifo è passato alla storia per essere stato un
furbacchione, anche se era ben accorto nel gestire il suo regno.
Pensate che quando arrivò la sua ora e la Morte venne a prenderlo,
egli la incatenò e non solo non si fece prendere lui, ma
non moriva più nessuno. Giove fu costretto a mandare Marte
a liberare la Morte e così Sisifo finì nelloltretomba.
Ma qui giunto (si era messo daccordo prima con la moglie Merope)
disse a Plutone che la moglie non gli aveva fatto le onoranze funebri
e questo poteva apparire un affronto al regno dei morti dove si
passa sempre con grande solennità.
Perciò chiese a Plutone di rimandarlo per tre giorni sulla
terra per dare una lezione alla moglie. Plutone acconsentì,
Sisifo tornò in vita e contava di non tornare più
da Plutone, ma i Servizi segreti dellepoca mandarono Mercurio
a riprenderlo.
Queste notizie, se volete questi pettegolezzi, sono importanti
per capire i rapporti tra le sorelle. Infatti Marte che va a liberare
la Morte e a riprendere Sisifo, essendo andato a letto con Sterope,
era in un certo senso il cognato di Sisifo; così Mercurio,
nato dalla cognata Maja e da Giove, era suo nipote. Si capisce bene
che la povera Merope, moglie del furbo, ma anche perseguitato Sisifo;
oltre ad avere lantipatia della madre, aveva avuto contro
tutto il resto della famiglia.
Queste storie le sappiamo un po tutti perché anche
a scuola ci fanno studiare la mitologia, ma nel mio caso ci ero
cascato dentro e quella sera le vissi da vicino.
Plejone, sempre ruffiana, pensò bene di lasciare soli noi
giovani e disse che alla cena avevano provveduto le ragazze. E scomparve.
Naturalmente si fece subito avanti Maja, la più intraprendente,
quella che si sentiva più vicina agli dei essendo stata resa
madre di Mercurio da Giove, e disse: «Caro Tavolaro, per cena
ti abbiamo preparato ambrosia e nettare» (sarebbero il cibo
e la bevanda degli dei), ma non finì la frase perché
Merope, la moglie di Sisifo, la investì dicendo: «E
piantatela di darvi sempre delle arie, che se ne fa Tavolaro delle
sciacquature dei vostri dei, quello viene dalla Terra ed è
giovane ed io gli ho preparato una bella pasta al forno».
Poi si volse a me e disse: «Purtroppo qui non solo tutto è
vanità, ma emarginano me e ogni mia azione. Devi sapere che
quel poveretto di mio marito, furbo era, daccordo, ma era
tanto bravo. Siccome il suo regno era sullistmo di Corinto
(allora non avevano ancora tagliato il canale) costruì due
porti, uno sul lato orientale dellistmo ed uno sul lato occidentale,
così le mercanzie che venivano dallOriente erano sbarcate
nel porto orientale e reimbarcate in quello occidentale e viceversa.
In tal modo cera uno scambio, oltre che di merci, di abitudini,
usanze, modi di mangiare e di vestire, e noi imparammo a fare la
pasta al forno, riso e cozze (senza patate, perché lAmerica
non era stata ancora scoperta) proprio dalle popolazioni da dove
vieni tu».
Sembrava che la serata avesse preso lavvio giusto, ma Merope
portando in tavola bei piattoni di pasta al forno, continuava a
borbottare, sempre volgendosi a me e parlando a mezza voce.
«Caro Tavolaro diceva non cè gratitudine
in questo mondo e particolarmente in questa casa; devi sapere che
mio marito», ricordava sempre il marito la povera Merope e
in realtà tutti sappiamo che il poveretto, per le sue furbizie,
fu condannato a sospingere in eterno un masso in salita e quando
il masso raggiungeva la sommità del pendio ricadeva a valle
e Sisifo ricominciava da capo, «devi sapere ribadiva
Merope che mio marito istituì i Giuochi Istmici, una
specie di Olimpiadi, come quelle che fate ancora adesso, e a chi
li dedicò? Lo sai a chi li dedicò?». Io lo sapevo,
ma tacqui per non mettere benzina sul fuoco, la benzina la mise
Merope, che continuò: «Li dedicò a Nettuno,
diciamo così (a mio cognato, alluomo di mia sorella
Alcione, al mio doppio cognato perché Nettuno se la fece
anche con Celeno che, come vedi, abbassa gli occhi e non lo può
negare perché da lui ha avuto il figlio Lico». Era
una cena agitata e incominciavo a pentirmi di essere venuto.
E non era finita. Tra le sorelle ce nera una, Elettra, che
era la più taciturna ed aveva unaria spiritata e i
capelli molto in disordine, per cui Taigete (unaltra che era
uscita con Giove) cominciò a borbottare: «Vedi
quella, neanche quando cè gente si pettina».
Poi volta a me prese a dire: «Non nego di essere stata con
Giove, ma almeno sono stata attenta, diciamo che prendevo la pillola,
quella invece mise al mondo Dardano, il fondatore di Troia. Troia
cadde, e quindi si estinse la dinastia di Dardano; ella disperata,
con i capelli al vento, incominciò a fuggire per il cielo
e la scambiarono per una cometa. Dico io, divertitevi, ma state
attente perché poi sono dispiaceri di ogni specie».
Cominciavo veramente a scocciarmi di tutti questi pettegolezzi,
di questi risentimenti, di queste zuffe verbali, quando a colmare
il tutto tornò la madre Plejone.
«Comè andata la cena?», chiese con un sorriso
affettato, poi senza aspettare risposta cominciò a dire:
«Quanta strada avete fatto! Mi dispiace, perché dovete
sapere, ma voi lo sapete, che noi prima abitavamo più in
basso, come dire qualche piano più sotto».
Certo che lo sapevo, perché, a causa della precessione degli
equinozi, le stelle si spostano in cielo e le Plejadi anticamente
erano molto più basse.
La vecchia invece stava per darmi una sua spiegazione,
infatti continuò: «Per nostra disgrazia noi abbiamo
un vicino, diciamo un coinquilino, molto intraprendente, che dava
fastidio alle mie figlie, non ad una sola ma a tutte e sette contemporaneamente.
Si tratta di Orione, un cacciatore (che tra laltro tiene anche
i cani in casa, Sirio e Procione), e abitava al piano di sotto.
Noi per ristabilire le distanze, anche quelle sociali, siamo saliti
di qualche piano, ma lui continua a seguirci».
Plejone ci teneva sempre a ricordare che le figlie erano state prescelte
dagli dei e coi mortali non intendeva fare troppa comunella.
Mi sembrò una lettera indirizzata ad Orione, ma diretta a
me, quasi che volesse dire: ricordati di restare sempre al tuo posto.
Io, in verità, ne avevo già le tasche piene e riandai
per un momento alla famosa frase di Ermete Trismegisto: Quello che
è in alto è in basso e quello che è in basso
è in alto.
Perciò quando ci congedammo e mi ripeterono più volte
di tornare io dissi sì, ma non mi feci più vedere
perché sulla Terra ci sono tante belle ragazze meno noiose,
meno astiose, meno pettegole, anche se vanno in discoteca coi ministri
e coi presidenti.
aldo tavolaro
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Brutale la versione di Catone, che, appellandosi
alla radice fe e minus, la fa diventare diavolo
infedele, amante portatrice di lacrime.
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Cherchez la femme
Nun me chiamare cchiù
Donna Sabella,
Chiamame Sabella sventurata
Aggio perduto 33 castelle
La Puglia bella e la Basilicata!.
Antico stornello per Isabella di Lorena, costretta a lasciare il
Regno di Napoli ad Alfonso dAragona, e qui Donna
è un titolo nobiliare... ma quando di regine non si parla
il dubbio rimane: femmina o donna?
Cruenta indignazione al primo appellativo, cè chi preferisce
il secondo!
Maledetto Zeus contro Prometeo o maledetto Prometeo e il suo fuoco
animatore degli ingredienti maschili? Chi dei due debba essere indicato
come colpevole di aver dato linput alla creazione della donna-femmina
non ha importanza; comunque vada, pare che il genere femminile abbia
una natura malefica.
Per la verità, Pandora inganna un po, piena di doni,
ma, anche qui, il buon Dio non è stato assolutamente magnanimo:
doni sì, ma di che natura!
Femmina invece non tradisce per niente: brutale la
versione di Catone, che, appellandosi alla radice fe
e minus, la fa diventare diavolo infedele, amante portatrice
di lacrime (ecco venire in mente il serpente tentatore).
Fortunatamente, pare che il Devoto-Oli sia più
scaltro: appellandosi al latino fecundus, le dà
il privilegio di madre-prolifica.
Ma anche qui cè chi storce il naso, preferendo la radice
che le fa più streghe che depositarie del seme
maschile.
Femmina o donna che dir si voglia:
Un Dio fece le teste delle donne diverse dal principio...
Cè una che viene dalla scrofa setolosa:
tutto in casa è sporcizia e confusione, singrassa riposata
nel letame...
Unaltra Dio lha fatta dalla volpe mascalzona. Sa tutto.
Non le sfugge nessun guaio e nessun meglio... Lumore cambia
il suo bersaglio.
Una è dalla cagna faccendiera,
tutta sua madre.
Fruga dovunque, scruta e latra...
Non cambia mai linutile frastuono.
...una plasmata con la terra, per farne dono alluomo.
E lottusa, un genere di donna che niente sa né
di bene né di male.
Un lavoro sa fare, che è mangiare!
Una viene dal mare ed ha due anime.
...così il mare che spesso è liscio, quieto, e dà
grande gioia ai marinai... e spesso infuria,
un frastuono di ondate lo trasporta...
Così è quella donna, come umore:
il mare per natura cambia sempre.
Cè la nobile cavalla: tutto il giorno
si spalma di profumi due, tre volte al giorno...
ha chioma sempre liscia e pettinata.
Poi cè lape... non cè una sola
pecca che la sfiori: invecchia amata con lo sposo amato... fra tutte
si distingue.
Così mi gusto qualche tratteggio di generi femminili di
Semonide di Amorgo, ironia squisita di immagini di donne-animali,
ex abundantia cordis.
E con un presuntuoso femminile atto di revisionismo che, non
credendo alla misoginia, mi diverto alla sapiente penna di un greco
che, nel 693 a.C., a quanto pare di donne ne aveva conosciute davvero
tante e spero abbia avuto la fortuna (e la pazienza) di amarle.
Creato da una costola ritorta o mandato in giro con un vaso malefico:
questo ti è toccato, caro genere femminile!
Bestia non certo meno nobile e amata della mosca montaliana, lontana
per fortuna dallo strix (origine latina di strega) notturno
che volava sulle culle dei bambini, per succhiarne il sangue; mentre
Foscolo, poco temerariamente, sperava di ottenere le tue attenzioni
scrivendoti: «Sei più un mezzo di luce che una fiamma
che rischiara dolcemente il mio cuore, senza bruciarlo»; era
Saffo a concedere i suoi canti migliori alle tue vesti leggere che
«le rinfrescavano il cuore e le squassavano lanima».
Ma questa è unaltra storia. Dont cry woman!
simona giannini
Grad Zero
Una vetrina sul Mediterraneo
Recuperare una manifattura di tabacchi dandole vita, attualità
e modernità attraverso un percorso artistico e culturale
è una scommessa di grande fascino. La lavorazione del tabacco
evoca nella vita salentina ricordi di storie individuali e sociali,
battaglie politiche e sindacali legate ad uneconomia agricola
che cercava di uscire dalla logica della sussistenza. Contadini
e tabacchine hanno prodotto stili e costumi di vita ancora oggi
capaci di suscitare emozioni vere e genuine proprio perché
legate alle radici, alla terra del Salento e non allarida
sollecitazione di immagini seriali prodotte dallevoluzione
tecnologica.
Un gruppo di giovani, organizzato e guidato da un regista leccese,
Paolo De Falco, ha accettato la sfida, impegnandosi a far vivere
e rivivere spazi e luoghi sommersi dalloblio tecnologico.
In un momento in cui lattenzione per il recupero del barocco
è diventata oggetto dinteresse nazionale, lidea
di un laboratorio darte acquista significato di rinnovata
attualità. Il recupero di percorsi estetici trova nelle testimonianze
socio-economiche il suo logico complemento. Inoltre la logica degli
interessi euromediterranei colloca ora nel Salento il baricentro
dellevoluzione politica e culturale, losservatorio privilegiato
per lo sviluppo di un dialogo interregionale.
In questo senso la comunità artistica di San Cassiano ha
avuto una sensibilità anticipatrice, dal momento che intende
produrre esperienze molteplici di collaborazione con artisti di
tutto il mondo, privilegiando quelli di area mediterranea, elettivamente
a noi più vicini.
Dunque arte, cultura e spettacolo in una sede esclusiva, immersa
in un paesaggio-spettacolo incontaminato. Una vecchia manifattura
rinasce così a vita nuova, celebrando nel segno della continuità
creativa limmagine possibile di un Salento interculturale.
Da parte nostra un plauso ai promotori e tanta solidarietà
per uniniziativa che ha le caratteristiche di un evento culturale
e sociale.
claudio alemanno
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Al folle eletto, dominato da divine essenze,
si contrapponeva così lindividuo affetto da possessione
demoniaca o castigo divino.
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Estasi
Il sonno dello spirito
Varcare la porta di una chiesa, che si affacci sul mare, su di
una collina, sulla piazza di un paese, o sia sperduta tra le campagne
del Salento, ha sempre il sapore di un passaggio da una realtà
ad unaltra.
Freschi e sacri silenzi, destate come dinverno, accolgono
ancora, nella loro penombra, i visitatori, che rimangono per lo
più affascinati dalle atmosfere ipnotiche che dentro questi
luoghi si respira.
Sui banchi siedono prevalentemente donne, spesso non più
giovani, le quali, con il rosario stretto tra le dita, producono
un mormorio quieto che si alza e si abbassa, come i movimenti ondulatori
della mente, tenuta occupata da parole insegnate nellinfanzia,
spesso in quello spazio immaginale che precede il sonno.
In una di queste piccole chiese, alla periferia di San Donaci, in
provincia di Brindisi, un ragazzo di nome Paolo e una donna di nome
Enza hanno avuto esperienze estatiche, tali da lasciare su di loro
segni evidenti di una comunicazione misteriosa, che in un caso viene
maggiormente esplicitata e ritualizzata e nellaltro resa evidente
da stigmate e fenomeni di osmogenesi.
Da queste esperienze estatiche è partito un lavoro di ricerca,
promosso dallInsegnamento di Sociologia delle religioni dellUniversità
degli Studi di Lecce, che ha visto partecipi studiosi di varie discipline,
accanto a studenti volenterosi e spesso emotivamente e culturalmente
coinvolti.
Lanalisi del contesto, entro cui tali esperienze si collocano,
ha comportato ulteriori indagini sul campo che hanno
concorso a rafforzare o a modificare le nostre ipotesi iniziali.
Tra i materiali da me personalmente raccolti, riporto nel presente
testo, unintervista con una delle protagoniste principali
della nostra ricerca.
Lintervista dà conto di un primo colloquio avuto presso
la sua casa, in compagnia di un parente della stessa e di Elda,
studentessa del corso di Sociologia delle Religioni, che ha provveduto
fra laltro agli aspetti organizzativi di quel primo incontro
e di quelli successivi.
Alcune minime considerazioni teoriche sulle condizioni
e sui contenuti dei vissuti estatici, se pure non esaustive del
fenomeno, sono sembrate necessarie e integrative ad altri dati esplicitati
nel testo.
Melissano, martedì 10 febbraio 1998
Una casa al piano terra situata sulla via principale del paese.
Alle ore 19,00 siamo entrati nella casa di Enza, dove siamo stati
invasi da un profumo intenso, come di gigli e rose.
Subito ci siamo accorti con meraviglia che la donna da intervistare
risultava diversa da ogni nostra aspettativa. Serena e spigliata,
dallimmagine giovanile, accoglieva senza particolare emozione
la nostra venuta.
Accompagnati in cucina, troviamo sul tavolo un crocifisso che sembra
macchiato di sangue.
Ci invita a sederci facendo spazio su una branda accostata al muro.
Accende la stufa a gas e si siede sulla branda di fronte a noi.
Chiediamo di usare il registratore, lei ci prega di non utilizzarlo.
Cacciato il mio taccuino, iniziamo a parlare con lei e a trascrivere
i passi più salienti della conversazione, così come
ora li espongo.
Quando è iniziata questa avventura spirituale?
«Fin da bambina vedevo cose strane che mi spaventavano. Una
luce attraversava a volte lo spazio di fronte a me. I miei fratelli
mi sgridavano e mi prendevano in giro e solo mia madre mi era vicina,
pur essendo anche lei scettica.
Un giorno, in ricorrenza della Madonna Assunta, mia madre decide
con altre donne di andare tutti in campagna.
Io volevo giocare, la sconsiglio ricordandole che ritornando al
buio avremmo dovuto passare davanti al cimitero.
Eravamo circa venti persone al ritorno, quando, passando davanti
al cimitero, vedo una figura di luce, una nuvola splendente, un
gran mantello, sopra la cappella di mio fratello che si abbassava
ed entrava nella cappella di fronte. Credo daver visto un
fantasma. Nessuno sembra aver visto nulla tranne me. Avevo 27 anni
quando mia madre mi svelò daver visto anche lei quella
luce.
Quella volta ho visto e ho toccato, per causa tua.
Hai taciuto per tanti anni, per quale motivo?. Ero molto
arrabbiata con lei quella volta.
In che occasione hai iniziato a capire che ti stava per
succedere qualcosa di particolare?
«Era il 1993. Eravamo tornati dal Piemonte. Avevamo intrapreso
diverse attività commerciali che si erano rivelate fallimentari.
Nel frattempo mia figlia si stava ammalando e io ero fisicamente
a terra. Mettevo le gambe giù dal letto ed ero già
stanca.
Una sera, mentre ero distesa sul divano e guardavo la televisione
insieme a mio marito, in uno stato tra il sonno e la veglia, mi
trovai in un grande giardino recintato.
Vi erano alberi secolari e tra gli alberi un giovane di bellezza
incredibile. Alle sue spalle il paesaggio si perdeva a vista docchio.
Io, dallaltra parte del giardino, mi nascondevo al suo sguardo
dietro gli alberi, attenta a non calpestare dei fiori stupendi disseminati
sul terreno.
I suoi capelli brillavano sotto il sole. Era vestito di bianco e
con un cordone alla cintola. In mano aveva un libro che ho immaginato
fosse la Bibbia. Ai piedi calzava dei sandali di cuoio molto aperti.
Si è guardato intorno cercando un masso sul quale sedersi.
Trovatolo, si è abbassato passando sotto un salice piangente.
Si è seduto ed ha iniziato a guardarsi in giro.
Io ero sempre nascosta dietro un albero e ogni tanto tiravo fuori
la testa per osservarlo.
Lui aspetta che io faccia capolino e guardandomi fa un gesto con
la mano destra come per chiamarmi.
Scoperta, penso subito che se Gesù mi sta chiamando vuol
dire che devo morire.
No, mi dico, non posso ora, devo mettere a posto la mia famiglia
e poi vengo.
Il Signore ha capito e si mette a ridere. Poi, mi fa il gesto di
andare.
Sembra essere passato tanto tempo, ma sento i rumori familiari intorno
a me.
Sono morta o sono ancora viva, mi dico? Chiamo mio marito e lui
mi risponde. No, non sono morta! Mi rimane dentro una grande gioia,
come di miele.
Prima di quella visione ero frustrata e agitata, da quel momento
tutto è un brutto ricordo».
In che occasione hai ricevuto per la prima volta le stigmate?
«Poco meno di sei mesi fa vengo a conoscenza di un ragazzo
di nome Paolo che dicono veda la Madonna.
Mi reco alla chiesetta nei pressi di Brindisi. Cera la neve
e nel cortile antistante la chiesa moltissimi fedeli attorniavano
Paolo. Trascinato dalla folla, dopo aver comunicato con la Madonna,
Paolo è inavvicinabile.
Mi faccio spazio fra la gente (letteralmente mi tuffo), entro nella
chiesa e arrivo allaltare. In uno stato di preghiera intensa
appoggio la mano sinistra sulla balaustra che separa laltare
dal resto della chiesa, poi la metto in tasca per il freddo, sempre
continuando a pregare con fervore.
Nella tasca sentivo la mano appiccicata e avvertivo al tempo stesso
un bruciore piacevole. Non riuscendo a capire queste sensazioni,
caccio fuori la mano dalla tasca e mi accorgo che è piena
di sangue. Mi spavento. Cosa mi ha ferito?
Tornata a casa cerco di lavare le mani dai residui di sangue, ma
non scorgo nessuna ferita.
Il sabato seguente ritorno alla chiesetta. In un momento di preghiera
intensa cado per terra. Vedo intorno a me anche i miei parenti morti,
la mia mamma, il mio papà e tanta altra gente. Mi portavano
regali, ma io mi ribellavo. No, non voglio fare parte di voi,
io devo stare con i miei, non me la sento.
Mia madre mi diceva: Figlia mia, accetta, non sai cosa perdi.
Prega anche per me. Ripresa da questa esperienza vedo
sulla mia mano sinistra piccoli grumi di sangue (come ceci).
Il terzo sabato entrambe le mani iniziano a sanguinare. Nei giorni
seguenti sognavo Gesù che soffriva flagellato e notavo sul
mio corpo i segni di quella flagellazione. Una croce sulla fronte
e delle ferite sul costato. Ferite che si gonfiavano e scoppiavano
come fossero purulente, potevo alleviare il dolore solo usando mercurocromo
e vaselina».
Come ha reagito il paese e la tua famiglia a questi segni?
«Inizialmente hanno reagito tutti molto male. I dottori e
la gente credevano fosse tutta una finzione. La mia famiglia sembrava
ammutolita, erano diventati tutti taciturni. Ho dovuto reagire dichiarando
che il mio amore per loro era accresciuto dallamore per Gesù».
Hai poi incontrato Paolo.
«Sì, inizialmente lo cercavo per un confronto sulla
nostra esperienza. Lui era evasivo o non si faceva trovare. Ho avuto
limpressione che volesse sfuggire per paura di qualcosa. Poi
ho assistito e ho saputo cose non belle... è meglio vedere
con gli occhi del cuore, mi sono detta».
In che occasione è iniziato a espandersi questo profumo
che si avverte intorno a te?
«Ho visto la Madonna, che mi ha chiesto di portare la sua
immagine tra la gente. Ho fatto fare una copia in cartapesta di
ciò che ho visto.
Inizialmente ho avuto difficoltà per avere i permessi per
mandarla in giro. Nel mese di maggio tutto ciò che era vicino
a Lei si profumava, poi Lei è andata via ma il suo profumo
è rimasto nella casa. Al mattino sono obbligata ad aprire
le porte e le finestre. A volte inseguo quel profumo, che sembra
venire dalla mia camera da letto».
Estasi tra sacralità e psicopatologia
Innumerevoli e ricorrenti tentativi di interpretazioni riduzionistiche
del fenomeno estatico, e più genericamente mistico e religioso,
succedutesi dalla seconda metà dell800, hanno utilizzato
letture di tipo psichiatrico e psicoanalitico parlando di teomania,
demonopatia, psicopatia religiosa o per altri versi di proiezioni
transferiali di figure parentali, compensazioni a frustrazioni affettive,
nevrosi ossessive o illusioni deliranti.
Se lossessione scientifica si poneva il compito
di valutare e differenziare la reale esperienza mistica dalle altre
esperienze più o meno patologiche che appartenevano ad individui
etichettati come parafrenici, ipomaniacali, fanatici, ossessivo-compulsivi,
esibizionisti, isterici, istrionici, esaltati, ambiziosi passivi,
millantatori, recitanti, visionari affettivi, etc., pure la visione
dualistica, propria delle religioni occidentali, contribuiva alla
scissione del concetto di follia: matto o profeta.
Al folle eletto, dominato da divine essenze, si contrapponeva così
lindividuo affetto da possessione demoniaca o castigo divino,
(definizioni queste che si ritrovano sia nella Bibbia sia nella
mitologia greca e, rispetto alla seconda espressione, nellantica
cultura ebraica).
Non dimentichiamo che labitudine di giudicare i visionari
con criteri di positivo/negativo, vero/falso, portarono nel Medioevo
a differenziare le visioni vere (immaginationes)
di origine divina o angelica da quelle false (illusiones
o phantasma) di origine diabolica.
Purtroppo, la presunta facoltà del diavolo di camuffarsi
da angelo di luce poneva serie difficoltà in
coloro che avrebbero dovuto distinguere tra visioni false/negative
e visioni vere/positive, giacché, a causa di questa possibilità
di mistificazione, il contenuto delle visioni false
non sempre era diverso da quello delle vere.
Le scienze sociali, per prime, hanno riconosciuto che uninterpretazione
riduttiva, di tipo medico, psicologico o psichiatrico, non poteva
dare una spiegazione al simbolismo e agli usi sociali delle visioni.
Lo studio delle società primitive e dei Paesi in via di sviluppo,
ad opera di antropologi e sociologi, hanno evidenziato la complessità
e limportanza delle visioni, intese come pratiche sociali
legate sia a rituali tradizionali (sciamanismo, etc.), sia a situazioni
di crisi (messianismo, etc.).
Per altri versi, levoluzione delle moderne tecniche diagnostiche
usate maggiormente in ambito psichiatrico e in psicologia clinica
(vedi il DSM-IV del 1996) ha finito per escludere, tra i disturbi
mentali, i comportamenti devianti dal punto di vista religioso,
per evitare luso, assai frequente nel passato, di diagnosi
psichiatriche per reprimere minoranze religiose.
Stati modificati di coscienza e visioni mistiche
Nonostante la difficoltà di precisare esattamente la natura
dei fenomeni da noi indagati, che pure prescinde, per nostra scelta,
dal fornire risposte ad interrogativi relativi alla verità/illusione
dei contenuti delle visioni estatiche, così come dalladdentrarsi
sul terreno di stretta competenza religiosa e teologica, pure i
dati rilevati sul campo, confrontati con i risultati teorici di
ricerche parallele, ci consentono di fare alcune considerazioni
essenziali che danno conto di aspetti generali riguardanti i fenomeni
indagati.
La personalità del visionario, legata spesso ad un lungo
apprendistato insieme allelemento socioculturale, il contesto
storico, lo spirito del tempo, hanno
fondamentale importanza per situare e comprendere le emergenze estatiche.
In particolare, la prima condizione è, senza dubbio, una
concezione nettamente religiosa del mondo fondata sulla credenza:
- nellesistenza di una realtà intangibile;
- nella sua trascendenza;
- nella possibilità di una comunicazione fra realtà
diverse.
Inoltre, si può plausibilmente ritenere che:
i contenuti e i vissuti individuali, sociali e collettivi
dei fenomeni estatici sono influenzati dallindottrinamento
religioso condiviso;
i meccanismi cognitivi e neurofisiologici che determinano
i processi mentali degli estatici sono molto simili tra loro;
esistono differenze individuali tali da rendere alcuni soggetti
più predisposti di altri allesperienza estatica;
esistono situazioni propizie allesperienza (riti di
passaggio, malattia, pellegrinaggio, agonia, etc.);
la capacità di attivare e dirigere lesperienza
o comunque una qualche capacità di controllo della stessa
aumenta con la pratica;
lestatico tende a costruire nel tempo un sistema coerente
di rappresentazioni mentali, in accordo con limmagine di sé,
con le sue credenze e con i suoi criteri interpretativi.
vincenzo ampolo
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Felici daver
sonno e lacrime
F. Pessoa, La fine
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Kilim
1
Cara Ismer, ascolto ogni giorno
il tempo sfilare dalla penna
a lutto e chiedere
loblio da ubriaco intorno
al fumo caldo, alla cenere
del tabacco danice, la tua ultima strenna.
Schiuma a tratti la tua voce
in lontananza, riemersa sulla bocca
del mare, tuo custode,
e sembri urlare ma con la mano
avanti. Così lamore scocca
come lora in una stanza vuota, invano.
Lo specchio di casa aveva ormai la cera
dun clown che strucca la sua figura
riflessa, e il cuscino la nera
forma duno stivale stretto di misura.
Finché la mosca non ripiega
sulla ricotta, spinta al viatico
dal calore del siero, e vi annega.
Accade questo tra le sponde dellAdriatico.
2
Odore di mentastro per la costa. Sotto la luna
albume montano le onde
a ciuffi leggeri, spumosi di meringa.
Veglia di finanza e marina, ciascuna
in balia dun radar che la spinga
al largo; piano si fonde
il radar allalfabeto di balena,
sonno e pianto indecifrato
dagli abissi. Io intanto rimastico la pena
come avanzi, accampato
in Puglia, mentre lEuropa sfrigola sullerba
coltivata a mine e la primavera Serba
massacri per lindomani. Di rimando
aerei balia rincuorano la notte, sorvolando
le città come cicogne. E il romanzo
[dellEst, sabbia
negli occhi analfabeti inutile lustrare la
[rabbia
come un trofeo sulla mensola:
restano una coda le parole,
il destino tra le viole
e i denti dun gatto, coda di lucertola.
3
Saccorciano le giornate
col freddo come un pullover. Dellestate
solo qualche monile
a riva, plastiche, alghe e una voglia
danguria il sole che si spoglia
pallido sullarenile.
Cala il buio quindi; per ogni strada
lumeggiano i lampioni a vuoto,
manichini in posa sul niente.
Lumidità copre di rugiada
lerba come il velo duna sposa, ma
[resta azoto
laria, incolore, monotona semplicemente.
Con landatura da disertore
avanza un granchio; inargentato
dallo sciacquio del mare mi siede
accanto, ma indifferente a ciò che vede
scorrere simmerge nella sabbia. Muore
cadente una stella senza fiato
e crea
ressa di desideri intorno a sé, come
[unalmea.
4
E polvere di tufo il vento sui declivi
a mare; impacciate brucano
le pecore sotto gli ulivi.
Impermeabili fumano
pastori dal cuore debano. Sul lungomare
un chiosco di torroni, zucchero
filato ed un uomo concepito male, burbero
dal grembo. Nel porto barche dai rari
nomi di donne chine allaltare,
le gomene alle bitte i consunti rosari.
Sale nel pomeriggio il ristagno
del pescato, la radiocronaca
del calcio, il lagno
dei gatti e laria che intonaca
i sensi di salmastro nulla resiste
domenica alla noia, la vita abulica
abbandona il guado
per questa musica
di confini, lontananze, triste
come un fado.
5
Novembre, un cantiere
dove i gabbiani limano le ali da scirocco,
virando al rintocco
del tramonto per le scogliere
dagata. Simile a un turista giapponese
è il sole con la sua paresi da sorriso, finché
non indaga torvo sul canale, Maigret
suo malgrado. La natura, si sa, non bada
[a spese.
E la notte come un polpo sbuffa un saluto
su scafi tirati a terra
per i capelli, sui figuranti duna guerra
orfana di tregua. E ancora, seduto
su questa mia
vita pieghevole, mentre
schizza il mare dal ventre
di colori trasognati, ascolto la bugia
sfilare dalla penna: Ismer è nel kilim.
[Suona
bene, vedi, come finzione. A Valona
intanto i bambini giocano con la prima
[neve
dellinverno, avvolti da una lana
[che si beve.
gianluigi mele
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E il cosmo beffardo che mi lascia lì,
a capo chino, su questa vecchia portatile superata dalle cose, ad
attendere lispirazione che non viene.
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Nei giorni dello Scorpione
Accade sempre nei giorni dello Scorpione: prima non ci credevo;
ora, ci credo. Non è la noia normale di chi non sa cosa fare
della propria vita. No, è un senso dinutilità,
dinedia viscida, che non dipende dalla mancanza di motivazioni
intellettuali, quelle che avrebbero il pregio di mettere in moto
il tuo pensiero e, di conseguenza, il tuo fare.
No, è una noia di cui tu non sei responsabile, perché
viene da fuori, non da dentro. E la vita stessa che, al contrario,
non sa cosa fare di te. Non ti considera, non ti prende in carico;
ti lascia galleggiare sul nulla dal quale è nata.
Vorresti finalmente concludere un impegno culturale, che da tempo
tralasci, ma non dimentichi; e subito sopraggiunge il triste Chi
me lo fa fare? dei giorni di classica noluntas,
appunto. Quello col quale ho appena interrotto la scrittura del
mio ultimo libro!
Conti le ore e niente accade che dia un minimo di carica gioiosa,
di progetti dazione effettiva. Cosicché ti annoi, in
quanto non servi a te e nemmeno al tempo che abbondantemente, nella
tua libera, lunga giornata, darebbe spazio e modo di fare qualcosa,
se non proprio di produrre; ma tu niente hai da chiedere, come niente
hai da offrire. LEssere che ti circonda non ha alcun bisogno
di te, pensi; e ne provi rabbia, delusione, scherno.
Credo, infatti, che la noia sia un tutto arruffatamente
composito: vi trovi dentro il tuo carattere peggiore; non gli stimoli,
per scampare verso ideali di compensazione riparatrice.
La mia noia è complessa, complicata; definirla scontento
cronico non basta. Per giunta, ormai non conosce fughe possibili;
il fatto è che troppo vidi e troppo viaggiai, in antico.
Oggi è nebbia fitta, bruma gelida, fumo denso, irrespirabile.
Eppure sento che se da fuori qualcuno provocasse il mio torpore
con violenza sarei salvo. Avrei un pretesto per dire o contraddire;
insomma, romperei questo silenzio ideologico, che più non
trova parole belle e nemmeno bestemmie contro questopprimente
non saper reagire, causa tedio che incombe, globale.
Nei giorni dello Scorpione, io sono così; ma non è
lannichilimento duno scrittorello a corto didee;
non è il mal di vivere dei poeti stanchi. Ripeto: è
che, dallesterno, lo Spirito del Mondo non soffia
più aliti caldi, né angelici furori. No, è
il cosmo beffardo che, invece di rovesciarmi addosso, per vendicar
quanto gli misi dentro che non cera, mi lascia lì,
a capo chino, su questa vecchia portatile superata dalle cose
(francesismo alla Siou-Wan), ad attendere lispirazione che
non viene.
Da dove non viene? Non certo dai miei inesistenti stati danimo
creativi; non dal non avere voglia di comunicare, agitandomi dentro,
per poi gridare fuori. Che sia questa, la mia vera malattia inguaribile?
Perché la noia non è in me, è oltre di me;
è quanto da millenni si predica senza risultati e si spera
senza speranza.
Nei giorni dello Scorpione, è come fossi morto alla fede.
E dal mondo crudele, è dallinfinito-truffa, è
dallaltro (il presunto simile), è dallindifferenza
circostante, che iberna i nostri pensieri; è da quel messaggio
che attendo invano, è dal silenzio universale che detta noia
promana...
Un episodio consola, comunque; ve lo racconto, voi già sapete
la mia passione per gli accadimenti emblematici.
Come sempre, scrivevo a macchina. La cagnetta tibetana,
accucciata sul tavolo, mi fissava immobile. Presi a carezzarle le
orecchie vellutate, correggendone soprapensiero la naturale
posizione; lisciandole meccanicamente allindietro, sulla morbida
nuca. E Luli, ogni volta di nuovo, le drizzava guardandomi. Le drizzava
e di nuovo le drizzava; secondo natura, senza stancarsi. Capiva
chero lontano, distratto; ma quando la carezza divenne inutile
prepotenza e non più gioco, un piccolo morso davvertimento,
con dolcezza, mi scosse. Di colpo, cessai dannoiarmi. La famosa
volpina bianca sembrava dirmi divertita: «Carezza, carezza,
le mie orecchie torneranno sempre a drizzarsi per il verso loro.
Divertiti ad insistere, grande padrone; una voce tonante, alla fine,
ti giungerà da fuori! Quella noia, che per te significa vuoto
silenzio, non esiste. Vedrai, i bastardi non sbagliano; sono molto
più intelligenti dun qualunque asino che suoni larpa».
Direte che il mio modo di raccontare non è serio. Mischio
filosofiche considerazioni esistenziali circa la noia del vivere
umano, poi, pretendo di riempire il fatuo che mi tormenta, con episodi
dove i meticci (altro francesismo alla Siou-Wan) abbaiano
consigli miracolosi.
Posso difendermi in una sola maniera: la noia si combatte facendo
caoticamente coesistere i più eterogenei elementi; agitandoli
prima delluso e, qualche volta, come nel presente caso, anche
dopo. Daltra parte, qualcosa dovevo pure inventarmi per uscire
dal consueto tunnel: siamo tutti, non io solo, sommersi dal tedio
incombente; quello che, alla lunga, può anche trasformarsi
in tranquilla follia senile. Lo disse un amico psichiatra, così,
tanto per distrarmi, col metodo dellallegrezza disinvolta...
florio santini
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